L’insediamento nuragico di Sa Osa (Cabras - OR). Nuovi dati su materiali organici e analisi chimiche
p. 293-301
Résumés
L’insediamento di Sa Osa dista due chilometri dall’attuale linea di costa e 500 metri dall’attuale corso del fiume Tirso. Lo scavo del 2008-2009 ha rivelato un insediamento nuragico senza nuraghe e quasi senza strutture murarie, di lunga durata (dal Bronzo Medio al Bronzo Finale-Primo Ferro), apparentemente precario, in realtà adattato all’ambiente instabile, anzi specializzato nello sfruttamento delle risorse locali. Nei pozzi del settore meridionale la falda acquifera superficiale ha creato un ambiente favorevole alla conservazione dei resti organici. Soprattutto il pozzo N (Bronzo Recente) ha restituito pesci, ossa animali, frammenti di legno e sughero grezzo e lavorato, semi d’uva, fico, melone, grano duro, fave e prugne selvatiche; l’uva appare in avanzato stadio di domesticazione. Resti vegetali simili sono stati rinvenuti anche nei pozzi U e V (Bronzo Medio), in cui i semi d’uva hanno un aspetto prevalentemente selvatico. Analisi chimiche organiche sono state condotte su alcune ceramiche provenienti dal pozzo N. Le pareti interne dei vasi hanno mostrato forti concentrazioni di marcatori vegetali, sia di preparazioni a base di piante o di conservazione di vegetali, sia di oli estratti. L’analisi ha anche contribuito a determinare la funzione di alcune possibili lucerne a piede; su alcune sono state identificate tracce di combustibili oleosi degradati per riscaldamento, che confermano l’ipotesi delle lucerne, mentre su un’altra gli acidi biliari presenti orientano verso un utilizzo legato agli organi digestivi.
The settlement of Sa Osa lies two kilometres away from the present coastline and 500 metres from the present flow of the river Tirso. The excavation carried out in the years 2008-2009 discovered a nuragic settlement without a nuraghe and almost without any structures, occupied from the Middle to the Late Bronze Age or Early Iron Age. The site seemed precarious but actually adapted to the changing environment and even specialized in the exploitation of the local resources. In the southern sector of the site, the superficial aquifer created an environment inside the wells that was favourable to the preservation of the organic remains. Well N (Late Bronze Age) in particular revealed remains of fishes and animal bones, fragments of raw and carved wood and cork, grape seeds, figs, melons, durum wheat, broad beans and wild plums; grapes appear in an advanced stage of domestication. Similar vegetal remains have been recovered from wells U and V (Middle Bronze Age), where the grape seeds look mainly wild. Organic chemical analyses were carried out on some pottery from well N. The internal walls of the vessels showed strong concentrations of vegetal markers – plant-based preparations or for vegetal conservation and extracted oils. The analysis also helped determine the function of some possible foot-lamps; on some of these traces of oily fuels were identified, eroded through heating, which confirm the hypothesis of the lamps, while the biliary acids present on another suggest use connected to the digestive organs.
Texte intégral
Il contesto archeologico
1L’insediamento di Sa Osa si trova nel settore settentrionale del Golfo di Oristano, a circa due chilometri dall’attuale linea di costa e a circa 500 metri dall’attuale corso del fiume Tirso. È un territorio in continua evoluzione, che ha subito nel tempo intense modificazioni legate alla dinamica fluviale, eolica e marina e alle attività umane.
2Il sito è stato scoperto nel 2008, durante i lavori di costruzione della nuova strada provinciale tra Oristano e Cabras (fig. 1). Prima di allora, scarsissimi frammenti sporadici in superficie lasciavano intuire l’esistenza di un sito distrutto dai lavori agricoli, mentre al contrario si trattava degli unici elementi affioranti di un esteso insediamento sepolto sotto un metro di sedimenti fluviali più recenti. Gli scavi, finanziati dalla Provincia di Oristano, si sono sviluppati per più di otto mesi tra il 2008 e il 20091 sotto la direzione dello scrivente per la Soprintendenza Archeologica di Cagliari, con la collaborazione di Anna Depalmas dell’Università di Sassari e, per la parte geoarcheologica, di Rita Melis dell’Università di Cagliari2.
