Coloni e artigiani: la ceramica italiota a figure rosse nei santuari della costa ionica
p. 239-256
Texte intégral
1Lo studio della ceramica a figure rosse italiota nei contesti sacri dell’Italia meridionale ha solo di recente attratto l’attenzione1: nonostante la mancata pubblicazione complessiva di molti dei contesti di provenienza (che non sempre consente di valutare la ceramica figurata nel quadro dei materiali rinvenuti in associazione), lo stato di norma molto frammentario dei reperti e la bassa incidenza delle presenze2, l’analisi delle attestazioni in ambito sacro è ricca di implicazioni. Ci concentreremo sulle evidenze note da Metaponto ed Eraclea, colonie limitrofe ma con caratteristiche profondamente diverse tra di loro.
Metaponto
2Probabile teatro, subito dopo la metà del V secolo a.C., dell’inizio della produzione di ceramica a figure rosse in Italia meridionale, la colonia achea di Metaponto si configura come una delle realtà meglio note non solo relativamente alle officine attive in città (identificate, su base stilistica, da A. D. Trendall e poi, almeno in parte, effettivamente individuate nel quartiere situato presso la Porta Nord della città)3 sia per gli ambiti di consumo; sebbene ampiamente esportata in ambito indigeno4, essa è utilizzata anche nella stessa Metaponto e nella sua chora sin dal momento della sua nascita, come dimostrano le tombe, caratterizzate, tra seconda metà V e primo quarto del IV secolo a.C., da corredi funerari che restituiscono di norma un singolo vaso figurato; le forme attestate sono pelikai, hydriai, anfore pseudopanatenaiche, owl-skyphoi, lebetes gamikoi e lekythoi ariballiche5.
3La sua presenza nei santuari della città e della sua chora, dove ceramica figurata di produzione locale è attestata già nella seconda metà del V e fino alla fine del IV secolo a.C. ha, invece, ricevuto minore attenzione6.
4Il livello della documentazione disponibile è diseguale; se per il santuario rurale di Pantanello e per il Deposito Favale è possibile avere accesso alla totalità della documentazione, il materiale rinvenuto negli altri santuari è, invece, largamente inedito. Si tratta sempre, comunque, di una presenza quantitativamente limitata: nel caso del santuario rurale di Pantanello, ad esempio, la ceramica figurata rinvenuta nei contesti della Fase 3 del Collecting Basin (IV secolo a.C.), da cui proviene la maggiore concentrazione, è pari al 3% del totale dei reperti ceramici, contro il 26,4% di ceramica a vernice nera e il 36,9% di ceramica comune e a bande7. La selezione delle forme presenta una sostanziale omogeneità: i vasi appartengono al servizio del simposio (soprattutto crateri, che ricorrono in tutti i contesti considerati, skyphoi e owl-skyphoi, e, in misura nettamente inferiore, oinochoai) mentre assai più rari sono i vasi per il cibo, questi ultimi, come i contenitori per olii profumati, attestati soprattutto con esemplari della seconda metà del IV secolo a.C.
5Il santuario di Pantanello ha restituito 496 frammenti di ceramica a figure rosse italiota8 rinvenuti in larga parte nei contesti delle fasi 4-7 (III a.C.-III d.C.) e solo in un numero limitato in quelli della fase 3 (IV secolo a.C.), quando il santuario è pienamente in uso. Sebbene lo stato estremamente frammentario del materiale impedisca un’accurata lettura stilistica ed iconografica, è tuttavia possibile riconoscere le forme di pertinenza dei frammenti, principalmente legate al servizio da vino, che comprende sia i vasi per la mescita (crateri), quelli per attingere o versare (oinochoai) e i vasi potori (skyphoi, kylikes e cup-skyphoi) cui si aggiungono i contenitori per liquidi (pelikai e hydriai). Meno significativa è la presenza di vasi destinati al consumo del cibo (piatti), per la toletta (lebetes gamikoi e lekanai) e dei contenitori per oli profumati (lekythoi e una bottiglia), che ricorrono piuttosto in vernice nera9.
6Larga parte dei reperti si concentra nel Collecting Basin, collegato alla sorgente e destinato ad attività lustrali10. I vasi rinvenuti nei contesti della Fase 3 appartengono soprattutto a crateri a campana, a calice e a volute (questi ultimi presenti solo con esemplari della seconda metà del IV secolo a.C.) probabilmente deposti come offerte votive dopo il loro utilizzo nei rituali praticati nel Lower Sanctuary. Numerosi sono i crateri rinvenuti nel Kiln Deposit, nella Tile Factory e negli strati superiori di riempimento del Collecting Basin formatisi con materiale scivolato dall’Upper Sanctuary dopo l’abbandono dell’area nel II secolo a.C. Essi sono da collegare alle attività di commensalità rituale riconosciute in questa parte del santuario11. Strumento liturgico è invece una epichysis a figure rosse rinvenuta nel bothros 2 dell’Oikos12.
Tabella 1- Ceramica a figure rosse italiota da santuari metapontini.
