Dotazioni funzionali e di arredo in luoghi di culto dell’Italia repubblicana. L’apporto della documentazione epigrafica
p. 25-54
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Texte intégral
1In un celebre luogo del terzo libro dei Saturnalia Macrobio distingue, per quanto concerne la dotazione santuariale, il vasellame e la suppellettile sacra utilizzati per celebrare i sacrifici (vasa e sacra suppellex, tra cui anche la mensa), da altri elementi di arredo (ornamenta)1 Il noto passo fornisce, credo, una possibile chiave di lettura per lo studio dei luoghi di culto nel mondo romano e del complesso di riti che vi avevano luogo. Lo stesso assetto topografico dei santuari sembra del resto scomponibile sulla base di parametri affini. Fonti documentarie di varia natura, infatti, mostrano frequentemente la presenza, accanto ad edifici ed apprestamenti cultuali propriamente detti, di strutture di servizio o elementi d’arredo, di natura piuttosto profana, ma comunque riconducibili alle esigenze dei fedeli che visitavano i luoghi di culto2.
2A questo proposito risulta significativo l’apporto conoscitivo della documentazione epigrafica che, oltre a contribuire all’interpretazione/identificazio-ne di strutture documentate archeologicamente, costituisce spesso l’unico indizio dell’esistenza stessa di aree sacre. In questa prospettiva, si tenterà di passare in rassegna, per quanto concerne un certo numero di luoghi di culto dell’Italia repubblicana, i dati ricavabili dalla coeva documentazione epigrafica latina3. Esclusi i donari e gli oggetti d’arredo mobile4, si è rivolta l’attenzione agli stessi edifici di culto ed alle altre costruzioni o strutture note per via epigrafica nel periodo e nell’ambito geografico in esame. Si è inoltre deciso di non prendere in esame le numerose iscrizioni relative a statue (per lo più incise sui loro basamenti) offerte a divinità o comunque dedicate nei santuari, per la difficoltà oggettiva di distinguere, nella maggior parte dei casi, tra simulacri di culto, uno degli elementi principali dell’arredo santuariale, ed altre immagini offerte dai fedeli5. A conferma di quanto riscontrabile nella stessa tradizione letteraria, l’epigrafia testimonia peraltro, sin dall’età medio-repubblicana, il particolare rilievo che aveva, soprattutto a Roma, l’erezione all’interno di aree sacre di statue tratte dal bottino di guerra6.
3Le epigrafi raccolte, circa duecentocinquanta (vd. appendice), risultano, per lo più di natura votiva7 o edilizia ma si è tenuto conto anche di altre categorie di documenti, tra cui le leges sacrae o i termini; dal punto di vista cronologico, tali iscrizioni si concentrano tra la seconda metà del II sec. a.C. e la fine dell’età repubblicana/prima età augustea, anche se non mancano testimonianze più antiche. I testi saranno, in questa sede, principalmente analizzati in base alla tipologia delle strutture ed all’entità degli interventi menzionati, ma non si trascureranno eventuali indicazioni anche su altri aspetti desumibili dai medesimi documenti.
4Un primo nucleo di testi fa riferimento alla dedicatici, costruzione o restauro di luoghi od edifici di culto espressamente ricordati come tali; per i medesimi monumenti si conoscono anche interventi di altro genere (quali, ad es., l’intonacatura, la stuccatura e decorazione pittorica, la copertura o la recinzione) o anche, come nel caso di un delubrum Feroniai nei pressi di Amiternum, il ricordo del dirit to di accesso al santuario8. Tra i termini antichi utilizzati, per le cui diverse accezioni si può rimandare a studi recenti9, ricorrono in particolare aedes, aediculae, delubra, tempia, sacella e compita10. Nel gruppo più consistente, concernente le aedes (una ventina di casi), cui si potrebbero associare anche due casi di edifici templari definiti come templa11, si segnala per la sua antichità l’elogium funebre di L. Cornelius Scipio, console del 259 a.C, nel quale si menziona la dedica, in seguito ad un voto pronunciato in guerra, di una aedes alle Tempestates12; caratteristiche analoghe aveva, sempre a Roma, l’ae-des Herculis Victoris di Lucio Mummio, della cui erezione siamo informati grazie alla tabula triumphalis in origine esposta all’ingresso del tempio13. La maggior parte dei casi testimonia, in relazione ad aedes publicae, l’operato di magistrati dello Stato romano e di altre comunità della penisola nonché di titolari di funzioni religiose o collegiali; in due documenti eccezionali, rispettivamente da Ostia e da Aquileia, la costruzione o il restauro di edifici templari rientra in un più ampio programma evergetico, verosimilmente protrattosi nel tempo (Ostia)14, o fa parte di una serie di provvedimenti connessi ad un momento cruciale della storia istituzionale della città, quale la sua stessa “(ri)fondazione” (Aquileia)15. Si dispone peraltro anche di iscrizioni pertinenti ad edifici, forse di minor impegno architettonico, sorti per iniziativa privata, alcuni dei quali vengono dedicati da esponenti di categorie ai margini della società romana quali donne16, liberti17 e schiavi18.
5Vorrei qui richiamare anche la nota iscrizione musiva posta nel pronao del tempio di Diana Tifatina; il testo, di particolare interesse per la storia edilizia del santuario capuano, offre forse anche uno spunto di riflessione sull’uso antico del termine aedes19. Tra gli interventi che vi sono ricordati per il 108 a.C., il restauro della aedes, inserito in una sequenza che segue forse un ordine topografico, sembra distinto e posto sullo stesso piano dei lavori che hanno invece interessato singole parti dell’edificio esterne alla cella, quali lo stesso mosaico pavimentale ([pavimentimi], secondo la probabile integrazione di r. 3) e le colonne della peristasi (r. 4). Se non si tratta di un riferimento generico al rifacimento del complesso templare, il testo sembrerebbe indicare che significative componenti strutturali dell’edificio, come ad es. il pronao, potevano non essere considerate parte integrante della aedes, intesa propriamente come luogo in cui risiede la divinità e forse di fatto coincidente, in questo contesto, con l’ambiente della cella.
6Ad apprestamenti cultuali meno monumentali, che potevano tradursi dal punto di vista architettonico anche in semplici cappelle o nicchie destinate ad ospitare statue o altari, sono invece, con probabilità, ascrivibili le non molte attestazioni di aedicu-lae, sacella e compita20. Mi soffermo in breve soltanto sui sacella; i dati epigrafici d’età repubblicana, come già notato dal Fridh21, sembrano confermare quanto emerge dalla parallela documentazione letteraria che fa riferimento ad aree all’aperto, eventualmente dotate di statue o are; chiara in questo senso sembra essere, accanto ad una delle disposizioni della lex Puteolana parieti faciundo22 (rimozione o demolizione di sacella, insieme ad arae e a signa), un’iscrizione del I sec. a.C. trovata sul Colle Oppio (presso le Sette Sale), che ricorda la recinzione e livellamento di un sacellum e, contestualmente, la messa a dimora, al suo interno, di alberi da parte dei magistri e flamines del Mons Oppius23.
7Passando ai luci, siano essi da intendere come reali boschi sacri o come strutture artificiali (in origine una radura) al loro interno24, dalle poche fonti disponibili traspare soltanto la presenza di muri di delimitazione e dei relativi ingressi25; si tratta, in particolare, di elementi che trovano significativi confronti anche nella parallela documentazione epigrafica d’ambito italico26. L’esistenza di simili apprestamenti ai margini dei luci appare del resto implicitamente suggerita dalla stessa tipologia dei cippi, una sorta di pietre terminali, sui cui sono incise le due copie della lex luci Spoletina27.
8All’erezione stessa di edifici di culto, o comunque a lavori di portata notevole, sono riconducibili, per il formulario, per la tipologia del supporto o anche in base al contesto archeologico, altre iscrizioni edilizie o votive in cui non si fa espressa menzione di strutture. Tralasciando le testimonianze più evidenti, quali, ad es., l’epistilio del cd. “tempio di Minerva” ad Assisi con i nomi dei magistrati costruttori28 o l’architrave di una edicola sacra dai dintorni di Lanuvium29, vorrei accennare soltanto ad un esempio apparentemente meno eloquente, notevole in primo luogo per la sua antichità. Alludo ad un blocco di peperino con iscrizione ancora risalente alla prima metà del III sec. a.C., scoperto in un luogo di culto nei pressi di Arica (loc. Casaletto, Valle Ariccia) ed attualmente irreperibile; nel testo, che doveva presumibilmentente continuare su un blocco adiacente, compare il nome di una Duronia, forse la dedicante stessa del piccolo santuario rurale, un edificio a pianta rettangolare di cui si conserva parte dei muri di fondazione; il sacello, come rivela il pressoché coevo gruppo di statue sedute e busti femminili in terracotta ivi rinvenuto, doveva essere consacrato a Cerere e Proserpina30. Non si può forse, a questo proposito, escludere di riconoscere in Duronia, come mi suggerisce Filippo Coarelli, una sacerdotessa stessa di Cerere, in analogia a quanto noto a Roma e in altri centri dell’Italia centrale dove il culto della dea era affidato a donne31.
9Una cinquantina di epigrafi è invece da porre in relazione a singoli elementi dell’edificio sacro, esplicitamente menzionati o comunque identificabili grazie alla tipologia del supporto.
10Compaiono innanzitutto testi che attestano l’erezione di podi templari o di scalinate d’accesso, quali, ad es., le due iscrizioni, con i soli nomi dei costruttori, incise rispettivamente sulla cornice superiore di un podio templare dal territorio vestino32 e sui muri d’anta che inquadrano la scalinata frontale del “tempio tetrastilo” di Ostia33. Simili strutture potevano essere distinte, e non soltanto dal punto di vista architettonico, dal tempio vero e proprio; illuminante, a questo proposito, la testimonianza della lex aedis Furfensis, che sancisce come limite della proprietà sacra sulla fronte dell’edificio il colonnato posto tra scalae e l’aedes, intesa come corpo centrale dell’alzato34.
11Accanto alle non molte attestazioni di porte (con battenti e cardini)35, celle templari36, pronai37 e colonnati (con relativa crepido)38, particolare rilie vo assume, sin dalla prima metà del II sec. a.C., il cospicuo gruppo di iscrizioni musive pavimentali, per lo più collocate all’ingresso o nel pronao39 ma anche all’interno della stessa cella40; tali documenti commemorano prevalentemente la costruzione o il restauro del pavimento stesso, non sempre espressamente ricordato41. Nei casi in cui si faccia riferimento anche ad altri lavori d’arredo all’interno del complesso templare42, la menzione del pavimento appare costante. Notevole, a questo proposito, l’anomalia riscontrabile nell’iscrizione musiva (?), ora perduta, di uno dei sacelli posti sulla seconda terrazza dell’imponente santuario presso la “villa Fidelia” di Spello; vi si ricorda infatti soltanto l’erezione, in età triumvirale o proto-augustea, di un signum Veneris con la sua base, mentre si omette il riferimento al pavimento stesso su cui sembra corresse l’iscrizione43; in questo caso si può ipotizzare che la messa in opera della statua di culto avesse comportato anche la costruzione o il rifacimento del pavimento circostante e che, poi, quest’ultimo fosse stato utilizzato come supporto per l’iscrizione di dedica davanti al basamento stesso.
