Mephitis aedes o locus consaeptus
Alcune osservazioni sul santuario della dea Mefite nella Valle d’Ansanto
p. 137-143
Texte intégral
1Il presente contributo è il risultato di una rilettura critica del delicato problema inerente il rapporto fra la descrizione, da parte delle fonti documentarie, dei luoghi sacri del mondo sannitico e la loro fisionomia architettonico-cultuale, scaturita da un confronto con le stimolanti riflessioni che, recentemente, O. de Cazanove ha dedicato, in modo specifico, ad un tema a me particolarmente caro: quello riguardante il santuario di Mefite in Valle d’Ansanto (Avellino). In questa occasione è stato opportunamente sottolineato un aspetto di grande interesse, data la sua apparente contraddittorietà: da un lato la convergenza di un discreto numero fra testi, glossari e scolii latini, sull’esposizione delle caratteristiche geofisiche del sito e, soprattutto, degli effetti pestiferi e mortali delle sue esalazioni, tanto da essere indicato da alcuni scrittori come accesso agli inferi, mentre dall’altro il pressoché assoluto silenzio riguardo alle espressioni di culto che vi si svolgevano, con l’unica eccezione del celebre passo di Servio1 contenente un rapido accenno alla singolarità del rito sacrificale.
2In effetti, esaminando attentamente la documentazione letteraria in nostro possesso, è fuori di dubbio che la Valle d’Ansanto, come altri luoghi legati a culti chtoni dell’area centro-italica (agro falisco, Aquae Cutiliae in territorio sabino, ecc.) e siceliota (culto dei Palikoi presso Leontinoi, santuario di Palma di Montechiaro, località Tumazzo, nella chora agrigentina), viene ricordata per le sue peculiarità naturali e paesaggistiche, connesse ai fenomeni di vulcanesimo secondario (fig. 1-2), piuttosto che per le forme di religiosità in essa praticate e, ancor meno, per gli aspetti monumentali di eventuali edifici sacri esistenti al suo interno. L’aedes pli-niana2 e il fanum di Tiberio Claudio Donato3 sono accenni troppo generici e isolati per poter costituire degli indicatori di una realtà architettonicamente degna di nota, per cui è evidente che è il locus e non il santuario ad essere, nella descrizione virgiliana, nobilis et fama multis memoratus in oris, e ciò è senz’altro dovuto, come si è detto, alla particolare natura paravulcanica della zona, ma, contemporaneamente, anche al carattere catachtonio che essa assume4. Siamo, cioè, in presenza di un’area di culto “naturale” la cui sacralità e notorietà dipendono non tanto da ciò che essa contiene e, quindi, da una dignità monumentale conferita alla divinità dall’intervento umano, quanto, piuttosto, da “l’assoluta immediatezza con la quale si percepisce la presenza divina” (de Cazanove), costantemente avvertita attraverso il continuo ed inspiegabile ribollire delle acque e il letale sprigionarsi di esalazioni dalle viscere della terra.
3È, pertanto, mia convinzione che questa quasi unanime coincidenza di interessi verso i fenomeni geofisici non dipenda da una scarsa attenzione delle fonti verso i culti italici, o, addirittura, dalla loro scomparsa in età romana, come potrebbe risultar legittimo dedurre, anche perché diversi luoghi di culto del mondo sannitico, dopo il tracollo del bel-lum sociale, conoscono non di rado fasi di ripresa e continuità di vita, seppure in forme diverse da quelle originali, e fra questi rientra senza dubbio il santuario d’Ansanto.
4Certamente, appare a prima vista abbastanza sconcertante l’assoluta mancanza di informazioni sui caratteri strutturali di un sito, così unico nel suo genere come quello dedicato a Mephitis, di innegabile rilevanza inter-paganica dal punto di vista religioso, considerando, anche, la specificità di un teonimo che non solo si ricollega, come è noto, alle manifestazioni più esiziali dei fenomeni naturali (vapori, esalazioni, fetore), ma anche ad una funzione di “medietà”5, di “colei che sta in mezzo” rispetto ad un territorio e che, quindi, funge, al suo interno, da polo di convergenza di istanze socio-culturali ed economiche a livello regionale.