Provenienza | Forma | Cronologia | Bibliografia | Descrizione | |
Santuario di Apollo Licio | Area del Tempio C | Lekythos | 330-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 219, fig. 226b; Doepner 2002, p. 215; fig. 1,3 | Testa femminile |
Cratere | 420-400 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 219, fig. 225a; fig. 1,2 | Figure gradienti | ||
Skyphos A | 400-380 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 219, fig. 225e; Doepner 2002, p. 216; Silvestrelli 2008; fig. 1,1 | Kyma ionico; tralcio d’edera | ||
Area intorno al Sacello H | Lekythos | 330-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 59, fig. 47g; Doepner 2002, p. 215; fig. 1,5 | Testa femminile | |
Non id. | 350-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 62, fig. 50b; Doepner 2002, p. 218 | Panneggio | ||
Non id. | 350-320 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 59, fig. 47e-f; Doepner 2002, p. 218 | Giovane nudo; testa femminile | ||
Sacello H, Lato W | Pinax | Fine V-IV a.C. | Adamesteanu 1975, p. 54, fig. 39; fig. 4 | Ramo di edera; leoni e toro | |
Area tra i templi A e B | Oinochoe | 420-390 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 105, fig. 97c; Doepner 2002, p. 217; fig. 1,6 | Palmetta | |
Forma chiusa | 330-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 105, fig. 98a; Doepner 2002, p. 218; fig. 1,7 | Testa femminile | ||
Non id. | 330-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 105, fig. 97e; Doepner 2002, p. 218; fig. 1,8 | Testa femminile e parte di figura alata | ||
Tempio B, angolo S-E, Trincea A. Strato di riempimento (seconda metà IV a.C.) | Piatto | 350-300 a.C. | De Siena 1980, p. 91, n. 35, tav. VII, 35; Doepner 2002, p. 217 | Testa femminile; ramo di alloro | |
Area del Tempio B | Cratere | 450-400 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 130, fig. 136; Doepner 2002, p. 217; fig. 2 | Tralcio d’edera e capitello ionico; figure femminili | |
Kantharos | 400-380 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 130, fig. 135; Doepner 2002, p. 217; fig. 3 | Dioniso con kantharos/fig. femminile con phiale | ||
Skyphos A | 330-300 a.C. | Adamesteanu 1975, p. 131, fig. 138 | Giovane e donna | ||
Tempio E, deposito | Non id. | Postrioti 1996, D31 fig. 9e | Palmetta | ||
Tempio D, Peristasi N, Strato 7a | Piatto da pesce | 350-300 a.C.? | Adamesteanu, Mertens, De Siena, 1975, p. 40, fig. 52; Doepner 2002, p. 218 | ||
Deposito Favale | Cratere | 400-360 a.C. | Liseno 2004, p. 82, n. 1 tav. XLII, a | Mano e lancia | |
Cratere | Seconda metà V a.C. | Liseno 2004, p. 82, n. 1 tav. XLII, b | Meandro | ||
Cratere | Seconda metà V a.C. | Liseno 2004, p. 82, n. 1 tav. XLII, c | Busto e gambe di figura femminile di profilo | ||
Tavole Palatine | Lekythos | 330-300 a.C. | Galli 1926-1927, p. 76, fig. 18 | Testa femminile | |
Incoronata | Cratere a campana | Fine V-inizio IV a.C. | Scena dionisiaca | ||
San Biagio | Cratere a campana | Fine V-inizio IV a.C. | Manni Piraino 1968 | Giovane; fig. non id. |
7Nel caso del santuario urbano di Apollo Licio13, ad esclusione di una parete di skyphos proveniente dal deposito al di sotto dell’altare del Tempio E14, i pochi esemplari di ceramica figurata editi (probabilmente frutto di una pubblicazione molto selettiva dei reperti rinvenuti) provengono da strati superficiali, da livelli disturbati o da riempimenti della zona occidentale del santuario15, rendendo difficile determinare le funzioni da essi ricoperte (tabella 1). I frammenti (tutti di produzione metapontina) appartengono a vasi potori (skyphoi di tipo A e un kantharos, fig. 1,1 e 3), per attingere o versare (oinochoe di forma III, fig. 1,6) e per mescere (crateri, fig. 1,2 e 2) ed erano probabilmente utilizzati nell’ambito dei rituali di libazione; attestati esclusivamente con esemplari della metà del IV secolo a.C. sono i piatti per il servizio del cibo e i contenitori di oli profumati (lekythoi, fig. 1,5). Un certo interesse riveste, inoltre, un frammento di pinax decorato a figure nere e raffigurante un leone tra due tori al di sotto di un tralcio d’edera con corimbi (fig. 4)16. Si tratta di un oggetto al momento privo di confronti e di difficile datazione, non inseribile all’interno di una serie produttiva consolidata. La decorazione richiama tuttavia quella degli orli dei crateri a colonnette metapontini decorati con tralcio d’edera e fregio animalistico a figure nere17; il collegamento con le officine ceramiche responsabili della produzione di ceramica figurata (e di quella a vernice nera) è reso ancora più esplicito dalla presenza di una catena di palmette e fiori di loto impresse, simili a quelle che ricorrono in kylikes, lebetes gamikoi e lekythoi metapontine della seconda metà del V e dell’inizio del IV a.C.
8Analizzando il complesso della documentazione non sembra possibile identificare, soprattutto per quanto riguarda il periodo compreso tra la seconda metà del V e il primo quarto del IV a.C., materiale di importazione. Le officine riconosciute sono, infatti, quelle attive a Metaponto (pittori di Amykos e di Dolone e Creusa). Le forme in uso nei santuari, pur essendo presenti nel repertorio morfologico degli ateliers metapontini, non sono quelle usuali in altri contesti. Sistematica è la ricorrenza dei crateri, ampiamente esportati nel mondo indigeno ma destinati anche al consumo locale, come dimostrano i rinvenimenti in ambito funerario (dove essi ricorrono soprattutto negli strati esterni alle sepolture) e in contesti domestici della chora18. La predilezione per questa forma nei santuari (rara, invece, in ceramica attica19), si giustifica con la sua funzione di strumento liturgico usato nei rituali di libagione e di possibile dono votivo, come suggerito dal caso di Pantanello. Con gli esemplari dedicati nel Collecting Basin20, possiamo, infatti, apprezzare la scelta di iconografie legate al culto, come nel caso del cratere a calice raffigurante l’incontro tra Eracle e la regina delle Amazzoni Ippolita, che ben si inserisce nelle numerose evidenze relative ai riti legati al matrimonio qui praticati; alla stessa sfera rimanda anche la presenza, sempre nel Collecting Basin, di una nestoris di Tipo 1 databile alla fine del V-inizio del IV secolo a.C.21, possibile dedica da collegare alla frequentazione indigena del santuario. Questo vaso per il vino, infatti, derivato da prototipi indigeni e principalmente usato nell’ambito delle cerimonie nuziali, è prodotto a Metaponto solo per l’esportazione22.