3L’indagine archeologica è stata particolarmente complessa, non solo per il suo carattere di emergenza in rapporto ai lavori stradali, ma soprattutto perché ha investito estesamente per la prima volta un insediamento nuragico senza nuraghe e quasi senza strutture murarie, per giunta con una serrata successione di fasi occupative e con dislivelli ridottissimi tra le rispettive superfici di frequentazione. Tutto ciò restituisce l’immagine di un insediamento di lunga durata in apparenza precario, comunque ben adattato all’ambiente instabile per le ricorrenti esondazioni e per i ciclici avanzamenti e arretramenti dei meandri fluviali, anzi specializzato nelle attività legate allo sfruttamento delle risorse locali con conseguenti rischi ed opportunità.
4Senza trascurare contesti ed elementi sporadici prenuragici, soprattutto della facies calcolitica Sub-Ozieri, il grosso dei contesti copre tutto l’arco di sviluppo della civiltà nuragica, dal Bronzo Medio al Bronzo Finale-Primo Ferro.
5Il sito si articola in due settori separati dalla strada Rimedio-Torregrande: quello settentrionale corrisponde alla collinetta ad alluvioni grossolane antiche di Serra ‘e Siddu, quello meridionale alla fascia pianeggiante di Sa Osa.
6Nel settore settentrionale, fortemente eroso, lo scotico ha messo in luce il deposito alluvionale costituente il terrazzo, formato da materiale incoerente di varia granulometria. Soprattutto sulla sommità della collinetta sono state indagate numerose fosse ed alcuni pozzi e pozzetti, tutti scavati nel substrato alluvionale e talvolta intersecantisi. Le fosse, di forma ellissoidale irregolare e dimensioni variabili, per lo più riconducibili a tre ordini di grandezza, hanno restituito abbondante materiale ceramico e una quantità di frammenti di argilla concotta con impronte di rami e canne, pertinenti al rivestimento delle pareti e delle coperture; quelle di modulo medio o grande si possono interpretare come fondi di ambienti destinati a funzioni abitative e produttive3.
7Diversamente, il settore meridionale si presentava quasi completamente ricoperto dai depositi archeologici ed era crivellato da fosse di piccole e medie dimensioni e da pozzi e pozzetti cilindroidi4. Almeno una parte di queste cavità, create per diverse funzioni originarie (per es. abitazione, cava di materiale, approvvigionamento idrico, ecc.), potrebbero essere divenute nel tempo discariche o riserve di viveri. In tutta l’area è emerso un solo gruppo di ambienti riconoscibili e connessi, costituito dagli edifici A e R e da alcuni spazi adiacenti (fig. 2)5: l’edificio A, unico con zoccolo in muratura, incompleto, composto da un ambiente di forma rettangolare absidata, probabilmente affiancato da un altro ambiente simile (S), fu ricostruito più volte nello stesso luogo durante il Bronzo Recente con l’impiego ora di conci di recupero in arenaria, ora di pietre calcaree informi e pezzi di macine in basalto, quindi fu demolito più volte dalle esondazioni del fiume e dal prelievo intenzionale delle pietre, infine fu tagliato da una fossa o pozzo del Bronzo Finale-Primo Ferro (B)6; l’edificio R, di pianta circolare, è costituito da un singolare impasto artificiale di argilla e granuli lapidei e presenta una fossa (T) nella zona di raccordo con l’edificio A. Nello spazio circostante agli ambienti descritti sono stati recuperati abbondanti grumi d’argilla concotta derivanti dai rivestimenti interni degli ambienti, forse anche da mattoni crudi sottoposti a casuale cottura. Nella parte restante dell’area, intorno alle diverse cavità, sono emersi ampi tratti di suoli d’occupazione, non chiaramente riferibili a definiti spazi d’uso coperti o scoperti, con concentrazioni di materiale archeologico, focolari e piastre di concotto. In mancanza di strutture murarie, si può pensare che i diversi spazi fossero separati da palizzate o altri elementi vegetali; tuttavia sono state individuate pochissime buche di palo.