12Da ultimo ricordo alcuni testi in rapporto alla trabeazione, al tetto ed al loro arredo. La prima è una nota dedica prenestina a Fortuna, che attesta l’impiego, verso la fine del III sec. a.C, di elementi lapidei, non chiaramente identificabili, nel tetto di un edificio di culto44. Vicine cronologicamente (inizi II sec. a.C.) sono anche alcune lastre fittili da un tempio extra-urbano nei pressi della colonia latina di Fregellae, in origine forse fissate sulla trabeazione frontonale (lignea) dell’edificio; su tali terre-cotte architettoniche si conservano gli esigui resti di un’epigrafe monumentale, con lettere a rilievo, in cui riconoscerei l’iscrizione di dedica del rivestimento fittile o, piuttosto, dell’intero complesso templare (fig. 1)45. Dobbiamo infine immaginare come elementi ornamentali appesi al frontone di una aedes Belini a Iulium Carnicum i clipea inaurata quinque in fastigio offerti da un gruppo di magistri, contestualmente al rifacimento dell’edificio, verso la metà del I sec. a.C.46. Un significativo confronto è fornito dallo stesso tempio di Iuppiter Optimus Maximus sul Campidoglio, per il quale le fonti letterarie attestano, in più occasioni durante il II sec. a.C, la dedica analoga di scudi dorati sul frontone47.
13Lasciando gli edifici o luoghi di culto in senso stretto, analizzeremo l’abbondante documentazione epigrafica relativa ad altri apprestamenti e strutture santuariali.
14L’elevato numero di testimonianze disponibili, circa novanta, conferma il particolare rilievo degli altari, un elemento costante all’interno dell’area sacra. Sono state considerate le dediche e le disposizioni rituali48 incise direttamente su are ed altri testi che ricordassero espressamente tali strutture; si è anche tenuto conto di alcune lamine bronzee, per lo più d’età medio repubblicana e recanti il solo teonimo al dativo o brevi leges sacrae49, che potevano essere affisse, piuttosto che a basi di donario, al coronamento di altari. Questo è forse, ad esempio, il caso delle due note lamine dal santuario lavinate delle XIII are50, o delle sei laminette (ognuna recante un diverso teonimo) recuperate sulla via Appia presso Posta di Mesa ed oggetto di un recente studio da parte di F. Coarelli51. Per l’assenza di incassi destinati all’alloggiamento di eventuali donari, potrebbero infine essere assimilati, sul piano funzionale, ad altari anche le serie di cippi tronco-piramidali, con iscrizioni di dedica, dal territorio di Lavinium (Tor Tignosa)52 e dal lucus Pisaurensis53.
15Tra i materiali raccolti si debbono distinguere dalle are votive, per lo più espressione di un atto di devozione privata (e qui in genere non considerati), gli altari ufficiali dedicati alla/e divinità titolare/i dell’area sacra54; essi recano in molti casi, accanto al teonimo, il nome di chi ne ha curato l’erezione o il restauro, per lo più magistrati urbani e locali o anche rappresentanti di collegia.. Alcune testimonianze da Roma mostrano peraltro la dedica contestuale, forse determinata da eventi particolari, di are dislocate in zone diverse della città. Il caso più evidente è il duplice intervento di un A. Postumius Albinus duovir lege Plaetoria, con probabilità il console del 151 a.C., cui si deve il restauro dell’ara di fronte al tempio “C” di Largo Argentina (e, forse, di quella gemella davanti al tempio “A”) e la dedica (o piuttosto rifacimento?), nei pressi della porta Viminalis, di un’ara sacra a Verminus55. Qualcosa di analogo si può forse supporre anche per T. Quinctius T.f., con probabilità il console del 150 a.C. o quello del 12356, il quale dedicò a Fortuna un altare, del tipo a sagome contrapposte (“metà di ara arcaica in peperino, simile a quella di Vermino”, secondo la descrizione del primo editore, Rodolfo Lanciani)57, sul Celio, in prossimità della Scala Santa58; le stringenti affinità tipologiche e del formulario epigrafico, unitamente a considerazioni prosopografiche, suggeriscono di attribuire al medesimo personaggio, un esponente della nota gens patrizia dei Quinctii Flaminini un’ara affine dal Tevere, fatta erigere in un vicino ambito cronologico da un anonimo console, anch’egli, come T. Quinctius, figlio di un Titus (fig. 2)59.
16Altre iscrizioni attestano chiaramente, invece, come l’erezione o il restauro di arae potesse rientrare in una più generale sistemazione dell’area sacra, se non nel suo stesso impianto; tra i casi più espliciti in questo senso è, ad es., a Sipontum, la dedica, verso la fine della Repubblica, a Diana di una aedes e di un’ara de lapide quadrato nonché di un signum della dea (la statua di culto)60.
17Prassi relativamente comune risulta anche essere l’erezione nell’ambito del medesimo contesto, di articolati gruppi di are, che vengono in genere dedicate a divinità diverse61; simili complessi sorgono spesso all’interno di santuari extra-urbani o comunque ai margini della città, talora in stretta connessione al fenomeno della colonizzazione romana. A questa categoria sono riconducibili, tra IV e III sec. a.C, oltre ai casi già menzionati di Tor Tignosa, di Posta di Mesa e del lucus Pisaurensis, la serie di otto altari (di cui sei iscritti) trovati nel santuario veiente di Macchia Grande62 e le arae collaudate a Praeneste da un censor della città libera63; analogamente è documentata a Spoletium, dopo la guerra Sociale, l’erezione di undici arae da parte dei sommi magistrati del municipium umbro64. Affine, da ultimo, il caso, per l’età triumvirale, delle septem arae paganicae offerte a Giove ob magisterium pagi nel territorio di Brixia o di quelle di Caere, poste a Silvano e Marte nel 39 a.C.65.
18Ricordo infine, in stretto rapporto funzionale agli altari, una possibile attestazione epigrafica dal-Yager Hatrianus di un foculus66, cioè di un braciere trasportabile in metallo, da utilizzare al momento delle libagioni sacrificali67; tali oggetti potevano essere alloggiati in incassi come quelli visibili sul piano superiore di alcune delle are di Macchia Grande68.
19Destinati a raccogliere le offerte monetali dei fedeli in visita nel santuario erano, come è noto, i thesauri, dei contenitori lapidei provvisti di fessura e cavità interna, in genere collocati all’esternò all’edificio di culto69. Nel mondo romano, simili manufatti, frequentemente corredati di iscrizioni che ne commemorano la costruzione o la dedica, cominciano a diffondersi a partire dal II sec. a.C, con una certa concentrazione nei decenni finali e nel secolo successivo70. La maggior parte dei thesauri iscritti d’età repubblicana (una diecina)71 si deve all’iniziativa di magistrati municipali o di magistri pagorum o di associazioni collegiali a carattere religioso. Al loro controllo era sottoposta, con probabilità, anche la periodica apertura dei contenitori per il prelievo delle offerte; di particolare interesse si rivela a questo proposito una delle disposizioni contenute nel “cippo Abellano”, che subordinava l’apertura della cassa e l’uso conseguente del ricavato al parere dei senati delle due comunità (Nola ed Abella) che avevano in gestione comune, nei decenni finali del II sec. a.C, il santuario di Ercole72.
20Per le abluzioni richieste ai fedeli prima del rito erano utilizzati bacini lustrali, fontane e pozzi, anch’essi posti ai margini dello spazio propriamente sacro73, talora davanti alla cella stessa, come ad es. il pozzo nel pronao del tempio di Ercole a Campochiaro (Matese)74. In età repubblicana simi li monumenti risultano raramente corredati di iscrizioni75. Notevole per la sua antichità è un bacino circolare di fontana da Lanuvium, che, dedicato da un magistrato locale verso la metà del III sec. a.C, doveva sorgere nei pressi del tempio di Ercole, uno dei principali santuari della città laziale. L’iscrizione, che corre lungo l’orlo del labrum ed è realizzata con lettere alveolate e riempimento in bronzo, fa riferimento, oltre che all’offerta del bacino stesso, anche all’adduzione dell’acqua necessaria ad alimentarlo76; un formulario affine presentano ad es., sul versante italico, i testi incisi su una serie di vasche fatte costruire, alle soglie della guerra Sociale, da un meddix tuticus, presso il tempio B di Pietrabbondante77.
21All’ultimo secolo della Repubblica si data invece un frammento di puteal in calcare scoperto nella corte esterna della Regia, nel riempimento di una cisterna di cui doveva forse costituire il coronamento; non escluderei che la lacunosa iscrizione sull’orlo, della quale si conserva unicamente la parola Regia, potesse indicare soltanto l’appartenenza del pozzo all’arredo di culto del santuario romano78.
22Ad affini esigenze dei fedeli rispondevano inoltre, soprattutto in luoghi di culto extra-urbani, impianti termali costruiti all’interno dell’area sacra e, talora, alimentati da propri acquedotti79; per il periodo in esame il caso più evidente è forse rappresentato dal balneum tardo-repubblicano scoperto nei pressi del santuario di Hera Lacinia, anche se all’esterno del muro di temènos80; come veniamo a sapere dall’epigrafe musiva del caldarium81, si trattava di un impianto a carattere pubblico, fatto costruire da una coppia di duoviri della vicina Crotone, città che doveva avere una qualche forma di controllo sul celebre santuario.
23In prossimità di aree cultuali sorgevano di frequente anche culinae e sale da banchetto, ambienti utilizzati, innanzitutto, per la preparazione e lo svolgimento del pasto rituale che seguiva il sacrificio animale82; alla divinità erano, come è noto, riservati gli exta della vittima sacrificale che, dopo esser stati bolliti (aulicocta), venivano offerti (por-recta) al dio e bruciati sul fuoco dell’ara83. Per l’età repubblicana si hanno, in particolare, sei attestazioni epigrafiche di culinae, la cui costruzione risulta in almeno due casi contemporanea all’impianto stesso del santuario84. Vorrei qui soffermarmi su una nota epigrafe proveniente dal “Bosco degli Aceti”, tra Aquinum e Casinum (loc. Aceto), ed ora conservata nell’Abbazia di Montecassino85 (fig. 3). Il documento, forse ancora inquadrabile nella prima metà del I sec. a.C. per formulario e paleo-grafia, attesta, insieme ad altre iscrizioni, l’esistenza nella zona di un santuario di Venere86, forse da porre in rapporto ad un vicino tracciato stradale87; nel testo si ricorda l’offerta alla dea di una culina da parte di quattro liberte, forse magistrae di un colle-gium femminile affine a quelli attestati in un ambi-to cronologico non distante a Minturnae88; simili annessi sono peraltro documentati, non soltanto per via epigrafica, in altri luoghi di culto consacrati a Venere, come il santuario pestano di Santa Venera89 o, nella stessa Roma, un sacrarium Veneris Cnidiae, provvisto, come attesta un’iscrizione d’età imperiale, di un cocinatorium90.
24La culina del Bosco degli Aceti è stata costruita loco precario, cioè su suolo privato, ottenuto dal suo proprietario con una concessione temporanea e revocabile91; questo particolare farebbe pensare ad una struttura realizzata con materiali leggeri e deperibili; caratteristiche non diverse potevano forse avere altre culinae, come, ad es., quella del più antico dei templi ostiensi della Bona Dea, nota da un’iscrizione probabilmente del secondo quarto del I sec. a.C. ma della quale mancano sicure evidenze archeologiche all’interno dell’area di culto92.
