Heraion alla foce del Sele: nuove letture
p. 103-135
Texte intégral
con un appendice di Bianca Ferrara
La lettura stratigrafica dei saggi intorno al c.d. thesauros
1Il santuario di Hera alla foce del Sele si trova oggi a circa 1500 m dalla foce del fiume a causa di quei fenomeni di bradisismo che, nella piana pestana, hanno fatto avanzare la linea di costa di quasi 2 km (fig. 1).
2Il fiume gioca un ruolo determinante sia nella configurazione naturale del sito che nella determinazione della scelta per l’impianto di un luogo di culto da dedicare ad Hera.
3Le recenti indagini geognostiche realizzate dall’équipe di ricerca organizzata da Tullio Pescatore e Maria Rosaria Senatore, hanno disegnato un ambiente lussureggiante a carattere lagunare dove corsi d’acqua, determinati dalle ramificazioni del fiume, si alternavano a zone asciutte con ricca vegetazione e piante lacustri1.
4Le indagini sui pollini realizzate da Marta Mariotti Lippi hanno documentato con chiarezza la diversità tra un’area coltivata dall’uomo, dove è attestata la presenza del mirto e di piante a bulbo quali il croto ed il narciso, ben distinta da un’area circostante naturale, lussureggiante ed incolta2.
5È suggestivo pensare ai ben noti giardini di Hera di cui tanto parlano le fonti antiche, dove è sempre ricorrente l’alternanza tra il coltivato e l’incolto: il kepos, il giardino ombroso, ricco di piante, di fiori e di erbe sacre alla Dea e l’alsos, l’area lasciata incolta, naturale, ancora vicina alla città e comunque ben distinta, anch’essa, dalla foresta inospitale nel territorio più lontano ed inesplorato3.
6Ma la scelta del sito fu dettata da motivi contingenti quali la possibilità di un buon approdo fluviale posto dietro i cordoni dunari di S. Cecilia e di Gramola e dunque ben protetto dalle correnti; l’approdo era sistemato, con ogni probabilità, all’ansa del fiume, alla c.d. Volta del Fumo e le indagini recenti lo collocano più puntualmente dietro la protezione della collinetta di S. Cecilia e dunque piuttosto sulla riva destra del Sele che non sulla sinistra4.
7Il fiume segna un confine naturale, ben adombrato dalle fonti, e delimita, verso nord, il territorio di Poseidonia5, ed il fiume e l’ambiente lacustre che esso determina, ricco di acque e di vegetazione spontanea, racchiudono tutti i caratteri peculiari di un locus sacer proprio di Hera, divinità del territorio ricco e fiorente, protettrice della navigazione e dei buoni approdi6.
Il thesauros
8La ricerca condotta da Paola Zancani e Umberto Zanotti Bianco tra il 1934 e gli anni ’50, con la sola interruzione degli anni della guerra ha definito le forme dell’organizzazione dell’area sacra con gli edifici disposti intorno agli altari ed ha consentito di avanzare ipotesi e congetture circa il ruolo e le funzioni del santuario stesso.
9L’esemplare edizione del 1951-54 ha offerto alla comunità scientifica un patrimonio documentario di eccezionale rilevanza, se si considera l’entità numerica delle lastre scolpite rinvenute al Sele (70 elementi circa tra lastre arcaiche, classiche e tardo classiche)7 ed ancora oggi è considerato uno dei più grandi e complessi cicli lapidei dell’Occidente, pari soltanto a quello, altrettanto articolato, di Selinunte8.
10Se poi si riflette sul fatto che, dalla stessa Grecia, la conoscenza di una scultura architettonica in pietra, per la prima metà del VI sec. a.C. è limitata a poche e rare evidenze monumentali e che il numero di metope scolpite note, di età arcaica, si limita alle poche lastre rinvenute a Delfi, in calcare, che decoravano il c.d. monopteros di Sicione9 ancor meglio risalta l’importanza ed il valore della documentazione restituita dal santuario al Sele.
11Ma è proprio il complesso architettonico e figurativo restituito come appartenente ad un thesauros a porre i maggiori problemi e ad accendere la discussione.
12La restituzione proposta dal Krauss (edificio prostilo, tetrastilo)10 venne accolta quasi senza riserve dalla comunità scientifica che focalizzò piuttosto la sua attenzione sulla esegesi dei rilievi, non sollevando dubbi sostanziali sull’impianto architettonico riproposto11.
13La ricostruzione si basava su alcune osservazioni circa la natura e la funzione del piccolo edificio rinvenuto ad est del tempio, e sostanzialmente sulla lettura e l’analisi dei numerosissimi frammenti architettonici di età arcaica, rinvenuti, nella grande maggioranza, sparsi in tutta l’area del santuario o in una situazione di riutilizzo in edifici più tardi. Fondamentale per la ricostruzione planimetrica della struttura divenne un rocchio di colonna in arenaria, non scanalato, rinvenuto a breve distanza ed in asse con il muro settentrionale della struttura.
14Quest’elemento, pur se con qualche lieve perplessità avanzata nel corso del lavoro dalla Zancani che ne sottolinea alcune anomalie, quale l’assenza di tracce di fondazione, viene tuttavia ritenuto «l’unico elemento superstite del colonnato sulla facciata del tempietto, sufficiente a restituire la planimetria dell’edificio».
15È interessante rileggere alcune prudenti osservazioni della Zancani che, più di una volta, sia nella Relazione preliminare del 193712, sia nella edizione degli anni ’50, sottolinea come la quantità e la diversità degli elementi architettonici recuperati evidenziano l’esistenza nel santuario di un numero consistente di edifici (almeno 5), non molti distanti per età e stile13. Ma è soprattutto intorno alla realtà strutturale dell’edificio che la Zancani solleva, ripetutamente, perplessità e dubbi sottolineando sempre la precarietà dei muri, la scadente e precaria sostruzione, le difformità dei materiali (calcare ed arenaria); ed intorno al rocchio di colonna ritorna spesso e, sulla base della osservazione che questa colonna sia così «mal fondata da sostenere il minor peso possibile»14, non accetta la ricostruzione dell’altezza dell’edificio suggerita dal Krauss e propone un’alternativa che sia «la minima altezza presumibile per non accrescere il peso di tutti i già gravi problemi della instabilità della costruzione»15.
16Malgrado le tante difformità e le incongruenze sempre lucidamente ed onestamente sottolineate, tuttavia non viene messa in dubbio l’unitarietà del complesso e dell’ipotesi ricostruttiva, che viene ripro posta nell’allestimento nel nuovo Museo Nazionale di Paestum, fortemente voluto dai due studiosi per dare un «degno ricovero alle danzatrici del Sele».
17Un lavoro degli anni ’50 di Sandro Stucchi incentrato sul problema delle correzioni ottiche nelle sculture destinate a funzioni architettoniche, rilevando alcune difformità strutturali nel complesso delle metope arcaiche, prospetta l’ipotesi che il complesso figurativo fosse stato inizialmente lavorato per essere messo in posa per un tempio più antico, forse mai terminato, precedente il tempio della fine del VI sec. a.C. e riutilizzato nel thesauros; i numerosi segni di rilavorazione delle lastre che la Zancani attribuiva al riuso nella stoa del IV sec. a.C., per lo Stucchi sono, piuttosto, la prova di una loro ricollocazione nel thesauros la cui ricostruzione planimetrica, tuttavia, non è messa in discussione16.
18La prima voce discordante è del 1963, ad opera di Mario Napoli che, mettendo fortemente in dubbio la giacitura primaria del rocchio di colonna, evidenzia la difformità strutturale delle lastre tale da far escludere la loro appartenenza ad un unico edificio e, sulla base di una fine lettura stilistica dei rilievi, individua due diverse personalità di scultori attivi a circa 20 anni di distanza fra loro e dunque scardina l’ipotesi della unitarietà del complesso17.
19D’altra parte, è la stessa Zancani a ritornare sull’argomento quando, dopo gli scavi alla fine degli anni ’50, nelle sostruzioni di un nuovo edificio rinvenuto alle spalle degli altari, il c.d. edificio quadrato, vengono recuperate altre tre nuove metope del tutto simili per tecnica, lavorazione e forma alle 36 ricomposte nel fregio del c.d. thesauros18.
20La studiosa rimette in discussione la ricostruzione rendendosi perfettamente conto delle difficoltà ma, d’altro canto, rileggendo l’edizione degli anni ’50 in questa nuova prospettiva, è significativo notare come perplessità, dubbi, incertezze sono avanzate dagli stessi studiosi che scorgono la possibilità di innumerevoli altre varianti e considerano il loro lavoro solo una base di partenza per ulteriori studi.
21Dagli anni ’60 in poi il dibattito si cristallizza da un lato, sulla definizione planimetrica dell’edificio e dall’altro, sul complesso figurato e sulla sua appartenenza ad uno o più edifici del santuario19.
22Di recente alcuni studi monografici hanno riproposto il problema planimetrico e strutturale ed avanzato letture secondo ottiche e metodologie differenti.
23Certamente il lavoro più significativo è quello della Van Keuren20, che propone una lettura delle lastre per cicli iconografici razionalmente organizzati dal progettista del complesso; nel tentativo poi di collocare tutte le metope esistenti (le 36 sistemate dal Krauss e le tre rinvenute successivamente) nella trabeazione dello stesso edificio sostiene, su base puramente teorica, un allungamento della pianta lungo il lato breve est e restituisce una planimetria di un distilo in antis a pianta molto allungata (fig. 9); per altro, per la lunghezza ipotizzata, il fregio doveva avere almeno 42 lastre scolpite (6 sui lati brevi e 15 sui lati lunghi), e la studiosa immagina l’esistenza di altre lastre, andate irrimediabilmente perdute, con immagini perfettamente inserite nel programma figurativo unitario; disegna così, in una pura esercitazione grafica, una figura di Hera in trono su una lastra da collocare accanto a quella con la raffigurazione della divinità in trono che interpreta come Zeus.
24È del 1993 un lavoro dell’architetto Junker che, riesaminando gli elementi architettonici del complesso, propone un’ulteriore ipotesi ricostruttiva con sempre 6 metope sui lati brevi e 14 sui lati lunghi, prospettando di nuovo la possibilità di un allungamento della pianta dell’edificio sul lato orientale; cronologicamente propone una datazione piuttosto verso la seconda metà del VI sec. a.C.; ma sono soprattutto le sue conclusioni ad essere interessanti per noi, dal momento che sottolinea, a più riprese, come il complesso del Sele sia, dal punto di vista architettonico come da quello figurativo, una testimonianza del tutto eccezionale nel panorama dell’architettura antica dell’Italia Meridionale costituendone certamente uno degli esempi più anomali e problematici21.
25Queste anomalie e difformità stilistiche degli elementi architettonici del ricostruito thesauros al Sele vengono accentuate e sottolineate nella splendida edizione che D. Mertens dedica al Tempio I di Hera a Poseidonia22; lo studioso sottolinea caratteristiche stilistiche e formali degli elementi architettonici che porterebbero a collocare gli elementi in questione (quali i capitelli d’anta rispetto ai capitelli delle colonne) in momenti ed epoche differenti e che comunque pongono non poche difficoltà a considerarli come appartenenti alla decorazione di uno stesso edificio.
26Nel complesso, tutto l’impianto del thesauros, pur se cominciano ad affiorare delle difformità e si comincia a sottolinearne le aporie, viene tuttavia sempre letto come una struttura unitaria pur se singolare, eccezionale, unica, priva praticamente di qualunque valido raffronto nell’ambito dell’architettura greca, greco occidentale o greco orientale, di età arcaica.
27Questa vasta ed articolata problematica di base ha portato il gruppo di lavoro al santuario del Sele a programmare una campagna di indagine stratigrafica al thesauros per tentare di rispondere ai tanti dubbi scaturiti dalla ricostruzione del Krauss:
28la reale lunghezza dell’edificio, la posizione originaria del rocchio di colonna, l’esistenza del muro trasversale di chiusura tra cella e pronao, il controllo delle fondazioni che già i primi editori avevano definito di modeste proporzioni.
29I sondaggi, realizzati in tre successive campagne di scavo, ed i cui risultati sono stati già editi in notizie preliminari, hanno fornito risposte piuttosto chiare ed hanno del tutto stravolto i termini del problema23.
30I dati più significativi sono venuti dai controlli effettuati sulla fronte orientale dell’edificio documentando in maniera inequivocabile come il famoso rocchio di colonna sia in posizione secondaria, senza alcuna fondazione e dunque non svolgeva alcuna funzione strutturale; per altro accanto ad esso si trova un capitello capovolto ed un altro frammento architettonico di gronda, non pertinente alla copertura del thesauros (fig. 7); tutti e tre questi elementi poggiano su un livello rimaneggiato, rimosso, privo di qualsiasi sicurezza stratigrafica; per altro da un controllo di quote si è rilevato come questi frammenti poggiano tutti a circa 11 cm più in basso della quota del filare dell’euthynteria: quota non giustificabile né per il capitello né tanto meno per il rocchio di colonna; infatti se il capitello fosse realmente in posizione di crollo dovrebbe trovarsi ad una quota ben più alta del filare di fondazione e dovrebbe poggiare su un livello di calpestio dell’edificio che in realtà si trova ad una quota ben più alta, due filari al di sopra del filare della euthynteria e comunque certamente non può stare alla stessa quota del rocchio di colonna che Krauss considera fondazione della prima colonna del pronao.
31Ma il dato più rilevante è scaturito dalla individuazione dei livelli stratigrafici non intaccati dai diversi interventi di scavo che hanno restituito, tra l’altro, un livello di terreno giallognolo con moltissime scaglie di calcare che insiste al di sotto del piano dove poggiano i tre frammenti architettonici.