9Vasi rituali sono anche le epichyseis (destinate a versare oli profumati o vino, prodotte a Metaponto a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. ma attestate localmente con esemplari figurati e a vernice nera solo nel santuario di Pantanello23), e i kantharoi, di cui un esemplare figurato con scena dionisiaca attribuibile all’officina dei pittori di Creusa e Dolone è stato rinvenuto in uno strato disturbato dell’area del Tempio B del santuario di Apollo Licio. Questa forma, raramente decorata a figure rosse prima della metà del IV secolo a.C.24, è introdotta nel repertorio morfologico metapontino almeno a partire dall’ultimo quarto del V a.C. sia con esemplari decorati (Gruppo Xenon25 e kantharoi Saint Valentin a figure rosse26, entrambi destinati esclusivamente al mondo indigeno), sia a vernice nera27; questi ultimi compaiono, oltre che in ambito funerario28, nel santuario di Pantanello e, nella fattoria di Ponte Fabrizio, in un deposito legato al culto domestico29. Un certo interesse riveste anche uno skyphos di tipo A di grande modulo attribuibile all’officina dei pittori di Creusa e Dolone che richiama, per forma e decorazione, un esemplare rinvenuto in area picena30; le sue dimensioni potrebbero indicare una defunzionalizzazione attraverso l’adozione di misure superiori allo standard che ne accentua il valore rituale31. Skyphoi simili ricorrono, infatti, in scene di culto in onore di Dioniso, come in crateri a campana del Pittore di Creusa e del Pittore di Brooklyn-Budapest32. In entrambi i casi, si tratta di forme che, sebbene note nel repertorio delle officine, non sembrano essere realizzate in grandi quantità, come accade anche per altri vasi con connotazione rituale (come ad esempio le nestorides), che rispondono a specifici bisogni33.
10Se, come nel caso del pinax, possiamo cogliere l’esistenza di un rapporto tra clientela ed officine che soddisfano richieste specifiche, nulla, nel caso di Metaponto, sembra comunque deporre a favore di una produzione figurata unicamente finalizzata al consumo nell’ambito del sacro34. Lo confermano anche gli scarichi di materiale rinvenuti nel kerameikos, in cui la compresenza di più classi ceramiche e l’estrema varietà delle forme depone a favore di una produzione molto articolata che non sembra, tuttavia, comprendere materiali con vocazione esclusivamente votiva, come i miniaturistici e la coroplastica35. Il modello che sembra emergere è, dunque, quello di officine in stretto contatto con la propria clientela, sia essa greca o indigena, capaci di declinare la produzione in relazione all’ampio spettro delle sue esigenze.
Eraclea
11Il quadro delle presenze di ceramica a figure rosse italiota ad Eraclea risulta, per l’ultimo quarto del V e la prima metà del IV secolo a.C., assai meno coerente di quello riscontrabile a Metaponto sia a causa del grado di pubblicazione della ceramica proveniente dalla città, sia a causa delle trasformazioni urbanistiche che, nel IV e III secolo a.C., hanno in parte compromesso le evidenze relative alle fasi più antiche. Nonostante queste limitazioni, è tuttavia probabile che il dato quantitativo, per quanto suscettibile di correzioni, rispecchi una effettiva, ridotta presenza di ceramica figurata nelle prime fasi di vita della colonia. D’altra parte, le poche tombe riconducibili al periodo anteriore al secondo quarto del IV secolo a.C. (con l’eccezione di quella del Pittore di Policoro), sono tutte costituite da corredi in cui pelikai, anfore di tipo panatenaico o hydriai, usati come cinerari, costituiscono di norma il solo oggetto presente36.
12In questo quadro emerge, sin dall’inizio della vita della colonia, l’importanza dei santuari eracleoti come spazio di consumo della ceramica figurata. La documentazione a disposizione è di valore ineguale: se per i santuari di Masseria Petrulla, del Vallo37 e di Demetra e Kore è possibile avere accesso alla totalità della documentazione, minori sono le informazioni relative all’area sacra dell’“agorà”, mentre incerto è, allo stato attuale delle conoscenze, il riferimento a quella di Atena dei frammenti figurati (skyphoi e crateri) rinvenuti nell’area del fossato che delimitava in epoca arcaica l’acropoli, in parte databili alla prima metà del IV secolo a.C.38; ad un contesto santuariale non identificato con certezza potrebbero essere riferibili i frammenti di skyphoi di tipo A di grande modulo e di un cratere a calice (tutti databili entro la prima metà del IV a.C.) rinvenuti residuali in contesti degli isolati 1, 2 e 7 del Quartiere Occidentale della Collina del Castello39.
13Il santuario tesmoforico di Demetra ha restituito vasi per il servizio da vino (crateri, oinochoai, cui si aggiungono numerosi skyphoi sia di piccolo sia di grande modulo), e, con esemplari databili alla seconda metà del IV a.C., contenitori per profumi (lekythoi), epichyseis probabilmente usate nelle libagioni e vasi per la toletta (lekanai)40. Il rinvenimento, nel Deposito 295, di un orlo di skyphos dimostra il probabile uso nell’ambito dei banchetti sacri che avevano luogo negli oikoi del santuario41. Sebbene larga parte del materiale sia databile alla seconda metà del IV secolo a.C., sono noti anche vasi riferibili al periodo anteriore, come due skyphoi di tipo A, il primo raffigurante con giovane con strigile e rinvenuto nel deposito votivo posto all’interno del cd. Pozzo “Lo Porto”42 e un secondo, di grande modulo, attribuibile al Pittore di Policoro e dedicato nell’oikos B43 cui si aggiungono frammenti avvicinabili ai modi dell’officina dei pittori di Creusa e Dolone.