25Risultano testimoniate con relativa frequenza anche le porticus, strutture “profane” che dovevano offrire ricovero o altri servizi ai visitatori; alla diecina di iscrizioni che fanno espressamente menzione di simili monumenti93, si possono aggiungere altre epigrafi, meno esplicite, incise sulla trabeazione stessa di portici o esedre, come quelle pertinenti al rifacimento monumentale del santuario prenesti-no di Fortuna Primigenia94. Non mancano inoltre attestazioni di sedilia o sedes, talora associate a portici95, e di esedre; tra queste ultime spicca il caso di una delle “celle-donarie” del Nemus Dianae, la quale, definita nella sua iscrizione pavimentale come ala (cioè una sorta di esedra)96, veniva utilizzata per la deposizione di offerte votive. Anche un altro elemento caratteristico dei santuari dell’Italia repubblicana, l’associazione di teatri agli edifici di culto, funzionale in primo luogo allo svolgimento di ludi votivi, trova sicuri, anche se limitati, riscontri epigrafici nel I sec. a.C.; oltre alla porticus pone scaenam costruita poco dopo la guerra Sociale nel santuario tiburtino di Hercules Victor97, ad un contesto sacro potrebbero appartenere anche il thea-trum del pagus Vescinus98 e la scaina ricordata in un’iscrizione da un pagus del territorio peligno99.
26A conclusione di questa rassegna accenno ai numerosi testi epigrafici connessi, in vario modo, alla definizione areale del santuario e alla sua conseguente separazione, anche sul piano giuridico, dallo spazio circostante. Accanto al ricordo di opere di recinzione100, possono ricondursi ad analoghi apprestamenti molte delle attestazioni di muri o maceriae d’ambito santuariale101, la cui costruzione è talora in stretto rapporto a quella di ingressi all’area di culto102. La delimitazione dello spazio sacro poteva materializzarsi sul terreno anche grazie a cippi terminali, posti lungo il perimetro e spesso iscritti103. La testimonianza più evidente è rappresentata dai quattro cippi parallelepipedi di travertino, trovati in situ agli angoli di un piccolo sacello quadrangolare, che sorge nello spazio antistante i “Quattro tempietti” di Ostia104. Sui cippi, ascrivibili, come sembra, ancora alla fine dell’età repubblicana, è ripetuta la medesima breve iscrizione su un’unica riga, I.O.M.S. (fig. 4), che viene in genere intesa come I(ovi) O(ptimo) M(aximo) s(acrum) ma che potrebbe anche spiegarsi altrimenti per quanto concerne l’ultimo elemento della sigla105. La faccia iscritta dei cippi è rivolta verso l’interno dell’area sacra sacello da essi definito; il contesto ostiense rappresenta forse, in questa prospettiva, una suggestiva conferma archeologica alla esplicita distinzione sancita in un’iscrizione tiburtina tra pietre terminali, ancora “profane” e quanto è invece posto al loro interno, lo spazio propriamente sacro106.
27Qualche analogia con i documenti ostiensi presentano, per tipologia e forse anche per formulario (teonimo al dativo seguito da sacrum) anche due termini centinati, di epoca più antica, dalle pendici del Gianicolo e da Foligno, che recano rispettivamente una dedica alle divae Corniscae107 e a Supunda (?)108. Alla medesima funzione doveva rispondere infine una coppia di cippi parallelepipedi venuti alla luce presso il compitum Anagninum, la cui iscrizione rivela, oltre che il nome della divinità titolare (Lavema), anche la tipologia stessa del santuario (delubrum)109
28Prima di volgere alla conclusione, alcune brevi considerazioni sulla condizione sociale dei dedicanti, e sul finanziamento delle opere ricordate nelle iscrizioni. I testi raccolti, pertinenti esclusivamente alla sfera santuariale, rivelano una netta prevalenza della componente pubblica su quella privata, confermando i dati emersi da una più vasta indagine recentemente condotta da Silvio Panciera sull’e-vergetismo civico in età repubblicana110. Oltre la metà degli interventi di cui sia noto l’autore risulta infatti realizzati da titolari di funzioni pubbliche sia a Roma111 che in altre comunità (cittadine, paga-niche o vicane) dell’Italia antica112; abbastanza frequenti sono inoltre le testimonianze pertinenti a sacerdoti, a personale del tempio113 o a rappresentanti (magistri e ministri) di associazioni collegiali114. Nella maggioranza dei casi si tratta di persone operanti nell’ambito delle proprie mansioni ufficiali, che agiscono spesso su mandato della comunità o associazione da essi rappresentata. Parallelamente appare predominante, con la significativa eccezione dei magistri o ministri collegi, l’utilizzo di fondi di natura pubblica o affine, come le manubiae a disposizione dei magistrati dello Stato romano115; accanto ad essi assumono un peso notevole le risorse tratte dal tesoro stesso del santuario116, talora integrate dal finanziamento privato117. Le restanti iscrizioni testimoniano il coinvolgimento di altre componenti sociali, in primo luogo ingenui senza qualifica118 ma anche donne119, liberti120 e schiavi121; nel loro caso si rileva, diversamente, il pressoché esclusivo ricorso a fondi personali, per lo più in rapporto a dediche di natura votiva.
29Un esame complessivo dei dati raccolti consente forse di trarre, se non un vero e proprio bilancio, alcune riflessioni generali. Una prima osservazione di ordine cronologico: indicazioni specifiche sull’assetto topografico dei luoghi di culto si hanno soprattutto nell’età tardo-repubblicana, a partire dai decenni centrali del II sec. a.C, in significativa concomitanza con il più generale sviluppo edilizio riscontrabile nella penisola attraverso la documentazione archeologica. Per le fasi più antiche, pur con qualche eccezione nel III sec. a.C, le poche testimonianze disponibili, alcune delle quali risalenti all’età arcaica122, si riferiscono soltanto alla dedica di altari o alle norme che ne regolamentavano l’uso.
30Dal punto di vista areale, appare evidente la consistenza numerica dei dati relativi a Roma ed al Lazio, a cui può essere attribuita quasi la metà dell’intera base documentaria. Per altre zone dell’Italia centro-meridionale, meno rappresentate, si deve tener conto del fatto che le informazioni raccolte andrebbero integrate con la parallela documentazione italica (provvista, tra l’altro, di complessi testi di natura rituale, assenti nelle corrrispondenti fonti epigrafiche latine), particolarmente rilevante per l’area osco-sannita sino al periodo della guerra Sociale123. Per le regioni centro-settentrionali (Etruria, Umbria e Piceno) e la Gallia Cisalpina molte delle informazioni appaiono significativamente in rapporto ad aree oggetto di deduzioni coloniarie o comunque oggetto di assegnazioni viritane.
31I testi presi in esame documentano prevalentemente interventi di natura edilizia all’interno di un luogo di culto. Per quanto concerne la natura e l’entità dei lavori, l’epigrafia repubblicana fornisce un notevole contributo all’identificazione funzionale delle strutture esistenti e all’analisi delle principali fasi edilizie; in alcuni casi, come i santuari di Palestrina (Fortuna Primigenia), Tivoli (Hercules Victor) o il tempio capuano di Diana Tifatina, l’esame congiunto di più iscrizioni consente di seguire con notevole precisione l’andamento stesso di lavori realizzati in un ristretto arco cronologico. Appare d’altro canto abbastanza evidente, parallelamente, la tendenza a porre in risalto interventi di tipo settoriale, che potevano interessare anche singoli elementi di arredo, spesso altrimenti difficilmente riconoscibili.
32Resta comunque piuttosto elevata la percentuale dei casi in cui non si è in grado di precisare attraverso il testo o la tipologia del monumento su cui corre l’iscrizione, la natura dell’intervento. Una quota rilevante della documentazione è costituita da iscrizioni edilizie, il cui formulario è pressoché identico a quello di altri testi di natura pubblica. Molte delle strutture menzionate, per la loro stessa genericità (come ad es. portici e muri), possono inoltre essere attribuite ad ambito sacro soltanto in base al contesto di rinvenimento dei documenti stessi.
33In conclusione, pur avendone evidenziati alcuni limiti, l’analisi sin qui condotta credo confermi il fondamentale rilievo che le fonti epigrafiche hanno, soprattutto per gli ultimi due secoli della Repubblica, nello studio dei luoghi di culto dell’Italia romana, contribuendo ad una migliore valutazione delle loro molteplici e complesse componenti.
Annexe
Appendice : la base documentaria
Nelle seguenti tabelle i documenti epigrafici sono elencati, con una numerazione progressiva, che viene utilizzata nel testo, in base alla loro distribuzione geografica nella penisola. Il riferimento a costruzioni od elementi dell’arredo sacro non esplicitamente ricordati nelle iscrizioni è marcato con un asterisco (*).
Notes de bas de page
1 Macr., Saturn., III, 11, 5-6 : In Papiriano enim iure evidenter relatum est arae vicens praestare posse mensam dicatam. “Ut in tempio” inquit, “lunonis Populoniae augusta mensa est”. Namque in fanis alia vasorum sunt et sacrae suppellectilis, alia ornamento-rum. Quae vasorum sunt instrumenti instar habent, quibus semper sacrificia conficiuntur, quarum rerum principem locum obti-net mensa in qua epulae libationesque et stipes reponuntur. Ornamenta vero sunt clipei, coronae et cuiusce modi donaria. Neque enim dedicantur eo tempore quo delubra sacrantur, at vero mensa arulaeque eodem die quo aedes ipsa dedicari solent, unde mensa hoc ritu dedicata in tempio arae usum et religionem obtinet pulvinaris. L’analisi di Macrobio prende spunto dal commento a Verg., A., 1, 736 e 8, 279. Cfr. anche, similmente, Serv., ad Aen., VIII, 278-279.
2 Cfr., in merito, le recenti sintesi di H. Cancik, “La religione”, in Princeps urbium. Cultura e vita sociale dell’Italia romana, Milano, 1991, p. 352-372 e J. Scheid, La religion des Romains, Parigi, 1998, p. 54-67.
3 Per un confronto con l’ambilo etrusco di particolare interesse è il catalogo della mostra Santuari d’Etruria, a cura di G. Colonna, Arezzo, 1985 ed, in particolare il saggio introduttivo (I caratteri costanti) di G. Colonna, alle p. 23-27.
4 A questa categoria di oggetti, ed alla terminologia antica ad essi relativa, è dedicata gran parte della monografia di A.V. Siebert, Instrumenta Sacra. Untersuchungen zu römischen Opfer, und Kult-und Priestergeräten, Berlin-New York, 1999. Tra gli oggetti d’arredo sacro d’età repubblicana provvisti di iscrizioni, vd. ad es. CIL, I2 2518 cfr. p. 964 (brocca di bronzo, Roma–Tevere) : Ex aid[e] Hercu[lis Invidi ?] sacrom ; 2922 b (ansa di brocca in bronzo, forse da Roma) : Poplica ex aldi Sumani ; 2442 cfr. p. 866 (brocca in bronzo dal santuario di Ercole a Lanuvium) : Q. A. Aidicio(s) Q.f., T. Rebinio(s) Q.f. aidi-le(s) moltatico; AE 1999, 594 (patera ombelicata di bronzo, dal santuario di Feronia presso Loreto Aprutino) : Fer(oniae) aedi C. Vilnus C.f. Carbo. Cfr. anche AE 1984, 274 = AE 1987, 326 (Acquicoli), che ricorda, tra l’altro, l’offerta di una lanx e di un nanulum.
5 Sul rapporto tra statue divine e luoghi di culto si vedano anche le osservazioni metodologiche di S. Estienne, “Statues de dieux “isolées” et lieux de culte. L’exemple de Rome”, CCG, 8, 1997, p. 81-96.