32Questi livelli di terreno costipati con scaglie di calcare o di arenaria sono un po’ una caratteristica dell’impianto del santuario al Sele: li abbiamo chiamati ”piani induriti” perché si presentano proprio come dei veri e propri piani di camminamento che rendono praticabile un terreno molle, reso umido dalle continue inondazioni del fiume; e la peculiarità che ha consentito di chiarirne le funzioni e la cronologia è data proprio dalla composizione del terreno lì dove, per l’età arcaica, i “piani induriti” sono formati essenzialmente da grosse scaglie di arenaria giallastra (la stessa che è stata utilizzata per le lastre) miste a calcare, mentre nei “piani induriti” successivi pertinenti piuttosto alla fase ellenistica del santuario, le scaglie sono molto più piccole e costipate e sono esclusivamente di calcare miste a qualche elemento di laterizio. Questa differenziazione dei piani di camminamento è stata controllata e rilevata costantemente nei numerosi sondaggi realizzati in questi anni recenti nel santuario ed ha trovato conferma in un sondaggio realizzato nel 1995. nella zona del I Bothros dove è stata individuata una splendida successione stratigrafica non intaccata e ben sigillata, che ha dimostrato la sovrapposizione stratigrafica dei due piani di calpestio e la loro differente composizione24.
33Dunque il rocchio di colonna poggia, in realtà, su un livello che oblitera e copre un piano indurito, di calpestio, pertinente alla fase ellenistica del santua rio e non ha alcun rapporto né stratigrafico né planimetrico con la struttura rettangolare ricostruita come un thesauros.
34Un controllo indispensabile andava fatto lungo il lato est dell’edifìcio dove avremmo dovuto ritrovare le tracce, se non altro in fondazione o in negativo, del muro est e delle ante che il Krauss considerava interamente scomparse ed infine andava controllata la reale lunghezza dell’edifìcio per verificare se vi fossero tracce, nel terreno, almeno dei cavi di fondazione del muro sud, nella prospettiva di un prosieguo su questo lato.
35I saggi, tagliati sia perpendicolarmente al muro sud, sia di fronte ad esso, hanno portato alla conferma della stratigrafia individuata precedentemente sul lato nord della struttura e ne hanno confermato composizione, livelli, rapporti e cronologie (fig. 10).
36Il sondaggio (2800) è stato aperto alla fine del muro sud e prolungato per 6 metri, con lo scopo di riconoscere le tracce delle fondazioni dei muri e delle eventuali spoliazioni avvenute e, soprattutto, ritrovare lo spesso livello di sabbia che insiste al di sotto dei blocchi di fondazione; il riconoscere questo livello sarebbe stata una verifica, seppure solo al negativo, della presenza di blocchi di fondazione.
37Il piano di calpestio attuale si trova a circa -0,65 che corrisponde, grosso modo, al livello del filare della euthynteria; questo livello rappresenta in realtà il piano a cui si sono fermati gli scavi precedenti. Il terreno si presenta immediatamente molto disturbato e frammisto mentre, al di sotto, appare una prima massicciata realizzata con pietre piccole, piuttosto costipate con un orientamento opposto a quello del c.d. thesauros. La quota di imposta corrisponde perfettamente a quella della euthynteria del muro sud e dunque, ad una distanza di circa m 1.50 dal muro, non si registrano né tracce di fondazione di un muro trasversale con funzione di anta, né alcun livello di sabbia che funga da riempimento per una eventuale fossa di fondazione; viene meno uno degli elementi fondamentali della ricostruzione Krauss che, in questo punto, collocava l’imposta del muro trasversale della cella.
38È sempre nel saggio 2800 che, all’estremità attuale del muro sud, è stata riconosciuta una piccola fossa dall’andamento semicircolare corrispondente ad un controllo stratigrafico operato dagli scavatori; è un metodo che abbiamo avuto modo di riscontrare anche in altre situazioni stratigrafiche (saggio 2700), che consisteva nell’operare dei tagli di approfondimento all’incirca di 50-60 cm agli angoli dei muri, per controllarne l’imposta e ricavarne ulteriori dati cronologici. Delimitata la “fossetta Zancani”, il terreno è risultato intatto, sigillato ed omogeneo, senza alcuna traccia di asportazione blocchi o tagli di trincee di fondazione. Ad una quota di –1,10, corrispondente al piano di posa dell’ultimo filare di fondazione dell’edificio, appare un taglio nel terreno grigio, scuro, compatto, umido; il taglio, con orientamento sud-sud ovest delimita chiaramente un canale di drenaggio il cui fondo, incurvato e leggermente approfondito, si trova ad una quota di -1,45 e delimita il muro sud completamente disegnando sul terreno una forma a ferro di cavallo. Il canale, con le spallette ben evidenti, è coperto dal terreno marrone, frammisto a pietrame e materiali rimescolati che costituisce il piano di lavorazione dell’edificio e sul quale si imposta il primo filare della euthynteria.
39Dunque un canale di drenaggio funzionale a prosciugare il terreno prima di impiantare la struttura secondo una tecnica ed un modo di lavorare al Sele costantemente verificato in tutti gli edifici del santuario, dove il problema fondamentale era costituito dagli acquitrini del Sele; i costruttori avevano quindi sviluppato tecniche di prosciugamento con grandi fosse o canali di drenaggio che tagliavano prima della costruzione di una struttura ed avanzavano nella costruzione creando continuamente dei piani e dei livelli che indurivano e consolidavano con gli scarti ed i residui della costruzione.
40Il canale delimita la struttura dall’interno e dall’esterno, definendone chiaramente il termine della lunghezza, ed è tagliato nello stesso livello stratigrafico delle trincee di fondazione costituito da un piano alluvionale sterile; segue un andamento a ferro di cavallo segnando con molta chiarezza, sulla fronte est, il termine strutturale di tutta la costruzione. Il canale, largo all’incirca 50 cm con spallette laterali e, sul piano, uno strato di brecciolino e sabbia, è riempito con terreno di riporto, molto frammisto, contenente materiale eterogeneo; si raccolgono frammenti di impasto nero-grigiastro pertinenti alla frequentazione dell’area nell’età del ferro, frammenti di ceramica corinzia e frammenti di coroplastica e vasellame di età ellenistica. Dunque il terminus post quem fissato dal materiale rinvenuto nel riempimento del canale porta a datare la costruzione del canale a dopo la seconda metà del IV sec. a.C. ed, essendo il canale stratigraficamente contemporaneo e funzionale alla costruzione dell’edificio soprastante, quest’ultimo va collocato negli anni successivi la fine del IV sec. a.C.
41Un’ulteriore conferma si è avuta all’esterno dell’edificio dove è stato possibile controllare come il canale abbia tagliato un livello di frequentazione arcaico che si trova alla stessa quota del primo filare di fondazione dell’edificio; se l’edificio fosse stato arcaico avremmo, per assurdo, fondazioni in vista; per altro il livello arcaico individuato è caratterizzato da un piano indurito con grosse scaglie di arenaria e si trova ad una quota inferiore rispetto al piano di calpestio dell’edificio stesso.
42Il rilievo di dettaglio realizzato poi sulla scorta di questi risultati ha evidenziato come tutta la struttura sia stata fatta con blocchi di riutilizzo provenienti da edifici di diverse epoche e come tutto si fonda, in maniera molto sommaria e senza una consistente funzione portante (se si pensa al peso che queste fondazioni così modeste avrebbero dovuto sostenere !). Ma questa osservazione era stata già avanzata dalla stessa Zancani25.
43Dunque bisogna riconoscere che la realtà della stratigrafia restituita dal terreno non consente alcuna ricostruzione della struttura come “tempietto tetrastilo prostilo” o “come distilo in antis” né tanto meno consente di datare la struttura all’età arcaica.
44Diventa allora stimolante rivedere la situazione del santuario nella fase post lucana, quando l’arrivo dei Romani, con la fondazione di una colonia latina a Paestum, nel 273 a.C. segna, anche per il santuario di Hera alla foce del Sele, una nuova e diversa fase di frequentazione e fruibilità.
45La vitalità del santuario nel corso del III sec. a.C. è largamente documentata dalla ricchezza e dalla varietà dei doni votivi che stipi e bothroi hanno restituito; la coroplastica votiva ed il vasellame a vernice nera evidenziano bene come la frequentazione del santuario non ha subito flessioni, conservando ancora quella centralità di luogo di culto anche nel contesto sociale della città romana26.
46Ed un intervento di notevole impegno è stato certamente quello della sistemazione della grande arteria che collegava la città con il santuario ed il fiume. Uno dei primi saggi effettuati nel 1988-1989 a circa 700 metri dal centro del santuario (zona C della Zancani) ha consentito di mettere in luce un lungo tratto della strada che dalla città, passando per Gromola, conduceva al fiume, all’altezza dell’ansa, dove il toponimo “volta al furno” sembra conservare il ricordo di quel Portus Albumus di cui parlano le fonti27.
47Al di là della discussione intorno alla identificazione di un porto fluviale ed all’esistenza di un villaggio presso il fiume, interessa sottolineare come questa strada corra tangente al santuario e, molto probabilmente, un diverticolo si staccava dal percorso principale per raggiungere il centro del santuario. La cronologia dell’impianto è chiara: ad una prima organizzazione attribuibile ai Lucani e databile verso la fine del IV sec. a.C., si sovrappone una seconda che prevede un rialzamento del piano di calpestio, l’allargamento della carreggiata centrale e l’impianto di due cordoli laterali con blocchi di travertino squadrati e tagliati, accuratamente sistemati ai lati di una canaletta per il deflusso dell’acqua. Un livello di ceneri vesuviane oblitera e copre il tratto indagato costituendo un chiaro terminus ante quem per la seconda sistemazione della strada28.
48L’ipotesi che questa sistemazione possa riferirsi al momento dell’impianto della colonia latina trova riscontro negli interventi in città che presentano le stesse caratteristiche tecniche e strutturali29.
49E nel santuario l’interesse e la frequentazione dei nuovi abitanti della città si concretizza in interventi di diversa entità che, se da un lato segnano la volontà di affermare la nuova realtà politica e sociale, dall’altra quella di una continuità in particolare nella sfera di una religiosità locale, già largamente registrata nei santuari in città30.
50Sembra subire una distruzione e comunque una totale obliterazione soprattutto l’edificio quadrato, costruito dai Lucani alle spalle degli altari; ma tutto il materiale votivo e la statua della Dea vengono sigillati e conservati in una grande fossa a riprova della devozione e della sacralità delle offerte nel santuario31. Tuttavia l’edificio quadrato, proprio per la sua peculiarità di struttura riservata, se è valida la lettura recentemente offerta, alle fanciulle della aristocrazia lucana che qui svolgevano il loro periodo iniziatico tessendo il peplo per la Dea32, è piuttosto un tipo di edificio laico con una certa connotazione politica-ideologica e, così come avviene in città, sono questi gli edifici che i coloni latini cercano di obliterare e defunzionalizzare.
51Cosi in città il grande edificio pubblico dell’ekk-lesiasterion, in funzione in età lucana, viene obliterato e sul grande interro viene innalzato un piccolo sacello che comunque denota la volontà di conservare almeno il culto dello Zeus Agoraios lucano33.
52E come in città, nei due grandi santuari cittadini, il culto viene salvaguardato, pur se adattato alla nuova religiosità, così, nel santuario al Sele l’edificio di culto, ed in particolare il tempio, rimane in funzione e viene ripristinato e restaurato in alcune parti del tetto conservando caratteri e funzioni che aveva in età greca e poi in età lucana34.
53L’intervento romano tuttavia sembra configurarsi da un lato in una sistemazione degli edifici di accoglienza ed una rimozione dei doni votivi abbon dantemente presenti nell’area, dall’altro nella consacrazione di donari e nella costruzione, dunque, di almeno un sacello votivo.
54Ed infatti, se andiamo a rivedere la composizione della grande stipe votiva rinvenuta nell’area tra il tempio ed il c.d. thesauros la cui realizzazione gli scopritori datavano ad età ellenistica, si nota come alcuni elementi recenziori dei materiali, sia nella coroplastica votiva che nella poca ceramica presente, si collocano piuttosto nei primi decenni del III sec. a.C. evidenziando quindi come tutta la sistemazione di quest’area appartenga piuttosto al momento della deduzione della colonia latina35.
55Ed è, con ogni probabilità, con la costruzione di un sacellum, scoperto, innalzato accanto al tempio che i nuovi coloni segnano, nel santuario, la loro presenza e la loro devozione (fig. 12).
56Il recinto rettangolare, costruito con tutto materiale di reimpiego recuperato nell’area ed appartenente certamente ad edifìci arcaici già largamente andati in disuso, presenta, infatti, una tipologia piuttosto semplice e riflette un modello largamente noto nei santuari di area italica di età repubblicana36.
57Rileggendo la relazione di scavo del 1937, colpisce il fatto - a cui in realtà non si è attribuita la dovuta importanza - che non siano stati trovati minimamente frustuli o frammenti del manto di tegole e coppi pertinenti ad un tetto di copertura; né d’altra parte, si può pensare ad una distrazione degli scavatori dal momento che lì dove hanno ritrovato tegole e coppi questi sono stati diligentemente registrati e disegnati37; né tale assenza può essere giustificata immaginando una volontaria rimozione già in antico perché, nel corso dello scavo, viene registrata spesso la situazione di crollo ed obliterazione delle strutture del cosiddetto thesauros; peraltro uno dei problemi più assillanti per gli editori del complesso era costituito proprio dalla difficoltà di restituire un tetto coerente e questa difficoltà aveva portato la Zancani ad affermare «l’indipendenza della copertura dal resto dell’edificio e la totale incoerenza tra la copertura e la pianta confermando l’indipendenza del soffitto e del tetto dalle membrature di pietra»38.
58Dunque il manto di tegole e coppi di un eventuale tetto non è stato trovato ed in realtà, alla luce dei nuovi dati, la mancanza di questi elementi risulta pienamente coerente con l’impianto di un sacellum sine tecto che richiedeva un impegno economico e strutturale poco oneroso; ed altrettanto coerenti risultano le fondazioni, piuttosto modeste e non abilitate in alcun modo a reggere un elevato pesante, di altezza consistente. L’aver documentato, sul terreno, che non esiste un lato est e delle ante andate distrutte, prova piuttosto che la struttura era definita e conclusa solo su tre lati, quelli realmente conservati sul terreno delimitando un semplice vano rettangolare, scoperto.
59Inoltre, sempre rileggendo la dettagliata relazione di scavo, all’interno del vano venne individuata una lastra di calcare ben posizionata sul piano di calpestio e puntellata lateralmente da frammenti più piccoli di rincalzo; la lastra presenta tre fori per l’innesto di perni ed il Krauss, nel sottolineare la cura della messa in opera, ne fornisce una spiegazione tecnica, come base per un sostegno per il soffitto ed il tetto39.