8Nel settore meridionale, la prossimità del fiume Tirso e la superficialità della falda acquifera hanno determinato una persistente umidità dei depositi archeologici, soprattutto all’interno dei pozzi e pozzetti, creando una situazione ambientale particolarmente favorevole alla conservazione dei resti vegetali anche non carbonizzati. Le ricerche archeobotaniche sono condotte dal Centro di Conservazione della Biodiversità dell’Università di Cagliari. I frammenti di legno, i semi e i pollini rappresentano da un lato la vegetazione caratteristica della zona durante le età del Bronzo e del Ferro, dall’altro la varietà delle specie vegetali utilizzate dalla comunità di Sa Osa, fra le quali emergono specialmente le piante da frutto. La presenza di legno di diverse specie suggerisce che fosse attuata una scelta consapevole dei materiali più adatti alle specifiche esigenze di lavorazione. Sono in corso anche ricerche archeozoologiche, non ancora completate.
9I pozzi U e V, contenenti materiali ceramici del Bronzo Medio avanzato o del Bronzo Recente iniziale, hanno restituito numerosi resti vegetali, quali orzo vestito, frumenti duri, lenticchie, piselli e fave. Inoltre si documentano diversi frutti: more, sambuco, fico e uva7. Semi d’uva, prevalentemente di tipo selvatico o in fase iniziale di addomesticazione, sono stati datati con il C14 ai periodi 1303-1126 (pozzo U) e 1322-1191 a.C. (pozzo V) (datazioni più probabili calibrate a doppio sigma). Nel pozzo V sono stati recuperati anche alcuni frammenti di legno grezzo e lavorato, per lo più di fico. Tre di questi, non potendo essere datati col sistema dendrocronologico per la mancanza degli indispensabili anelli di accrescimento annuale, sono stati datati con il C14; un elemento rivela un momento ancor più antico del Bronzo Medio (1548-1427 a.C.), mentre due hanno rivelato la presenza, non documentata dalle ceramiche, di materiali della Prima età del Ferro (931-803 e 824-732 a.C.; datazioni più probabili calibrate a doppio sigma).
10Il pozzo N (fig. 3), contenente abbondantissimi materiali ceramici del Bronzo Recente avanzato8, ha restituito una gran quantità di resti organici perfettamente conservati proprio a causa delle condizioni anaerobiche del deposito costantemente intriso d’acqua9: molte ossa animali ancora in corso di studio, residui di pesci, frammenti di sughero, frammenti di legno grezzo e di legno lavorato (fig. 4), semi di piante spontanee come mirto, lentisco, quercia e ginepro, semi di frumento, olivo, fave, prugne selvatiche, more, malva, lino, e infine semi di uva, fico e melone10. Due campioni di semi d’uva sono stati datati con il C14 ai periodi 1285-1115 e 1276-1108 a.C., mentre un campione di semi di melone è stato datato al periodo 1297-1111 a.C. (datazioni più probabili calibrate a doppio sigma). Uva e fico sono abbondantissimi (figg. 7-8), rappresentando circa il 90% dei resti vegetali rinvenuti nel pozzo. I semi di melone (circa 50; fig. 6) sono molto più rari, ma sono straordinariamente importanti perché si tratta della più antica attestazione di questa specie nel Mediterraneo occidentale; poiché in Sardegna non si conosce una varietà selvatica autoctona, si può considerare probabile la provenienza del melone dal Mediterraneo orientale, cosa non strana se si considera il frammento di vaso miceneo IIIA2 o IIIB rinvenuto nel vicino insediamento nuragico di Su Murru Mannu, nell’ambito del centro fenicio-punico e romano di Tharros11. Questa prospettiva è richiamata anche dai semi d’uva del pozzo N, che indicano uno stadio di addomesticazione più avanzato di quello attestato nei pozzi U e V12. Gli studi archeobotanici considerano probabile la coltivazione di una varietà a bacca bianca, ma non hanno ancora confermato la produzione di vino; anche le prime analisi chimiche dei residui di sostanze organiche conservate sulle pareti dei vasi, eseguite nel 2010, non sono state in grado di accertare l’esistenza di tracce di vino, perché il collega Nicolas Garnier non aveva ancora elaborato il doppio protocollo di estrazione-analisi per l’individuazione dei marcatori di uva e/o vino. Comunque bisogna ricordare che non è documentata la presenza di brocche, classica forma di recipiente adibita alla conservazione e al consumo del vino. Però i semi di fico, presenti in grandissima quantità, potrebbero indicare, oltre al consumo di frutta fresca o secca, anche un deliberato utilizzo per incrementare il tasso di zucchero nel processo di vinificazione.