6 Tra i casi più significativi sono i due donari (destinati a sorreggere un complesso di statue bronzee) offerti nell’area sacra di Sant’Omobono da M. Fulvius Flaccus (CIL, I2 2836 = VI 40895-40896 ; cfr. G. Colonna, “Volsinio capto. Sulle tracce dei donari asportati da Orvieto nel 264 a.C”, in Mélanges de droit romain et d’histoire ancienne. Hommage à la mémoire de André Magdelain, s.l., 1998, p. 109-122) ; vd. anche CIL, I2 615 cfr. p. 833. 919 (dal tempio di Hercules Musarum a Roma).
7 Sulle caratteristiche delle iscrizioni votive d’età repubblicana, in un’accezione ampia e in parte impropria del termine, cfr. S. Panciera, “Le iscrizioni votive latine”, Scienze dell’Antichità, 3-4, 1989-1990 [1991], p. 905-914.
8 Cfr. 178 (da Coppito) : Itus aditusque est I in hoce delubrum Feroniai I ex hoce loco I in via poplicam Campanam qua proxsi-mum est /...
9 Per la terminologia dei luoghi di culto nel mondo romano cfr., di recente, F. Castagnoli, “Il tempio romano : questioni di terminologia e di tipologia”, PBSR, 52, 1984, p. 3-20 [= idem, Topografia antica. Un metodo di studio, II. Italia, Roma, 1993, p. 613-628] ; A. Dubourdieu, J. Scheid, “Lieux de culte, lieux sacré : les usages de la langue”, in A. Vauchez éd., Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires (Coll. EFR, 273), Roma, 2000, p. 59-80.
10 Aedes : 2, 10, 23, 32, 72, 83-84, 85, 135, 138, 142, 158, 161, 182, 190, 191,201,235, 236 (?), 246, 247. Aedicula : 28a, 112, 115, 136 (?), 141, 150, 152 (?). Delubrum : 101 e 178. Templum : 155 e 231.Sacellum : 22, 126, 134 (?), 181. Compitum : 193 e 244.
11 155 (Prezza) ; 231 (Pisaurum).
12 Cfr. 2 (dalla tomba degli Scipioni sulla via Appia) : ... Hec cepit Corsica(m) Aleria(m)que urbe dedet Tempestatebus aide(m) mereto[d] ; vd. da ultimo A. Ziolkowski, “Tempestates, aedes”, in LTUR, V, Roma, 1999, p. 26-27.
13 Cfr. 10 (base di statua dal Celio) ; per l’esposizione di tabu-lae triumphales nei santuari G. Bandelli, “Contributo all’interpretazione del cosiddetto elogium di C. Sempronio Tuditano”, Ant. Alt. Adr. 35, 1989, p. 114 sg. ; F. Zevi, “Il tempio dei Lari Permarini, la Roma degli Emilii e il mondo greco”, MDAI(R), 104, 1997, p. 83-85. Affine forse anche il caso dell’intervento evergetico di Sempronio Tuditano (cos., 129 a.C.) ad Aquileia in rapporto ad un santuario dedicato al Timavus (239) : cfr., da ultimo, con bibl. prec, C. Zaccaria, “Testimonianze epigrafiche dei culti greco-romani nell’area adriatica settentrionale in età romana. Bilancio e problemi”, in Ch. Delplace, F. Tassaux éd., Les cultes polythéistes dans l’Adriatique romaine (Ausonius-Pubblications. Études, 4), Bordeaux, 2000, p. 175 nt. 44.
14 Si tratta della nota iscrizione (33), perduta, di P. Lucilio Gamala “senior”, tra le cui benemerenze sono ricordati anche il rifacimento dell’aedes Volkani e l’erezione delle aedes Veneris, Fortunae, Cereris e Spei (da tempo identificati con i “quattro Tempietti” repubblicani). Sulla cronologia dell’operato di Gamala ad Ostia vd. ora J. D’Arms, “P. Lucilius Gamala’s feasts for the Ostians and their Roman Models”, IRA, 13, 1, 2000, p. 192-200 e M. Cébeillac Gervasoni, F. Zevi, “Pouvoir locai et pouvoir centrai à Ostie. Étude prosopographique”, in M. Cébeillac Gervasoni éd., Les élites municipales de l’Italie péninsulaire de la mort de César à la mort de Domitien entre continuité et rupture. Classe sociales dirigeantes et pouvoir centrai (Coll. EFR, 271), Roma, 2000, p. 13-15.
15 Cfr. 235 (base di statua dal foro di Aquileia), in rapporto all’invio di un supplementum di coloni ad Aquileia nel 169 a.C. : T. Annius T.f. tri(um)vir. / Is hanc aedem / faciundam dedit / dedica-vitque, legesq(ue) / 5 composivit deditque, I senatum ter co(o)ptavit.
16 Vd. 23 da Roma (una Publicia L.f. Cn. Corneli A.f. uxor fa costruire ed intonacare una aedes Herculis con le sue valvae e fa, contestualmente, restaurare un’ara consacrata alla medesima divinità) ; sulla possibile localizzazione del tempio e sulle relazioni familiari della dedicante cfr. S. Ritter, Hercules in der rómi-schen Kunst von den Anfàngen bis Augustus (Archäologie und Geschichte, 5), Heidelberg, 1995, p. 60 sg., con nt. 35. Cfr. anche 193, da Cluana (interventi edilizi commissionati presso un com-pitum, da una Sufrena Pola).
17 Cfr. 170 dal territorio di Carsioli (dedica di una aedes Larum) ; 142 (costruzione ed intonacatura di una aedes Dianae e di un’ara de lapide quadrato, congiuntamente alla dedica di un signum) ; 177, iscrizione musiva da un ambiente del foro di Forum Novum (decorazione pittorica di una aedes e costruzione di un pavimentum).
18 Cfr. 231, da Pisaurum (erezione di un Priapum e del relativo templum da parte di uno schiavo de suo peculio).
19 Vd. 121 : ... (nomina dei magistri) heisce magi[treis pavimentum flaci[un]dum aedemque reficiundam / columnasq[ue et simulacra pro (?)] columneis ina[ur]ata de stipe Dianai / faciunda co[eravere Ser. Sulpi]cio, M. Aurelio consolibus. Per la lettura ed il corretto inquadramento cronologico del documento al 108 a.C. cfr. S. Batino, “L’iscrizione pavimentale da S. Angelo in Formis : una revisione”, Ostraka, 5, 1, 1996, p. 15-21 e M. Pobjoy, “A new reading of the mosaic inscription in the tempie of Diana Tifatina”, PBSR, 65, 1997, p. 59-88.
20 Vd. supra nt. 10. Cfr. anche, per un sacello compitale pompeiano, 129 (compitum provvisto di altare consacrato a Salus).
21 Å. Fridh, “Sacellum, Sacrarium, Fanum, and Related Terms”, in Greek and Latin Studies in memory of Cajus Fabricius (Stud. Graeca et Lat. Gothoburg, 54), Goteborg, 1990, p. 173-187.
22 Cfr. 126, col. III, rr. 2 sg. : Eidem sacella, aras signaque, quae in / campo sunt, quae demonstrata erunt / ea omnia tollito, deferto, componilo / statuitoque, ubei locus demonstratus / exit, duumvirum arbitratu.
23 Cfr. 22 : M[ag(istri)] et flamines / Montan(orum) montis / Oppi / de pecunia Mont(anorum) /5 montis Oppi / sacellum / clau-dendium) / et coaquand(um) / et arbores /10 serundas / coeraverunt ; il luogo di culto potrebbe forse essere accostato al sacellum Larum Querquetulanum (in evidente connessione con un querceto), che Vairone (L. 5, 49) colloca sulle Esquiliae (cfr. J. Aronen, “Lares Querquetulani, sacellum”, in LTUR, III, Roma 1996, p. 176). Una situazione affine al caso romano sembra riflessa anche da un’iscrizione di Hadria (181), anch’essa relativa alla recinzione di un sacellum (da parte di quaestores della colonia latina).
24 Per le diverse accezioni di lucus, ricavabili dall’esame congiunto di fonti letterarie ed epigrafiche e della parallela documentazione archeologica, vd. J. Scheid, “Lucus, nemus. Qu’est ce qu’un bois sacré ?”, in Les bois sacrés. Actes du Colloque international de Naples (Collection du Centre J. Bérard, 10), Napoli, 1993, p. 13-20 ; F. Coarelli, “I luci del Lazio : la documentazione archeologica”, ibidem, p. 45-52 ; L. Gasperini, “Dal luco sacro al luco con insediamento umano”, in Los orígenes de la ciudad en el noroeste hispánico. Acta del Congreso Internacional, Lugo 15-18 de Mayo 1996, I, Lugo, 1998, p. 309-324.
25 Cfr. 137, da Cosilinum, in cui si menziona la costruzione, circa lucum, di un murus e di un ingresso (ianua [o piuttosto di uno ianus e di un’ulteriore struttura muraria a secco (maceria) ; cfr., per l’assetto topografico, V. Bracco, ad I.It., III, 201.
26 Cfr. i dati raccolti M. Lejeune, “ “Enclos sacré” dans les épigraphies indigènes d’Italie”, in Les bois sacrés, cit. nt. 24, p. 93-101.
27 Cfr. 207-208, con il riesame di S. Panciera, “La lex luci Spoletina e la legislazione sui boschi sacri in età romana”, in Monteluco e i Monti sacri, Spoleto, 1994, p. 25-46 (in particolare, per l’originaria collocazione dei cippi lungo la delimitazione del lucus cfr. p. 44).
28 Vd. 214, cfr. F. Coarelli, “Assisi repubblicana : riflessioni su un caso di autoromanizzazione”, Atti Acc. Prop. Subasio, ser. 6, 19, 1991, p. 20 : Cn., T. Caesii Cn.f. Tiro et [P]riscus ((quat-tuor))vir(i) quinq(uennales) sua pecun(ia) fecerunt.
29 Cfr. 44 (architrave con fregio dorico) : A. Caecilius Cn. A. Q. Flamini leibertus Iunone Seispiti I Matri Reginae.
30 Cfr. 45, blocco parallelepipedo di peperino (108 x 48 x 32), con iscrizione su una delle facce maggiori, che doveva continuare anche su un blocco contiguo : Duronia Pont[i (scil. uxor) ?] // [dedit o sim.] (per altre possibili interpretazioni del testo vd. M.G. Granino Cecere, “Epigrafia dei santuari rurali del Latium Vetus”, MEFRA, 104,1, 1992, p. 142 sg.) Dell’iscrizione si conservano soltanto un disegno (R. Paribeni, “Ariccia. Rinvenimento di una stipe votiva”, NSA, 1930, p. 372 fig. 3) ed una fotografia di scavo (valorizzata da Fausto Zevi in una conferenza tenuta nel 1994 alla Scuola Spagnola di Roma), di cui ho potuto prendere visione grazie alla cortesia della dott.ssa Rosanna Friggeri (Soprintendenza Archeologica di Roma), che ringrazio. Sul santuario cfr., di recente, M.G. Granino Cecere, “Epigrafia dei santuari”, cit. supra, p. 140-143 (con ipotesi che il santuario sorgesse all’interno di proprietà fondiarie dei Duronii) ; P. Carafa, “Le terrecotte della stipe di Ariccia. Considerazioni sull’artigianato artistico di un centro del Latium Vetus in età ellenistica”, ArchClass, 48, 1996 [1997], p. 273-294 ; per l’inserimento dei culti di Valle Ariccia nel quadro dei rapporti tra Lazio e Sicilia vd. anche F Zevi, “Siculi e Troiani (Roma e la propaganda greca nel v secolo a.C.)”, in La colonisation grecque en Méditerranée occidentale, Actes de la rencontre scientifique en hommage à Georges Vallet, Roma-Napoli 15-18 novembre 1995 (Coll. EFR, 251), Roma, 1999, p. 322.