60A poca distanza da questa lastra venne rinvenuto un piccolo capitello in calcare che ripropone le stesse forme arcaiche dei capitelli ionici attribuiti alle ante (fig. 14); il Krauss lo collocò a coronamento del pilastro di sostegno della travatura, mentre la Zancani lo escludeva, riconoscendo per altro che, essendo lavorato su tutti i lati ed essendo molto piccolo di spessore (soli 19 cm), doveva appartenere piuttosto ad una stele-donario, all’esterno dell’edificio non fornendo alcuna spiegazione del fatto che fosse stato ritrovato all’interno40.
61Rileggendo tutti questi elementi e rivisitando le puntuali relazioni di scavo, si può avanzare un’ipotesi alternativa di ricostruzione della struttura rettangolare, certamente meno suggestiva, ma forse più corrispondente al vero: un sacello rettangolare, aperto su un lato, con al centro una stele coronata dal capitello in calcare che riprende forme e stilemi arcaici. La Zancani lo considera proto ionico pur manifestando qualche perplessità e, in genere, successivamente, su questo piccolo elemento nessuno studioso è più ritornato, accettando pienamente la lettura iniziale.
62Il piccolo capitello ripropone quasi integralmente forma e motivi decorativi dei capitelli arcaici; tuttavia la rigidità delle forme, l’applicazione quasi astratta delle rondelle laterali, prive di organicità e piuttosto giustapposte all’abaco, sembrano denotare una lavorazione rimodulata su un modello preesistente, tradendo così l’età più moderna della sua realizzazione41.
63Non abbiamo elementi per suggerire un coronamento dell’elevato del recinto, ma non è improbabile che siano stati riutilizzati elementi di coronamento o di cornice provenienti da edifici andati distrutti; come d’altra parte non è improbabile che se ne siano costruiti di nuovi su forme e stilemi di età più antica, così come avviene in città, ad esempio nel colonnato del nuovo Foro42.
64Un sacellum rettangolare, piuttosto semplice, recinto sacro intorno ad un elemento votivo che, data la presenza della base di calcare e del piccolo capitello lavorato su tutti i lati si può immaginare come una stele piuttosto che una piccola ara come invece è più largamente documentato, viene costruito dai nuovi coloni come segno di una devozione che continua pur se, tuttavia, con forme differenti; sono infatti i bothroi con gli annessi altari ad avere un ruolo primario nel rituale e nel culto, e quella trasformazione del culto che già si registrava nel passaggio dall’età greca a quella lucana43, sembra accentuarsi maggiormente con una documentazio ne materiale che proviene sostanzialmente dai both-roi e dall’area intorno agli altari monumentali44.
65Ed è interessante sottolineare che, come i dati di scavo documentano, questa struttura votiva, pur se costruita con numerosi materiali di reimpiego, ha comunque richiesto un certo impegno tanto di sistemazione dell’area quanto di realizzazione di nuovi elementi decorativi e funzionali. Dunque l’intervento romano non sembra così limitato e modesto come la struttura rimasta sembra suggerire.
66La cronologia del complesso si colloca nei primi decenni del III sec. a.C., periodo a cui rimandano i materiali coroplastici e ceramici rinvenuti nel canale di delimitazione e di drenaggio della struttura; dunque è nei primi momenti della deduzione coloniale che i nuovi venuti si interessano alla risistemazione del grande e famoso santuario al Sele tanto nella riorganizzazione del suo collegamento alla città, quanto piuttosto, elemento certamente più significativo, nel segnare, con un primo intervento strutturale, la nuova realtà cultuale della colonia.
67E se consideriamo che in città gli interventi più significativi ed imponenti si collocano piuttosto sul finire del III secolo, quando viene innalzato, al centro del lato lungo settentrionale, il tempio su podio denominato “Tempio della Pace”45, diventa estremamente interessante la dedica di questo sacello nel santuario periferico del Sele che, appartenendo piuttosto alla prima fase repubblicana, costituisce forse uno dei primi monumenti sacri della colonia latina.
68Dunque se alcuni problemi sembrano chiariti, altri se ne aprono ben più complessi e di difficile soluzione.
69Se, come le indagini stratigrafiche documentano, l’edifico ipotizzato dal Krauss o dalla Van Keuren nella realtà archeologica non esiste, rimane allora il quesito a quale edificio può essere attribuito il complesso delle lastre scolpite ed i tanti elementi architettonici recuperati che si dispongono in un arco cronologico piuttosto ampio e diversificato46.
L’edificio quadrato
70Forse più semplice e per certi versi meno traumatico e problematico è stato lo studio relativo alla funzione ed al significato dell’edificio quadrato scavato negli anni ’50 dalla Zancani47 (fig. 15).
71L’edificio si trova alle spalle dei due altari monumentali, che costituiscono il centro ideale dell’area sacra, e a circa 80 metri di distanza dal tempio alla dea; l’ingresso piccolo e stretto si apre verso sud e non verso est come i monumenti principali del santuario né l’edificio è orientato verso di loro ma presenta, verso il nucleo principale del santuario, una parete chiusa.
72Alla posizione topografica, isolata ed eccentrica vanno aggiunte alcune considerazioni sulle peculiarità planimetriche e le caratteristiche architettoniche che rendono l’edificio un monumento insolito che, ancora una volta, non trova un preciso riscontro nell’architettura greca di età arcaica e classica.
73La pianta perfettamente quadrata (m 12 x 12) disegna un ambiente centrale libero da strutture interne ma scandito da muri tronchi che, al centro della parete, sporgono verso l’interno ad angolo retto; sulla parete sud a fiancheggiare l’ingresso, due di questi muri tronchi sulla cui funzione ancora molto si discute.
74Lo scavo documentò la fase di abbandono dell’area con sepolture di infanti entro anfore del III sec. d.C. depositate all’interno del vano, il livello di cenere vesuviana del 79 d.C. che ha obliterato l’edificio già per altro non in funzione e l’impianto della struttura in blocchi di calcare con, agli angoli, riutilizzate in fondazione tre lastre di arenaria scolpite (il suicidio di Aiace, Eracle ed Alcioneo e la pena di Sisifo)48.
75La Zancani individuò inoltre due diversi livelli di depositi votivi: quello più alto, costituito da una fossa dove si rinviene la statua di Hera in trono e abbondante materiale votivo, che la studiosa attribuisce al momento della distruzione, forse a causa di un incendio, all’epoca dell’arrivo dei Romani (270/60 a.C.); il deposito votivo più basso è costituito da una larga fossa che occupa grosso modo tutta l’ampiezza del vano centrale, riempita di materiali votivi arcaici e su cui si impianta la struttura; la cronologia dell’impianto è data dai materiali più recenti del deposito sottostante e viene fissata intorno alla fine del V sec. quando i Lucani entrano in possesso di Poseidonia e del suo territorio.
76Un monumento dunque peculiare, anomalo nella planimetria, nell’architettura, nelle funzioni che la Zancani preferì definire semplicemente per la forma planimetrica ed entrò così a far parte della problematica archeologica con il nome di ”edificio quadrato”.
77Problematica anche l’individuazione delle funzioni laiche o sacre a cui potrebbe far riferimento la piccola statuetta di Hera in trono49; la Zancani, attribuendo ai Lucani la pianta quadrata e l’apertura a sud, confronta la struttura nel suo complesso (ingresso stretto, piano pavimentale ribassato, pianta quadrata) con un edificio sito a nord del foro di Paestum, identificato come un aerarium, che sembra presentare le medesime peculiarità.
78Studi e ricerche recenti hanno tuttavia meglio precisato la cronologia e la fisionomia di questo edificio, costruito alla metà del III sec. a.C. e dunque attribuibile piuttosto al rifacimento di età romana della città50.
79Recentemente sono state proposte due diverse letture che offrono una interpretazione funzionale di quest’edificio del tutto peculiare51.
80Emanuele Greco, riprendendo in esame la tipo-logia delle strutture quadrate presenti nella edilizia domestica anche del mondo italico, ha proposto una relazione con il pyrgos domestico, cioè quelle strutture quadrate, a torre, destinate a contenere grano, il raccolto dei campi, le risorse dell’unità abitativa ed alla cui custodia è preposta la donna, custode del focolare e delle risorse della famiglia; nel santuario al Sele, custode del tesoro della dea52.
81La prima riflessione da esaminare interessa proprio le modalità e la forma del primo deposito votivo che l’accurata e puntuale descrizione della Zancani ci descrive come una larga fossa che occupa quasi l’intera superficie del vano interno e termina ad imbuto, riempita di tutti materiali votivi frammentati e mescolati.
82Alla luce dei numerosi sondaggi realizzati in profondità, all’interno degli edifici del Sele, abbiamo potuto ben documentare come, costantemente, i costruttori del santuario si siano sempre trovati di fronte alla difficoltà di prosciugare un terreno umido, molle, reso fortemente acquitrinoso per le frequenti inondazioni del Sele e dunque come loro preoccupazione principale sia stata quella, prima di ergere un nuovo edificio di prosciugare l’area con canali, grandi fosse di drenaggio, piani induriti, sabbie, brecciolino.
83Accorgimenti questi che hanno consentito la costruzione in situazione di terreno asciutto e che comunque hanno convogliato nel sottosuolo la falda acquitrinosa.
84Dunque questa fossa, che non a caso termina ad imbuto, rappresenta l’accorgimento tecnico preparatorio all’innalzamento del nuovo edificio che per altro nasce in un’area risultata sostanzialmente sterile e dunque non interessata ancora da edifìci di culto o cerimonie religiose; da qui la considerazione di isolamento e marginalità che già la Zancani sottolineava. Che poi in questa fossa di drenaggio siano stati scaricati materiali votivi provenienti da edifici più antichi (alcuni frammenti attaccano con frammenti provenienti dal c.d. thesauros) non stupisce assolutamente e trova la sua logica spiegazione nella considerazione della sacralità degli oggetti votivi e nella continuità di culto nel santuario tra fase greca e fase lucana per altro molto ben testimoniata da numerose altre evidenze53.
85Dunque non un deposito votivo, ma semplicemente una grande fossa di drenaggio che ha consentito di impiantare l’edificio su un livello di terreno prosciugato e reso più resistente con la sovrapposizione di ”piani induriti” riscontrati un po’ dovunque nell’area del santuario. La difficoltà, sempre registrata di distinguere nettamente i materiali appartenenti ai due diversi depositi votivi, viene così largamente superata dal momento che saranno i materiali più recenti rinvenuti nella fossa di drenaggio a costituire un terminus post quem per la costruzione dell’edificio quadrato.
86Un’ulteriore riflessione riguarda la proposta ricostruttiva avanzata da H. Schläger54; i muri tronchi al centro delle pareti vengono messi in relazione alla costruzione del tetto e dunque funzionali a sorreggere una copertura anch’essa peculiare, a quattro spioventi molto più pesante e complessa dell’usuale tetto a doppio spiovente; per un tetto a quattro spioventi erano indispensabili i contrafforti di sostegno al peso delle travi volendo lasciare libero il vano centrale e non utilizzare dunque un pilastro centrale di sostegno.
87Nel ripulire le strutture e nel rileggere l’attenta descrizione della Zancani si deduce che questi cinque contrafforti laterali insistono e fuoriescono dal piano di calpestio di cui rimangono chiarissime tracce; inoltre sono all’interno del vano e non all’esterno e dunque non rafforzano semplicemente le assisi di fondazione, come sarebbe logico pensare se la funzione fosse solo quella di rafforzare i muri nel punto di maggiore sostegno di peso delle travi della copertura; dovevano avere, allora, un’altra funzione e forse la copertura poteva essere una più semplice e leggera, a due spioventi.
88L’ipotesi che questi contrafforti laterali potessero servire a suddividere in qualche maniera lo spazio interno per una qualche attività collaterale che vi si svolgeva non viene esclusa del tutto neanche dalla Zancani55, ma è anche plausibile che questi contrafforti fossero funzionali a sorreggere un piano superiore necessario al ruolo stesso dell’edificio.
89Il riesame complessivo di tutti i materiali provenienti dal deposito più recente, ovvero l’interramento operato dai Romani dopo l’incendio dell’edificio, porta a formulare un’ipotesi interpretativa che consente forse di cogliere meglio le funzioni dell’edificio in età lucana.
90Gli oggetti, nella loro quasi totalità, rimandano concordemente al mundus muliebris: così nelle forme vascolari vi è una netta prevalenza di vasi legati al rituale nuziale (le grandi anfore, le hydriai, le pelikai, i lebeti, le circa 20 lekanai, le lekythoi, le bottiglie, forme tutte che nella loro diversità d’uso e di funzioni riflettono un universo femminile per altro largamente confermato anche nella scelta delle scene figurate. Un gruppo di vasi ad anello (askoi anulari) sia a vernice nera che decorati, presenti in un certo numero di esemplari prevalentemente nell’edificio quadrato pone non pochi problemi di lettura ed interpretazione; va sottolineata la rarità della forma, la sua limitata diffusione (nel santuario sono presenti altri tre esemplari provenienti dai due bothroi; dalle necropoli pestane si conoscono due esemplari figurati56; un altro esemplare identico nella forma schiacciata e perfettamente ad anello proviene da una sepoltura femminile da Roccagloriosa57); dunque una forma dalle fortissime valenze ideologiche legate senza dubbio al mondo femminile con un riferimento esplicito vuoi alla corona rituale vuoi agli anelli dell’utero58.
91Il quadro riassuntivo del repertorio vascolare viene completato da oltre 90 unguentari, quasi tutti piriformi, da numerose pissidi, anche miniaturisti-che, da tutto un repertorio di vasellame c.d. da tavola (piatti, coppette, patere, bicchieri) e da cucina (ceramica acroma e da fuoco). Piccoli gioielli in oro, corallo, ambra, avorio, osso confermano il quadro offerto dal repertorio vascolare.
92Va sottolineata la presenza di una bulla in oro59 circolare con decorazione a granulazione e largo appicagnolo tubiforme, oggetto che trova riscontri nella ricca produzione del mondo etrusco-italico dove è attestato in corredi femminili, in associazione, molto spesso, a corone, e dove rappresenta il simbolo della condizione giovanile60.