14Di difficile contestualizzazione risulta l’evidenza relativa all’area della cosiddetta “agorà”, dove sono attestati il culto di Dioniso, Asclepio ed Afrodite44. Il materiale rinvenuto nei depositi dell’edificio interpretato come hestiatorion45 e nelle cosiddette escharai-bothroi della terrazza meridionale è inedito46. Maggiori informazioni sono disponibili per la terrazza settentrionale, che ha restituito 244 frammenti databili tra secondo quarto del IV e la fine dello stesso secolo e riferibili a vasi per il servizio da vino (crateri, oinochoai, e soprattutto skyphoi), per contenere liquidi (pelikai), per il consumo del cibo (piatti), per la toletta (lekanai) e contenitori per oli profumati (lekythoi)47.
15È il santuario rurale situato sulla riva sinistra di un antico letto del fiume Sinni (loc. Masseria Petrulla) a restituire le testimonianze di maggiore interesse. Lo scavo, condotto nel 1976 e 1977, ha portato alla luce un’area sacra probabilmente dedicata alle Ninfe il cui culto comprendeva elementi legati ai riti di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, sia maschili sia femminili48. Parte del materiale figurato49 è stato rinvenuto nel deposito realizzato al momento del definitivo abbandono dell’area sacra e destinato a raccogliere il materiale liturgico e votivo presente nel santuario50. Ad esso si possono con buona probabilità riferire crateri a campana e a calice, skyphoi di tipo A e C di dimensioni normali e di grande modulo, coppette biansate tipo bolsal e skyphoi con decorazione a civetta, hydriai, ed una pelike; per alcuni di questi vasi (cratere a campana, hydriai e skyphoi) è possibile verificare la presenza di un foro in corrispondenza del fondo (fig. 5)51. A queste forme, rappresentate da esemplari ricomponibili, si aggiungono numerosi altri reperti molto frammentari, probabilmente rinvenuti nello stesso deposito o, almeno in parte, recuperati nel corso dello scavo dell’intera area occupata dal recinto sacro, e nelle sue vicinanze52. Essi forniscono ulteriori informazioni sulle forme in uso nel santuario, che comprendono anche oinochoai di forma 3, lekythoi, lekanai e anfore di tipo panatenaico. Sebbene siano presenti frammenti databili alla seconda metà del IV a.C., gli esemplari meglio conservati rinvenuti nel deposito sembrano tutti collocarsi tra la fine del V e la prima metà del IV secolo a.C. I vasi fanno riferimento a diverse tradizioni produttive che guardano da un lato a Metaponto e dall’altro a Taranto. Al metapontino Pittore di Amykos e alla sua officina, la cui presenza ad Eraclea era già nota, può essere riferito un frammento di cratere raffigurante una menade53, di probabile importazione metapontina per argilla e caratteristiche tecniche, come accade anche per altri vasi da necropoli e da abitato riconducibili all’officina dei pittori di Creusa e Dolone54. Un cratere raffigurante un giovane seduto armato di lancia incoronato da una figura femminile alla presenza di un secondo giovane, ugualmente con lancia (fig. 5)55 richiama, per schema iconografico e stile, l’officina del pittore di Amykos, da cui si distacca, tuttavia, sia per la forma, sia per la presenza di uno spesso strato di ingubbiatura al di sotto della vernice nera. Questa tecnica, ignota a Metaponto, è, invece, attestata per la ceramica a figure rosse apula56. In attesa di ricerche più approfondite, si potrebbe pensare, piuttosto che ad una importazione, ad un episodio puntuale di produzione locale. Al Pittore di Policoro può invece essere attribuita una pelike raffigurante il Giudizio di Paride57.
16Il deposito ha restituito anche almeno tre crateri attribuibili al Pittore di Tarporley58. Insieme ad una pelike di Metaponto essi costituiscono i soli vasi di provenienza nota di questo pittore, considerato da Trendall attivo a Taranto59. Uno skyphos di tipo A e un’hydria sono, inoltre, riconducibili al Pittore del Parasole, ben attestato, oltre che nella stessa Eraclea, a Metaponto e nel suo entroterra60.
17Questi vasi, probabilmente usati nelle attività di culto, devono essere stati conservati nel santuario per lungo tempo, se è vero che la chiusura del deposito si data al momento del suo abbandono, avvenuto nei decenni iniziali del III secolo a.C. La loro acquisizione non sembra essere comunque casuale, ed essi devono essere stati selezionati sia per la loro funzione sia per le immagini da cui sono decorati, che, con il costante rimando al mondo dei paides e delle parthenoi, sia generici (come nelle scene in cui sono protagonisti fanciulli e/o fanciulle e nel cratere a campana) sia sul piano del mito (Bellerofonte e giudizio di Paride) ben si inseriscono nell’orizzonte rituale del santuario. Colpisce ugualmente la presenza, nelle hydriai, di scene di offerta alla stele e al naiskos, precoci nella loro formulazione e del tutto originali per la destinazione ad ambito sacro. Tale consapevolezza si coglie non solo a Masseria Petrulla, ma anche in altri contesti, come nel santuario di Demetra, da cui proviene il già citato skyphos raffigurante Persefone con la fiaccola a croce. Allargando la visuale alle altre aree sacre di Eraclea è inoltre possibile verificare alcune ricorrenze nella selezione delle forme; è il caso degli skyphoi, vaso rituale per eccellenza probabilmente utilizzato da donne e da giovani uomini61, attestati con esemplari di modulo normale ma, soprattutto, di grandi dimensioni e utilizzati come doni votivi, come accade non solo con il già citato vaso del santuario di Demetra, ma anche con un esemplare a vernice nera proveniente dall’acropoli dedicato da una Stilpa ad una divinità non specificata62.
