Le ossa animali nei santuari: per un’archeologia del sacrificio
p. 85-96
Texte intégral
1L’archeologia dei santuari può apportare molto alla conoscenza delle religioni del mondo romano, a partire dal momento in cui se ne definiscono chiaramente le prospettive1. La ricostruzione delle pratiche religiose in un determinato santuario e nel luogo di culto all’interno di una comunità dipende tanto dalla qualità delle informazioni che si possono recuperare, quanto dai criteri di indagine utilizzati per l’interpretazione dei dati. Gli aspetti su cui si può porre l’attenzione sono infatti molteplici:
1.l’organizzazione architettonica del santuario (tempio, galleria, portico, edifici cultuali annessi, muro di recinzione etc.) e la sua evoluzione nel tempo, così come le implicazioni liturgiche connesse con la rappresentazione degli spazi,
la collocazione e l’interpretazione degli arredi cultuali (statue ed immagini cultuali, altare, tavole per le offerte, bacini lustrali, cucine, sale per banchetti, cassette per le offerte, thesauroi etc.),
il procedimento liturgico legato al funzionamento del santuario. In questo modo si comprendono gli spazi interni al santuario così come l’insieme delle zone esterne al recinto sacro e direttamente associate al luogo di culto e al suo funzionamento: strutture urbane come il teatro o le terme, aree di produzione come le officine e botteghe, le aree di scarico o di raccolta legate alla celebrazione del culto,
il riconoscimento delle pratiche religiose (distribuzione ed identificazione delle vestigia del culto dentro e fuori dal recinto sacro, offerte varie, statue, statuette, lucerne, monete, ossa animali, resti vegetali etc.).
2Riconosciamo che la maggior parte degli studi operati sui santuari ha permesso di ampliare le osservazioni relative soprattutto al primo campo di indagine. Non esiste pubblicazione di un sito religioso senza uno studio preciso dell’architettura del santuario, molto spesso con un’attenzione particolare riservata al tempio della divinità tutelare e ai suoi restauri successivi. Un altro campo di indagine generalmente ben documentato riguarda i materiali rinvenuti, iscrizioni o offerte di ogni tipo che forniscono informazioni sulle pratiche cultuali che si svolgevano nei santuari. A questo materiale si aggiungono da poco tempo, grazie allo sviluppo delle scienze ambientali, i resti faunistici e vegetali che possono completare l’insieme delle informazioni relative al funzionamento stesso degli spazi sacri così come al contenuto dei culti2. L’apporto di questi dati non è trascurabile poiché il contesto delle religioni antiche è quello di un sistema religioso ritualistico, cioè di credenze fondate su gesti e pratiche tra le quali l’atto essenziale era il sacrificio che costituiva il momento principale dell’attività religiosa degli uomini e delle comunità3. Sul sacrificio e l’imprescindibile banchetto sacro, ad esso legato, i testi sono in generale poco loquaci e costringono, de facto, a prendere in considerazione le vestigia rituali, che potrebbero aver lasciato delle tracce all’interno dei santuari. In primo luogo, ci sono i resti vegetali che permettono di riflettere sulla questione delle offerte vegetali, frutta, cereali, focacce, pane, etc, ma questi resti rinvenuti carbonizzati o mineralizzati necessitano di condizioni di conservazione particolari4. Meno legate allo stato di conservazione sono le ossa animali spesso ritrovate in grandi quantità all’interno dei santuari che permettono di investigare sui sacrifici cruenti e sui riti alimentari ad essi legati, insomma sul contenuto del culto stesso5.
3Lo studio dei santuari non può dunque trascurare questo tipo di resti, necessità confermata dai numerosi studi recenti che comprendono anche un capitolo sulla fauna, ma non ci dobbiamo ingannare sugli obiettivi. L’analisi delle ossa animali offre dei nuovi dati ed invita ad esplorare un ambito finora poco sfruttato dagli archeologi classici, è innegabile. Non bisogna tuttavia aspettarsi troppo dall’osservazione di tali resti. Nello stesso modo in cui un ex-voto in terracotta non ci informa direttamente sul culto della divinità onorata, il semplice riconoscimento delle ossa animali non ci autorizza a parlare automaticamente di sacrificio e di rituali soltanto basandosi sul contesto religioso di ritrovamento. Questa tendenza è percettibile in alcune pubblicazioni recenti che, affidandosi ai luoghi di rinvenimento degli insiemi ossei, enumerano gli animali del sacrificio, peraltro invariabilmente le tre specie domestiche: bovini, ovini, suini. Scorciatoie illecite senza contesto, poiché lo studio dei resti animali deve rispettare un metodo preciso che tenga conto di una serie di parametri essenziali:
il contesto stratigrafico di rinvenimento: è evidente che ossa di origine sconosciuta provenienti da terreno di riporto non hanno lo stesso valore di ossa provenienti da uno scarico del fuoco sacro o da una fossa contenente oggetti rituali,
la presenza di un arredo specifico associato alle ossa; ceramica con funzione cultuale, statuette di divinità, ex-voto anatomici etc.,
i criteri tafonomici: stato di consunzione e di frammentazione delle ossa, presenza di giunture anatomiche, qualità del prelevamento (a vista, al setaccio), affidabilità del campione considerato etc.