93I principali centri di produzione sono stati localizzati a Vulci, a Tarquinia, a Chiusi, nella seconda metà del IV sec. a.C.61.
94Ed anche se, per l’esemplare dall’edificio quadrato non è semplice stabilire il centro di produzione è tuttavia di estremo interesse sottolinearne la presenza in un contesto ai margini di un territorio quale quello, appunto del santuario sul Sele.
95L’ormai tradizionale attribuzione dell’origine della bulla al mondo etrusco è avvalorata da alcune fonti antiche e, di recente Mario Torelli accoglie l’ipotesi di un’origine etnisca della stessa parola bulla62.
96Diventa quindi quanto mai significativa la presenza di un gioiello-amuleto peculiare del mondo etrusco-italico nel contesto, al femminile, dell’edificio quadrato.
97Le numerose chiavi in ferro, di diversi moduli, anche miniaturistici, riconducono anch’essi ad un rituale tutto al femminile e costituiscono una classe di ex voto costantemente presenti in santuari legati a divinità femminili63.
98Ma l’attenzione si concentra su un ultimo complesso di oggetti fittili: sono circa 300 i pesi da telaio in terracotta, piramidali e discoidali recuperati nell’edificio quadrato.
99La Zancani li aveva divisi in sette gruppi sulla base di una loro differenza di peso avanzando molto prudentemente l’ipotesi di un loro valore ponderale; ipotesi che venne immediatamente contestata dal Mingazzini che li interpretava piuttosto come veri e propri pesi da telaio64.
100Ed in realtà un telaio di media grandezza necessita tra gli 80 ed i 90 pesi, dove prevalgono quelli di eguale valore per dare uniformità al tessuto ma dove devono essere presenti pesi differenti a seconda delle differenti trame dell’ordito65.
101Dunque possiamo ipotizzare che nell’edificio quadrato esistessero mediamente tra i tre ed i quattro telai, del tipo verticale, a parete con rullo superiore girevole e montanti laterali infissi nel pavimento e che questi telai fossero sistemati alle pareti, scanditi dai muri tronchi che creano così delle vere e proprie divisione degli spazi destinati al lavoro della tessitura.
102Dunque in questo anomalo edificio la cui pianta quadrata rimanda all’oikos quadrato66 si svolgeva, con ogni probabilità una vera e propria attività di tessitura finalizzata ad un rituale molto specifico peculiare per Hera ma non esclusivo della dea67.
103Il rituale della peplophoria è largamente attestato nella mitografia di Hera e ricorre sia nella tradizione epigrafica che in quella letteraria; nel rituale religioso, dopo il bagno rituale che restituisce la verginità alla Dea ed il ritrovamento del simulacro, questo veniva vestito dalle sacerdotesse e portato in processione; tra le innumerevoli fonti epigrafiche basterebbe ricordare la splendida iscrizione da Samo pubblicata già nel 1953 che riporta l’inventario del tesoro del santuario e dove tra gli innumerevoli oggetti elencati, ruolo preminente hanno le vesti (peplo di bisso, di porpora, con frangia d’oro; mantelline, chitoni di lino raffinati, ricamati d’oro, reticelle per capelli, cinture, i veli, i drappi, i numerosi himatia bianchi con ricami d’oro e d’azzurro)68.
104Al rito peplophorico si associa da un lato la tessitura e la presenza di fanciulle preposte a questo onore e dall’altro l’esistenza di edifici adibiti a queste funzioni.
105Pausania ci racconta come, nell’agora di Elis, fu costruito un edificio e 16 donne lì convocate tessevano il peplo per Hera69 così come, sempre Pausania ci dice che ogni anno le donne tessevano un chitone per Apollo di Amyclae e chiamavano Chiton l’edificio nel quale tessevano70.
106Ma la presenza di fanciulle scelte solitamente fra l’aristocrazia del luogo che vivono, per un certo periodo, appartate dalla società, isolate e che hanno tra i loro compiti la tessitura e l’economia dell’oikos, richiama alla mente, così come ben evidenziato e documentato dal Brelich, i riti dell’iniziazione legati all’universo femminile ed al gamos71.
107Dunque numerosi gli elementi che nell’edifico quadrato possono supportare quest’ipotesi, dalla pianta perfettamente quadrata che rimanda alla pianta canonica dell’oikos come ambiente riservato al focolare ed alla donna, la partizione interna suggerita dai contrafforti laterali, e soprattutto l’esistenza di un secondo piano giustificato dalla necessità di sistemare dei letti per le fanciulle che rimanevano nel santuario; la presenza di vasellame da mensa e da cucina sottende l’esistenza di pasti comunitari; i doni votivi tutti alludono alle nozze, al mondo femminile in generale e la presenza della stessa statua della dea che sovrintende al periodo iniziatico delle fanciulle, ne garantisce l’ambito sacrale, fortemente ideologico. È stata già avanzata inoltre una rilettura di due graffiti presenti su frammenti vascolari, dove le lettere EY sono state intese o come l’abbreviazione di una epiclesis di Hera, protettrice del lavoro delle donne o come abbreviazione della parola ƐὐαγγƐλίς la sacerdotessa della dea che annunciava il ritrovamento dell’idolo nascosto dietro un cespuglio di agnocasto72.
108La Zancani, correttamente, attribuisce questo edificio ai Lucani, i nuovi fruitori del santuario e dunque, se la continuità del culto ed il rispetto per le antiche costumanze e riti trova larga documentazione nella evidenza materiale, è piuttosto l’adesione a modelli culturali greci nell’educazione dei giovani che questo particolarissimo edificio sembra, oggi, meglio documentare.
109L’analisi fatta da A. Mele sulla diffusione del pitagorismo tra le popolazioni italiche in rapporto alle loro aristocrazie illustra appieno la complessità del fenomeno di incontro tra due diverse culture ed evidenzia la ricezione di modelli di vita improntati ad un’etica aristocratica di stampo ellenico73.
110D’altra parte è stato largamente dimostrato come le società lucano-sannitiche avessero costumi di vita ricalcati appieno su quelli greci e come un forte valore fosse attribuito proprio all’iniziazione tanto al maschile che al femminile74.
111Non stupisce dunque più di tanto ritrovare la documentazione di forme di iniziazione ed associazioni al femminile nel santuario di Hera alla foce del Sele e la presenza della bulla etrusca, pur nella limitatezza del dato singolo, è comunque una spia significativa di una presenza di comunità differenziate che si incontrano e si integrano lungo le rive del fiume, confermandone per altro la funzione emporica.
Annexe
APPENDICE A LETTURA STRATIGRAFICA DEI SAGGI INTORNO AL C.D. THESAUROS
a cura di Bianca Ferrara
Negli anni novanta (1993, 1994, 1995) sono stati effettuati 13 saggi nell’area del c.d. thesauros (2700, 2800, 2900, 5000, 5100, 5200, 5300, 5400, 5500, 5600, 5700, 5800, 5900), per precisare e chiarire le problematiche sorte intorno al periodo di costruzione e al tipo di decorazione di questa struttura individuata nel 193475.
Gli obiettivi che si volevano raggiungere attraverso l’indagine archeologica possono essere così riassunti: capire la posizione dei blocchi di fondazione rispetto al livello vergine; analizzare la situazione del famoso rocchio di colonna posto sul lato nord dell’edificio per verificare l’ipotesi di Krauss76; controllare la lunghezza dei due lati nord e sud dell’edificio e la possibilità reale della teoria della Van Keuren77; e soprattutto tentare di rintracciare i livelli che possano evidenziare i momenti e le fasi della costruzione, la distruzione dell’edificio o, semplicemente, la sua frequentazione più antica.
Nel 1993, per chiarire questi problemi, sono stati impiantati: a giugno tre saggi, 2700, 2800, 2900, all’interno e all’esterno del c.d. thesauros che, pur aprendo una serie di altri interrogativi, iniziarono comunque già a fornire alcune risposte; ad ottobre ne furono poi impiantati altri cinque: 5000, 5100, 5200, 5300, 5400, per controllare anche in altri punti della struttura gli esiti dei primi sondaggi.
I risultati dei saggi 2700, 2800, 2900 portano tutti alla stessa conclusione: se uno strato di riempimento deposto nel corso della costruzione contiene materiale per lo più di età ellenistica, se un canale aperto per preparare i lavori di costruzione contiene oggetti databili all’ultimo quarto del IV sec. a.C., diventa evidente che la costruzione dell’edificio non può risalire al VI sec. a.C.
Vengono presentati i saggi 2800/2900 e 5300 (con una scelta dei materiali rinvenuti) che sono di particolare interesse per la definizione e la risoluzione di tali problematiche.
SAGGIO 2800/2900
Dimensioni: 12 x 4 m
Quota assoluta: 2,41 m s.l.m.
Quota rel.: da –0,00 a –1,50 m
Il saggio 2800/2900 è stato impiantato alla fine del muro sud e lungo il suo prolungamento ideale, là dove dovrebbe trovarsi l’estremità est del c.d. tempietto, con un risparmio di circa 0,60 cm dal suddetto muro, in considerazione della possibilità che lungo il muro fosse già stato effettuato un sondaggio durante gli scavi Zancani. L’obiettivo di questo saggio era di verificare la continuazione del muro secondo la ricostruzione del Krauss; ritrovare le tracce della distruzione o i negativi di blocchi scomparsi; identificare la presenza, in assenza dei blocchi, delle trincee di fondazione; e infine, accertare l’esistenza o meno di un muro trasversale nord-sud o almeno le tracce lasciate da una sua distruzione. Questo muro traversale doveva, secondo la ricostruzione Krauss, chiudere il pronao sul lato est.
I risultati di questo saggio evidenziano che davanti al muro sud non vi sono tracce in negativo di un’eventuale asportazione di blocchi; questo muro, dunque, non continuava in alcun modo; inoltre un canale (US-2808), contemporaneo all’edificio e necessario a rendere asciutto il terreno su cui viene impiantata la struttura ne segna il limite. Tale canale è coperto da un livello di terreno marrone (US-2803), frammisto a pietrame e materiale rimescolato che costituisce il piano di lavorazione del c.d. thesauros sul quale si imposta il filare dell’euthynteria. Non vi sono quindi tracce, neppure in negativo, che giustifichino l’ipotesi di un prolungamento del muro meridionale dell’edificio oltre la lunghezza ancora oggi ben visibile.
US 2801
Strato di terreno marrone scuro-grigiastro, dalla superficie orizzontale e dallo spessore regolare. Piuttosto friabile, misto a tegole, frammenti di ceramica e coroplastica. Si estende su tutta l’area del saggio, tranne che lungo l’estremità orientale del muro sud, dove è tagliato dall’US-2806. Il grado di definizione del confine con l’US sottostante è abbastanza netto.
È l’attuale piano di campagna, che potrebbe corrispondere al livello raggiunto dalle precedenti esplorazioni o forse, se, come nella metà occidentale interna dell’edificio, lo scavo aveva raggiunto il livello del piano di posa del primo filare di fondazione dei blocchi, potrebbe essere un riempimento per la risistemazione dell’area alla fine della campagna di scavi 1934.
Nel primo dei due casi, considerando che lo strato poggia sui blocchi del primo filare di fondazione, quindi al di sotto di quello che doveva essere il livello pavimentale del c.d. thesauros, la presenza di materiale ellenistico avvalora l’ipotesi che quest’edificio sia stato costruito in tarda età ellenistica anche se non ne costituisce la prova decisiva. Ha restituito numerosi frammenti di coroplastica ellenistica.
Spess. 0,20-0,25 m
Quote rel.: da –0,65/0,70 a –0,85/0,90 m
Ceramica di tradizione ionica
1. Coppa di tipo b2 (fig. 19)
Argilla nocciola-chiaro (Munsell 7.5YR, 7/4), depurata, friabile; vernice nera opaca e piuttosto diluita.
h. 1,8; ϕ p. 5,678.
Inv. 2801/2
Si conservano due frammenti del piede combacianti. Basso piede a tromba piuttosto svasato. Sul fondo interno della vasca cerchio risparmiato; fondo esterno del piede e superficie di posa risparmiati.
Cfr.: E. Lippolis ed., Arte e artigianato in Magna Grecia, Napoli, 1996, p. 304, nr. 293 e 295, tav. p. 305, nr. 293 e 295 (in base al contesto: I metà del VI sec. a.C.).
Ceramica a figure nere
2. Lekythos (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), depurata, friabile; vernice nera lucente in parte diluita.
h. 2,7; ø p. 2,8.
Inv. 2801/5
Si conserva parte del corpo con il piede. Corpo cilindrico, piede a disco con piccola cavità conica centrale. Fascia laterale e fondo del piede risparmiati.
Questo tipo di lekythos potrebbe derivare da un prototipo attico riconducibile alle lekythoi “little lion shape”. Cfr.: B. A. Sparkes, L. Talcott, Black and plain pottery of the 6th, 5th and 4th centuries B.C. The Athenian Agora, 12, 1-2, Princeton, 1970, part. 1, p. 153 e p. 134, nr. 1118 (470-460 a.C.)-1119 (450 a.C.); part. 2, tav. 38, nr. 1118-1119; E. Govi, Le ceramiche attiche a vernice nera di Bologna (Studi e Scavi, 10), Bologna-Imola, 1999, p. 149 (con relativa bibliografia); G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, un insediamento etrusco-campano, Modena, 1990, t. 63/1963, p. 253-254, nr. 1, fig. 429a (con relativa bibliografia).
Ceramica a vernice nera
3. Coppa inset lip (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), molto depurata, compatta; vernice nera lucente, spessa e compatta.
h. 1,1; ø p. 6
Inv. 2801/22
Si conserva un frammento del piede. Vernice scrostata in più punti. Largo piede ad anello modanato, parete quasi tesa. È riconducibile alle “stemless cupsinset lip” create nel secondo quarto del V sec. a.C. in uso fino al primo quarto del IV sec. a.C.
