Riti alimentari nella Sardegna punica: il caso di Pani Loriga
p. 273-292
Résumés
Scopo del seguente contributo è quello di presentare alla comunità scientifica internazionale i risultati delle recenti indagini all’abitato punico di Pani Loriga, nella Sardegna sud-occidentale. Gli scavi avviati dal CNR sul versante settentrionale della collina hanno messo in luce un grande edificio polifunzionale composto da oltre dieci vani, il cui impianto originale risale alla fine del VI-inizi del V sec. a.C. La struttura, ancora in corso di scavo, presenta alcune situazioni particolarmente pertinenti alle tematiche affrontate nell’ambito del Convegno MAGI. Infatti, nel vano 7, è stato messo in luce una specie di pozzetto chiuso da una lastra di scisto, sul fondo del quale sono state rinvenute ossa animali e un ritaglio di piombo pertinenti molto verosimilmente ad un rituale di fondazione. Le ossa sono state disposte con cura all’interno della struttura e grazie all’analisi di Jacopo De Grossi è possibile affermare che si tratta di parti selezionate di diverse specie animali: sono documentati gli ovicaprini, il bue e il cervo. Nel vano 1, interpretato come un sacello, alla base della banchina sulla quale dovevano essere deposti gli ex voto sono state recuperate ossa animali pertinenti a sacrifici o a resti di pasto. De Grossi ha individuato resti di ovicaprini, bue, maiale e cervo. Questi dati possono essere integrati con quelli relativi alle analisi biochimiche condotte da Nicolas Garnier sui contenuti di numerosi vasi rinvenuti nell’attiguo vano 2, dove molto verosimilmente dovevano essere confezionati cibi e bevande da consumare nel corso di cerimonie pubbliche.
The purpose of this paper is to offer the scientific community the results of some recent investigations at the Punic settlement of Pani Loriga, located in south-western Sardinia. The excavations by the CNR (Italian National Research Council) on the northern slope of Pani Loriga hill have revealed a large building containing numerous rooms, whose original layout dates back to the late 6th-early 5th centuries BC. This building, still being excavated, presents some contexts relevant to the conference themes. For example, investigations in Room 7 have brought to light a foundation deposit made up of selected parts of different animals: sheep, cattle and deer are all documented. Furthermore in Room 1, interpreted as a sacellum, other animal bones used for sacrifices or remains of a meal were found at the base of a bench. These data have been added to that relating to the biochemical analyses (carried out by Nicolas Garnier) on the contents of a number of vessels found in rooms where food and drink were prepared. Among the remains identified, an important role was played by wine, both red and white, which was produced and traded at Pani Loriga.
Texte intégral
Pani Loriga nell’ambito dei progetti Perhamo e MAGI
1Tra il momento del progetto scritto e quello della sua realizzazione concreta, ogni programma scientifico conosce molti cambiamenti e sviluppi connessi non solo all’imprevedibilità delle scoperte archeologiche, ma anche e soprattutto agli incontri umani che orientano un aspetto particolare della ricerca anziché un altro. L’incontro con Massimo Botto, qualche mese dopo il lancio del programma Perhamo, è stato decisivo per l’opzione di rivolgere un’attenzione particolare alla Sardegna nel quadro degli studi tematici sui prodotti biologici.
2Bisogna anche dire che l’archeologia della Sardegna preromana in Francia è scarsamente sviluppata nei laboratori e poco conosciuta al grande pubblico, che si tratti o meno dei periodi nuragico, fenicio o punico. Mentre la Penisola Italiana e la Sicilia preromana sono oggetto di studi diversificati da parte di varie istituzioni francesi come l’AOROC (il laboratorio titolare di Perhamo e di Magi), la Sardegna occupa un posto secondario nelle tematiche archeologiche mediterranee sviluppate in Francia. Tuttavia, Michel Gras, nella sua opera di riferimento sui traffici tirrenici arcaici1, ha posto in evidenza il ruolo da protagonista dell’isola nell’ambito dei primi scambi marittimi nel Mediterraneo centro-occidentale.
3Per l’arco cronologico che interessa i programmi Perhamo e Magi, che va dalla fine dell’età del Bronzo alla conquista romana, la Sardegna offre un campo di ricerca profondamente originale e di grande ricchezza. Da una parte, le tre grandi culture che si succedettero e si compenetrarono, dal ricco mondo nuragico alla presenza fenicia e poi punica; dall’altra, i contatti e le relazioni commerciali e culturali con i Villanoviani e poi gli Etruschi, i popoli italici e le città greche, senza trascurare ovviamente le comunità fenicie e puniche della Sicilia occidentale, dell’Africa del Nord, delle Baleari e della Spagna. Al centro dello spazio tirrenico, la Sardegna è terra d’integrazione delle culture vicino-orientale e nord-africana e di ricezione delle influenze etrusche e greche. La straordinaria raffigurazione, sul pilastro centrale di una tomba di Sant’Antioco degli inizi del V secolo a.C., di un uomo dalla foggia egiziana che reca, secondo la moda greca, un vaso per profumi fenicio2, è l’immagine di questa profonda acculturazione nel seno dello spazio mediterraneo.