5Per ricercare una plausibile spiegazione a tale anomalia riscontrabile nelle fonti scritte, è opportuno considerare quella che doveva essere la tipica fisionomia della maggior parte dei centri religiosi delle popolazioni sannitiche: santuari agresti, caratterizzati da organismi edilizi assai modesti, o addirittura del tutto sprovvisti di assetti architettonici, che a lungo nel tempo hanno mantenuto il carattere di aree di culto all’aperto legate alla presenza di acque e ai valori della sanatio e della fertilità, anche quando, in certi casi particolari, come il nostro, alcune hanno superato una dimensione paganico-vicana divenendo punti di riferimento e di incontro di più comunità o aggregazioni di tipo cantonale.
6L’aspetto che molto probabilmente caratterizzava tali luoghi doveva essere, dunque, quello di spazi recintati contenenti uno o più altari, sovente costruiti con materiali deperibili, corrispondendo a quelle definizioni di loca dis sacrata sine tecto e di locus parvus deo sacratus cum ara fornite da Festo6 e da Aulo Gellio7, e richiamando, in modo particolare, il sito in cui, nel 293 a.C., si svolse nel centro di Aquilonia il reclutamento della legio linteata sanniti-ca, descrittoci dal famoso passo di Livio8 come...locus consaeptus cratibus pluteisque et linteis contectus, patens ducentos maxime pedes in omnes pariter partes” all’interno del quale “erat cum alius appa-ratus sacri qui perfundere religione animum posset, tum in loco circa omni contecto arae in medio9.
7Ed è proprio a questa categoria di complessi privi di monumentalizzazione10 che apparteneva il santuario d’Ansanto e, insieme ad esso, altre sedi di importanti culti italici quali, ad esempio, nel suburbio pompeiano l’area sacra del Fondo Iozzino, forse un Hekateion, e quella dedicata a Giove Meilichio, entrambe di carattere chtonio11, quella di Alfedena (area abitativa del Curino)12, Gildone (località Cupa e Morgia della Chiusa)13, Pietrabbondante (Monte Vernone, località Vigna La Corte)14, Campochiaro (Santuario di Ercole in località Civitella)15, San Giovanni in Galdo (località Colle Rimontato)16 e l’hortus della cosiddetta “tavola di Agnone” (in realtà venuta alla luce nel 1848 nel territorio di Capracotta)17, uno dei più importanti centri religiosi del Sannio Pentro, anche se non ancora individuato.
8Il notissimo testo epigrafico in lingua osca contenuto sulle due facce del bronzo agnonese (fig. 3)18, ascrivibile probabilmente al II sec. a.C., parlando delle cerimonie rituali da celebrarsi in onore di Cerere e di altre diciassette divinità appartenenti ad un pantheon italico di tipo agrario, ci restituisce una delle immagini forse più sorprendenti e precise della classica fisionomia delle aree di culto del mondo sannitico. L’iscrizione menziona, infatti, un hùrz (hortus), cioè un sacro recinto all’interno del quale si distribuiscono gli altari (aasas), dedicati ciascuno ad una divinità, secondo un criterio di sequenza cronologica rispetto al corso dell’anno e non in base ad un principio gerarchico, anche se Cerere rappresenta la dea principale ed eponima dell’intera area a lei consacrata. L’uso insistente di un termine, nelle sue diverse declinazioni (hùrtìn, az hùrtùm, hùrtùì, hurz), che fa esplicito riferimento ad un luogo campestre, all’aperto e delimitato da semplici palizzate, e il carattere stagionale dei rituali previsti, i quali normalmente richiedevano strutture provvisorie e concepite per essere periodicamente rinnovate, consentono di riconoscere una forma di culto ancora di tipo arcaico che, quasi certamente, riflette un’analoga organizzazione del complesso santuariale d’Ansanto.