Morel le inserisce nella serie 4271 che definisce attica e che data alla metà del V sec. a.C. È una forma largamente esportata ed imitata e fortemente attestata nell’Italia centrale. Cfr.: B.A. Sparkes, L. Talcott, Black and plain pottery, cit. supra, part. 1, p. 101-102 e 268, nr. 469-473; part. 2, tav. 22, fig. 5, nr. 469-473; J.-P. Morel, Céramique campanienne: les formes, Roma, 1981, p. 301, tav. 124; N. Lamboglia, “Per una classificazione preliminare della ceramica campana”, in Atti del I Congresso Internazionale di Studi Liguri, Bordighera 1950, Bordighera, 1952, p. 188-189, forma 42a; V. Valentini, Le ceramiche a vernice nera (Gravisca-Scavi del santuario greco), Roma, 1993, p. 25.
4. Skyphos (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), abbastanza depurata, friabile; vernice nera, sottile,
h. 2,9; largh. 2, 9
Inv. 2801/7
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Vernice in parte scrostata. Orlo estroflesso, assottigliato e arrotondato, vasca a profilo teso.
5. Coppa (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6); vernice nera opaca e a tratti diluita,
h. 3, 2; largh. 3, 3
Inv. 2801/11
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Orlo arrotondato ed assottigliato, leggermente inclinato verso l’interno, indistinto dalla parete a profilo convesso.
6. Skyphos (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6), abbastanza depurata, friabile; vernice nera opaca.
h. 3; ø p. 9, 4
Inv. 2801/13
Si conserva un frammento del piede. Vernice in parte evanida. Piede ad anello, parete obliqua a profilo piuttosto teso. Risparmiata la superficie laterale del piede.
È assimilabile agli skyphoi ritrovati al Sele appartenenti alla serie Morel 4382 e datati, in base ai loro rapporti proporzionali, all’inizio del IV sec. a.C. Per Morel questa serie, dipendente da prototipi attici, viene prodotta in Campania e Sicilia e può essere datata alla seconda metà del IV. È molto diffusa a Paestum nell’abitato in contesti della prima metà del IV sec. a.C.; rara nella necropoli urbana, è molto numerosa in quella extra-urbana del Gaudo in corredi databili fra la fine del V e i primi decenni del IV sec. a.C. Fu probabilmente prodotta a Paestum all’inizio del IV sec. ad imitazione di oggetti importati alla fine del V sec. a.C. e ancora molto diffusi. È una serie attestata in tutta l’Italia meridionale, soprattutto nei centri etrusco-campani di Pontecagnano e di Fratte, in un arco cronologico che va dalla seconda metà del V alla metà del IV sec. a.C.
Cfr.: J.-P. Morel, Céramique campanienne, cit. supra, p. 313, tav. 132; A. Serritella, La ceramica a vernice nera di Poseidonia-Paestum tra fine V e II secolo a.C. (tesi di dottorato), 1995-96, p. 61 e p. 105, nt. 9 (con ampia bibliografia di riferimento).
7. Vaso di forma chiusa (fig. 19)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), piccolissimi inclusi micacei; vernice nera lucente e sottile; sovraddipinture biancastre.
h. 1,2; ø p. 9, 6
Inv. 2801/17
Si conserva un frammento del piede. Vernice in parte scrostata; sovraddipintura quasi completamente evanida. Basso piede ad anello a profilo troncoconico, parete dal profilo convesso.
Fig. 19. Materiale archeologico del saggio 2800 - US 2801
Sulla parte finale del corpo si intravede una decorazione a raggiera costituita da linguette verticali sovraddipinte.
8. Coppa (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6), abbastanza depurata, friabile; vernice nera opaca e sottile.
h. 2; largh. 3
Inv. 2801/10
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Vernice nera scrostata. Orlo arrotondato ed assottigliato, leggermente inclinato verso l’esterno, quasi concavo, parete a profilo convesso.
9. Coppa (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), piccoli inclusi micacei, neri e bianchi; vernice nera opaca e sottile.
h. 2, 5; largh. 5, 8
Inv. 2801/14
Si conserva un frammento del piede. Alto piede dal profilo esterno quasi verticale, fondo della vasca quasi orizzontale. Vernice in parte scrostata. Parete esterna della vasca e piede risparmiati. Cfr.: simile a A. Serritella, “Pontecagnano II.3. Le nuove aree di necropoli del IV e III sec. a.C.”, AION(archeol) (Quaderni, 9), Napoli, 1995, tav. 77, nr. 1.
10. Anfora (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), piccoli inclusi micacei, neri e bianchi; vernice nera opaca e sottile.
h. 1, 6; largh. 4, 9; ø p. 4, 6
Inv. 2801/15 e 16
Si conservano due frammenti di piede combacianti. Vernice in parte scrostata. Piede a disco con profilo esterno convesso e cavità conica sul fondo. Punto d’appoggio risparmiato.
11. Grosso contenitore (fig. 19)
Argilla arancio chiaro (Munsell 5YR, 7/8), inclusi micacei, neri e bianchi di dimensioni medie, vernice nera opaca.
h. 3, 2; largh. 3, 3; ø p. 6
Inv. 2801/12
Si conserva un frammento di piede. Vernice ossidata, in gran parte scrostata. Alto piede ad anello modanato. Superficie di posa e fondo risparmiati.
12. Grosso contenitore (fig. 19)
Argilla arancio-rosata (Munsell 2.5YR, 6/6), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi e neri; vernice nera matta, piuttosto sottile.
h. 2, 1; largh. 4, 9; ø p. 3, 6
Inv. 2801/38
Si conserva un frammento del piede. Vernice quasi completamente scrostata. Piede a profilo troncoconico, parete dal profilo convesso.
Ceramica sigillata
13. Coppa (fig. 19)
Argilla arancio scuro (Munsell 2.5YR, 6/8), vernice rosso-arancio, matta.
h. 3, 8; largh. 2, 7.
Inv. 2801/25
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Vernice in gran parte evanida. Orlo arrotondato e assottigliato, leggermente inclinato verso l’interno, risega interna, vasca a profilo convesso.
Ceramica invetriata
14. Bicchiere (fig. 19)
Argilla grigia (Munsell 5YR, 5/1), ricca di inclusi; vetrina verde scuro, lucente e sottile.
h. 3; largh. 3,5; ø o. 4,6
Inv. 2801/26
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Vetrina in gran parte scrostata. Orlo arrotondato e ingrossato, leggermente estroflesso, parete verticale con scanalature esterne orizzontali.
Ceramica comune
15. Brocca (fig. 19)
Argilla arancio scuro (Munsell 2.5YR, 6/8), inclusi micacei, piccoli inclusi bianchi e neri.
h. 2, 1; largh. 3, 4; ø o. 6, 2
Inv. 2801/36
Si conserva un frammento dell’orlo e del collo. Labbro estroflesso dalla superficie superiore piatta, orlo arrotondato ed ingrossato, collo cilindrico.
16. Anforetta (fig. 19)
Argilla arancio scuro (Munsell 2.5YR, 6/8), numerosi inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi e neri.
h. 1, 5; largh. 5, 8; ø o. 9
Inv. 2801/35
Si conserva un frammento dell’orlo e del collo. Labbro estroflesso leggermente inclinato, orlo ingrossato dalla superficie superiore piatta, collo cilindrico leggermente ingrossato. Cfr.: simile a S.L. Dyson, Cosa: the utilitarian pottery (MAAR, 33), Roma, 1976, p. 62, nr. 72, fig. 17.
Ceramica da cucina
17. Tegame (fig. 19)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 5 YR, 6/6), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi e neri.
h. 2, 6; largh. 4, 9
Inv. 2801/34
Si conserva un frammento dell’orlo, della parete e dell’ansa. Piuttosto annerito. Labbro estroflesso, con risega e tondino distinto sulla superficie superiore, vasca a parete obliqua e tesa con alloggiamento concavo per il coperchio. Cfr.: E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum, III, cit. nt. 50, p. 152, nr. 152, fig. 92 (fine III sec. a. C.).
18. Tegame (fig. 19)
Argilla arancio scuro (Munsell 2.5 YR, 6/8), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi, rossi e neri.
h. 2, 3; largh. 5; ø o. 11
Inv. 2801/33
Si conserva un frammento dell’orlo, del collo e della parete. Labbro estroflesso, orlo assottigliato dalla superficie superiore inclinata verso l’interno, collo cilindrico distinto dalla spalla, vasca carenata con alloggiamento concavo per il coperchio. Cfr.: M. Cipriani, F Longo ed., Poseidonia e i Lucani, cit. nt. 24, p. 270, nr. 252, fig. p. 271 (abbastanza simile, ma con un’inclinazione del labbro leggermente diversa).
19. Coperchio (fig. 19)
Argilla arancio scuro bruciata (Munsell 2.5.YR, 6/8), grossi inclusi micacei bianchi e neri; ingubbiatura arancio scura.
largh. 2, 2; lungh. 3; ø 11
Inv. 2801/31
Si conserva un frammento annerito. Orlo indistinto e arrotondato; parete tesa.
Cfr.: simile a S.L. Dyson, Cosa, cit. supra, p. 77, nr. 70, fig. 23.
Coroplastica
20. Statuetta femminile (fig. 20)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), inclusi micacei e piccoli inclusi neri, bianchi e rossi. A matrice
h. 2,9; largh. 2,7; Inv. 2801/43
Fig. 20. Coroplastica
Si conserva solo la testa. Matrice molto stanca e superficie erosa. Testa leggermente inclinata a destra, capigliatura raccolta in uno chignon ad anello sull’occipite; cercine liscio; volto non leggibile. Cfr.: simile a M. Cipriani, “Postiglione: materiali da un santuario rurale ai margine del territorio pestano”, in Apollo 10, 1994, p. 27, tav. 5.32 (prima metà del III sec. a.C.).
21. Statuetta femminile (fig. 20)
Argilla nocciola scuro (Munsell 7.5YR, 5/6), inclusi micacei e piccoli inclusi neri, bianchi e rossi; tracce di colore rosso-arancio sulla superficie posteriore. A matrice.
h. 4, 1; largh. 2, 6; Inv. 2801/44
Si conserva solo la testa. Matrice piuttosto fresca. Manca un orecchino. Testa leggermente inclinata a sinistra, volto ovale, capigliatura con scriminatura centrale, ondulata all’indietro; cercine impresso a nido d’ape e decorato con foglie d’edera. Orecchini sferici a goccia.
Cfr.: simile a M. Cipriani, “Postiglione” op. cit. p. 24, tav. 4.27; R. Miller Ammerman, The sanctuary of Santa Venera at Paestum II. The votive terracottas. Ann Arbor, 2002, p. 231, pl. LXV, n. 2198 (III sec. a.C.).
22. Statuetta femminile (fig. 20)
Argilla arancio scuro (Munsell 5YR, 5/8), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi, neri e rossi. A matrice.
h. 4,5; largh. 2,9; Inv. 2801/45
Si conserva solo parte della testa, lacunosa superiormente e posteriormente. Manca l’orecchino destro, fronte e naso sbrecciato. Testa leggermente piegata all’indietro e a sinistra, volto ovale pieno, anello di Venere sul collo. Orecchini a pasticca. Cfr.: S. Baroni, V. Casolo, Capua preromana. Terracotte votive V. Piccole figure muliebre panneggiate. Città di Castello, 1990, p. 330, tav. 48, 8; M. Bell, The terracottas. Morgantina Studies, I, Princeton, 1981, p. 176, pl. 78, 396c; R. Miller Ammerman, The sanctuary, op. cit. p. 207, pl. LXI, n.2054 (III sec. a.C.).
23. Statuetta femminile (fig. 20)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), inclusi micacei e piccoli
inclusi bianchi. A matrice.
h 3, 5; lungh. 4, 4; largh. 3, 6; Inv. 2801/46
Si conserva solo parte della testa, lacunosa del collo, naso sbrecciato. Si conserva una foglia d’edera sull’orecchio sinistro. Matrice molto stanca. Testa inclinata a destra, volto paffuto, capigliatura raccolta in bande laterali, cercine decorato a puntini impressi, chignon ad anello sull’occipite.
Cfr.: M. Bell, The terracottas, op. cit, p. 196, pl. 100, 559; R. Miller Ammerman, The sanctuary, op. cit. p. 255, pl. LXVIII, n.2348 (III sec. a.C.).
24. Piatto con frutta
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi. A matrice.
spess. 1,1; spess. con ghianda 2; largh. 5, 6 x 3, 7; Inv. 2801/49 Si conserva un frammento di parete con ghianda applicata sulla superficie superiore. Parete molto tesa, ghianda con particolari incisi.
25. Statuetta femminile
Argilla arancio chiaro (Munsell 5YR, 7/8), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi e neri. A matrice.
h. 3, 7; largh. 5; Inv. 2801/51
Si conserva un frammento della base con parte del piede sinistro. Base bassa e semicircolare, parte di piede sinistro sporgente dal chitone.
US 2802
Blocco in arenaria con cornice appena sbozzata e non completata. È in giacitura secondaria e probabilmente si tratta di un blocco non in crollo, ma che è stato rimosso in una più recente risistemazione.
Quote rel.: –0,42 m
Cermica a vernice nera
26. Coppa (fig. 21)
Argilla arancio chiaro (Munsell 5YR, 7/8); vernice nera opaca,
piuttosto spessa.
h. 5, 1; largh. 4; Inv. 2802/61
Si conserva un frammento di orlo con parete.
Labbro estroflesso, orlo arrotondato ed assottigliato con la superficie superiore arrotondata, vasca profonda a profilo convesso.
È riconducibile alla serie Morel 1552, dipendente da prototipi attici e prodotta a Paestum dalla fine del V sec. a.C. sino alla metà del IV sec. a.C. Nelle necropoli e nell’abitato pestano sono stati ritrovati esemplari databili fino alla metà del IV sec. a.C. A Pontecagnano e a Fratte la produzione continua fino alla fine del IV sec. a.C. e ai primi decenni del III sec. a.C. caratterizzata da un orlo più sviluppato ed estroflesso e da una maggiore profondità della vasca. L’esemplare attestato trova un confronto molto puntuale con una coppa ritrovata a Fratte.