31 Per il caso del culto aventino di Cerere, affidato a sacerdotesse originarie della Magna Grecia, cfr. J. Scheid, “Indispensabili “straniere”. I ruoli religiosi delle donne a Roma”, in Schmitt Pantel ed., Storia delle donne in Occidente. L’antichità, Roma-Bari, 1990, p. 433.
32 Cfr. 163, iscrizione incisa sul listello superiore della cornice di un podio templare di Incerulae (Navelli) : L. Pontediu[s---]. Sul santuario, dal quale proviene anche una più antica dedica a Herc(u)les Iovius (CIL, I2 394 cfr. p. 739. 832. 882), cfr. A. La Regina, “Ricerche sugli insediamenti vestini”, MemAccLinc, 13, 5, ser. 8, 1968, p. 402-406. Il documento è in particolare confrontabile con un’iscrizione osca incisa sul podio del tempio B di Pietrabbondante, in cui si ricorda la costruzione di parte del podio stesso (P. Poccetti, Nuovi documenti italici a completamento del Manuale di E. Vetter, Pisa, 1979, nr. 18, inizi I sec. a.C).
33 Cfr. 30 : [---]uleius L.f., I [---]ianus ; per l’ipotesi di identificazione del personaggio con L. Apuleius Decianus, tr. pl. nel 99 a.C, vd. F. Coarelli, “Saturnino, Ostia e l’annona. Il controllo e l’organizzazione del commercio del grano tra ii e i secolo a.C.”, in Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des débuts de la République jusqu’au Haut Empire, Napoli-Roma 1994, p. 37. Per più esplicite attestazioni epigrafiche di antae in rapporto ad edifici sacri cfr. 103 (Aletrium) e 245 (Aquileia).
34 Cfr. 161, con il commento di U. Laffi, “La lex aedis Furfensis”, in La cultura italica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Pisa 19-20 dicembre 1977, Pisa, 1978, p. 121-144 (in particolare p. 129-132 [= idem, Studi di storia romana e di diritto, Roma, 2001, p. 526-529]).
35 Cfr. 23, Roma (valvae di un’aedes Herculis fatte costruire da una donna) ; 126, Puteoli (fores clatratae dell’aedes Honorus) ; 161, Furfo (stipites dell’aedes lovis Liberi) ; 243, ager Aquileiensis (offerta a Minerva di maceries, pinnae e austia) ; 245, Aquileia (offerta da parte di magistri di clavatra).
36 Cfr. 16, Roma (costruzione da parte di un magister del pagus Ianiculensis di porticus, cella, culina ed ara) ; 162, dal territorio dei Vestini (erezione da parte di un magister di cella e culina).
37 Cfr. 79, Tibur – santuario di Hercules Victor (costruzione, accanto a porticus ed exsedra, del pronaon da parte di IIII viri della città) ; un riferimento ad un intervento edilizio concernente il pronao del tempio di luno Gabina è forse da riconoscere in un frammento di architrave iscritto dagli scavi della Scuola Spagnola a Gabii (cfr. 74 : [---pro?]naô[n?---]).
38 Vd. ad es., tra le testimonianze più esplicite, 121 (tempio di Diana Tifatina, costruzione di columnae) ; 174 (Trebula Mutuesca, offerta a Feronia di columnae III e della crepido ante columnas) ; 186 (Hatrialager, erezione di arae, crepido e columnae) ; 242 (Aquileialager, dedica a Minerva di columnae fictiles [?]). Resta invece incerto se le due colonne con dedica ad Ercole da Aquileia (239) siano da connettere all’erezione dell’intero sacello da parte dell’offerente : cfr. in merito, F. Fontana, I culti di Aquileia repubblicana : aspetti della politica religiosa in Gallia Cisalpina tra il III e il II sec. a.C., Roma, 1997, p. 190 sg.
39 Cfr. ad es. 13 (Roma, tempio di Iuppiter in insula) ; 121 (tempio di Diana Tifatina) ; 167 (sacello di Ercole ad Alba Fucens) ; 176-177 (ambienti di culto nel foro di Forum Novum) ; 190 (sacello di Ercole a Montorio al Vomano) ; 202 (“tempio Grande” di Luni).
40 Vd. 7 (Roma, tempio di Apollo in Circo) e 158 (edificio templare presso Castel di Ieri).
41 In un certo numero di iscrizioni pavimentali (7, 18, 75 [se da riferire ad edificio sacro], 77, 125, 131, 145, 180 [hoc opus]) compaiono soltanto i nomi dei dedicanti e non l’oggetto del loro intervento : per alcuni di questi casi resta il dubbio questo fosse limitato al solo pavimento in cui è inserita l’iscrizione o all’intero edificio.
42 Ad es. decorazione pittorica : 176 (Forum Novum) e 190 (Montorio al Vomano) ; erezione di colonne o di statue : cfr. 121 (tempio di Diana Tifatina).
43 Cfr. 215, iscrizione vista nel xvii secolo e di cui non mancano, nella tradizione manoscritta, varianti testuali : M. Granius, Sex. Lollius ((duo))vir(i) / quin(quennales) signum et basim Veneris / ex d(ecreto) d(ecurionum) f(aciundum) c(uraverunt) eidemq(ue) proh(averuni) ; nel corso di recenti indagini che hanno portato ad importanti chiarimenti sulla topografia del santuario è stato, tra l’altro, riscoperto il sacello di Venere e di parte della sua pavimentazione ; cfr. D. Manconi, “Statut des cités et réseaux centuriés de la vallèe d’Ombrie”, in Cité et terri-torire. IIe colloque européen, Béziers 24-26 octobre 1997, Parigi 1998, p. 248-252 (con rilievo dell’ambiente a fig. 13) ; sulla possibile natura federale del santuario vd. ora E Coarelli, “Il rescritto di Spello e il santuario ‘etnico’ degli Umbri”, in Umbria cristiana. Dalla diffusione del culto al culto dei Santi (sec. IV-X). Atti XV Congresso internazionale di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 23-28 ottobre 2000, 1, Spoleto, 2001, p. 39-51.
44 Cfr. 53, lastra di calcare : [---] M. f., L. Aulius L. f. Caisi[anus]/ [---vo-vel ve]rticem lapidid /[---surn]dam dedrunt / [Fo]rtunai ; per le strutture ricordate vd. anche G. Gullini, “Terrazza, edificio, uso dello spazio. Note su architettura e società nel periodo medio e tardo repubblicano”, in Architecture et société de l’archaïsme grec à la fin de la République romaine (Coll. EFR, 66), Roma-Parigi 1983, p. 143 sg.
45 Cfr. 109 ; i frammenti, ancora inediti, si conservano nei magazzini del Museo di Ceprano (FR) ; cenno in F Coarelli, “La storia e lo scavo”, in E Coarelli, P.G. Monti ed., Fregellae 1. Le fonti, la storia, il territorio, Roma, 1998, p. 62. Debbo la fotografia che qui si presenta alla cortesia del Dott. Rudolph Känel che ha preso in esame il complesso di lastre nella sua dissertazione di Dottorato, ora in corso di pubblicazione (R. Känel, Bilderzyklen aus Terrakotta. Untersuchungen zur etruskisch-italischen Baudekoration des 3. und 2. Jahrhundens v. Chr., in corso di stampa.
46 Cfr. 246 :------ / et (?) q(ui) s(upra) s(cripti) s(unt) aedem
Beiini / [su]a pecunia refecere et / [clu]pea inaurata in fastigio ((quinque)) / et signa duo dedere, / [P.] Erbonio P.l. Principe, / [Se]x. [V]otticio Sex.l. Argentillo / mag(istris) vic(i) ; per la cronologia del documento (e del coevo 247) vd., da ultimo G.L. Gregori, “Vecchie e nuove ipotesi sulla storia amministrativa di Iulium Carnicum e di altri centri alpini”, in G. Bandeiii, E Fontana ed., Iulium Camicum. Centro alpino dalla protostoria all’età imperiale (Studi e ricerche sulla Gallia Cisalpina, 13), Roma, 2001, p. 160 sg. con nt. 9.
47 Liv., 35, 10, 12 (193 a.C.) : Aedilitas insignis eo anno fuit M. Aemili Lepidi et L. Aemili Paulli : multos pecuarios damnarunt ; ex ea pecunia multaticia clipea inaurata in fastiglio Iovis aedis posue-runt... ; 35, 41, 10 (192 a.C.) : ... de multa damnatorum quadrigae inauratae in Capitolio positae et in cella Iovis supra fastigium aediculae duodecim clipea inaurata ; 39, 35, 4-5 : Eo anno in aedes Herculis signum dei ipsius ex decemvirum responso et seiuges in Capitolio aurati a P. Cornelio positi ; consulem dedisse inscriptum est. Et duodecim clipea aurata ab aedilibus curulibus P. Claudio Pulchro et Ser. Sulpicio Galba sunt posita ex pecunia qua...frumentarios... damnarunt.
48 Tra le testimonianze più antiche è l’ara di Corcolle (76), ancora risalente agli inizi del V sec. a.C.
49 Cfr., ad es., 35 (Lavinium, santuario delle XIII are) ; 87, lamina opistografa recentemente ricondotta al tempio di Iuno Lucina a Norba (S. Quilici Gigli, “Appunti di topografia per la storia di Norba”, RPAA, 66, 1993-1994 [1996], p. 290-296). Una lamina, presumibilmente con il testo di una lex arae, era in origine affissa anche sull’altare templare del santuario di Esculapio a Fregellae (110), come mostra lo spazio vuoto (con chiodini d’affissione), che separava, in corrispondenza dell’iscrizione di dedica, il nome del dedicante dal teonimo (cfr. F Coarelli, “Le iscrizioni”, in idem ed., Fregellae 2. Il santuario di Esculapio, Roma, 1986, p. 43).
50 Cfr. 34, decenni centrali del VI sec. a.C. : Castorei Podlouqueique / qurois. ; 35, fine IV-inizi III sec. a.C. : Cerere(m ?) auliquoquibus, / Vespernam poro (in questo caso, visto il contenuto della lex, si potrebbe anche pensare che il supporto fosse una mensa). Nel santuario dovevano esserci altre lamine analoghe (verosimilmente anch’esse iscritte), come mostrano almeno tre conci di tufo con chiodini ed incassi rettangolari (L. Cozza, “Le tredici are. Struttura e archittettura”, in AA.VV, Lavinium II Le tredici are, Roma, 1975, p. 168-172), che tuttavia non apparterrebbero, secondo gli editori dello scavo, agli altari ma piuttosto a basi di donario (così anche F. Castagnoli, “Iscrizioni”, in AA.VV, Lavinium, II, cit. supra, p. 441-444).
51 H. Solin, “Epigrafia repubblicana. Bilancio, novità, prospettive”, in Atti XI Congresso internazionale di Epigrafia greca e latina, Roma 18-24 settembre 1997, I, Roma, 1999, p. 397-400 (dediche ad Apollo, Cerere, Diana, Ercole, Giove e Nettuno) ; F Coarelli, Un santuario medio-repubblicano a Posta di Mesa, in corso di stampa.