9Anche qui, dove persino il probabile signum cultuale, forse rappresentativo della religiosità dell’intero nomen tribale, trova espressione in un disadorno xoanon ligneo (fig. 4) la cui estrema stilizzazione fisionomica affidata ad allusive semplificazioni geometriche parla ancora uno schietto linguaggio sabellico, e dove le esplorazioni archeologiche non hanno finora restituito alcuna traccia riconducibile ad una edilizia templare stabile, sembra quasi certa l’originaria esistenza di un semplice spazio aperto, recintato da un saeptum e contenente uno o più altari, presumibilmente costituiti da materiali precari. Non è, inoltre, da escludersi la possibilità che questi ultimi, come nel santuario pentro, fossero dedicati a più divinità, considerando la ricchezza e la varietà del pantheon suggerito dagli ex-voto raffiguranti Hera, Afrodite, Atena, Ares, Artemide, Eracle, Eros, Acheloo che, a partire dal III sec. a.C., diventano i soggetti principali della devozione collettiva modificando l’originaria matrice anellenica del culto.
10Mi sembra, quindi, legittimo avanzare l’ipotesi che la mancanza, nelle fonti letterarie, di descrizioni degli apparati architettonici dei luoghi di culto italici sia dovuta al fatto che non c’era nulla, o quasi, da descrivere o che, comunque, le scarse emergenze edilizie esistenti fossero talmente modeste da non meritare particolare attenzione.
11D’altra parte, però, è necessario considerare anche un altro aspetto di questo problema. Sappiamo che a partire dall’età post-annibalica, nel corso di un periodo compreso fra la fine del III e gli inizi del I sec. a.C., si assiste nel mondo sannitico-campano, anche se non ovunque, ad uno sviluppo dell’edilizia santuariale rivolta alla monumentaliz-zazione di luoghi di culto preesistenti o alla costruzione di nuovi edifici e strutture accessorie (grandi altari, sacelli, portici, thesauroi) come riflesso dell’adozione, in ambiente italico, di forme e modelli ellenistici: ne sono testimoni, a titolo esemplificativo, sempre in Irpinia il caso del santuario di Casalbore (località Macchia Porcara)19, e in territorio pentro-carricino le aree sacre di Campochiaro, Vastogirardi20, Iuvanum21, Schiavi d’Abruzzo22 e, soprattutto, il grandioso complesso del tempio B e del teatro di Pietrabbondante (località Calcatello).
12Ma il fenomeno della diffusione dell’ellenismo italico non costituisce l’unica motivazione che è all’origine di tale processo evolutivo in campo architettonico. Ancor più determinanti sono, infatti, alcuni fattori di natura sociale e precisi orientamenti ideologici e culturali dei ceti dominanti: sono i membri delle élites indigene che, avviando una politica di evergetismo e di munificenza dai caratteri fortemente autocelebrativi e propagandistici, tendono a convogliare le proprie risorse economiche nella edificazione e nella ristrutturazione delle aree di culto, allo scopo di conquistare ed allargare il consenso locale e di dare vigore ai sentimenti di identità nazionale ed etnica in funzione antiromana. Si tratta di un vero e proprio programma di monumentalizzazione dei luoghi sacri, messo in atto dalle aristocrazie sannitiche, contraddistinto da forti connotati nazionalistici e di resistenza al processo di romanizzazione dei territori e delle etnie indigene il quale riflette, come ha opportunamente osservato M. Torelli, “una precisa volontà delle classi dirigenti italiche di stringersi attorno alle memorie patrie proprio nel momento in cui si avvertiva pressante il dissolversi dei presupposti socio-econo mici di quelle memorie”23. Quindi potrebbe risultare comprensibile il fatto che una certa storiografia e talune fonti letterarie romane, quando nominano questi luoghi, tendano a passare sotto silenzio un fenomeno dai chiari risvolti politici e ideologici, evitando di dedicare spazio e peso ad una tangibile manifestazione di orgogliosa rivalutazione delle memorie patrie viste come elemento di identità etnica e di unione in opposizione al potere romano.