11Tra i numerosi recipienti ceramici recuperati nel pozzo N (fig. 5) si notano soprattutto olle sferoidali e tazze, ma anche teglie ampie e basse del tutto inadatte al prelievo dell’acqua; le condizioni del vasellame, in gran parte ricomponibile, non sembrano compatibili con lo scarto di recipienti rotti. Ciò suggerisce che il pozzo fosse impiegato non solo per l’approvvigionamento idrico ma anche per la conservazione di viveri come carne, pesce e frutta. Resta da confermare la funzione di alcune probabili lucerne a piccola vaschetta concava su alto stelo, che potrebbero prestarsi a un utilizzo tanto pratico quanto simbolico; allo stesso modo resta da definire la casualità o intenzionalità della presenza di un vasetto miniaturistico di carattere votivo e di un crogiolo con incrostazioni di scoria di rame. Infine si segnala anche un singolare strumento in osso con margine convesso denticolato. Quindi il pozzo N, utilizzato primariamente per l’approvvigionamento idrico, potrebbe aver avuto anche la funzione di conservazione del cibo, come era comune in Sardegna fino a qualche decennio fa, prima dell’invenzione del frigorifero; tuttavia non si può ancora escludere che almeno una parte dei semi possa essere finita nel pozzo in altro modo, caduta casualmente o gettata intenzionalmente. La presenza di uova di parassiti intestinali animali e umani solleva ancora altri interrogativi, in quanto contrasta con la necessità di mantenere il pozzo pulito per la finalità primaria dell’approvvigionamento idrico e per quella accessoria della conservazione di viveri.
12In altri casi l’ipotesi dell’utilizzo primario o secondario di alcune cavità come riserve di cibo è stata pienamente confermata. Il pozzetto K, chiuso superiormente da una lastra di arenaria con foro circolare, era poco profondo e non poteva essere adibito all’approvvigionamento idrico; al contrario, esso ha restituito lo scheletro intero di un cervo maschio, scuoiato ma non macellato, evidentemente rimasto sigillato dai sedimenti fluviali a seguito di un’inondazione. Lo stato spugnoso e fragile delle corna consente di collocare l’evento alluvionale nella stagione primaverile. Gli scarsi frammenti ceramici assegnano il deposito del pozzetto K al Bronzo Finale o al Primo Ferro13.
13Per concludere, ricordo alcuni altri manufatti connessi con la produzione e la preparazione del cibo di origine marina, fluviale o lagunare. In primo luogo vi sono i pesi per reti da pesca in terracotta, di forma tubolare più o meno allungata, che si trovano in diversi contesti di Sa Osa dal Bronzo Recente al Primo Ferro. L’industria litica in ossidiana appare notevolmente impoverita rispetto alle produzioni prenuragiche, ma sembra adattata a specifiche funzioni come l’apertura delle valve dei molluschi14. Infine mostro due delle coppe di cottura rinvenute nella fossa B, risalenti alla prima Età del Ferro, che con grande probabilità dobbiamo considerare strettamente associate alla cottura dei molluschi bivalvi presenti in grande quantità, soprattutto cardium.
14Tutti questi rinvenimenti rivelano un’economia primaria mista e integrata, caratterizzata non solo dalle tradizionali attività di agricoltura estensiva, allevamento, caccia e pesca, ma anche da produzioni agricole intensive e specializzate che trovavano un ambiente ideale nella pianura alluvionale del basso corso del Tirso.