52 Cfr. 36-39.
53 Cfr. 216-229 ; sul santuario vd., da ultimo, E Coarelli, “Il lucus Pisaurensis e la romanizzazione dell’ager Gallicus”, in C. Bruun ed., The Roman Middle Republic Politics, Religions, and Historiography c. 400-133 B.C. (Acta Inst. Rom. Finl., 23), Roma, 2000, p. 195-205 ; per la funzione dei cippi cfr. E. Peruzzi, / Romani di Pesaro e i Sabini di Roma, Firenze, 1990, p. 25 sg. e A. Franchi De Bellis, “Studi recenti sui cippi pesaresi”, RPL, 13, 1990, p. 65.
54 Tra i casi più evidenti vd. 8 (Roma, ara davanti al tempio “C” dell’area sacra di Largo Argentina) ; 73 (Gabii, ara davanti al tempio di luno Gabina) ; 104 (Sora, nei pressi del tempio sotto la Cattedrale) ; 110 (Fregellae, ara dal santuario di Esculapio) ; 128 (Pompeii, ara davanti al tempio di Apollo).
55 Cfr. 8 (ara davanti al tempio C dell’area sacra di Largo Argentina) : A. Postumius A.f A.n. Albinus duovir lege / Plaetoria reficiundam coeravit ; 9 (ara di Vermino) : Vermino / A. Postumius A.f. A.n. Albi(nus) / duo vir lege Plaetoria ; sulla datazione e le circostanze che portarono all’intervento di Postumio Albino cfr. F. Coarelli, Il Campo Marzio. Dalle orìgini alla fine della Repubblica, Roma, 1997, p. 314-323.
56 Cfr. rispettivamente H. Gundel, in RE, 24, 1, 1963, coll. 1100 sg., s.v. Quinctius (47) e (48).
57 Per questo genere di altari, di tradizione arcaica, caratterizzati dall’accostamento di sagome contrapposte, resta fondamentale lo studio di F. Castagnoli, “Sulla tipologia degli altari di Lavinio”, BCAR, 77, 1959-1960 [1962], p. 145-172 (= idem, Topografia antica, cit. nt. 9, p. 833-861). A tale tipologia è riconducibile, tra l’altro, anche il coronomento di un altare da Tusculum (49), per il quale si dispone di un appunto, corredato da disegno, del Lanciani (MS Lanciani BIASA, 67, f. 62 ; cfr. F Castagnoli, “Santuari e culti nel Lazio arcaico”, Arch. Laz., 3 (Quad. AEI, 4), Roma, 1980, p. 167 nt. 15) ; in considerazione del luogo in cui la vide il Lanciani (“... Giace sul prato che precede la spianata del Tuscolo, a sinistra dell’antica strada selciata, che sale dall’anfiteatro al foro.”), l’ara, recante, come sembra, una dedica ad Anna Perenna, è forse da connettere al non lontano santuario fuori la porta occidentale della città antica (per il quale vd., di recente, L. Quilici, S. Quilici Gigli, “Un grande santuario fuori la porta occidentale di Tusculum”, Arch. Laz., 12, 2, (Quad. AEI, 24), Roma, 1995, p. 509-534).
58 Cfr. 11, parte superiore sinistra di un’ara in peperino (perduta ?) : Fortuna[e] / sac[rum]. / T. Quincti[us T.f. cos.? de] / senati sente[ntia]. Sul luogo di culto cfr. G. Colonna, “Roma arcaica, i suoi sepolcreti e le vie per i Colli Albani”, in A. Pasqualini ed., Alba Longa. Mito Storia Archeologia, Roma, 1996, p. 353 sg. (per la localizzazione vd. fig. 11,D).
59 Cfr. 12, parte destra del coronamento (abaco, toro ed echino) di un’ara di peperino, trovata nel Tevere (all’altezza della cloaca Massima) ed ora esposta nel Dipartimento Epigrafico del Museo Nazionale Romano : [---] (vac.) sacrum / [---u]s T. f. co(n)s(ul) de / [senati (è possibile) s]ententia / [fe]cit. Allo stesso console può del resto essere attribuita anche una base in peperino dal Campidoglio (CIL, I2 655 cfr. p. 927 = VI 1322 cfr. p. 4680).
60 Cfr. 142, pilastrino parallelepipedo della fine dell’età repubblicana : T. Tremeliu{s) / Tl. Antioch(us) / âed{em) Dianâe / et aram de / 5 lapide quadr(ato) / aedif(icandam) et ope(re) / tec-tor(io) pol(iendam) / et sign(um) Dian(ae) / fac(iendum), statue(ndum), / 10 dedic(andum) de sua pec(unia) curaviît. / V(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito).
61 Sul versante archeologico il caso più noto è rappresentato dal santuario lavinate delle XIII are, su cui vd. AA.VV, Lavinium.ll, cit. nt. 50 ed in sintesi, con ampia bibliografia M. Fenelli, “Lavinio”, in BTCGI, 8, Pisa-Roma, 1990, p. 479-481. Particolarmente istruttivo, in ambito osco, il confronto offerto dalla “tavola di Agnone” (E. Vetter, Handbuch der italischen Dialekte, I, Heidelberg, 1953, p. 147 ; cfr. da ultimo i contributi raccolti in L. Del Tutto Palma ed., La tavola di Agnone nel contesto italico. Convegno di studio, Agnone 13-15 aprile 1994, Firenze, 1996), una sorta di calendario rituale in cui ricordano, insieme all’aasa purasia, quindici culti con le relative aasas.
62 Cfr. 195-200 ; su una delle are (196), con dedica a Minerva, si legge anche (fianco destro) la parola NVTIRCE (cfr. R. Wachter, Altlateiniche Inschriften. Sprachliche und epigraphische Untersuchungen zu den Dokumenten bis etwa 150 v. Chr., Bern, 1987, p. 439), forse da intendere come Nutrice (= Nutrici), epiteto che sembrerebbe alludere ad un aspetto curotrofico del culto della dea. Per le caratteristiche del santuario, legato alla colonizzazione viritana che seguì l’annessione dell’agro veiente, vd. ora M. Torelli, Tota Italia. Essays in the Cultural Formation of Roman Italy, Oxford, 1999, p. 25-29 ; una situazione analoga è forse riflessa dai due cippi capuani (prima metà del II sec. a.C), dedicati rispettivamente a Hercules (?) e luno Lucina (118-119), che ricordano dei sacra Tuscolana : in questo senso cfr. ora M.G. Granino Cecere, “Tuscolana sacra e sacerdotes Tusculani”, in Tusculanae Disputationes. Atti del Convegno, Grottaferrata-Frascati 2000, Roma, in corso di stampa.
63 Cfr. 54 : C. Saufeio(s) C.f, / C. Orcevio(s) M.f, / Sabini / censores / hasce aras / probaveront / luno(ne) Palostcalria. Dalla medesima zona proviene anche un’altra ara, più recente (II sec. a.C.) dedicata a Turpenus Pater da un praetor della città (56). Sul santuario vd. G. Colonna, “Culti dimenticati di Praeneste libera”, in Le Fortune dell’età arcaica nel Lazio ed in Italia e loro posterità. Atti III Convegno di studi archeologici, Palestrina 15-16 ottobre 1994, Palestrina s.d. (ma 1997), p. 92 sg.
64 Cfr. 209a : C. Erucius C.f., / T. Titius L.f. Flac(cus) / ((quat-tuor))vir(i) i(ure) d(icundo) / aras ((undecim)) s(enatus) Consulto) fac(ciundum) cur(averunt).
65 Cfr. rispettivamente 234 (Brixialager) e 194 (Caere) ; per altre testimonianze relative a complessi unitari di altari vd. F. Castagnoli, “Sulla tipologia”, cit. nt. 57, p. 159 nt. 47 (= idem, Topografia antica, cit. nt. 9, p. 843 nt. 17), cui si può aggiungere CIL, XI 3199 = ILS 3481 (Nepetlager). Per basi di statua (?) offerte contestualmente a divinità diverse cfr. anche le dediche canu-sine della tarda età repubblicana CIL, I2 3182-3184.
66 Cfr. 187 : [---]ieni(us) T. f, P. Babidieni(us) C. f, P. Vetedi(us) T. f. foc(ulum ?) de qu[o ?---].
67 Cfr. E. De Ruggero, “Foculus”, in Diz. Epigr., 3, Roma, 1922, p. 172 ; Thes. Ling. Lat., VI, 1 (1920), col. 987 ; per l’uso di foculi nelle cerimonie degli Arvali cfr. J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères Arvales, modèle du culte public dans la Rome des empereurs (BEFAR, 275), Roma, 1990, p. 320-330.
68 Cfr., ad es., 199 (con disegno in E. Stefani, “Veio – Esplorazioni dentro l’area dell’antica città”, NSA, 1922, p. 388 fig. 9). Vd., in generale, I. Di Stefano, Mestiere di epigrafista. Guida alla schedatura del materiale epigrafico lapideo (Vetera, 1), Roma, 1987, p. 84 sg. ; per la terminologia antica (focus e foculus) cfr. anche H.C. Bowermann, Roman Sacrificai Altars. An Archaeological Study of Monuments in Rome, Lancaster, PA, 1913, p. 3 sg. e A.V Siebert, Instrumenta Sacra, cit. nt. 4, p. 88, 252 sg.
69 Per questa categoria di monumenti cfr., di recente, G. Kaminsky, “Thesauros. Untersuchungen zum antiken Opferstock”, JDAI, 106, 1991, p. 63-181 e, in questi Atti, il contributo di M.H. Crawford (esteso anche allo studio dei tesoretti monetali connessi ad aree sacre).
70 Cfr. A. Degrassi, “Epigraphica III”, MemAccLinc, ser. 8, 13, 1967, p. 44-46 (= idem, Scritti vari di antichità, 3, Venezia-Trieste, 1967, p. 141 -144) e, da ultimo, con lista pressochè esaustiva degli esemplari dall’Italia, F. Catalli, J. Scheid, “Le thesaurus de Sora”, RN, ser. 6, 35, 1994, p. 55-65 ; cfr. anche nt. sg.
71 Cfr. 100 (Anagnia) ; 105 (Sora) ; 149 (Beneventum) ; 164 (Pinna/ager) ; 179 (Amiternum/ager) ; 192 (Pausulaelager) ; 203 (Luna) ; 206 (S. Pietro di Ferentillo) ; 248 (Forum Iulii). In quanto provvista di cavità interna e di una apertura rettangolare nella parte inferiore, è forse da interpretare come thesaurus anche un’ara tronco-conica con dedica a Mercurio da parte di un duo-vir (42 ; per il retro cfr. il disegno di E Ritschelius ed., Priscae Latinitatis Monumenta Epigraphica ad archetyporum fidem exem-plis lithographis repraesentata, Berolini, 1872, tav. 91, f) ; se l’ipotesi (da verificare mediante autopsia) coglie nel segno, il manufatto doveva in origine essere dotato di una calotta superiore munita di fessura. Un altro esemplare anepigrafe d’età repubblicana è stato di recente scoperto nel santuario di San Pietro di Cantoni (Sepino) : cfr. M. Matteini Chiari, “Il santuario italico di San Pietro di Cantoni di Sepino”, in Studi sull’Italia dei Sanniti, Roma, 2000, p. 284 (con fig. 11 a p. 290).