18Mancano evidenze che consentano di indicare le modalità e il momento dell’eventuale nascita di una produzione figurata ad Eraclea. Non possiamo tuttavia fare a meno di notare come, nel corso della prima metà del IV secolo a.C., l’uso dei vasi figurati nei santuari prima e nelle tombe poi si vada facendo sempre più articolato, seguendo linee che differiscono sia da Metaponto sia da quanto noto a Taranto, indicando una delle possibili vie per la progressiva formazione di una clientela che potrebbe aver facilitato la nascita di una produzione locale strutturata, magari preceduta da isolati tentativi di produzione. (FS)
Produzione e consumo di ceramica fine in un ambito coloniale
19I dati che emergono dal confronto tra le produzioni e i contesti del Metapontino e della Siritide possono trovare una spiegazione nell’assetto economico e politico che caratterizza la colonia classica di Eraclea63. Le ricerche nel territorio e nel centro abitato di Eraclea fanno intuire sempre di più le peculiarità dell’insediamento classico, che trova confronti significativi sul livello socio-politico anche in altre fondazioni dell’epoca, quali Thurii, Amphipolis, Chersonesos, Issa e Corcira Melaina.
20Eraclea viene fondata nel 433/2 da Taranto sul luogo dell’antica Siris-Polieion, distrutta nel VI sec. a.C. dalle città achee di Metaponto, Sibari e Crotone. Il sito viene frequentato anche dopo la conquista achea, che si data intorno al 560 a.C. Solo i decenni tra il 450 a.C. circa e la fondazione della colonia tarantina nel 433/2 potrebbero rappresentare una fase di abbandono completo del sito64.
21Il fatto che l’artigianato risulti, in base ai dati qui presentati, scarsamente sviluppato durante i primi decenni della colonia, trova paralleli in altre colonie d’età classica, come Thurii, Issa, Pharos e Chersonesus Taurica. Si tratta di un fenomeno che non è, a nostro avviso, casuale, ma che dipende invece dalla specifica struttura politica ed economica di questi insediamenti. I valori principali delle comunità coloniali dell’età classica sono la proprietà terriera e la cittadinanza, quest’ultima intesa non solo come un titolo legale, ma anche come uno stile di vita incentrato sulla urbanità. La struttura insediativa che riscontriamo durante le prime due o tre generazioni di Eraclea rispecchia questo modello politico65.
22L’analisi dei dati precedenti e la ricognizione archeologica eseguita negli anni 2012-2014 dalla Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera in una parte del territorio mostrano come durante le prime fasi di vita della colonia tarantina la chora rimanga sostanzialmente priva di abitazioni stabili, o che almeno queste non raggiungono un grado di visibilità archeologica paragonabile a quello delle fattorie del Metapontino o della stessa Siritide nelle fasi più recenti (fig. 6)66. Al tempo stesso, gli scavi recenti nell’area urbana confermano che in questo periodo, che si estende oltre la metà del IV secolo a.C., la popolazione si concentra maggiormente all’interno delle mura di Eraclea. Tuttavia, il territorio viene sin dall’inizio strutturato attraverso una serie di luoghi sacri, che sono di chiara matrice eracleota-tarantina e che attestano l’espansione della giovane colonia nell’entroterra. Molto significativo risulta il caso dell’area sacra di Piano Sollazzo, ubicata ai margini del territorio eracleota con vista sull’entroterra montagnoso e frequentato sin dall’inizio della colonia. I materiali recuperati sul sito di Piano Sollazzo, innanzitutto una serie di pinakes in terracotta di produzione tarantina, confermano il legame tra questo luogo sacro e la colonia greca di Eraclea67. Anche i santuari di Conca d’Oro e Masseria Petrulla hanno restituito materiali di tardo V e prima metà IV sec. a.C. La strutturazione sacrale del paesaggio lascia intuire che la comunità eracleota era impegnata sin dall’inizio nello sfruttamento agricolo del territorio. I santuari segnano la presenza dei coloni i quali, benché concentrati nel centro urbano, manifestavano così le loro prerogative sulle fertili campagne lungo i fiumi Siris e Akiris. Ciò viene anche suggerito dal fatto che mancano indicatori di altre attività produttive. Sin dall’inizio, la città di Eraclea era proiettata verso le campagne interne, e il motivo non può che essere l’elevata potenzialità agricola della Siritide.
23Il quadro che esce dall’analisi dei dati a nostra disposizione rimanda a un modello di comunità per il quale Max Weber (1909; 1921) ha coniato il termine di Ackerbürger-Polis, la “polis degli agricoltori-cittadini”: esso si distingue dalla concentrazione della popolazione nel centro urbano, da dove coltiva i campi che rappresentano la base di vita dell’intera comunità, e al tempo stesso dallo scarso sviluppo di altri settori quali l’artigianato e il commercio. Tale modello emerge in maniera particolarmente chiara nelle colonie classiche. Oltre a Eraclea, si potrebbero citare Thurii, Pyxous, Amphipolis, Chersonesus Taurica, Issa e Pharos. In nessuna di queste comunità, si assiste all’occupazione delle campagne con fattorie e villaggi durante i primi decenni dopo la fondazione, ma questo non vuol dire che non avevano un carattere prettamente agricolo. Anzi, è assai probabile che la vasta maggioranza dei coloni in età classica si trasferisse in una nuova fondazione per avere accesso alla piccola e media proprietà terriera, in altre parole: a quei lotti di terreno di cui parlano le fonti letterarie e epigrafiche, come per esempio il decreto di Korkyra Nigra68. Come suggerisce il caso dei Teti arruolati nella colonia ateniese di Brea (446 a.C.), il mancato accesso alla proprietà terriera e la speranza di migliorare il proprio status sociale, erano tra i principali motivi per aderire alle spedizioni coloniali, le quali, come occorre ricordare, non erano prive di rischi69. Più di un tentativo di colonizzare o ricolonizzare città e territori fertili in età classica si concludeva con vere e proprie stragi, come per esempio nel caso di Amphipoli (456 a.C.) o Epidamno (435 a.C.).