4Ed è solo quando questi parametri diversi sono integrati ad una discussione metodica che le conclusioni dedotte dall’esame delle ossa animali sono in grado di orientare la riflessione verso il sacrificio e le pratiche rituali6. In altre parole, l’analisi archeozoologica non basta a sé stessa, ma deve bensì accompagnare lo studio archeologico e storico di un santuario7. Più che di un semplice riconoscimento delle ossa animali, fatto in laboratorio e relegato alla fine della pubblicazione, si tratta di cercare nei diversi livelli le vestigia rituali grazie all’utilizzo di un metodo interdisciplinare che unisca l’archeozoologia alle discipline tradizionali. Senza dimenticare che il metodo è una cosa e la consistenza dell’insieme studiato è un’altra cosa. Infatti è ben chiaro che i vari accertamenti ai quali rivolgiamo lo studio delle ossa animali non hanno valore se il campione è insufficiente. Ad esempio, i risultati ottenuti a Uley poggiano su un insieme di ossa composto da 200.000 esemplari raccolti su un sito completamente scavato. Un numero ridotto di ossa provenienti da uno scavo localizzato o da sondaggi non ha evidentemente lo stesso interesse. A Pietrabbondante, sono 400 le ossa studiate, provenienti da uno scavo limitato8. Tali quantità non hanno che un valore indicativo sulla presenza di specie in un contesto sacro (ma manca ancora un accordo sulla loro provenienza esatta, reimpiego, deposito, altro?) e non permettono di identificare in maniera chiara criteri di selezione per gli animali usati nel sacrificio. Che dire infine delle 29 ossa studiate nel santuario di Gravetta se non che non permettono di avanzare alcuna conclusione9? La qualità delle modalità di raccolta delle ossa è un altro criterio che può rivelarsi fondamentale in molti casi. La setacciatura sistematica del riempimento di una fossa scavata dentro un edificio di Arras-Nemetacum (Gallia Belga) inizialmente identificato come santuario di Attis-Cybele, ha permesso di raccogliere 8290 ossa su un totale di 10300. L’82% dei frammenti ossei, di cui la quasi totalità appartenenti a pesci, sarebbe stata perduta senza setacciatura (a maglia di 0,5-2 mm), cosa che ha modificato completamente la conoscenza di questo fenomeno. Ora, il mettere in evidenza resti di pasti ha giocato un ruolo fondamentale nella reinterpretazione del sito oggi identificato come sede di un collegio10 (fig. 1). L’esperienza ha ugualmente dimostrato che la presenza di un archeozoologo sullo scavo è essenziale11, permettendo di mettere in atto una strategia adatta al mettere in evidenza resti rituali. Prendere in considerazione recenti ricerche riguardanti soprattutto l’Italia romana e le province nord-occidentali (Gallia, Germania, Bretagna) permette di apprezzare l’apporto di tali procedimenti nell’ambito dello studio dei fenomeni religiosi.
5La prima tappa del sacrificio consisteva nella scelta delle vittime che era sottomessa alla probatio delle autorità della città, magistrati e sacerdoti. Costoro decretavano una selezione precisa degli animali votati al sacrificio, tenendo conto di prescrizioni rituali e della salute degli animali12. Quali erano i criteri di scelta? Ecco per esempio la lista degli animali destinati ai sacrifici espiatori celebrati presso Roma, nel santuario della Dea Dia nel 224 d.C.: due vacche per Dea Dia, due arieti per Giano e Marte Ultore, due montoni per Giove, due pecore per la Giunone di Dea Dia, due montoni neri al venerabile Summanus, un toro al Genio di Alessandro Severo Augusto, venti montoni per i venti Divi etc. Ecco ancora l’esempio di un sacrificio celebrato a Marecos, in Lusitania, in un contesto privato di ambito rurale. Erano previsti sull’altare una vacca ed un bue per Nabia Corona - evidentemente la divinità principale del santuario - un agnello per Nabia, un agnello ed un bue non svezzato (bos lactens) per Giove ed un agnellino (agnu-lus) per una divinità [—-]urgus il cui nome è incompleto. In un santuario di Saguntum in Hispania, Diana riceveva il sacrificio di tre femmine, una vacca, una pecora e una scrofa bianca13. È inutile moltiplicare gli esempi: chiaramente, a divinità e culti diversi corrispondevano animali distinti per specie, età, sesso, e colore del pelo. Se l’archeozoo-logia non permette di identificare il colore degli animali sacrificati, fornisce indicazioni piuttosto precise sugli altri tre criteri generalmente considerati.
6Sulla presenza delle specie all’interno di un santuario, le cifre ottenute dopo il conto delle ossa ed il confronto con i contesti domestici che riflettono altre abitudini alimentari, sono a volte significativi. Nel santuario di Uley (I-IV sec. d.C.), nella provincia di Bretagna, B. Levitan ha dimostrato che i caprini rappresentavano il 90% dei frammenti ossei ritrovati, con una percentuale non altrimenti attestata nei numerosi siti della Gran-Bretagna14. Certamente i caprini giocano un ruolo importante nelle abitudini alimentari degli abitanti di questa provincia, ma le ossa rinvenute a Uley appartengono principalmente a delle capre e non a montoni, contrariamente a tutti gli altri siti conosciuti15. Tali indicazioni permettono di pensare senza dubbio ad animali ritualmente consacrati ed uccisi in onore di Mercurio, divinità titolare del santuario. Questi criteri di scelta, stabiliti dalla tradizione, erano inizialmente validi soltanto per il santuario e la divinità onorata, ma alcune analogie tra un santuario e l’altro permettono a volte di ipotizzare delle norme vere e proprie. Alcune fosse del santuario di Iside a Pompei contenevano, se si prendono in considerazione i rapporti degli scavi antichi, alcuni resti di pollame e di uccelli. Ora, si trovano i resti carbonizzati di questi stessi animali nei recenti scavi del santuario di Iside a Belo in Spagna e a Magonza in Germania16. Queste vittime sono a volte menzionate dai testi della parte orientale del mondo mediterraneo, così come ad Atene e a Priene, ma sono lontane dal costituire la regola17. In ogni caso, guardando la grande varietà di casi fornita dai testi, tutto sommato poco precisa anche sul rituale che presiedeva i sacrifici in onore di Iside, l’apporto delle ossa animali appariva in questo caso fondamentale. Allo stesso modo in alcune ricerche operate sui mitrei, visto che si registrano delle corrispondenze significative tra diversi santuari poiché le ossa ritrovate fanno in genere riferimento, in proporzioni variabili, al gallo e al maiale. Il pollo era chiaramente un alimento scelto durante i pasti degli adepti di Mitra, come mostrano le grandi percentuali di questo animale rinvenute nei mitrei di Martigny e della villa di Orbe, territorio degli Helvetii, di Septeuil, territorio dei Carnutes, di Kunzing o di Tirlemont, nel territorio dei Tungri18. Anche lì i resti faunistici rivelano un aspetto non conosciuto del culto di Mitra.