72 E. Vetter, Handbuch, cit. nt. 61, nr, 1, lato B, rr. 23-28 ; cfr., da ultimo, A. La Regina, “Il trattato tra Abella e Nola per l’uso comune del santuario di Ercole e di un fondo adiacente”, in Studi sull’Italia, cit. nt. 71, p. 214-222, con commento e traduzione.
73 Cfr. in merito J. Scheid, “Sanctuaires et thermes sous l’Empire”, in Les thermes romains (Coll. EFR, 142), Roma, 1991, p. 210-212 ; nei pozzi, monumentalizzati nel corso del IT sec. a.C. (mediante tholoi), del santuario di Fortuna Primigenia e del foro triangolare di Pompei si è proposto, per altro, di riconoscere la sede di un oracolo : cfr. ora F. Coarelli, “Il Foro Triangolare : decorazione e funzione”, in Pompei. Scienza e società, Milano, 2001, p. 98 sg.
74 Cfr., di recente, S. Capini, “Il santuario di Ercole a Campochiaro”, in Samnium. Archeologia del Molise (catalogo mostra), Roma, 1991, p. 118.
75 Cfr. 25 (Roma), 43 (Lanuvium) e, forse, 240 (Aquileia) ; cfr. anche, per possibili dediche di bacini-fou teria fittili in ambito san-tuariale, O. de Cazanove, “Civita di Tricarico nell’età della romanizzazione”, in E. Lo Cascio, A. Storchi Marino ed., Modalità inse-diative e strutture agrarie nell’Italia meridionale in età romana (Pragmateiai, 7), Bari, 2001, p. 197-200. Tra le testimonianze più evidenti della prima età imperiale ricordo i putealia iscritti dal lacus lutumae a Roma (CIL, VI 36807 = ILS 9261, cfr. M. Kajava, “Le iscrizioni ritrovate nell’area del Lacus luturnae”, in E. Steinby ed., Lacus lutumae, I, Roma, 1989, p. 37-39 nr. 3) e dal più antico santuario ostiense della Bona Dea (cfr. E Zevi, “Culti “claudi” a Ostia e a Roma : qualche osservazione”, ArchClass, 49, 1997 [1998], p. 448 sg.) e dal Capitolium di Cosa (cenno in F.E. Brown, Cosa. The Making of a Roman Town, Ann Arbor, 1980, p. 56), nonché la fontana eretta da un magistrato locale pro ludis accanto al tempio tarquiniese dell’“Ara della Regina” (AE 1951, 185 ; cfr. E. Papi, L’Etruria dei Romani. Opere pubbliche e donazioni private in età imperiale, Roma, 2000, p. 96 sg.).
76 Cfr. 43 : C. Scantio(s) aidile(s) L.f. faice[---labru?]mque dedit [---aq?]uamque adouxet. Sul santuario cfr., da ultimo G. Colonna, “Membra disiecta di altorilievi frontonali di iv e iii secolo”, in La coroplastica etrusco fra il iv e il ii secolo a.C. Atti XVI Convegno di Studi etruschi e italici, Orbetello 25-29 aprile 1988, Firenze 1992, p. 113-121.
77 Cfr. P. Poccetti, Nuovi documenti, cit. nt. 32, p. 13-15.
78 Cfr. 26 : [---?] Regia[---?] ; sull’edificio cfr. da ultimo R. Scott, “Regia”, in LTUR, 4, Roma, 1999, p. 189-192.
79 Cfr. J. Scheid, “Sanctuaires et thermes sous l’empire”, in Les thermes romains (Coll. EFR, 142), Roma, 1991, p. 205-216 ; per il balineum offerto da Augusto agli Hispellates alle fonti del Clitunno (Plin. Ep., 8, 8,6), cfr. anche J. Scheid, “Pline Le Jeune et les sanctuaires d’Italie. Observations sur les lettres IV, 1, VIII, 8 et IX, 39”, in Splendidissima civitas. Études d’histoire romaine en hommage à François Jacques, Parigi, 1996, p. 246.
80 P. Orsi, “Croton. Prima campagna di scavi al santuario di Hera Lacinia”, NSA, Suppl. 1911, p. 89-91 (con tavv. V-VI) ; cfr. M. Paoletti, “Occupazione romana e storia della città”, in Storia della Calabria antica. ** Età italica e romana, Roma, 1994, p. 526 (con nt. 509 a p. 552 sg.) ; E. La Rocca, “Le tegole del tempio di Hera Lacinia ed il tempio della Fortuna Equestre : tra spoliazione e restauri in età tardo-repubblicana”, in R. Spadea ed., Il tesoro di Hera. Scoperte nel santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna di Crotone, Milano, 1996, p. 94.
81 Cfr. 140 : [.] Lucilius A.f. Macer, T. Annaeus Sex.f. Thraso (!) [I]I virei / [quin]q[ue]nnales exs s(enatus) c(onsulto) balneum aedeificandum couraveru(nt).
82 Per la funzione delle culinae nei santuari e per la relativa documentazione epigrafica (cui si può aggiungere AE 1996, 467, dal santuario di Santa Venera a Paestum) cfr. R. Schilling, “Le sanctuaire de Vénus près de Casinum”, in Perennitas, Studi in onore di Angelo Brelich, Roma, 1980, p. 446-451 (= idem, Dans le sillage de Rome, Parigi, 1988, p. 47-51). Cfr. anche ora, più in generale, sugli spazi per preparare e consumare pasti all’interno di luoghi di culto, U. Egelnaaf-Galser, Kultràume in ròmischen Alltag (PAW, B 2), Stuttgart, 2000, in part., p. 282 sg.
83 Cfr., ad es., il problematico testo della lex sacra dal santuario lavinate dei XIII altari (35), in cui si fa, appunto, riferimento ad (exta) aulicocta. Cfr., in merito, A.V. Siebert, Instrumenta Sacra, cit. nt. 4, p. 207 sg.
84 Cfr. 16 (Roma, pagus Ianicolensis di Roma) ; 162 (Vestini, loc. Fontecchio) : C. Suellius T.f. Aemi(lianus ?), / P. Baebius L.f., / Q. Suellius Q.f. / magistri cellam et / culinam faciunda / curarunt. Cfr. anche 31 (Ostia, santuario délia Bona Dea ; vd. infra) ; 57 (Praeneste) ; 113 (Aquinumlager vd. infra nel testo) ; 122 (santuario di Diana Tifatina).
85 Cfr. 113 (lastra di calcare, attualmente murata su una delle pareti dello scalone d’ingresso ; mis. : 56 x 33 ; lett. 2,5) : Flacceia A.l. Lais., / Orbia ((mulieris)) l. Lais, / Cominia M.l. Philocaris, / Veturia Q.I. Thais / culinam Veneri de suo / fecerunt loco / preca-rio. Sono grato al Prof. Heikki Solin e alla Direzione della Fototeca dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma per la fotografia che qui si presenta.
86 Cfr. R. Schilling, “Le sanctuaire de Vénus”, cit. nt. 82, p. 446-451 (= idem, Dans le sillage, cit. nt. 82, p. 47-51).
87 Per la localizzazione del santuario vd. ora anche M. Valenti, “Osservazioni sul percorso della via Latina tra Aquinum e Ad flexum”, Terra dei Volsci. Ann. Mus. Arch. Frosinone, 2, 1999, p. 134 (con nt. 50 a p. 135).
88 Vd. CIL, I2 2680-2681, 2685 (dedica a Venere), 2686-2687, 2694, cfr. p. 845. 934 sg. (magistrae di rango servile o libertino).
89 Cfr. M. Torelli, “Donne, domi nobiles ed evergeti a Paestum tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’impero”, in Les élites municipales de l’Italie péninsulaire des Gracques à Neron (Collection du Centre J. Bérard, 13-Coll. EFR, 215), Napoli-Roma 1996, p. 162 sg. e 170 (nuova edizione e commento dell’iscrizione ILP 159 = AE 1996, 467, con ricordo di una culina, che troverebbe riscontri archeologici all’interno del santuario). La presenza di una culina (e forse di sale da banchetto) è riconoscibile anche presso un’area sacra suburbana di Herculaneum, che includeva una aedes dedicata a Venus (cfr. A. Maiuri, Ercolano. I nuovi scavi (1927-1958), I, Roma, 1958, p. 175-185 ; M. Pagano, “Religione e culti”, in M. Pagano ed., Gli antichi Ercolanesi. Antropologia, Società, Economia. Guida alla mostra, Napoli, 2000, p. 92-94) ; ringrazio per questa segnalazione la Dott. ssa Maria Paola Guidobaldi.
90 CIL, VI 2273 cfr. p. 3827 = ILS 3183 : Fedimus conditlor sacrari Veneris / Chendies (!) (prò Cnidiaes ?) cum polrticum et cocinaltorium constitui / et ent(h)e(cam) donavi.
91 Cfr. Thes. Ling. Lat., X, 2, fase. 8 (1995), col. 1145 sg., s.v. precarius ; formulario affine presenta una iscrizione tardo-repubblicana da Ostia che ricorda l’erezione di un’ara votiva a luppiter Optimus Maximus (CIL I2 1423 cfr. p. 981).
92 Cfr. 31 ; per il santuario e sulle sue fasi edilizie (via degli Augustali, R. V, 10, 2) vd., da ultimo, F. Zevi, “Culti “claudi”, cit. nt. 75, p. 440-449 ; F. Coarelli, “L’inizio dell’opus testaceum a Roma e nell’Italia romana”, in La brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau (Coll. EFR, 272), Roma, 2000, p. 91 sg. ; U. Egelhaaf-Gaiser, Kulträume, cit. nt. 82, p. 312 sg. ; sulla funzione della culina del santuario vd. anche M. Cébeillac, “Octavia, épouse de Gamala, et la Bona Dea”, MEFRA, 85, 2, 1973, p. 532.
93 Cfr. 16 (Roma, pagus Ianicolensis) ; 31 (Ostia, tempio della Bona Dea) ; 72 (Praeneste) ; 79 (Tibur, santuario di Hercules Victor) ; 107 (Casinumlager) ; 122 (Capua/ager, tempio di Diana Tifatina ; associato, tra l’altro ad un chalcidicum) ; 155 (Paeligni-Prezza, in rapporto ad un templum della Bona Dea) ; 168 (Carsiolilager).
94 Cfr. 59 e sg.
95 Cfr. 31 (Ostia, tempio della Bona Dea) ; 107 (Casinumlager). Per altre attestazioni di sedili vd. 55 (Praeneste) e 134 (Paestum, santuario di Santa Venera).
96 Cfr. 47 (iscrizione musiva dal Nemus Dianae) : M. Servilius Quartus alam expolit et [pinxit vel exornavit ?] / et quae intus posila sunt Dia[nae---] ; cfr. M. G. Granino Cecere, “Nemi : l’erma di C. Norbanus Sorex”, RPARA, 61, 1988-1989 [19901, P-140 sg.
97 Cfr. 79 ; per la cronologia e l’entità dell’intervento vd. F. Coarelli, / santuari del Lazio in età repubblicana, Roma, 1987, p. 95-97 e, da ultimo, CE Giuliani, “Il linguaggio di una grande architettura : il santuario tiburtino di Ercole Vincitore”, RPARA, 71, 1998-1999 [2001] p. 90-92.
98 Cfr. 117, vd. anche M. Buonocore, “Problemi di amministrazione paganico-vicana nell’Italia repubblicana del i secolo a.C”, in A. Calbi, A. Donati, G. Poma ed., L’epigrafia del villaggio (Epigrafia e Antichità, 12), Faenza, 1993, p. 56 sg. : ... theatrum aedificandum coiravere ex pecunia Martis ((sestertium duodecim milibus)) ; [c]eteram pecuniam Pagus Vescinus / [c]ontulit.