Cfr.: G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, cit. supra, p. 139, nr. 126, fig. 251 e p. 138-139 e 282-284.; J.-P. Morel, Céramique cam-panienne, cit. supra, p. 123, tav. 23; A. Serritella, La ceramica a vernice nera, cit. supra, p. 69-70 e 91; A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte, cit. nt. 56, p. 421.
Ceramica da cucina
27. Tegame (fig. 21)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi e neri.
h. 1; largh.1,9
Inv. 2802/67
Labbro distinto, estroflesso con orlo arrotondato, vasca a profilo teso, punto d’appoggio per il coperchio piatto.
Coroplastica
28. Statuetta femminile
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5 YR, 6/6), inclusi micacei e piccoli inclusi bianchi. A matrice.
h. 3, 7; largh. 4, 2
Inv. 2802/73
Si conserva un frammento della testa con parte della fronte, attacco dell’occhio destro, parte della capigliatura e del polos. Matrice piuttosto stanca.
Alto polos, capigliatura compatta con scriminatura centrale.
US 2803
Strato di terreno di colore marrone, dalla superficie leggermente ondulata e dallo spessore regolare. Friabile, non coerente, misto a pietrame, a frammenti di ceramica e coroplastica. Il livello di distinzione con l’US sottostante è netto; rappresenta il piano di lavorazione realizzato durante la costruzione della struttura. È interessante notare che a questo livello non vi sono tracce in negativo di asportazione di blocchi sul prolungamento del muro sud né tracce d’imposta di eventuali colonne.
Restituisce materiali rimescolati databili dal V sec. all’età ellenistica, un frammento di amphoriskos di imitazione corinzia, due frammenti di arenaria lavorati con cornice a dentelli di tipo arcaico.
Spess. 0, 15-0, 20 m
Quote rel.: da –0,85/0,90 a –1,00/1,05 m
Ceramica corinzia
29. Amphoriskos (fig. 21)
Argilla beige-giallina (Munsell 10YR, 8/3) a tratti rosata, depurata, friabile. Vernice nero-bruna e rosso matta, sottile, diluita.
h. 2, 5; largh. 4, 3; ø p. 4, 2
Inv. 2803/76
Si conserva un frammento del piede. Vernice quasi piuttosto eva-nida. Piede troncoconico, con cavità centrale sul fondo.
Ceramica a vernice nera
30. Patera (fig. 21)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), depurata, friabile. Vernice nera matta, piuttosto sottile.
h. 1, 7; largh. 2, 6; ø o. 14, 4
Inv. 2803/80
Si conserva un frammento del labbro e della parete. Vernice in parte scrostata. Labbro basso, obliquo verso l’interno, orlo arrotondato, stacco netto tra la vasca e il labbro, vasca abbastanza profonda dalle pareti tese.
Assimilabile alla serie Morel 2283, è considerata un’evoluzione tipologica della serie 2244. Tipica della zona pestana, è documentata in diversi siti della Lucania in contesti che vanno dalla fine del IV sec. a.C. agli inizi del III sec. a.C. Cfr.: J.-P. Morel, Céramique campanienne, cit. supra, p. 161, tav. 44.
31. Coppa (fig. 21)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), depurata, friabile. Vernice nera matta, piuttosto sottile.
h. 2, 1; largh. 5, 8; ø o. 16
Inv. 2803/79
Si conserva un frammento del labbro e della parete. Vernice in parte scrostata. Labbro estroflesso dalla superficie superiore piatta inclinato verso il basso, orlo arrotondato e assottigliato, vasca abbastanza profonda dal profilo convesso. Cfr: cat. nr. 26. M. Cipriani, S. Nicola di Albanella. Scavo dì un santuario campestre nel territorio di Poseidonia-Paestum, Roma, 1989, p. 63, fig. 15, H 38 (secondo quarto del IV sec. a.C.).
Ceramica comune
32. Brocchetta (fig. 21)
Argilla grigio scuro (Munsell 5YR, 4/1), inclusi bianchi e rossi, friabile.
h. 1,8; largh. 3,2; ø o 8
Inv. 2803/85
Si conserva un frammento di orlo. Argilla malcotta. Orlo estro-flesso, arrotondato e assottigliato, collo dal profilo leggermente concavo.
33. Coppetta (fig. 21)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), inclusi micacei, bianchi e rossi. Ingobbio rossastro.
h. 1,2; largh. 3,7; ø o. 11
Inv. 2803/88
Si conserva un frammento di orlo e parete. Labbro estroflesso, dalla superficie superiore piatta con una piccola risega al centro, orlo arrotondato, vasca abbastanza profonda dal profilo convesso. Cfr.: S.L. Dyson, Cosa, cit. supra, p. 32, nr. 5, fig. 5.
Ceramica da cucina
34. Pentola (fig. 21)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/8), inclusi micacei, bianchi e neri di medie dimensioni.
h. 2; largh. 3; ø o. 19,2
Inv. 2803/84
Si conserva un frammento di labbro con inizio di parete. Labbro estroflesso con la superficie superiore piatta con una leggera risega centrale, orlo ingrossato ed arrotondato, fascia per l’alloggiamento del coperchio ben distinta, collo dal profilo concavo.
35. Pentola (fig. 21)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6), inclusi micacei, bianchi e rossi. Ingobbio rossastro.
h. 1,9; largh. 3,9
Inv. 2803/89
Fig. 21. Materiale archeologico del saggio 2800 – US 2802, US 2803, US 2806, US 2808
Si conserva un frammento di labbro con inizio di parete. Orlo piuttosto annerito. Labbro estroflesso con la superficie superiore piatta con una leggera risega centrale, orlo assottigliato ed arrotondato.
Cfr.: simile a M. Cipriani, F. Longo ed., Poseidonia e i Lucani, cit. nt. 24, p. 270, nr. 257, fig. p. 271.
Unguentari
36. Unguentario (fig. 21)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/8), inclusi micacei, friabile.
h. 1,6; largh. 1,8; ø p. 1,8
Inv. 2803/98
Si conserva un frammento del piede. Basso piede ad anello, con il profilo esterno convesso, fondo leggermente ombelicato. Cfr.: M. Cipriani, F. Longo ed., Poseidonia e i Lucani, cit. nt. 24, p. 231, nr. 174.21 (inizi del III sec. a. C.).
Elementi architettonici
37. Lastra architettonica (fig. 21)
Arenaria.
h. 5,4; largh. 8,3; spess. 5,2
h 5,4; largh. 5; spess. 1
Inv. 2803/110
Si conservano due frammenti del bordo. Bordo superiore piatto, seguito da una fila di baccellature aggettanti, lastra ribassala. Lato sinistro finito e lavorato allo stesso modo della lastra anteriore.
US 2804
Massicciata irregolare composta da piccole pietre calcare bianche, piuttosto compatta, orientata sud-ovest/nord-est, riconoscibile in diversi piccoli nuclei. Superficie leggermente ondulata, spessore regolare, grado di definizione del confine con l’US sottostante molto netto. È interpretabile come una sorta di piano realizzato per isolare la superficie calpestabile dall’umidità del terreno. Viene definito “piano indurito” e la presenza di pietre calcaree denota una cronologia non arcaica, dal momento che i piani induriti più antichi utilizzavano pietre di arenaria.
Quote rel.: –0,85/0,90 m (che corrisponde al livello del piano di posa del primo filare di fondazione dell’edificio).
US 2805
Blocco squadrato in calcare. Si tratta di un frammento dell’ultimo blocco orientale del secondo filare di fondazione del muro meridionale dell’edificio.
Quote rel.: –0,30 m
US 2806
Taglio semicircolare individuato lungo il margine orientale del muro meridionale. Il profilo superiore del taglio è piuttosto netto, le pareti oblique e il fondo quasi rettilineo.
Si tratta di un saggio di approfondimento realizzato per un controllo stratigrafico da parte di Paola Zancani Montuoro. Probabilmente aveva lo scopo di verificare l’esistenza di blocchi di fondazione che documentassero la continuazione del muro più ad est e di chiarire le caratteristiche della sua fondazione. Quote rel.: da –0,85 a –1,30 m
US 2807
Terreno di colore marrone chiaro, piuttosto friabile, dalla
superficie ondulata e dallo spessore irregolare. Al suo
interno sono stati ritrovate pietre, frammenti di tegole e
materiali piuttosto rimescolati. Il grado di definizione del
confine con l’US sottostante è netto.
Riempimento del saggio di verifica effettuato nel 1948.
Spess.: 0,40-0,45 m
Quote rel.: da –0,85 a –1,30 m
Ceramica a vernice nera
38. Coppetta concavo convessa (fig. 21)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), depurata, friabile. Vernice nera, matta, sottile.
h. 1,5; largh. 4,4; ø p. 4
Inv. 2807/113
Si conserva un frammento della vasca e del piede. Vernice quasi completamente scrostata. Vasca dal profilo convesso, piede ad anello appena accennato, fondo piatto.
Assimilabile alla serie Morel 2423 che costituisce l’evoluzione cronologica della serie 2321 ed è attestata a Paestum dalla metà dell’ultimo quarto del IV sec. a.C. È una serie tipica della Campania e del Sannio e viene datata genericamente alla metà ultimo quarto del III sec. a.C.
Cfr.: J.-P. Morel, Céramique campanienne, cit. supra, p. 168-169, tav. 49; A. Serritella, La ceramica a vernice nera, cit. supra, p. 75, nt. 27.
Anforacei
39. Anfora di tipo ionico-massaliota (fig. 21)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8).
Ingobbio color crema.
h. 5,3; largh. 10,1; ø o. 12
Inv. 2807/114
Si conserva un frammento del labbro e inizio del collo. Ingubbiatura annerita. Labbro estroflesso e molto ingrossato, collo cilindrico
Cfr.: G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, cit. supra, p. 258, nr. 6, fig. 438 (databile in base al contesto al 470-460 a.C., con bibliografia di riferimento).
Coroplastica
40. Statuetta
Argilla arancio scuro (Munsell 5YR, 5/8), piccoli inclusi micacei e neri, friabile.
h. 4,5; largh. 2
Inv. 2807/124
Si conserva un frammento del panneggio. Panneggio verticale dalle pieghe ampie e regolari.
US 2808
Taglio di forma semiellittica, posizionato all’interno e all’esterno dell’edificio in direzione nord-ovest/sud-est. Ha una lieve pendenza, la superficie superiore è piuttosto netta, le pareti poco oblique e il fondo concavo. Delinea un canale realizzato per il drenaggio dell’acqua. È in funzione della costruzione della struttura dal momento che taglia lo stesso strato US 2809 in cui è tagliata la trincea di fondazione dei muri dell’edificio e la cui superficie costituisce probabilmente il piano di calpestio al momento della costruzione.
Prof.: 0,30-0,35 m
Quote rel.: da –1,10/1,15 a –1,45 m
US 2808
Terreno marrone chiaro, giallino, piuttosto duro e compatto che riempie il canale US-2808. Superficie orizzontale, spessore irregolare, grado di definizione del confine con l’US sottostante netto. Sul fondo sono visibili tracce di colate d’acqua e sabbia.
I materiali sono rimescolati e si datano dalla fine V- inizio
del IV sec. a.C. all’inizio del III sec. a.C.
Spess.: 0,30-0,35 m
Quote rel.: da–1,10/1,15 a–1,45 m
Ceramica a vernice nera
41. Skyphos (fig. 21)
Argilla arancio (Munsell 5YR, 6/8), depurata, abbastanza dura. Vernice nera, lucida, spessa.
h. 2,1; largh. 5,7; ϕ p. 8,1
Inv. 2808/117
Si conserva un frammento del piede con inizio della vasca. Vernice in parte scrostata e ossidata. Basso piede a disco con la parte superiore e il punto d’appoggio leggermente concavi, vasca a profilo quasi teso. Parte esterna del piede e parte del fondo risparmiati.
È assimilabile alla serie Morel 4311, tipica produzione dell’Italia meridionale e della Sicilia derivata da modelli attici e riferibile agli skyphoi di tipo corinzio dal profilo ovoidale. Attestati a Paestum, i contesti di rinvenimento degli ultimi scavi sembrano collocarli dall’inizio del IV sec. a.C. e per tutta la prima metà del III sec. a.C. Lo studio condotto sulle analisi delle proporzioni fornisce interessanti indicazioni per la definizione dello sviluppo tipologico e permette di inserire gli esemplari ritrovati nel Santuario di Fiera alla foce del Sele, sulla base dei rapporti proporzionali, in un orizzonte cronologico che va dalla seconda metà del IV all’inizio del III sec. a.C.
Cfr.: B. A. Sparkes, L. Talcott, Black and plain pottery, cit., supra, p. 81-83, fig. 4, nr. 318-327, tavv. 14-15; E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum, II, cit. nt. 29, p. 146, fig. 69, nr. 330-333; A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte, cit. nt. 56, p. 419; G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, cit. supra, p. 129, nr. 1, fig. 248.
42. Lekythos (fig. 21)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), depurata, friabile. Vernice nera, opaca e sottile.
h. 5,7; largh. 3,9; ø o. 4
Inv. 2808/116
Si conservano due frammenti combacianti di bocchello e collo. Vernice in parte scrostata. Alta imboccatura a tromba, labbro leggermente estroflesso dalla superficie superiore piatta, aggettante verso l’interno, orlo arrotondato ed assottigliato, piccola risega tra l’imboccatura e il collo, alto collo cilindrico. Riconducibile alla specie Morel 5410, al cui interno la serie 5416 sembra avere le stesse proporzioni di alcune lekythoi pestane databili in base al contesto di provenienza dagli ultimi decenni del V sec. a.C. fino alla metà del IV sec. a.C. Cfr.: J.-P. Morel, Céramique campanienne, cit. supra, p. 359-362, tav. 167-169; simile a A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte, cit. nt. 56, p. 379, nr. 11, fig. p. 380 (datata in base al contesto intorno al 370/60 a.C.).
43. Vasetto miniaturistico (fig. 21)
Argilla arancio-rosata (Munsell 5YR, 7/6), depurata, friabile. Vernice nero-bruna, matta, sottile.
h. 1,4; ø p. 1,7
Inv. 2808/118
Si conserva il piede e l’inizio della vasca. Vernice quasi completamente scrostata. Piede ad anello dal profilo esterno convesso, fondo leggermente ombelicato.