7La determinazione dell’età dell’animale completa a volte l’analisi in modo determinante. Si sa che gli animali erano abbattuti più o meno giovani secondo le prescrizioni rituali19: le vittime erano allora adulti, maiores, o non svezzati, lactentes, distinzione a volte individuabile dallo studio delle ossa. Nel santuario di Campochiaro nel Sannio, le ossa di maiale rappresentano il 72% dei resti faunistici riscontrati nei livelli di età sannitica. L’importanza del maiale rispetto al resto del bestiame è già un dato singolare, ma il fatto che la maggior parte di questi animali sia stata abbattuta intorno al primo anno di età orienta logicamente il dibattito verso l’identificazione dell’animale del sacrificio. A Pietrabbondante, nonostante l’esiguo numero di ossa raccolte (400), i resti di bovini appartengono a degli animali abbattuti prima del diciottesimo mese20. G. Barker e G. Clark hanno allora certamente ragione ad ipotizzare per i due siti una scelta ben precisa operata sugli esemplari. Si può ugualmente citare l’esempio di Roccagloriosa in Lucania, anche se riguarda un contesto preromano: qualche resto proveniente da una decina di caprini è stato ritrovato in un’edicola contenente oggetti rituali. La giovane età delle vittime, uccise prima del loro primo o secondo anno d’età, e la scelta di una stessa specie indicano chiaramente delle vittime sacrificali21. Può essere citato anche il caso delle necropoli, luogo di rituali celebrati al momento dei funerali e delle festività in onore dei defunti: nella necropoli del V sec. d.C. di Lugnano in Teverina una dozzina di cuccioli più piccoli di 6 mesi è stata ritrovata in associazione con delle tombe di bambini22. Rituale proprio di questa regione o riflesso di pratiche più ampie legate a delle credenze funerarie specifiche? Difficile rispondere sulla sola base dei dati archeozoologici. Si ricorderà tuttavia l’età di cani morti molto giovani, cosa che permette di identificare con tutta probabilità delle pratiche rituali. Sottolineiamo ugualmente che il seppellire un cane nella tomba del suo padrone, pratica attestata regolarmente nelle necropoli e dalla documentazione epigrafica, non ha lo stesso valore rituale23. È ancora il criterio dell’età che appariva essenziale nei gruppi di rinvenimenti ossei provenienti dai livelli precedenti il grande tempio di La Bauve a Meaux, territorio dei Meldi, nella provincia della Belgica (I sec. d.C). Se il maiale era largamente presente in massima quantità, si nota ugualmente una quantità particolarmente elevata di ossa provenienti da feti di maiale24 (70 resti appartenenti ad almeno 11 individui). Questi resti sembrano implicare il sacrificio nel santuario di scrofe gravide, cosa che ricorda alcuni culti romani come quello di Cerere e di Tellus, dee nutrici che controllavano la fertilità dei campi25. Si sottolinea comunque che anche nel santuario di Meaux la selezione in base all’età riguardava gli altri animali: la maggior parte dei caprini (montoni e capre) hanno meno di 10 mesi, i buoi sono sacrificati prima dei 3 anni, mentre i resti di pollame concernono dei galletti giovani. Un altro esempio significativo è fornito dal santuario del vicus di Dalheim, territorio di Treveri in Gallia Belgica26. Una parte delle ossa animali studiate (più di 23000 frammenti) provengono da fosse ritrovate all’interno del santuario, molto vicine ai templi. Il contesto non è sufficiente a priori per riconoscervi dei resti sacrificali (potrebbe trattarsi di livelli di riporto), ma la scarsa frammentazione delle ossa, così come la determinazione delle età lasciano pochi dubbi: la maggioranza dei resti ossei è ancora una volta relativa a maiali (46%), ma soprattutto ad esemplari molto giovani perché per lo più essi avevano 2-4 mesi. Si tratta di porcellini che erano chiaramente sacrificati e consumati nel santuario.
8Un altro criterio di scelta, attestato dalla documentazione scritta, è quello del sesso degli animali. Sapendo che si sacrificavano dapprima vittime maschili a divinità maschili e femminili a divinità femminili27, l’esame del materiale osseo permette a volte di instaurare un legame tra la scelta delle vittime e la divinità onorata. Infatti, a Uley, P. Levitan ha riscontrato una larga predominanza di caproni e di galli, scelta adattata a priori a una divinità maschile come Mercurio. La stessa scelta del gallo, sorprendente in contesti domestici, appariva nei resti ritrovati nel riempimento di un pozzo del santuario di Ribemont-sur-Ancre, territorio degli Ambiarli in Gallia Belgica28 (I-II sec. d.C.). Si possono anche menzionare gli esempi rappresentativi di Vertault (inizio dell’era volgare) dove i cavalli ed i cani sacrificati sono tutti, senza eccezioni, di sesso maschile29. Questi differenti criteri considerati e utilizzabili per lo studio dei frammenti ossei autorizzano a porre la questione dell’origine sacrificale degli animali. Guardiamoci comunque da ogni tipo di generalizzazione: sebbene ci indichino una via, queste osservazioni, in primo luogo, non appaiono sempre con la precisione sperata ed inoltre risultano determinanti solo nel caso di ritrovamenti ossei omogenei, sufficientemente consistenti o in contesti sacri di sicura identificazione. È certamente la compresenza di più fattori che ci deve portare a parlare di una selezione ben determinata e dunque di un trattamento rituale degli animali all’interno dei santuari.
9Una volta sacrificati sull’altare, gli animali subivano diversi tipi di trattamento, a seconda dei culti. Gli animali potevano essere consacrati senza essere consumati. Gli esempi attestati di vittime sacrificali combuste sulla fiamma dell’altare sono piuttosto rari: resti ossei carbonizzati, identificati con parti di animali sacrificali, sono stati messi in evidenza in un santuario dell’Età del Ferro della regione di Venezia, a Meggiaro30 (VI-IV sec. a.C.). Per l’età romana, si possono citare i resti carbonizzati di uccelli e di polli, animali consacrati ad Iside nel santuario di Belo e di Magonza31, cosa che certamente richiama alla memoria un antico testo di Erodoto che ricorda come le vittime di Iside fossero svuotate e preparate prima di essere gettate nelle fiamme dell’altare32. Le vittime potevano essere allo stesso modo inumate in fosse o esposte come mostrano gli esempi gallo-romani di Vertault, nel territorio dei Lingones e di Longueil-Sainte-Marie, nel territorio dei Bellovaci33 (fig. 2). A Paestum si ha probabilmente l’esempio di un cane sacrificato e sepolto al momento della costruzione delle mura della città34.