99 Cfr. 156 (Paeligni, Prezza) : ... magistr(i) / ex pagi d(ecreto) scaina(m) fac(iundam) coir(averunt). / T. Annius T.f. Ruf(us), L. (Annius) T.f. Gritto probaverunt.
100 Cfr. 22 (Roma, colle Oppio) ; 115 (Tarracina) ; 181 (Hadria).
101 Cfr., ad es., tra i casi più evidenti, 17, iscrizione musiva dal santuario del pagus Ianicolensis (costruzione, accanto a strutture d’incerta identificazione, di una maceries) ; 122, dal tempio di Diana Tifatina (costruzione di un murus) ; 137, Cosilinum (costruzione di maceries circa lucum, di un murus et ianua) ; 155, Prezza – Paeligni (costruzione di murus caementi-cius, porta, porticus e del templum Bonae Deae ; per l’assetto topografico del santuario vd. anche H.H.J. Brouwer, Bona Dea. The Sources and a Description of the Cult, Leiden, 1989 (EPRO, 110), p. 402-407) ; 159, Interpromium – Marrucini (costruzione di fornices e di parietes caementicii) ; 243, dal territorio di Aquileia (erezione di maceries ?, pinnae ed ostia).
102 Cfr. 137, 155 e 159.
103 Cfr. in merito A. Valvo, “”Lapides profaneis intus sacrum”. Alcune riflessioni intorno a CIL, I2 1486”, Aevum, 61, 1, 1987, p. 113-122.
104 Vd. R. Paribeni, “I quattro tempietti di Ostia”, MonAL, 23, 1914, coll. 467-469, tav. I, e.
105 Cfr. 33 ; in base ad una diversa proposta di scioglimento del testo (I(ovi) O(ptimo) M(aximo) S(abazio), segnalatami in occasione di questo colloquio dal Prof. Filippo Coarelli, che ringrazio), l’area sacra, il cui impianto sarebbe da attribuire alla nota famiglia ostiense dei Lucilii Gamalae, sarebbe invece dedicata a Sabazio (per la sua identificazione Iuppiter Optimus Maximus vd. E.N. Lane, Corpus Cultus Iovis Sabazii (CCIS), III, Conclusions, Leiden, 1989 (EPRO, 100, 3), p. 11-13) ; si tratterebbe, in questo caso della più antica testimonianza ostiense di tale culto (peraltro già noto a Roma almeno dalla seconda metà del II sec. a.C. (cfr. E.N. Lane, Corpus, cit. in questa stessa nota, p. 8 sg.). Il caso dei quattro cippi ostiensi può forse essere confrontato, sul piano funzionale, con i lapides IIII di un campus communis deis et hominibus menzionati in un’iscrizione bilingue, gallico-latina, dal territorio di Vercellae (232).
106 Cfr. 81 (con il commento di A. Valvo, “Lapides profaneis”, cit. nt. 103), dal santuario, come sembra, di Hercules Victor : Lapides profaneis, intus sacrum.
107 Cfr. 6 : Devas / Corniscas / sacrum. Nel teonimo si tende ora a riconoscere un dativo plurale ; sul culto vd., di recente, E. Peruzzi, I Romani di Pesaro, cit. nt. 53, p. 137-144 e 153-163 ; J. Aronen, Corniscae, in LTUR, V Roma, 1999, p. 240-241 (con altra bibliografia).
108 Cfr. 211, cippo di calcare stondato superiormente e nella parte posteriore : Supunne / sacr. Sembra trattarsi di un’iscrizione umbra in alfabeto latino (II sec. a.C). Affine forse anche il caso di un cippo (209), reimpiegato nelle mura della Rocca di Spoleto, recante l’iscrizione Saturno / sacro(m).
109 Cfr. 113 : Delubrum Lavemae. Sul santuario vd. da ultimo L. Gasperini, “Lazio tardo-repubblicano. Note epigrafiche”, MGR, 21, 1997, p. 260-269.
110 S. Panciera, “L’evergetismo civico nelle iscrizioni latine di età repubblicana”, in Actes du Xe Congrès International d’Épigra-phie Grecque et Latine, Nimes 4-9 octobre 1992, Parigi, 1997, p. 249-290.
111 Magistrati romani o membri di famiglie senatorie attivi a Roma o in altri centri dell’Italia antica : cfr. 2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 20, 21, 27, 28, 28a (Roma) ; 29 (?), 30 (?) (Ostia) ; 73 (Gabii) ; 82 (?) (Tibur) ; 92 (Setia) ; 114 (Tarracina) ; 120 (santuario di Diana Tifatina) ; 135 (Polla) ; 204 (Lucus Feroniae) ; 235, 238 (Aquileia ; nel primo caso si tratta di un III vir coloniae dedu-cendae). Per Roma si deve tener conto anche di alcune testimonianze relative a magistri di circoscrizioni territoriali della città o del suburbio : cfr. 15, 16, 17, 20, 22.
112 Magistrati di municipia, coloniae, civitates foederatae : 29 (?), 30 (?), 32 (Ostia) ; 42 (Antium ?) ; 43 (Lanuvium) ; 46 (?) (Nemus Dianae) ; 54-70 (Praeneste) ; 77, 78, 79, 80, 81 (?) (Tibur) ; 83-84, 85, 86 (Cora) ; 91 (Setia) ; 100 (Anagnia) ; 102, 103 (Aletrium) ; 105 (Sora) ; 108 (Casinum) ; 109 (?) (Fregellae) ; 125 (Cumae) ; 127 (Puteoli) ; 128 (Pompeii) ; 136 (Tegianum) ; 138 (Thurii) ; 139 (Petelia) ; 140 (Crotone) ; 145 (Montescaglioso) ; 146, 147 (Beneventum) ; 152 (?) (Marsi) ; 180, 184, 185 (Hatrialager) ; 201 (Sutrium) ; 202, 203 (Luna) ; 205 (Narnialager) ; 209a (Spoletium) ; 212, 214 (Asisium) ; 215 (Hispellum) ; 236, 237, 240 (Aquileia). Tra i casi più sicuri di magistri vici o pagi non urbani (non sempre facimente distinguibili da magistri di asssociazioni collegiali) cfr. 151 (Supinum Vicus) 157, 158 (Paeligni) ; 164 (Vestini) ; 171, 172 (Aequicoli) ; 179 (Amiternum/ager) ; 186, 187, 190 (Praetuttii) ; 234 (Brixia/ager).
113 Cfr. 18 (haruspex), 22 (flamines), 24 (aedituus), 32, 50 (aeditui), 51 (aedilis lustralis), 107 (haruspex) ; 212 (quinqueviri) ; 233 (seviri).
114 Cfr., tra i casi più sicuri, 25, 50, 106, 112, 113 (?), 115, 116, 117, 121, 122, 123, 124, 150, 153, 154, 155, 159, 194, 246, 247. Per il rapporto tra l’operato dei magistri di associazioni cultuali e le entità paganiche in cui rientravano le aree di culto vd. le considerazioni di M. Buonocore, “Problemi di amministrazione paganico-vicana”, cit. nt. 98, p. 53 sg.
115 Per inteventi con sicurezza o probabilità realizzati con il ricavato del bottino di guerra cfr. 2, 10, 28 (Roma), 120 (Capua, santuario di Diana Tifatina) ; 238 (Aquileia). Sul carattere delle manubiae vd., di recente, M. Aberson, Temples votifs et butin de guerre dans la Rome republicaine (Bibl. Hel. Rom., 26), Rome, 1994 ; J. Bradford Churchill, “Ex qua quod vellent facerent : Roman Magistrates’ Authority over Praeda and Manubiae”, TAPhS, 129, 1999, p. 85-116.
116 Pecunia sacra : 83-84 ; pecunia vel aere dei : 55, 100. 102, 117 ; de stipe : 18, 21, 121, 122, 123 ; pecunia fani : 170. 171 ; pecunia lucei : 168 ; de doneis : 236, 237.
117 Cfr. 117 (pagus Vescinus, theatrum finanziato pecunia Martis e con il contributo del pagus ; vd. M. Buonocore, “Problemi di amministrazione paganico-vicana”, cit. nt. 98, p. 123 (Capua, lacum costruito de stipe et de sua pecunia).
118 Tra i casi più sicuri cfr. 13 (Roma, figli di un magistrato romano), 141 (Tarentum), 174 (Trebula Mutuesca), 177 (Forum Novum), 191 (?) (Campii), 213 (Asisium), 248 (Forum Iulii).
119 Si tratta in molti casi di esponenti di famiglie senatorie o delle aristocrazie locali : cfr. 23 (Roma), 31 (Ostia), 45 (Aricia/ager), 134 (Paestum), 137 (Cosilinum), 192 (Morrovalle), 193 (Cluana), 224, 226 (lucus Pisaurensis, matronae), 239 (Aquileia).
120 Tra i casi più sicuri cfr. 44 (Lanuvium), 47 (?) (Nemus Dianae), 142 (Sipontum), 169 (Carsiolilager), 176 (Forum Novum), 242 (Aquileialager).
121 Cfr. 193 (Cluana), 231 (Pisaurum), 242-243 (Aquileialager).
122 Cfr. 1 (cippo del Foro), 34 (lamina con dedica ai Castori dal santuario lavinate delle XIII are) e 76 (ara di Corcolle). Ad età arcaica (in rapporto al culto federale istituito da Servio Tullio) doveva risalire anche lo statuto dell’ara di Diana sull’Aventino (ricordata da fonti letterarie ; vd. da ultimo, con altra bibliografia, F. Zevi, “I santuari “federali” del Lazio : qualche appunto”, Eutopia, 4, 2, 1995 [1997], p. 127), che servì da modello, ancora in piena età imperiale, per affini leges arae dall’Italia (cfr. CIL, XI 361, da Ariminum) e dalle province (CIL, XII 4333 cfr. p. 845 = ILS 112, lex arae Augusti Narbonensis dell’I 1 d.C. ; CIL, III 1933 cfr. p. 1030 = AE 1980, 676, lex arae Iovis Salonitanae del 137 d.C).
123 Si pensi ad es., per il Sannio Pentro, al ricco corredo epigrafico epicorio del santuario di Pietrabbondante o, nella stessa Campania, al caso di Pompeii, dove, a due sole iscrizioni latine (128-129), corrispondono almeno altri sei documenti pertinenti alla fase sannitica della città (cfr. E. Vetter, Handbuch, cit. nt. 61, nrr. 8, 15 e 18 ; P. Poccetti, Nuovi documenti, cit. nt. 32, p. 107-108 ; R. Antonini, Rivista di epigrafìa italica. Osco, in SE, 54, 1986 [1988], p. 250-258, p. 251-253, AB 1). Sulle caratteristiche ed i limiti delle fonti, letterarie ed epigrafiche, relative ai luoghi di culto italici vd. O. de Cazanove, “Les lieux de culte italiques. Approches romaines, désignations indigènes”, in A. Vauchez éd., Lieux sacrés, cit. nt. 9, p. 31-41.
Notes de fin
1 Ringrazio i Proff. John Scheid ed Olivier de Cazanove per la possibilità offertami di partecipare a questo seminario. Sono grato inoltre per osservazioni e suggerimenti sin dalle fasi iniziali della ricerca, oltre che a loro, anche ai Proff. Filippo Coarelli e Silvio Panciera.
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