Cfr.: A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte, cit. nt. 56, p. 345, nr. 8, fig. p. 346 (datato in base al contesto intorno al 300 a.C).
Coroplastica
44. Statuetta femminile (fig. 22)
Argilla arancio scuro (Munsell 5 YR, 5/8), inclusi micacei e piccolissimi inclusi bianchi
h. 3,5; largh. 3,1; Inv. 2808/119
Si conserva il volto dalla fronte al mento, privo di capigliatura e di parte posteriore. Naso sbrecciato. Volto paffuto, sopracciglia distinte, alta fronte, labbra piene, mento rotondo. Cfr.:M. Cipriani, “Le terrecotte figurate”, in H. Fracchia, M. Gualtieri, Roccagloriosa I: l’abitato, scavo e ricognizione topografica (1976-1986), Napoli, 1990, p. 196, n.512; A. D’Ambrosio, M. Borriello, Terrecotte figurate di Pompei. Roma, 1990, p. 77-78, tav. 31.201; E. Greco, A. Pontrandolfo, “Capodifiume”, in M. Cipriani, F Longo, Poseidonia e i Lucani. I Greci in Occidente. Napoli, p. 238, n. 176.6; R. Miller Ammerman, The sanctuary, op. cit. p. 299, pl. LXXX, n.294-596 (seconda metà del IV sec. a.C).
Fig. 22. Statuetta feminile dell’US 2808
45. Figura di animale
Argilla arancio scuro (Munsell 5YR, 5/8), inclusi micacei e piccolissimi inclusi bianchi.
h. 2,5; largh. 3,8
Inv. 2808/122
Si conserva un frammento pertinente probabilmente ad un corno di ariete.
US 2809
Terreno grigio scuro, compatto e piuttosto umido. Presenta una superficie regolare.
È lo strato in cui è stata tagliata la trincea di fondazione dei muri del c.d. thesauros e la fossa del canale US-2808 e la cui superficie costituiva probabilmente il piano di calpestio al momento della costruzione del c.d. thesauros. Quote rel.: da –1,10/1,15 m
US 2901
Strato di terreno marrone scuro piuttosto friabile. Superficie con una lieve pendenza da ovest a est, spessore irregolare. Il grado di definizione del confine con l’US
sottostante è abbastanza netto.
Contiene frammenti ceramici molto rimescolati databili dalla fine del VI alla fine del IV sec. a.C. US-2901= US-2801. Spess.: 0,10-0,20 m
Quote rel.: da –0,60/0,70 a –0,80/0,90 m
Ceramica a vernice nera
46. Coppa Bloesch C (fig. 23)
Argilla beige-rosata (Munsell 7.5YR, 8/4), depurata, friabile.Vernice nera uniforme, spessa, lucida. h. 1,7; largh. 3,2 Inv. 2901/1 e 2
Si conservano due frammenti combaciami del labbro. Labbro estroflesso, distinto, orlo arrotondato. Riconducibile tra le coppe Bloesch C al tipo “concave lip” dell’Agora di Atene databili tra la fine del VI sec. a.C. e i primi decenni di quello successivo.
Cfr.: B. A. Sparkes, L. Talcott, Black and plain pottery, cit. supra, part. 1, p. 91-92 e 263-264, nr. 398-413; part. 2, tav. 20, fig. 4, nr. 398-413; E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum, III, cit. nt. 50, p. 122, nr. 778, fig. 89 (500-480 a.C).
47. Patera (fig. 23)
Argilla beige-rosata (Munsell 7.5YR, 8/4), depurata, friabile. Vernice nera sottile, opaca.
h. 1,5; largh. 3,3; ø 0. 12
Inv. 2901/5
Si conserva un frammento di labbro e parete. Vernice in parte scrostata. Labbro basso leggermente estroflesso, orlo arrotondato ed assottigliato, vasca abbastanza profonda a parete tesa.
Cfr.: cat. nr. 30.
Ceramica comune
48. Coperchio (fig. 23)
Argilla arancio chiaro (Munsell 5YR, 7/8), inclusi micacei, friabile.
h. 2,6; largh. 2,5; ø 10,6
Inv. 2901/10
Si conserva un frammento del punto d’appoggio e della parete. Parete piuttosto tesa, punto d’appoggio quasi piatto, leggermente inclinato verso l’alto, risega interna.
Cfr.: simile a S.L. Dyson, Cosa, cit. supra, p. 100, nr. 92, fig. 35.
Distanziatore di fornace
49. Distanziatore (fig. 23)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6), inclusi micacei, piccoli inclusi bianchi e neri, friabile.
h. 2,8; largh. 5,5; ø p. 9,8
Inv. 2901/12
Si conserva un frammento di fondo.
Parete dal profilo concavo, piede ad anello appena accennato dal profilo convesso, fondo piatto.
Coroplastica
50. Statuetta femminile
Argilla arancio scuro (Munsell 5YR, 5/8), inclusi micacei, bianchi
e neri di piccole dimensioni, rossi di dimensioni più grandi. A matrice.
h. 4,8; largh. 3
Inv. 2901/14
Si conserva un frammento della parte sinistra del volto, sono visibili l’occhio sinistro e parte della guancia corrispondente. Piuttosto scheggiata. Acconciatura con scriminatura centrale, cercine liscio.
51. Statuetta femminile
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), piccoli inclusi micacei, bianchi e neri.
Ingobbio color arancio. A matrice.
h. 3,8; largh. 2,4
Inv. 2901/6
Si conserva un frammento del lato sinistro. Matrice piuttosto stanca. Statuetta femminile avvolta nell’himation, braccio sinistro piegato, mano appoggiata sul fianco.
Cfr.: simile a M. Cipriani, F. Longo ed., Poseidonia e i Lucani, cit. nt. 24, p. 239, nr. 176.11.
US 2902
Strato di terreno giallastro piuttosto compatto e duro, misto a pietrame. Piuttosto uniforme, ha una superficie orizzontale e uno spessore regolare. Il grado di definizione del confine con l’US sottostante è molto netto. Si identifica come un piano di preparazione e sottopavimentazione della struttura.
Il fondo dello strato corrisponde al livello del piano di posa del primo filare di fondazione del muro sud e il terreno non presenta né sabbia, né traccia di spoliazione di blocchi, il che fa escludere che ci sia stato un muro trasversale.
US 2902 = US 2803
Spess.: 0,20 m
Quote rel.: da –0,80/0,90 a–1,00/1,10 m
Ceramica da cucina
52. Pentola (fig. 23)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), inclusi micacei, piccoli inclusi bianchi e neri, friabile.
h. 4; largh. 4,9; ø o. 25
Inv. 2902/27
Si conserva parte dell’orlo e della parete.
Labbro estroflesso, con una piccola risega sulla superficie superiore piatta, orlo arrotondato dal profilo esterno convesso, vasca abbastanza profonda, pareti tese.
Anforacei
53. Anfora (fig. 23)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), inclusi micacei, piccoli inclusi bianchi e neri.
h. 3; largh. 3,6; ø o. 18,6
Inv. 2902/26
Si conserva un frammento dell’orlo e della parete. Labbro estro-flesso dal profilo interno concavo, orlo ingrossato ed arrotondato dal profilo esterno convesso, collo dalle pareti quasi verticali.
Cfr.: G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, cit. supra, p. 152, nr. 33, fig. 261 (fine Ili-inizi II sec. a.C.).
US 2903
Terreno grigio scuro, piuttosto compatto, duro e umido.
La superficie è regolare.
US 2903 = US 2809
Quote rel.: da –1,10/1,15 m
Anforacei
54. Anfora (fig. 23)
Argilla arancio scuro (Munsell 2.5YR, 6/8), inclusi micacei, piccoli inclusi bianchi, neri e rossi.
h. 5; largh. 8; ø o. 13,2
Fig. 23. Materiale del saggio 2900 – US 2901, US 2902, US 2903, e del saggio 5300 – US 5305, US 5307, US 5309
Inv. 2903/35
Si conserva un frammento dell’orlo con il collo e l’attacco dell’ansa.
Labbro distinto a sezione triangolare, con superficie superiore piatta, inclinata verso l’esterno, orlo arrotondato, collo cilindrico, ansa a nastro impostata subito sotto l’attacco del labbro a sezione ovale.
Cfr.: simile a E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum II, cit. nt. 29, p. 115, nr. 167 e 168, fig. 66 (fine IV-inizi III sec. a.C., con ampia bibliografia di riferimento); G. Greco, A. Pontrandolfo ed., Fratte, cit. supra, p. 45, nr. 39, fig. 36 e p. 152, nr. 32, fig. 261 (fine IV-inizi III sec. a.C.).
US 2904
Taglio di forma semiellittica posizionato all’interno dell’edificio in direzione nord-ovest/sud-est, lievemente pendente verso sud-ovest. La superficie superiore è piuttosto netta, le pareti poco oblique e il fondo concavo. È la continuazione del canale individuato nel saggio 2800 e definito US-2808.
Prof.: 0,30-0,35 m
Quote rel.: da –1,10/1,15 a –1,45 m
US 2904
Strato di terreno marrone chiaro giallino, piuttosto duro e compatto che riempie il canale US-2904. Superfìcie orizzontale, spessore irregolare, grado di definizione del confine con l’US sottostante netto. Sul fondo sono visibili sabbia, brecciolino e tracce di calcare. I materiali ritrovati al suo interno abbracciano un periodo cronologico che giunge alla seconda metà del IV sec. a.C.; rappresenta quindi il terminus post quem che permette di datare il canale a dopo la metà del IV sec. a.C. e consente così di datare la struttura ad un momento successivo.
US-2804 = US-2808; Spess.: 0,30-0,35 m
Quote rel.: da –1,10/1,15 a –1,45 m
Saggio 5300
Posizionato sul prolungamento ideale del muro nord del c.d. thesauros verso est a m 0,38 dal margine orientale dell’ultimo blocco del secondo filare.
È stato impiantato per verificare uno dei problemi fondamentali della ricostruzione del c.d. thesauros proposta da Krauss ovvero la collocazione del rocchio di colonna individuato sul prolungamento del muro settentrionale dell’edificio e considerato in situ.
I risultati di questo saggio evidenziano con chiarezza che il rocchio di colonna (US-5302) non è in situ, poggia su un terreno molto mosso, friabile (US-5305), non ha alcuna fondazione né imposta ed è a una quota più bassa rispetto all’euthynteria dell’edificio.
In asse è stato riconosciuto e rilevato un frammento di sima a testa leonina pertinente alla decorazione architettonica del Tempio di Hera ed un piccolo frammento di capitello con abaco di tipo arcaico (US-5304). Dunque tutto materiale di reimpiego, in trasporto o spoliazione, ma probabilmente non legato alla fisionomia e vita dell’edificio.
Dimensioni: 6,10 x 1,50 m
Quota assoluta: 1,81 m
Quota rel.: da –0,0 a –0,47 m
US 5301
Strato di terreno marrone scuro, piuttosto friabile. Superficie orizzontale, spessore irregolare, grado di definizione del confine con l’US sottostante piuttosto netto. Attuale piano di campagna, formatosi dopo gli scavi della Zancani.
Spess.: 0,15 m
Quote rel.: da –0,65/0,75 a –0,80/0,90 m
US 5302
Frammento di rocchio di colonna in arenaria. La parte superiore è piuttosto frammentaria.
È posizionato sul prolungamento del muro nord del thesauros a 4,32 m circa dal blocco più orientale del secondo filare di fondazione.
Quote rel.: da –0,38 a –0,70 m
US 5303
Frammenti di arenaria gialla individuati ad ovest del rocchio di colonna.
US 5304
Capitello in arenaria
È posizionato a 0,32 m ad est dell’ultimo blocco orientale del secondo filare di fondazione del muro nord dell’edificio.
US 5305
Strato di terreno giallognolo, piuttosto compatto e duro. Superficie orizzontale, spessore regolare, grado di definizione del confine con l’US sottostante abbastanza netto. Probabilmente, la sua superficie rappresenta il livello raggiunto dopo le campagne di scavo dal 1934 al 1937.
Spess.: 0,10-0,15 m
Quote rel.: da –0,14 m
Ceramica a vernice nera
55. Coppetta (fig. 23)
Argilla nocciola chiaro (Munsell 7.5YR, 7/4), inclusi micacei e bianchi.
Vernice nera, matta, sottile.
h. 2,2; largh. 3; ø o. 11,5
Inv. 5305/1
Si conserva un frammento dell’orlo e della vasca; vernice quasi completamente scrostata. Orlo assottigliato, arrotondato, con profilo leggermente obliquo verso l’interno e distinto dalla vasca, vasca a profilo convesso.
US 5306
Fossa circolare che circonda il rocchio di colonna 5302. La superficie superiore è poco netta, le pareti sono oblique e il fondo è rettilineo.
Probabilmente questo taglio è stato realizzato dopo gli scavi Zancani, in quanto ha tagliato anche strati successivi a quelle indagini archeologiche.
Quote rel.: da –0,00 a –0,45 m
US 5306
Strato di terreno marrone scuro, molto friabile, dalla
superficie orizzontale e dallo spessore irregolare. Il grado di definizione del confine con l’US sottostante è netto. Riempimento relativo alla fossa US 5306 scavata intorno al rocchio di colonna.
Spess.: 0,45 m
Quote rel.: da –0,00 a –0,45 m
US 5307
Strato di terreno marrone scuro grigiastro, piuttosto compatto ed argilloso. La superficie è orizzontale, lo spessore regolare.
Costituisce il livello preesistente la fondazione dell’edificio.
Spess.: 0,15 m
Quote rel.: da –0,30 a –0,47 m
Ceramica a vernice nera
56. Skyphos (fig. 23)
Argilla arancio-rosata (Munsell 7.5YR, 7/6), depurata, friabile. Vernice nera, matta, sottile.
h. l,4; largh. 2,3; ø p. 11
Inv. 5307/6
Si conserva un frammento del piede con inizio della vasca. Vernice quasi completamente scrostata. Largo piede ad anello dal profilo superiore concavo e da quello laterale convesso. Parte finale del piede e fondo risparmiati.
57. Forma aperta (fig. 23)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), depurata, friabile. Vernice nera matta, sottile.
h. 1,4; largh. 2,3
Inv. 5307/5
Si conserva un frammento del piede. Vernice molto scrostata. Piede ad anello modanato, fondo quasi piatto.