10Tuttavia nei santuari del mondo mediterraneo, gli animali sacrificati venivano per lo più consumati. Lo studio delle ossa è qui essenziale, nel senso che i testi ci informano molto raramente su questa fase del sacrificio, ed ancora meno sul banchetto sacro che veniva svolto successivamente35. Nel caso in cui le ossa animali siano ritrovate nei santuari, esse attestano che la spartizione ed il consumo delle carni avvenivano sul luogo. Le cucine dei santuari sono ben conosciute36; restano da approfondire le osservazioni relative ai menu consumati all’interno dei recinti sacri37. Nella maggior parte dei santuari, i reperti ossei studiati corrispondono a degli animali consumati in situ. C’era innanzitutto carne proveniente dai sacrifici, della capra a Uley, del maiale a Dalheim, del maiale e del pollo a Ribemont-sur-Ancre. Altri alimenti potevano completare il pasto. La setacciatura delle zone intorno agli altari del santuario di Marte a Balaruc-les-Bains (I-II sec. d.C.), in Narbonense, ha permesso di mettere in evidenza alcuni resti di pesce, muggine, spigole, anguille, aguglie, tutti provenienti, secondo l’autore, dalle lagune circostanti. Il loro studio ha dimostrato che si trattava di resti di consumazioni38. In un contesto diverso, poiché riguarda la Grecia classica, il ritrovamento di numerosi resti di pesce nel santuario di Demeter e Kore a Corinto conferma che si mangiava del pesce nei santuari 39. La presenza di gusci d’uova, di noccioli di frutti o di resti di pane, si uniscono a volte agli altri residui del pasto identificati nei santuari40. Tutto ciò può essere stabilito partendo dalle evidenze riscontrate all’interno dei recinti sacri o nei butti che circondavano gli spazi sacri41.
11Invece l’assenza di alcune ossa può dimostrare che determinate porzioni di carne lasciavano il santuario per essere consumate o vendute all’esterno42. Significative sono le ossa di buoi trovate sparse e in fosse nel santuario di Jouars-Ponchartrain, territorio dei Carnutes in Gallia Lugdunensis, poiché la fortissima presenza di frammenti di zampe (metapodi e falangi) e, in misura minore, di vertebre, indica che gli animali erano tagliati sul posto43. Dall’assenza di ossa lunghe, più ricche di carne, si deduce invece che la carne era in gran parte venduta e consumata all’esterno del santuario44. Quanto ai resti animali del deposito sacro di Roccagloriosa, già citati, l’assenza di ossa di cosciotti o di costolette mostra senza dubbio che i pezzi migliori venivano consumati in qualche parte nel santuario o portati all’esterno45. In ambito domestico, il contenuto carbonizzato di alcune fosse di scarico di Pompei è stato identificato in modo convincente come resti di sacrifici celebrati davanti al larario della famiglia (fig. 3)46. Particolarmente significativi ci appaiono alcuni resti animali rinvenuti in quegli scarichi ricchi di resti vegetali, cereali, fichi, pigne, olive, acini d’uva, nocciole etc. Le ossa di polli combuste e dunque offerte agli dei sono la parte inferiore della zampa e la testa. L’offerta di pezzi di scarto sugli altari ricorda una critica aspra di Tertulliano47: «Non parlo del vostro atteggiamento nei sacrifici, quando voi immolate tutte bestie mezze morte ed in decomposizione, invece di vittime grasse e senza difetti non offrite altro che gli scarti, la testa, le unghie, gli avanzi delle piume e delle setole, e tutto quello che avreste rifiutato per voi». A volte la spartizione era più equilibrata come mostra il caso di una mezza carcassa di pollo rinvenuta carbonizzata su un altare di via dell’Abbondanza, almeno se ci si attiene, all’identificazione proposta dallo Spinazzola al momento della scoperta (fig. 4)48.
12C’è invece poco da aspettarsi dall’analisi dei frammenti ossei sulla cottura delle carni, a fortiori nel momento in cui esse venivano bollite in calderoni (aulae). Anche quando i quarti siano stati arrostiti, le ossa riportano molto raramente delle tracce evidenti della cottura sul fuoco49, come in una tomba della necropoli di Hénin-Beaumont (in Gallia Belgica): un avambraccio di maiale, resto di un’offerta alimentare, offre così i segni di un passaggio sulla fiamma che sembra mostrare che il quarto era stato arrostito (fig. 5).
13Parlare di sacrificio implica un’uccisione di animali di cui si possono ricercare le tracce. Queste ultime sono a volte riscontrabili sugli animali di grande taglia che erano uccisi con l’aiuto di un’ascia (securis) o di un maglio (malleus) prima di essere sgozzati. Così, a Vertault-Vertillum, vicus del territorio dei Lingones, i crani dei cavalli deposti nelle fosse di un santuario suburbano presentano le tracce dell’impatto dell’uccisione (fig. 6)50. Segni simili sono stati messi in evidenza anche sui crani di bovini provenienti dal riempimento dell’ekklesiasterion di Poseidonia-Paestum51. Sottolineiamo tuttavia che questo tipo di osservazioni è possibile solo quando i frammenti ossei siano ben conservati, cosa che accade raramente. Aggiungiamo che tracce di questo tipo sono essenzialmente valide per i grandi ani- mali, bovini ed equini, poiché la maggior parte degli animali implicati nei sacrifici era semplicemente sgozzata, azione che lascia solo raramente dei segni visibili.