13All’interno di questa realtà, la Mefite d’Ansanto sembra costituire una eccezione, nel senso che, stando all’excursus cronologico fornito dai materiali votivi, è proprio questo il periodo del suo massimo declino, mentre il risveglio edilizio si colloca più tardi, dopo il bellum sociale. Un risveglio, però, che, secondo il mio parere, non ha intaccato quello che doveva essere il nucleo antico e originario del santuario il quale, penso, abbia continuato, anche nelle fasi più tarde di totale romanizzazione del territorio irpino, a conservare il suo aspetto tipicamente italico di recinto sacro con poche strutture precarie al suo interno.
14È vero che gli scavi archeologici condotti negli anni ‘70 sono parziali e si sono limitati alla esplorazione di un solo settore dell’area che ospitava il culto di Mephitis; tuttavia, come ho già avuto modo di affermare in altra sede24, le strutture portate alla luce sono quasi certamente periferiche rispetto alla sistemazione complessiva del luogo sacro: il camminamento pavimentato (fig. 5) si esaurisce in corrispondenza di una torre circolare tardo-antica, risalente al IV sec. d.C., e non risulta alcuna traccia di edifici adiacenti che proseguano in direzione della zona centrale della collina di Santa Felicita posta esattamente di fronte al lago d’Ansanto. Quest’ultima, il “famoso” pianoro da me indicato come possibile cuore del santuario25 (fig. 7), non sembra rivelare presenze edilizie, stando sia alle attente e ripetute ricognizioni svolte, sia a quanto hanno sempre riferito i proprietari del terreno i quali, durante i periodici lavori agricoli e la costruzione di un pozzo al centro della spianata, hanno recuperato “materiali diversi” (sic !) ma mai strutture edilizie.
15Credo, quindi, che siamo ancora una volta di fronte ad un silenzio delle fonti letterarie dovuto all’assenza di emergenze monumentali all’interno dell’area, mentre una forma di dignità architettonica viene riservata al percorso di accesso verso il santuario proveniente dal “Bosco di Diana” (località Macchia di Mefite), lungo il quale un portico (fig. 6), per il ricovero dei devoti, ed una sorta di piccola ierà odòs (il camminamento contenuto dai muri di terrazzamento) costituivano elementi accessori, con una destinazione prevalentemente funzionale che non interferiva con la organizzazione strutturale, planimetrica e cultuale del complesso sacro.
Notes de bas de page
1 Ser. A., 7, 563.
2 Plin. Nat, 2, 208.
3 Verg. A., 7, 565.
4 O. de Cazanove, “Les lieux de culte italiques. Approches romaines, désignations indigènes”, in A. Vauchez éd., Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches terminologiques, méthodologiques, historiques et monographiques (Coll. EFR, 273), Roma, 2000, p. 31-41.
5 I. Ramini, “Il santuario di Mefite nella valle d’Ansanto”, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, Avellino, 1996, p. 82.
6 Fest. p. 422 L.
7 Gel. 7.12.5.
8 Liv. 10, 38. 5-12.
9 F. Coarelli, “Legio Linteata. L’iniziazione militare nel Sannio”, in L. Del Tutto Palma ed., La Tavola di Agnone nel contesto italico, Atti del convegno, Agnone 13-15 Aprile 1994, Firenze, 1996, p. 3-16.
10 S. Capini, “Su alcuni luoghi di culto nel Sannio Pentro”, in L. Del Tutto Palma ed., La Tavola di Agnone, cit. nt. 9, p. 63-68.
11 P. G. Guzzo, “Alla ricerca della Pompei sannitica”, in Studi sull’Italia dei Sanniti, Roma, 2000, p. 108.
12 A. La Regina, “Il Sannio”, in Hellenismus in Mittelitalien, Kolloquium, Göttingen 5-9 Juni 1974, Göttingen, 1976, p. 223; F. Parise Badoni, “Alfedena”, in Kωμηδóν ζωντες, Strutture di villaggio nell’Italia e nella Spagna preromana, Atti del II convegno italo-spagnolo, San Giustino Umbro 30 settembre-4 ottobre 1991.