24A questo quadro va aggiunta una diffusa impostazione ideologica nella Grecia d’età classica che considerava la proprietà terriera l’unica fonte di ricchezza pienamente accettabile sul piano sociale e morale. Il sostentamento attraverso attività artigianali e commerciali era invece visto con sospetto, se non era persino motivo di esclusione dal corpo civico, come nel caso di Sparta. È vero che si tratta di un’ideologia elitaria che non rispecchia necessariamente la realtà quotidiana nelle città greche d’età classica, ma è tuttavia probabile che tale ideologia abbia inciso sulle motivazioni dei coloni. Chi nella madrepatria era costretto a sostenersi come artigiano o bracciante e per tale motivo si sentiva marginalizzato o escluso dai ceti dominanti, arruolandosi in una nuova fondazione poteva sperare di entrare nel gruppo dei proprietari terrieri. Questo spiega in parte la tendenza verso un’economia mono-settoriale nelle colonie, dove quasi tutti i membri della comunità dei coloni aspiravano a un lotto di terra70.
25Intanto, l’ideologia della proprietà terriera non è l’unico aspetto che potrebbe aver sfavorito lo sviluppo delle produzioni artigianali nelle colonie classiche. Va tenuto conto anche di un altro dato, ovvero la precarietà che caratterizza molte di queste comunità nelle loro fasi iniziali. È ormai assodato che le ricostruzioni delle fondazioni classiche proposte da W. Hoepfner e L. Schwandner nel volume Haus und Stadt im Klassischen Griechenland (1994) sono in gran parte fuorvianti. E ciò non solo per un eccesso di estrapolazione, che costruisce su dati parziali interi quartieri e impianti urbani, ma anche per l’assunzione di fondo degli autori secondo i quali la situazione riscontrata in queste città rispecchi la struttura dello spazio urbano nel momento della fondazione. In realtà, si tratta quasi sempre di strutture che si datano alcuni decenni dopo la data di fondazione o sinecismo. Allo stato attuale della ricerca, non conosciamo una sola abitazione che risalga ai primi 50 anni di una colonia classica. Come nel caso dell’insediamento rurale, anche questa “lacuna” non può essere casuale, considerando che la si riscontra con stupefacente regolarità. È probabilmente da spiegare con l’estrema scarsezza e precarietà delle prime abitazioni, che consistevano in tende e capanne di legno e solo dopo qualche decennio assumevano un carattere più solido, con fondamenta in pietra e alzato in mattoni crudi. Le molteplicità difficoltà legate a risk and survival71 nelle colonie classiche, che in casi come quello di Pyxous (fondata nel 471 a.C.) comportò l’abbandono del sito dopo pochi anni a causa di una carestia continua72, impedivano la creazione di una domanda consistente di oggetti di lusso quale la ceramica fine a figure rosse in questi insediamenti. Non esisteva, in altre parole, un mercato atto ad attrarre artigiani da fuori e indurli a insediarsi in una nuova fondazione.
26Sullo sfondo di quanto detto, ora possiamo comprendere meglio il paradosso della prima produzione italiota a figure rosse. A. Furtwängler aveva ipotizzato che questa tecnica fosse arrivata nell’Italia del Sud attraverso le colonie di Thurii ed Eraclea73. In virtù dei legami storici delle due città con Atene (componente ateniese cospicua nella fondazione di Thurii, componente turina nella fondazione di Eraclea), ciò sembrava assolutamente plausibile. Tuttavia, il quadro che esce dalle ricerche degli ultimi decenni non ha confermato tale ipotesi. È sempre più evidente che Metaponto e Taranto erano i primi centri del Lucanian e Apulian Red-Figure. È ora di tirare le somme da questi dati. Attribuire il quadro al caso e sperare su future scoperte che attestino una produzione di seconda metà del V secolo a.C. a Thurii e a Eraclea ci sembra sempre più inverosimile. L’analisi dell’assetto ideologico ed economico delle colonie d’età classica fornisce intanto una possibile spiegazione secondo la quale appunto l’ideologia e l’economia prettamente agricola, insieme a una domanda molto ridotta di oggetti di lusso, fece sì che l’artigianato non trovò un suolo fertile nelle colonie. Condizioni di gran lunga migliori si offrivano a ceramisti e pittori vascolari nelle colonie di antica fondazione, come Metaponto e Taranto. Innanzitutto lì potevano contare su una committenza facoltosa da parte delle élites urbane e degli aristocratici indigeni in contatto con esse (non è un caso che oltre Metaponto, un primo centro per il consumo elevato di ceramiche italiote a figure rosse è da individuare nel centro indigeno di Pisticci, nell’entroterra metapontino)74.
27Ma c’è di più: come le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato, le prime botteghe della ceramica a figure rosse a Metaponto facevano ampia leva su tradizioni artigianali locali, soprattutto riguardo il repertorio delle forme vascolari. Una tale tradizione locale non esisteva invece in città nuove come Thurii ed Eraclea, che dunque anche da questo punto di vista non erano particolarmente attraenti.