14L’analisi dei resti ossei può ugualmente informarci, nel momento in cui determinate condizioni siano compresenti, sul momento dell’uccisione. È allora possibile indagare in che misura il sacrificio, in un determinato santuario, era praticato durante tutto l’anno o solo in un periodo ben preciso. Un testo di Plinio mostra che un santuario italiano consacrato a Cerere riceveva la popolazione dei dintorni alle Idi di Settembre, data che corrispondeva alla festa della divinità. È allora probabile che l’accesso al tempio fosse strettamente controllato per il resto dell’anno52. Precisazioni di questo tipo sono peral-tro molto rare nei testi. Anche in questo caso lo studio delle ossa fornisce a volte delle indicazioni. A Uley, nel santuario di Mercurio, è stato cosi possibi-le determinare un periodo privilegiato per l’uccisio-ne dei caprini, fissato tra il mese di agosto e quello di settembre, lasso di tempo che corrisponde proba-bilmente alla data di una celebrazione importante53. Scavi recenti effettuati a Tirlemont, vicus dei Tungri (Gallia Belgica) da M. Martens hanno messo in luce una fossa associata ad un mitreo. Lo studio dei resti ossei ha permesso di identificare residui alimentari appartenenti a più di 200 galletti, 8 porcellini e 12 agnelli la cui carne fu probabilmente servita al momento della cerimonia celebrata in onore di Mitra. La data dell’abbattimento è stata precisata per ci che riguarda i caprini ed i porcellini, cosa che permette di proporre la fine del mese di giugno e l’inizio del mese di luglio per lo svolgimento del banchetto54. Queste indicazioni danno vita ai san-tuari e aile cerimonie che vi si svolgevano, ma rile-vano ancora una volta che le informazioni deduci-bili sono rintracciabili solo raramente e sono valide soltanto per la carne fresca. Ora, si poteva anche consumare carne sotto sale all’intemo dei santuari come sembra mostrare il recente studio di un insie-me di ossa provenienti dal santuario di Ribemont-sur-Ancre, territorio degli Ambiani (Gallia Belgica)55.
15Uccisione, selezione degli animali e degli indivi-dui, divisione e distribuzione di parti della carne, periodo di abbattimento, tracce di cottura, consu-mazione delle vittime sacrificate: chiaramente le osservazioni avanzate partendo dai resti ossei ci col-locano subito nel campo del rituale, delle azioni e delle pratiche messe in opera al momento dei sacri-fici celebrati nei santuari. Sono cosi interi aspetti dei culti antichi che vengono alla luce a partire dal momento in cui, e gli esempi riportati lo dimostra-no ampiamente, l’analisi dei reperd ossei vada oltre la semplice determinazione della specie per prende-re in considerazione i dati del terreno, le modalità di seppellimento dei resti, le caratteristiche dei livelli archeologici che abbiano restituito i frammenti ossei o il materiale a loro associato. La tappa finale è poi di integrare i dati con quelli forniti dai testi e inserire le informazioni nin un quadro coerente che è quello fornito dagli storici della religione romana.
16Dai dossiers esposti, si rileva che l’identificazione dei reperti ossei apporta molti elementi supplemen-tari alla nostra conoscenza delle attività rituali che avevano luogo nei santuari, nel caso in cui, tuttavia, siano compresenti determinate condizioni che ten-gano presente le modalità di formazione dei deposi-ti ossei, la loro composizione ed omogeneità, cosi come della affidabilità delle tecniche di raccolta e delle indagini applicate all’analisi del materiale osseo. Come si sarà capito, il contesto sacro dei resti ossei non è sufficiente a stabilire un legame con il sacrificio. A Campochiaro, santuario sannitico e poi romano, i maiali e gli ovini dominano e la tenera età degli animali sembra indicare una scelta ben precisa. Si deve tuttavia restare cauti davanti alla descri-zione del fenomeno che tiene poco in considerazione il contesto archeologico. Da dove vengono esat-tamente queste ossa? Qual’è il loro stato di conservazione? Si tratta di residui primari, risultato di cerimonie, o di ossa prese da livelli di riporto di origine sconosciuta? Presentano delle tracce di usura tali che sia difficile determinare l’origine di tali resti? Ci sono delle tracce di macellazione? Tali che mostrino che si tratta di scarti alimentari? Le ossa sono numerose o residuali? Tante sono le informazioni da tenere in considerazione che giocano un ruolo nell’interpretazione. Nel santuario di Pietrabbondante alcuni scavi hanno permesso di rinvenire 400 frammenti ossei, tra i quali sono state riconosciute le tre specie domestiche abituali. Certo, l’esame delle ossa indica che i maiali veniva-no uccisi giovani (1 o 2 mesi) cos come i bovini (prima dei 18 mesi), cosa che porta a pensare ad animali selezionati per essere sacrificati. Ma ancora questi elementi ci sembrano insufficienti: senza parlare del numero relativamente esiguo delle ossa prese in considerazione, mancano delle osservazioni fondamentali, riguardanti la tafonomia (studio delle condizioni di seppellimento dei reperti ossei) ed il contesto stratigrafico. Un altro esempio ci viene fornito dalle ossa rinvenute nei livelli inferiori del riempimento dell’Ekklesiasterion di Poseidonia / Paestum56: i resti provenienti da una cinquantina di buoi sono stati interpretati come vestigia di un sacrificio espiatorio destinato a placare la divinità e ad espiare la profanazione dello spazio. Ci sono argomenti che muovono a favore di un’origine sacrificale di tali resti, la grandissima quantità di ossa di bovini ritrovate in eccellente stato di conservazione (90% dei resti) o le tracce dell’abbattimento sulla fronte. Tuttavia rimangono alcuni problemi che costringono a restare prudenti nell’interpretazione: il materiale osseo proviene in effetti dai due livelli inferiori della colmata (livelli III e IV) ed era distribuito sulla totalità della zona scavata. Immondezzaio o fossa di scarico, ma metri cubi di reinterro la cui origine precisa deve ancora essere chiarita. Allora, resti faunistici di un sacrificio espiatorio? È possibile, ma le osservazioni fatte al momento dello scavo non sono sufficienti per andare oltre il livello di ipotesi.
17C’è inoltre un’ultima notazione. Il prendere in considerazione le ossa animali ha un’incidenza determinante sui metodi di indagine dei santuari. Le informazioni fornite dalle vestigia faunistiche costringono effettivamente a considerare il contenuto dei culti e ad indagare su alcuni spazi considerati spesso come gli annessi dei santuari, l’altare, la corte, le cucine, i portici, le sale per i banchetti, ambienti che servivano di contorno ai rituali e alle cerimonie (fig. 7-8). È sull’altare o a i suoi piedi, davanti al tempio, che si sacrificava; è nel cortile che si dividevano le vittime; è nelle cucine che si cuoceva e si preparava la carne; è nelle sale per i banchetti che si consumava la porzione dell’animale sacrificato. Nel tempio invece poco movimento, a parte la deposizione di qualche offerta sulla tavola, l’incoronazione liturgica e lo strofinamento delle statue di culto con olio profumato57. Dal tempio all’altare, dalla cella, dominio della divinità, alle cucine ed alle sale da banchetto, tutto ciò non è altro che la nostra maniera di avvicinare e comprendere le pratiche religiose antiche che sono in gioco.