15Torniamo ora ai reperti del pozzo N descritto in precedenza. Già durante lo scavo del 2009 si notarono patine combuste su piccole coppette ad alto stelo, tentativamente interpretate come lucerne, mentre sulle pareti di vasi di forma chiusa si notarono patine e incrostazioni che si potevano considerare derivate dai trattamenti delle superfici o dalle sostanze contenute. Si colse quindi l’occasione della presenza di Nicolas Garnier e Dominique Frère in Sardegna per tentare la via dell’indagine chimica dei residui organici, al fine di integrare i risultati delle ricerche archeobotaniche e archeozoologiche. [A.U.]
Analyses chimiques
16Une série de onze céramiques provenant du puits N ont été prélevées en 2009 afin d’identifier leur contenu et proposer une fonction à certaines (tableau 1). Les imprégnations ont été étudiées suivant la méthodologie classique impliquant un seul protocole d’extraction de la matière organique15. Le second protocole donnant accès à la matière organique insoluble, et notamment les marqueurs de fruits, n’avait pas encore été développé16. Les identifications se limitent donc aux matériaux lipidiques.
17Le contexte humide a été particulièrement propice à la conservation des marqueurs organiques, comme peut en témoigner la conservation des macrorestes végétaux. Cependant, les mouvements d’eau favorisent la dissolution des composés solubles ou faiblement solubles. Ainsi, par rapport à des échantillons provenant de milieux secs, les profils moléculaires des matériaux sont modifiés. Les acides gras peuvent parfois disparaître totalement d’un échantillon ; seuls les marqueurs neutres, insolubles dans l’eau, sont conservés. C’est le cas des stérols notamment.
18L’analyse de la série montre :
- la présence de résine ou de poix de conifère dans les récipients de stockage. Les matériaux résineux sont utilisés pour imperméabiliser les parois de vases ;
- divers matériaux stockés : des produits laitiers (2 exemplaires), des matériaux d’origine animale à forte teneur lipidique généralement d’animal non ruminant (4 vases) ou de poissons (1 vase), des produits gras d’origine végétale très riches en acides gras insaturés notamment en acide linoléique (2 vases ; la très forte concentration en acides gras conservés oriente vers des huiles) ;
- des corps gras dégradés par chauffage pour les trois lampes. Les combustibles, tous lipidiques, sont de nature variée, huile végétale, graisse d’animal ruminant ou produit laitier.
19La série est surtout marquée par la présence systématique de coprostérols et/ou d’acides biliaires. La distribution des coprostérols en C27, C28 et C29 et la non-dominance du coprostanol permet d’écarter les excréments humains (fig. 9). Il s’agit d’excréments d’animaux. Les acides biliaires confirment les excréments. Cependant, pour les vases 124, 125, 127 et 128, en l’absence de coprostérols, les acides biliaires proviennent plutôt du premier tiers de l’intestin (duodénum). Dans le cycle entéro-hépatique, les sels biliaires, conjugués ou non, migrent dans le duodénum où ils sont progressivement réassimilés et dirigés vers la vésicule biliaire. Acides biliaires et coprostérols orientent donc vers des produits issus de la seconde partie de l’intestin, donc des excréments et des organes digestifs. En conclusion, étant donné l’identification constante soit de bile, soit d’organes digestifs ou d’excréments, le puits a pu servir de poubelle pour des déchets de boucherie. [N.G.]
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 . Usai 2011; Usai et al. 2012.
2 . Melis, Sechi 2011.
3 . Depalmas, Vidili 2011.
4 . Sebis 2011; Pau 2012a; 2012b; Soro, Carenti 2012.
5 . Castangia 2011; 2012.
6 . Pau 2011.
7 . Ucchesu et al. 2015a; 2015b; Sabato et al. 2015.
8 . Serreli 2011.
9 . Sanna 2011.
10 . Vedi nota 7.
11 . Bernardini 1989; Usai, Lo Schiavo 2009.
12 . Orrù et al. 2013.
13 . Usai 2011, p. 169-170.
14 . Caruso, Zupancich 2011.
15 . Charters et al. 1995.
16 . Garnier, Valamoti 2016.
Auteurs
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Cagliari.
alessandro.usai@beniculturali.it
Laboratoire Nicolas Garnier, Vic-le-Comte. UMR 8546 AOROC, CNRS-PSL, Paris.
labo.nicolasgarnier@free.fr
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