US 5308
Strato di terreno scuro nerastro con macchie gialle, piuttosto friabile. Superficie orizzontale, spessore regolare, distinzione con l’US sottostante netta. Probabilmente si tratta di un terreno riportato successivamente alle campagne di scavo degli anni 1934-59.
Spess.: 0,30 m
Quote rel.: da –0,14 a –0,40 m
US 5309
Strato di terreno marrone chiaro giallastro, piuttosto compatto e duro, con minute scaglie di calcare. Corrisponde probabilmente al piano originario su cui poggiavano sia il capitello US-5304 che il rocchio di colonna US-5302.
Spess.: 0,30 m
Quote rel.: da –0,14 a –0,47 m
Ceramica da mensa
58. Olletta (fig. 23)
Argilla nocciola-arancio (Munsell 7.5YR, 6/6), inclusi micacei e bianchi.
h. 1,7; largh. 3,3; ø o. 14
Inv. 5309/10
Si conserva un frammento del labbro e del collo. Labbro estro-flesso, con la superficie superiore piatta, orlo arrotondato dal profilo esterno convesso, collo dal profilo leggermente convesso.
Fig. 24. Sezione ricostruttiva del saggio 2800-2900 nel cosidetto thesauros
Notes de bas de page
1 D. Barra et alii, “Holocene paleoenvironments and Magna Grecia settlements at the mouth of the river Sele (Campania, southern Italy)”, in Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Basin, I International Congress, Catania, 1995, p. 1459-1466.
2 M. Mariotti Lippi, “Il giardino di Hera”, in Il Museo Narrante di Hera Argiva alla Foce del Sele, a cura di G. Greco e B. Ferrara. Salerno, 2002, p. 15.
3 C. Jacob, “Paysage et bois sacré : alsos dans la Périègèse de la Grèce de Pausanias”, in Les bois sacrés, Actes du Colloque International, Napoli 23-25 novembre 1989, Napoli, 1993 (Collection du Centre Jean Bérard, 10), p. 31-44 ; M. Venturi Ferriolo, Nel grembo della vita. Le origini dell'idea di giardino, Milano, 1989.
4 G. Tocco Sciarelli, “Heraion di foce Sele : nuove prospettive di ricerca”, in Momenti dì Storia Salernitana nell'antichità, Atti del convegno Associazione italiana di cultura classica (AICC), Salerno 1988, Napoli, 1989, p. 40 sg. ; E. Greco, “Porti della Magna Grecia.Topografia e Storia”, in E Prontera ed., La Magna Grecia ed il mare. Studi di storia marittima, Taranto, 1996, p. 175-188.
5 J. Delezir, M. Guy, “Les conditions géographiques du site et du terroir de Paestum étudiés d'après des images de satellites”, in Poseidonia-Paestum, Atti XXVII Convegno CSMG, Taranto-Paestum 9-15 ottobre 1987, Napoli, 1988, p. 463-471 ; E. Greco, “La città ed il territorio : i problemi di storia topografica”, ibidem, p. 471-501.
6 W. Potscher, Hera. Eine Strykturanalyse im Vergleich mit Athena, Darmstadt, 1987.
7 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion alla Foce del Sele, I, II, Roma, 1951-1954.
8 Da ultimo, C. Marconi, Selinunte, Le metope dell'Heraion, Modena, 1999.
9 H. Kahler, Das Griechische Metopenbild, München, 1949 ; G. Szeliga, “The composition of the Argo Metopes from the Monopteros at Delphi”, AJA, 90, 1986, p. 297-305.
10 F. Krauss, “L'architettura”, in P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 13 sg.
11 W.B. Dinsmoor The Architecture of Ancient Greece, London, 1950, p. 85 ; G. Gullini, “Urbanistica ed Architettura”, in AA.VV., Megale Hellas. Storia e civiltà della Magna Grecia, Milano, 1983, p. 207-328.
12 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, “Capaccio. Heraion alla foce del Sele (Relazione preliminare)”, NSA, 1937, p. 206-354.
13 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 47.
14 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 49.
15 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 52.
16 S. Stucchi, “Nota introduttiva sulle correzioni ottiche nell'arte greca fino a Mirone”, ASAA, 14-16, 1952-1954, p. 44, nt. 4.
17 M. Napoli, Le metope arcaiche del thesauros dell'Heraion del Sele, Bari, 1963.
18 P. Zancani Montuoro, “L'edificio quadrato nello Heraion alla foce del Sele”, in ASMG, 6-7, 1965-1966, p. 23-195.
19 Una sintesi esaustiva in C. Conti, Il più antico fregio dallo Heraion alla foce del Sele. Scultura architettonica e comunicazione visiva, Torino, 1994.
20 F. Van Keuren, The Frieze from the Hera I Temple at Foce del Sele, Roma, 1989.
21 K. Junker, Der altere Tempel im Heraion am Sele. Verzierte Metopen im arkitektonische Kontext, Koln, 1993.
22 D. Mertens, Der Alte Heratempel in Paestum und die Archaische Baukunst in Unteritalien, Mainz am Rhein, 1993, p. 93 sg.
23 J. De La Genière, G. Greco, “Note sur le sanctuaire de Hera au Sele”, CRAI, 1994, p. 305-314 ; eaedem, “Beaucoup de questions et quelques réponses au sanctuaire de Hera à Foce du Sele“, in I Culti della Campania antica, Atti Convegno Internazionale in ricordo di Nazarena Valenza Mele, CSMG, Roma, 1998, p. 37-44 ; eadem, “Riflessioni intorno al c.d. Thesauros nel santuario di Hera alla foce del Sele”, in L'incidenza dell'antico, Studi in memoria di Ettore Lepore, 3, Napoli, 1996, p. 455-467.
24 R. Donnarumma, “Il saggio 7100”, in M. Cipriani, F. Longo ed., I Greci in Occidente. Poseidonia ed i Lucani, Napoli, 1996, p. 227-229.
25 Cfr. nt. 14.
26 M. Dewailly, “L'Heraion de Foce del Sele : quelques aspects du culte d'Héra à l'époque hellénistique d'après les terres cuites”, in J. de La Genière éd., Héra. Images, espaces, cultes, Actes du colloque international, Lille 29-30 novembre 1993, Napoli, 1997 (Collection du Centre Jean Bérard, 15), p. 201-210.
27 E. Greco, “La città e il territorio”, cit. nt. 5, p. 495-496.
28 G. Greco, “La ripresa delle indagini allo Heraion di Foce Sele”, ASMG, ser. 3, 1992, p. 248-249.
29 E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum, I, La curia, Roma, 1980 (Coll. EFR, 42), p. 22 sg. ; id., Poseidonia-Paestum, II, L'agorà, Roma, 1983 (Coli. EFR, 42), p. 83 sg.
30 M. Torelli, “Aspetti ideologici della colonizzazione romana più antica”, DArch, 1988, 2, p. 65-72.
31 Cfr. nt. 18, p.31.
32 G. Greco, “Des étoffes pour Héra”, in J. de La Genière éd., Héra, cit. nt. 26, p. 185-199.
33 E. Greco, in E. Greco, D. Theodorescu, Posiedonia-Paestum, II, cit. nt. 29, p. 83-84.
34 F. Krauss, “L'architettura”, in P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, I, cit. nt. 7, p. 84-100 ; per le sime a testa leonina, relative ad un probabile restauro di età lucana, cfr. M. Mertens Horn, Die Löwenkopf-Wasserspeier des griechischen Westens im 6. und 5. Jahrhundert v.Chr. im Vergleich mit den Löwen des griechischen Mutterlandes, Mainz, 1988 (MDAI(R) Ergänzungshefte, 28), p. 124 sg.
35 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, “Capaccio”, cit. nt. 12, p. 206-354.
36 A. Fridh, “Sacellum, Sacrarium, Fanum, and Related Terms”, in Greek and Latin Studies in memory of Cajus Fabricius (Studia Graeca et Latina Gothoburgensia, 54), Goteborg, 1990, p. 173-187 ; F. Coarelli, I santuari del Lazio in età repubblicana, Roma, 1987.
37 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, “Capaccio”, cit. nt. 12.
38 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 57.
39 F. Krauss, in P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraìon, II, cit. nt. 7, p. 17, fig. 2.
40 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 48.
41 D. Doepner, “Steine und Pfeiler für die Götter”, in Palilia, 10, 2002, p. 83-103.
42 D. Mertens, “Note sull'architettura di Poseidonia-Paestum. Problemi e stato della ricerca”, in Poseidonia-Paestum, cit. nt. 5, p. 567-573.
43 G. Greco, J. De La Genière, “L'Heraion alla foce del Sele : continuità e trasformazioni dall'età greca all'età lucana”, in M. Cipriani, F. Longo ed., Poseidonia ed i Lucani, cit. nt. 24, p. 223-232.
44 M. Dewailly, “L'Heraion de Foce”, cit. nt. 26, p. 201-210 ; B. Ferrara, La ceramica a vernice nera dall'Heraion alla foce del Sele (Tesi di dottorato), Napoli, 2001.
45 M. Torelli, Paestum Romana (Quaderni della Soprintendenza Archeologica di Salerno), Roma, 1999, p. 64 sg.
46 J. De La Genière, intervento in questa stessa sede.
47 P. Zancani Montuoro, “L'edificio quadrato”, cit. nt. 18, p. 23-195.
48 P. Zancani Montuoro, “Altre metope del “Primo Thesauros””, ASMG, n.s., 5, 1964, p. 57-95.
49 P. Zancani Montuoro, “Piccola statua di Hera”, in Festschrift E. von Mercklin, Waldassen, 1964, p.174-178.
50 E. Greco, D. Theodorescu, Poseidonia-Paestum, III, Forum Nord, Roma, 1987, p. 63-67 ; D. Theodorescu, “Elements d'urbanisme et de topographie. Etat actuel et prespectives”, in Poseidonia-Paestum, cit. nt. 5, p. 535.
51 G. Greco, “Kosmos Thes Theou”, in S. Cerasuolo ed., Mathesis e philia, Studi in onore di Marcello Gigante, Napoli, 1995, p. 87-106 ; eadem, “Des étoffes pour Héra”, cit. nt. 32, p. 185-199.
52 E. Greco, “Edifici quadrati”, in L'incidenza dell'antico, Studi in memoria di E. Lepore, Napoli, 1996, p. 263-282.
53 M. Cipriani, F. Longo ed, Poseidonia ed i Lucani, cit. nt. 24.
54 H. Schläger, in P. Zancani Montuoro, “L'edificio quadrato”, cit. nt. 18, p. 55.
55 P. Zancani Montuoro, “L'edificio quadrato”, cit. nt. 18, p. 23-195.
56 A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Le tombe dipinte di Paestum, Modena, 1992, p. 434.
57 M. Gualtieri, “Rituale funerario di un'aristocrazia lucana”, in M. Tagliente ed., Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti e strutture, Venosa, 1990 (Leukania 3), p. 161-213.
58 P. Criscuolo, I vasi ad anello dall'Heraion alla foce del Sele (in corso di stampa).
59 P. Zancani Montuoro, “L'edificio quadrato”, cit. nt. 18, p. 160, nr. 1, tav. A ; P. Guzzo, Oreficerie della Magna Grecia, Taranto, 1993, p. 70, nr. III a.1.
60 M. Torelli, Lavinio e Roma. Riti iniziatici e matrimonio tra archeologia e storia, Roma, 1984, p. 26 sg.
61 M. Cristofani, M. Martelli, Loro degli Etruschi, Novara, 1983.
62 M. Torelli, Lavinio e Roma, cit. nt. 60, p. 23.
63 G. Greco, L'evidenza archeologica nel Lagonegrese, Matera, 1991, p. 56.
64 P. Mingazzini, “Sull'uso e sullo scopo dei pesi da telaio”, RAL, 29, ser. 8, 1974, p. 201-220.
65 J.-M. Moret, “Circé tisseuse sur les vases du Cabirion”, RA, 1991, 2, p. 227-257.
66 E. Greco, cit., p. 271 sg.
67 G. Greco, “Des étoffes pour Héra”, cit. nt. 32, p. 194 sg.
68 D. Ohly, “Die Gottin und ihre basis”, MDAI(R), 68, 1953, p. 25-50.
69 Paus. 6, 24, 10.
70 Paus. 3, 16, 2.
71 A. Brelich, Paides e Parthenoi, Roma, 1969.
72 G. Greco, “Des étoffes pour Héra”, cit. nt. 32, p. 196-197.
73 A. Mele, “Il pitagorismo e le popolazioni elleniche”, AION, 3, 1991, p. 61-96.
74 A. Mele, “Rites d'initiation et processus de libération : le cas des Brettii”, in Religion et anthropologie de l'esclavage et des formes de dépendances, Actes XX Colloque GIREA, Besançon 1993, Paris, 1994, p. 37-58.
75 Nel 1934 viene effettuata la prima campagna di scavo con l'individuazione del perimetro dell'edificio ; nel 1934-35 viene portato avanti uno scavo estensivo all'interno dell'edificio fino al livello del piano di posa del primo filare di fondazione (P Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, I-II, cit. nt. 7 ; P Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Capaccio, cit. nt. 12, p. 217, 232, 263, nr. 320-322, 331). Durante il terzo intervento, nel 1948, vengono impiantati dei saggi di verifica negli angoli interni ed esterni sud-ovest e nord-ovest e all'estremità est del muro sud (P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 13 e sg.) ed, infine, nel 1964, con delle trincee lungo i lati interno ed esterno dei muri settentrionale e meridionale e con dei saggi sul fronte ovest ed est vengono condotte le ultime indagini relative al c.d. thesauros (P. Zancani Montuoro, “Altre Metope”, cit. nt. 48, p. 57-108).
76 P. Zancani Montuoro, U. Zanotti Bianco, Heraion, II, cit. nt. 7, p. 12-45, tav. II-IV.
77 F Van Keuren, The Frieze from the Hera I Tempie at Foce del Sele, Roma, 1989.
78 Le misure degli oggetti sono sempre espresse in centimetri.
Auteur
Università degli studi Federico II, Napoli
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