Notes de bas de page
1 Ringraziamo Patrice Méniel e Martine Dewailly per le amichevoli annotazioni. La nostra gratitudine va anche alla dr.ssa Elisabetta Interdonato che ha accettato di abbandonare per un attimo il santuario di Cos per tradurre il presente testo in italiano.
2 Come testimoniano, per fare un esempio tra tanti, i recenti resoconti degli scavi, sebbene brevi, sui santuari del Lazio, S. Gatti, G. Cetorelli Schivo ed., Il Lazio regione di Roma, Palestrina, Museo Archeologico Nazionale 2000, Roma, 2000. Ad Ardea, il riempimento di una fossa vicina al tempio di Casarinaccio conteneva una grande quantità di ceramica, terre-cotte architettoniche e ossa animali: F Di Mario, in S. Gatti, G. Cetorelli Schivo ed., Il Lazio, cit. supra, p. 42 sg. Nello studio del santuario italico di Sant’Angelo di Civitella, si ritrova la stessa 2 (segue) enumerazione di statue in terracotta e la menzione di resti faunistici (bovini adulti uccisi) interpretati come resti di sacrifici fatti alla divinità: G. Alvino, in S. Gatti, G. Cetorelli Schivo ed., Il Lazio, cit. supra, p. 49 sg. Un deposito votivo di Palestrina (IV-III sec. a.C.) conteneva, dentro uno strato di terreno combusto, alcune statuette, degli ex-voto e dei resti ossei (essenzialmente di caprini e di uccelli) anche lì interpretati come resti del sacrificio: A. Tedeschi, in S. Gatti, G. Cetorelli Schivo ed., Il Lazio, cit. supra, p. 83. Un altro deposito votivo (III sec. a.C.) includeva, raccolti in un pithos, resti ceramici e ossei appartenenti a degli agnelli e dei porcellini, offerte interpretate come dei resti della cerimonia di chiusura del tempio in questione: F. Demma, in S. Gatti, G. Cetorelli Schivo ed., Il Lazio, cit. supra, p. 93-95. Questi esempi sono significativi perché mostrano che le ossa sono ormai prese in considerazione, giocando esse un ruolo importante nell’identificazione dei luoghi di culto e permettono di indagare sui contenuti dei culti. I siti italiani che hanno dato luogo a questo tipo di ricerche sono stati elencati da M. MacKinnon, “High on the Hog: Linking Zooarchaeological, Literary, and Artistic Data for Pig Breeds in Roman Italy”, AJA, 105, 2001, p. 649-673, 650-652.
3 Per una definizione della “fede” nella religione romana M. Linder, J. Scheid, “Quand croire c’est faire. Le problème de la croyance dans la Rome ancienne”, ASSR, 81, 1993, p. 47-62. Ricordiamo da una parte che il sacrificio è molto più che l’uccisione rituale di un animale, implicando esso una liturgia complessa, dalla scelta ufficiale della vittima (probatio) alla spartizione e consumazione delle parti al momento del banchetto sacro. Dai rendiconti dei Fratres Arvales, si comprende d’altra parte che il sacrificio di un animale non costituisce che la parte centrale di una cerimonia che comprendeva altre forme di offerte come il vino, l’incenso, i cereali etc.
4 Condizioni associate, ad esempio, sul sito di Mayence: B. Zach, “Vegetable offerings on the Roman sacrificial site in Mainz, Germany”, Vegetation History and Archaeobotany, 11, 2002, p. 101-106, e a Pompei: M. Robinson, “Domestic burnt offerings and sacrifices at Roman et pre-Roman Pompeii, Italy”, ibidem, p. 93-99. Per un metodo di studio applicato ai resti végétali, cfr. V. Matterne, Agriculture et alimentation végétale durant l’âge du Fer et l’époque gallo-romaine en France septentrionale, Archéologie des Plantes et des Animaux I, Editions Monique Mergoil, Montagnac, 2001.
5 Su tale disciplina e sulla sua applicazione allo studio del sacrificio, rimandiamo in modo generale a P. Méniel, Les sacrifices d’animaux chez les Gaulois, Paris, 1992 per il contesto gallico e più recentemente a S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal en Gaule romaine. Rituels et pratiques alimentaires, Pré-Actes de la table ronde tenue au Museum d’Histoire Naturelle de Paris, octobre 2002, in corso di stampa 2004, per il contesto gallo-romano.
6 Cfr. P. Méniel, Les sacrifices d’animaux, cit. nt. 5, lavoro applicato al sacrificio nella religione gallica. Per un metodo archeologico concentrato sul riconoscimento dei rituali, vedere lo studio sulla necropoli di Lamadeleine in Lussemburgo, N. et J. Metzler-Zens, P. Méniel, “Lamadeleine. Une nécropole de l’oppidum du Titelberg”, Dossiers d’Archéologie du Musée National d’Histoire et d’Art, 6, 1999.
7 Rimandiamo alla presentazione ed ai risultati della tavola rotonda sul sacrificio animale tenutasi al Muséum d’Histoire Naturelle de Paris il 24 e 25 Ottobre 2002; S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5.
8 G. Barker, G. Clark, “The Faunal Data”, in G. Barker ed., The Biferno Valley Survey. The archaeological and Geomorpho-logical Record, London-New-York, 1995, p. 143 sg.
9 S. Sublimi Saponetti, “I resti animali di Gravetta”, in J. Mertens, R. Lambrechts ed., Comunità indigene e problemi della romanizzazione nell’Italia Centro-meridionale (IV-III sec. a.C.), Bruxelles-Rome, 1991, p. 105-108.
10 A. Jacques, S. Lepetz, W. Van Andringa in Le sacrifice ani-mal, cit. nt. 5.
11 Anzi, si deve sottolineare che gli studi che hanno portato a maggiori conclusioni provengono spesso da siti scavati da équi-pes multidisciplinari che prevedono anche un archeozoologo, come Uley, Pompei, per citare solo due esempli relativi all’epoca romana.