28Solo nella seconda metà del IV sec. a.C. la situazione a Eraclea comincia a cambiare in maniera significativa. Da un lato, nel centro abitato si cominciano a vedere botteghe e fornaci nella documentazione archeologica (fig. 7), mentre dall’altro lato la campagna viene popolata da una rete fitta di fattorie e necropoli rurali, che attestano un insediamento stabile nella chora75. Nello stesso periodo o poco prima, le necropoli e le aree sacre restituiscono ceramiche che per ricorrenza del repertorio morfologico e caratteristiche tecniche sono state considerate produzioni locali76. L’analisi delle argille e una migliore conoscenza delle ricche necropoli di questa fase potrebbero aiutarci a ricostruire la trasformazione sociale ed economica della colonia, fornendo così un quadro più ampio all’affermazione di Saint Non, che conosceva le necropoli di Policoro, la “più distrutta tra le colonie greche”, soprattutto per i suoi pregevoli vasi. (GZ)
Bibliographie
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10.1017/9781108292849 :Notes de bas de page
1 Hoffmann 2002, p. 128-129; Fontannaz 2008, p. 41-43, con ampia bibliografia; Gadaleta 2012, p. 83-86. Sul santuario della sorgente di Saturo (Taranto) si veda Lippolis 2012, p. 81-84.
2 Gadaleta 2012, p. 83 dice che solo il 5% dei vasi italioti e sicelioti a figure rosse di cui sia noto il contesto di rinvenimento provengono da aree sacro o da edifici destinati allo svolgimento di rituali.
3 Trendall 1967; sulle officine ceramiche cfr. Silvestrelli 2016, p. 136-141, con bibliografia precedente.
4 Silvestrelli 2008 e Bottini 2015, con bibliografia precedente.
5 Burn 1998; Silvestrelli 2014b; Silvestrelli 2019..
6 Maggiori sono le informazioni relative alle ceramiche attiche. Ad esclusione delle anfore panatenaiche, probabilmente da considerare anathemata, queste ultime, attestate dalla metà del VI secolo a.C. fino alla metà del V, con una sensibile diminuzione registrabile a partire dal secondo quarto dello stesso secolo, sono costituite da vasi di piccole dimensioni e di carattere seriale, usati nell’ambito di cerimonie religiose, soprattutto libagioni, che prevedevano l’uso di sostanze liquide. Sono, infatti, attestati vasi potori mentre più rari sono i vasi usati per attingere o versare (come le oinochoai), per contenere e mescolare (crateri) e per il servizio del cibo (piatti e ciotole), le cui funzioni erano probabilmente supplite da manufatti in altre classi ceramiche, perlopiù di produzione locale e attestate in quantità superiore. Ad essi si aggiungono i contenitori per profumi, presenti soprattutto nel santuario di San Biagio, nella chora metapontina. I soggetti raffigurati sono, con poche eccezioni (oinochoe da San Biagio con Bellerofonte e Pegaso: Osanna, Pilo, Trombetti 2009, p. 459 e 464, fig. 10), generici ed è la funzione del vaso piuttosto che l’immagine a determinare la scelta del manufatto. Sono, infatti, le produzioni locali a fornire materiale le cui raffigurazioni presentano un non casuale legame con il culto, come accade nel caso di un’anfora a figure nere della seconda metà del VI a.C. proveniente dal santuario di San Biagio: Osanna, Pilo, Trombetti 2009, p. 455-465 e fig. 11. Per il santuario di Pantanello: Swift 2018b, PZ BG 21-25 (kylikes tardoarcaiche a vernice nera) e Silvestrelli 2018b, p. 621 e 627-628, nn. PZ fig. 01-05. Sulle importazioni di ceramica attica in area metapontina nella seconda metà del V secolo a.C. cfr. Silvestrelli 2014b, p. 100.
7 Swift 2018a, p. 554-555. Può essere utile ricordare che la percentuale di frammenti figurati di produzione metapontina identificati nel survey condotto tra Bradano e Basento è pari all’1% del totale della ceramica rinvenuta nei siti frequentati tra la seconda metà del V e la fine del IV secolo a.C. (Swift 2018a, p. 554) mentre al 4% si attesta la media della ceramica a figure rosse rinvenuta negli scarichi del kerameikos di Metaponto: Silvestrelli 2005, p. 117.
8 Carter, Swift 2018; per la ceramica figurata, Silvestrelli 2018b, p. 621-651.
9 Swift 2018b, p. 742-746, 748-750, 716-723.
10 Carter 2018, p. 1490-1492.
11 Swift 2018a, p. 554-561; Carter 2018, p. 1510-1511.
12 Swift 2018a, p. 547-549; Lanza Catti 2018, p. 765, PZ Gna 18.
13 Sulla ceramica qui rinvenuta si vedano, in generale, Doepner 2002, p. 64 e 214-220 e, per la ceramica attica, Osanna, Pilo, Trombetti 2009, p. 456-460.
14 Postrioti 1996, D31 fig. 9e. Parisi 2017, p. 401-402.
15 Si veda quanto detto in Adamesteanu 1975, p. 54-55; 81; 130; 208.
16 Adamesteanu 1980, fig. 50b.
17 Si vedano, a titolo di esempio, Trendall 1967, p. 18, n. 23 tav. 4,1 (Pittore di Pisticci) e p. 102, n. 535, tavv. 51,8 e 53,1 (Pittore di Dolone).