13 A. Di Niro, “Gildone”, in Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Roma, 1980, p. 262-264; eadem, “Gildone (Campobasso). Località Morgia della Chiusa”, BdArch, 3, 1990, p. 117-119; eadem, “Insediamenti di epoca sannitica nel territorio circostante la valle del torrente Tappino (Campobasso, Molise). I. L’esempio di Cercemaggiore-Gildone”, BSR, 61, 1993, p. 12 sg.
14 L. Franchi Dell’Orto, A. La Regina, Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise, Roma, 1978, p. 49 sg.; R Poccetti, Nuovi documenti italici a complemento del Manuale di E. Vetter, Pisa, 1979, nr. 20; S. Capini, “Il Santuario di Pietrabbondante”, in eadem ed., Samnium. Archeologia del Molise, Roma, 1991, p. 113-114.
15 S. Capini, “Il Santuario di Ercole a Campochiaro”, in Sannio, cit. nt. 13, p. 197 sg.; eadem, in Samnium, cit. nt. 8, p. 115-119.
16 A. Di Niro, “Il Santuario di S.Giovanni in Galdo”, in Sannio, cit. nt. 13, p. 269-281.
17 I. Rainini, Capracotta. L’abitato sannitico di Fonte del Romito, Roma, 1996, p. 26-32, 295-302; idem, “Capracotta. Campagne di scavo alla Fonte del Romito”, in L. Del Tutto Palma ed., La Tavola di Agnone, cit. nt. 9, p. 99 sg., 381-385.
18 A questo proposito si vedano gli studi più aggiornati di L. Del Tutto Palma, P. Poccetti, A.L. Prosdocimi, H. Rix, in L. Del Tutto Palma ed., La Tavola di Agnone, cit. nt. 9, parte III, p. 219 sg.
19 R. Bonifacio, “Il santuario sannitico di Casalbore e il suo materiale votivo”, in Italia dei Sanniti, cit. nt. 11, p. 33-35.
20 J.-P. Morel, “Le Sanctuaire de Vastogirardi (Molise) et les influences hellénistiques en Italie centrale”, in Hellenismus in Mittelitalien, cit. nt. 12, p. 255-266; idem, “Gli scavi del santuario di Vastogirardi”, in Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C, Atti del convegno, Isernia 10-11 novembre 1980, Campobasso, 1984, p. 35-41.
21 AA.W, “Iuvanum: scavi e ricerche 1980-83”, in Papers in Italian Archaeology, 4. The Cambridge Conference, 4. Classical and Medieval Archaeology, Oxford, 1985, p. 119-263; G. Firpo, “Linee di storia iuvanense tra IV e I secolo a.C”, in Iuvanum, Atti del convegno di studi, Chieti maggio 1983, Chieti, 1990, p. 35-49.
22 L. Franchi Dell’Orto, A. La Regina, Culture adriatiche antiche, cit. nt. 14, p. 490-496; A. Carpineto, I templi italici di Schiavi d’Abruzzo, Chieti, 1980; S. Lapenna, Schiavi d’Abruzzo, S. Giovanni Teatino (Chieti), 2001.
23 Cfr. G. Tagliamonte, I Sanniti, Milano, 1996, p. 188.
24 I. Rainini, “Il santuario di Mefite”, cit. nt. 5, p. 91.
25 I. Rainini, Il Santuario di Mefite in Valle d’Ansanto, Roma, 1985, p. 117.
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Les bois sacrés
Actes du Colloque International (Naples 1989)
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
1993
Énergie hydraulique et machines élévatrices d'eau dans l'Antiquité
Jean-Pierre Brun et Jean-Luc Fiches (dir.)
2007
Euboica
L'Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente
Bruno D'Agostino et Michel Bats (dir.)
1998
La vannerie dans l'Antiquité romaine
Les ateliers de vanniers et les vanneries de Pompéi, Herculanum et Oplontis
Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971