12 Questa selezione doveva garantire la buona riuscita di un sacrificio. A Roma, i pontifices e gli haruspices avevano la responsabilità di verificare la qualità degli animali sacrificati. Nelle colonie, i duumviri nominati al momento della fondazione dovevano allo stesso modo sottomettere ai decurioni le regole relative alla scelta delle vittime, art. 64 della legge d’Urso. Su questi problemi di scelta e di eventuale sostituzione, G. Capdeville, “Substitution de victimes dans les sacrifices d’ani-maux à Rome”, MEFRA, 83, 1971, p. 283-323.
13 CIL VI 2107, 1, 2-13 = ILS 5084, cfr. J. Scheid, Recherches archéologiques à la Magliana. Commentarii Fratrum Arvalium qui supersunt. Les copies épigraphiques des protocoles annuels de la confrérie arvale (21 av.-304 ap. J.-C), Rome, 1998, p. 315; per il testo di Marecos, P. Le Roux, “Cultes indigènes et religion romaine en Hispanie sous l’Empire, dans l’Afrique, la Gaule, la religion à l’époque romaine”, in Mélanges à la mémoire de M. Le Glay (Coll. Latomus, 226), Bruxelles, 1994, 560-567; per quello di Sagunto, CIL II2, 14, 292.
14 A. Woodward, P. Leach, The Uley Shrines. Excavation of a ritual complex on West Hill, Uley, Gloucestershire: 1977-79. English Heritage, 1993; studio delle ossa ad opera di B. Levitan, “Vertebrate remains”, ibidem, p. 257-258.
15 Ad eccezione dei due siti religiosi di Harlow e di West Hill, secondo B. Levitan, “Vertebrate remains”, cit. nt. 14, p. 300.
16 V. Tran Tam Thin, Essai sur le culte d’Isis à Pompéi, Paris, 1964, 37 (Pompei); Y. Ligneureux et alii, “Sacrifices d’oiseaux en l’honneur d’Isis au ier siècle ap. J.-C. à Belo”, Rev. Méd. Vét., 146, 8-9, 1995, p. 572-582 (Belo); M. Witteyer, M. Hochmuth, in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5 (Magonza).
17 Si veda l’esempio fornito da F. Dunand, Le culte d’Isis dans le bassin oriental de la Méditerranée, Leiden, 1973 (III, EPRO, 26), p. 202 sg.
18 Si vedano gli studi archeozoologici di A. Lentacker, A. Ervynck, W. Van Neer (Tirlemont) e di C. Olive (Martigny e Orbe) in M. Martens, G. De Boe ed., Roman Mithraism. The evidence of small finds. Archeologie in Vlaanderen Monografie 5, Zellig & Tienen, 2003; di P. Caillat (Septeuil) in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5; di A. Von den Driesch, N. Pöllath, “Tierknochen aus dem Mithrastempel von Künzing”, in Vorträge des 18. Niederbayerìschen Archäologentages, Rahden, 2000, p.145-162. Il ritrovamento di ossa di pollo è ugualmente segnalato nei mitrei di Pons Saravi (Sarrebourg), di Angera in Italia, di Chelterford in Inghilterra, di Heddernheim, Konigshoffen, Trevi in Germania etc.
19 Cic. Leg. 2, 12.
20 G. Barker, “Animals, Ritual and Power in Ancient Samnium”, in Anthropozoologica. L’animal dans les pratiques religieuses: les manifestations matérielles, n° spécial, 1989, p. 111-118 e G. Barker, G. Clark, “The Faunal Data”, cit. nt. 8, p. 143 sg.
21 M. Gualtieri, H. Fracchia, ed., Roccagloriosa I. L’Habitato: Scavo e ricognizione topografica (1976-1986), Napoli, 1990 (Publications du Centre Jean Bérard), p. 101-136, studio delle ossa animali di S. Bokonyi, p. 135-136.
22 MacKinnon, “The Faunal Remains”, in D.S. Soren, N. Soren ed., Excavations of a Roman Villa and Late Infant Cemetery near Lugnano in Teverina, Italy, Rome, 1998, p. 533-594.
23 J. De Grossi Mazzorin, “L’uso dei cani nei riti funerari”, in Culto dei morti e costumi funerari romani, Palilia, 8, 2001, p. 77-82.
24 Analisi preliminare di H. Yvinec, “La faune de la Bauve”, in D. Magnan éd., Meaux gallo-romain et La Bauve, Meaux, 1988, p. 85-89 e S. Lepetz, “La place de l’animal dans le sanctuaire de la Bauve”, in Profane et Sacré en Pays meldois, Musée Bossuet, 1998, p. 113-118.
25 A Roma si sacrificavano vacche gravide a Cerere e Tellus: J. Scheid, La religion des Romains, Paris, 1998, p. 73.
26 C. Schulze-Rehm, “Die Tierknochen aus dem Tempelbezirk des römischen vicus von Dalheim”, in A. Haffner, S. von Schnurbein éd., Kelten, Germanen, Römer im Mittelgebirgsraum zwischen Luxemburg und Thüringen, Akten des Internationalen Kolloquiums zum DFG-Schwerpunktprogramm «Romanisierung», Trier, 1998, Bonn, 2000, p. 421-430.
27 Arnobius, adv. gentes, 7, 19.
28 Su Uley, B. Levitan, “Vertebrate remains”, cit. nt. 14; su Ribemont-sur-Ancre, cfr. relazione preliminare di S. Lepetz, G. Fercoq du Leslay, in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5.
29 M. Jouin, P. Meniel, “Les dépôts animaux et le fanum gallo-romains de Vertault (Côte-d’Or)”, RAE, 50, 2001, p. 119-216.
30 Cfr. A. Tagliacozzo, E. Fiore, in C. Balista et alii, “Este: il santuario orientale in località Meggiaro. Nota preliminare”, Quad. di Archeol. del Veneto, 16, 2000, p. 37.
31 Y. Ligneureux et alii, “Sacrifices d’oiseaux”, cit. nt. 16 (Belo); M. Witteyer e M. Hochmuth (Magonza) in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5.
32 Hdt., II, 39-40; rito trasmesso, probabilmente, al culto greco-romano, secondo F. Dunand, Le culte, cit. nt. 17, p. 205. Invece non c’è nessuna indicazione su questo aspetto del rituale in Apul., Met. 11, 7 sg.