18 Silvestrelli 2011, p. 306-307; 2014b, p. 97.
19 Osanna, Pilo, Trombetti 2009, p. 458.
20 Swift 2018b, p. 554-561.
21 Silvestrelli 2018a, p. 636, PZ fig. 46-47.
22 Colivicchi 2014, p. 219-224 e 239-240, n. 98.
23 Lanza Catti 2018, p. 754-755 (Pantanello).
24 Trendall 1967, p. 68, n. 341, tav. 32.6 (Gruppo di Schwerin) e p. 106, n. 556, tav. 54, 5-6 (Pittore delle Coefore).
25 Robinson 1996, p. 447.
26 Robinson 1996, p. 447; D’Andria 1975, p. 406, n. 192-192, fig. 53 (Scarico 1).
27 Swift 2018b, p. 707-709; Lanza Catti 2014, p. 206-208.
28 Pantanello, Tomba 306: Elliot 1998, p. 689 (primo quarto del IV secolo a.C.).
29 Swift 2018, p. 556; Lanza Catti 2014, p. 206-208, n. 49-50.
30 Moretti 1984, p. 28.
31 Parisi 2017, p. 506.
32 Trendall 1967, C36, C51, BB 28.
33 Colivicchi 2014, p. 228.
34 I distanziatori di fornace della fine del IV o all’inizio del III secolo a.C. rinvenuti nel Kiln Deposit di Pantanello, sono, piuttosto che indicazione dell’esistenza di una produzione locale di ceramica a vernice nera legata all’ultima fase di vita del santuario (come ipotizzato in Lanza Catti et al. 2011, p. 144), interpretabili come oggetti riutilizzati nel santuario (comunicazione personale di K. Swift).
35 Silvestrelli 2005; 2008, p. 280-281.
36 Per un primo, parziale quadro delle attestazioni delle officine e dei pittori noti ad Eraclea nel periodo entro la prima metà del IV secolo a.C. cfr. Silvestrelli 2018a.
37 Si tratta di un’area sacra frequentata solo a partire dall’epoca tardo classica; i pochi frammenti rinvenuti sono riferibili a crateri, skyphoi di tipo A e C, ad una coppetta biansata probabilmente decorata da una civetta e ad un bombylios: D’Esposito, Galioto 2012, 147, fig. 5, 5-10.
38 Hänsel 1973, fig. 43; Osanna 2008, p. 35-38; 2015, p. 75.
39 Giardino 2012, fig. 6, 13-16.
40 Il corpus, costituito da circa 160 frammenti è in corso di studio. Ringrazio M. Tschurtschenthaler e V. Gertl per le informazioni.
41 Gertl 2012, p. 125 e fig. 5.
42 Lo Porto 1967, p. 184, tav. 47,3 (che menziona anche un frammento di pelike o oinochoe della fine del V secolo a.C.; dallo stesso contesto proviene un owl-skyphos, da riferire allo stesso orizzonte cronologico: Neutsch 1967, p. 135, tav. 21,1); Gertl 2012, p. 123-124.
43 Neutsch 1968, p. 774-775, fig. 27, a-b; Trendall 1973, p. 157, n. 290a (associato al Pittore di Policoro).
44 Osanna 2015, p. 77; Parisi 2017, p. 365-371.
45 Pianu 2002, p. 18, n. 36. Il contesto, interpretato come il deposito di fondazione dell’edificio, ha restituito circa 70 frammenti figurati, di cui è noto solo un orlo di skyphos con Eros e iscrizione di dedica ad Afrodite: ibid., p. 22, fig. 11b.
46 Ibid., p. 18-19 (dove sono menzionati circa 80 frammenti a figure rosse), 102.
47 Casagrande 2002, p. 119-133; Silvestrelli 2018a.
48 Adamesteanu 1982; Osanna 2008, p. 51-62; Battiloro, Bruscella, Osanna 2010.
49 Si tratta di oltre 600 frammenti, riferibili ad almeno 53 vasi; la ceramica a figure rosse è ancora in corso di studio e i dati presentati vanno considerati come preliminari.
50 Osanna 2008, p. 53. Per una discussione di dettaglio della composizione del deposito, che ha restituito, oltre a ceramica figurata, ceramica a vernice nera, comune e coroplastica, si vedano Osanna 2008, p. 61-62; Battiloro, Bruscella, Osanna 2010; Parisi 2017, p. 502.
51 Cratere a campana inv. 43783; hydriai inv. 43781, 43783 e 200399; skyphos tipo C inv. 200481.
52 Come segnalato dalla stesso Adamesteanu (1982, p. 459) “non pochi frammenti di […] vasi apuli venivano raccolti sul terreno ancor prima dell’inizio dello scavo”.
53 Silvestrelli 2018a, fig. 9.
54 Ibid.
55 Policoro, Museo Nazionale della Siritide, inv. 43783: Adamesteanu 1982, tav. 123,1.
56 Robinson 2014, p. 249-251, fig. 11, 3B.
57 Battiloro, Bruscella, Osanna 2010, fig. 22.
58 Silvestrelli 2018a, fig. 10.
59 Vasi attribuibili ad artigiani della sua cerchia sono presenti in corredi funerari di Eraclea: cfr. Silvestrelli 2018a.
60 Silvestrelli 2018a, fig. 7.
61 Batino 2002.
62 Adamesteanu 1974, p. 99.
63 Un’esposizione più elaborata della tesi qui presentata in Zuchtriegel 2017, in particolare p. 197-215.
64 Sulla storia di Eraclea v. Prandi 2008; Osanna, Zuchtriegel 2012.
65 Zuchtriegel 2015; 2016; 2017, p. 105-140.
66 Su impostazione e metodologia del survey archeologico v. Zuchtriegel 2012. Il progetto è stato eseguito con un finanziamento della fondazione Alexander von Humboldt (Bonn) e della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera, sotto la supervisione dell’allora direttore Massimo Osanna, a cui vanno i nostri sentiti ringraziamenti. Ringraziamo inoltre i colleghi Rossella Pace, Dimitris Roubis, Francesca Sogliani e Stéphane Verger per il loro sostegno nell’ambito dei nuovi scavi e ricerche a Policoro.
67 Crupi, Pasquino 2012.
68 Syll.3 141.
69 IG I3 46.
70 Zuchtriegel 2017, p. 105-140.
71 Gallant 1991.
72 Strabo VI 1,1.
73 Furtwängler 1893, p. 151 sg.
74 Bottini, Lecce 2013.
75 Zuchtriegel 2015.
76 Casagrande 2002.
Auteurs
Università del Salento, Lecce.
Parco Archeologico di Pompei.
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