33 M. Jouin, P. Meniel, “Les dépôts animaux”, cit. nt. 29; S. Lepetz, S. Gaudefroy, “Le dépôt sacrificiel de Longueil-Sainte-Marie «L’Orméon». Un culte de tradition locale sous l’Empire?”, in Archéologie des sanctuaires en Gaule romaine. Publications de l’Université de Saint-Etienne, 2000, p. 157-192.
34 R. Robert, “Rites de protection et de défense. A propos des ossements d’un chien découverts au pied du rempart de Paestum”, AION, 15, 1993, p. 119-142.
35 Sul silenzio delle fonti scritte su questo argomento, cfr. J. Scheid, “Sacrifice et banquets à Rome. Quelques problèmes”, MEFRA, 97, 1985, p. 193-206.
36 Segnaliamo alcune cucine di santuari menzionate dalle iscrizioni, ILS 3119 e 5420 (Aquileia); 3452 (Tibur); 5419 (Aesemia); 5561 (Capua); 6079 e 7931 (Roma)
37 Per una descrizione del fenomeno, con esempi appropriati, P. Veyne, “Inviter les dieux, sacrifier, banqueter. Quelques nuances de la religiosité gréco-romaine”, Annales(HSS), janvier-février 2000, p. 3-42.
38 Studio della fauna ittica eseguito da M. Sternberg, in I. Bermond et alii, “Le sanctuaire gallo-romain de Mars à Balaruc-les-Bains (Hérault)”, RAN, 31, 1998, p. 141-145. Sul consumo di pesce nei santuari, R. MacMullen, Le paganisme dans l’Empire romain, Paris, 1987, 67-68.
39 Cfr. Bookidis et alii, “Dining in the sanctuary of Demeter and Kore at Corinth”, Hesperia, 68.1, 1999, p. 1-54.
40 Ad Amiternum, in occasione di un banchetto pubblico, si serva del pane e del vino per accompagnare la carne del sacrificio: CIL, IX 4215 = ILS 6561 (datata dopo il 338 d.C.).
41 I santuari erano inizialmente puliti, cfr. R. MacMullen, Le paganisme, cit. nt. 38, p. 74. La ricerca di resti rituali implica dunque, logicamente, che si scavino anche le zone limitrofe dei santuari, che potevano accogliere gli scarichi.
42 Sulla vendita della carne delle vittime sacrificali nei mercati, si veda Plinio, Ep. 10, 96, e la sorprendente testimonianza fornita dalla corrispondenza di Sant’Agostino, Ep., 46 e 47, cfr. C. Lepelley, “La diabolisation du paganisme et ses conséquences psychologiques: les angoisses de Publicola correspondant de Saint Augustin”, in Impies et païens entre Antiquité et Moyen Age, Paris, 2002, p. 81-96.
43 Studio di S. Lepetz e O. Blin, in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5.
44 Era uso comune che la carne sacrificata nei santuari fosse portata a casa per essere consumata nei banchetti, secondo Filone d’Alessandria, Leg. ad Gaium, 356.
45 S. Bokonyi, in M. Gualtieri, H. Fracchia ed., Roccagloriosa, cit. nt. 21, p. 136.
46 M. Robinson, “Domestic burnt offerings”, cit. nt. 4, p. 93-99.
47 Tert., ad nat. 1, 10, 35; ugualmente apol.14,1. Argomento che si allaccia con quello di Porfirio, de abst. 2, 25, 7: «si sacrificano agli dei gli animali che sono gradevoli agli appetiti degli uomini».
48 Cfr. Pompei, Pitture e Mosaici, II, Roma, 1990, p. 515. Senza uno studio archeozoologico ed una descrizione precisa dei resti, è chiaro che questa informazione debba essere utilizzata con prudenza.
49 Cfr. L. Chaix, P. Meniel, Archéozoologie. Les animaux et l’archeologie, Paris, 2001, p. 100-101.
50 M. Jouin, P. Meniel, “Les dépôts animaux”, cit. nt. 29.
51 M. Leguilloux, “L’hécatombe de l’ekklesiasterion de Posidonia-Paestum. Le témoignage de la faune”, in S. Verger éd., Rites et espaces en pays celtes et méditerranéen, Roma, 2000 (Coll. EFR, 276), p. 345.
52 Plin., Ep. 9, 39.
53 B. Levitan, “Vertebrate remains”, cit. nt. 14.
54 A. Lentacker, A. Ervynck, W. Van Neer, in M. Martens, G. De Boe éd., Roman Mithraism, cit. nt. 18.
55 Cfr. S. Lepetz, G. Fercoq du Leslay, in S. Lepetz, W. Van Andringa éd., Le sacrifice animal, cit. nt. 5.
56 M. Leguilloux, “L’hécatombe de l’ekklesiasterion”, cit. nt. 51.
57 Le vestigia archeologiche riportano a volte chiaramente questa situazione, come nel caso del santuario suburbano di Ercolano che ha conservato una parte del suo arredo: A. Maiuri, Ercolano. I Nuovi Scavi, I. Roma, 1958, p. 175 sg. Non è sorprendente se nella cella del tempio in miglior stato di conservazione (attribuito a Venere) sono stati trovati solo un podium destinato alla statua di culto ed alle imagines imperiali, come ad una tavola per offerte. L’essenziale si svolgeva piuttosto all’esterno del tempio, nella corte dove si trovano ancora lo zoccolo dell’altare sacrificale sull’asse della cella ed una vasca destinata alle abluzioni. Si nota anche una serie di resti attigui in cui, grazie allo stato di conservazione, è possibile identificare una cucina ed una serie di ambienti di servizio, uno dei quali comprende due grandi vasche. In una grande struttura vicina all’entrata e che dà sulla spiaggia può essere riconosciuta una sala da banchetti. Per la molteplicità delle attività praticate in un santuario, si rimanda ancora una volta a quello della Dea Dia: J. Scheid, Recherches archéologiques à la Magliana, Commentarii Fratrum Arvalium qui supersunt. Les copies épigraphiques..., cit. nt.13, per esempio p. 151 (nr. 55, col. 2, 1. 15-39).
Auteurs
École française de Rome / Centre National de la Recherche Scientifique
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