4I fenomeni complessi e mutevoli d’influenze e d’interazioni all’incrocio di differenti culture, rappresentano un campo di ricerche esplorato, in particolare, per quel che concerne la cultura materiale (bronzi e ceramiche, in specie); ma possiamo immaginare la potenziale ricchezza di approcci favoriti dalla conoscenza dei prodotti alimentari, aromatici, cosmetici e medicinali. Grazie a Massimo Botto abbiamo potuto dare inizio a questa ricerca in Sardegna, con l’opportunità di declinarla nella gamma delle tre culture, nuragica, fenicia e punica. Abbiamo scelto due diversi approcci: uno rispondente alla problematica della funzione di specifiche forme vascolari, l’altro alla conoscenza di due tipi di contesti archeologici, le tombe fenicie e puniche da un lato e l’abitato urbano fenicio e punico dall’altro.
5Per le funzioni delle forme vascolari specifiche, abbiamo potuto fare una selezione nelle collezioni dei musei di Cagliari, Oristano e Carbonia, rivolgendo particolare attenzione a forme emblematiche di ciascuna cultura: la brocca askoide per il mondo nuragico3; la brocca con orlo espanso per il mondo fenicio e punico4; alabastra, aryballoi e anforette in pasta vitrea per la loro ampia diffusione nel Mediterraneo, frutto soprattutto dell’iniziativa di mercanti fenici5. Per i contesti funerari e di abitato sono stati selezionati tre siti: quello di Tharros, per il corredo delle tombe fenicie, quello di Monte Sirai per il corredo delle tombe puniche e infine quello di Pani Loriga per l’abitato punico e le tombe fenicie.
6Per lo studio della documentazione ceramica del settore dell’abitato punico ubicato sul versante settentrionale della collina di Pani Loriga (Area B), nel 2008 abbiamo dato inizio a una collaborazione tra l’ISCIMA (ora ISPC) e l’AOROC nel quadro dei programmi Perhamo e Magi. Massimo Botto, basandosi su scavi che hanno rivelato l’esistenza di un grande edificio polifunzionale articolato in numerosi ambienti, i cui strati di vita risultavano ben conservati e con reperti ancora in situ, ci ha proposto una problematica davvero stimolante: la conoscenza dei differenti prodotti biologici utilizzati in una città punica, o meglio le sostanze odorose che erano bruciate e i prodotti alimentari preparati, importati, consumati e venduti sul posto.
7La convergenza tra differenti categorie di dati archeologici (strutture e reperti mobili), archeobotanici (palinologia), archeozoologici e chimici, offre la rara opportunità di esaminare da vicino la realtà delle pratiche quotidiane e rituali in un contesto urbano. Sapendo che la zona oggetto di studio comprende sia ambienti destinati alla preparazione e probabilmente alla vendita di prodotti alimentari sia un’area cultuale, la problematica delle pratiche alimentari si arricchisce di questa diversità funzionale dello spazio urbano.
8Gli obiettivi scientifici fissati con Massimo Botto concernono dunque le pratiche e le offerte alimentari nello spazio dei vivi, ma anche nello spazio dei morti. In effetti, l’ultima missione del programma Magi nel settembre del 2016 è consistita nell’esaminare il corredo di una tomba bisoma ad inumazione della prima metà del VI secolo a.C. Lo scavo e i risultati delle analisi biochimiche condotte da Nicolas Garnier sono in fase di pubblicazione6 e permetteranno di confrontare per uno stesso sito – caso a mia conoscenza del tutto eccezionale – i dati provenienti da contesti abitativi con quelli relativi a contesti funerari. In questo modo potremmo proporre una sintesi globale delle pratiche alimentari e delle offerte biologiche (per i vivi, per gli dèi e per i morti) nel seno di una comunità fenicio-punica. [D.F.]
Il sito di Pani Loriga
9Pani Loriga si situa in prossimità dell’abitato di Santadi (provincia del Sud Sardegna), su un modesto rilievo delimitato ad est dal corso del Riu Mannu (fig. 1). Il sito dista una ventina di chilometri in linea d’aria dalla costa ed è in rapporto visivo con la colonia di Sulky sull’isola di Sant’Antioco, ad Occidente dell’ampio e sicuro Golfo di Palmas (fig. 2). I collegamenti con quest’ultimo dovevano essere facilitati dal corso del Rio Palmas, all’epoca navigabile almeno sino all’altezza del moderno insediamento di Tratalias, dove le indagini archeologiche hanno evidenziato, a ridosso di un nuraghe, un probabile insediamento a popolazione mista sardo-fenicia, databile intorno alla fine del VII secolo a.C., anche se i contatti commerciali fra le comunità locali e i Fenici risalgono senz’altro all’VIII secolo, a giudicare dai materiali ceramici recuperati nelle ricognizioni7.
10Il dato è di estremo interesse perché attesta un precoce interesse per questo settore dell’isola da parte della componente fenicia, attratta dalle ricchezze di un territorio ospitale rinomato per le risorse boschive e la fertilità dei terreni e per questo frequentato sin da epoche molto antiche8. Si deve inoltre rimarcare la posizione strategica del sito posto a controllo dei passi di Pantaleo e Campanasissa, cioè delle vie che rappresentavano il naturale collegamento rispettivamente con le fertili pianure del Campidano e con le aree minerarie dell’Iglesiente9.
11L’insediamento fu individuato da Ferruccio Barreca a metà degli anni Sessanta del secolo scorso10. Sul luogo si conosceva l’esistenza di un nuraghe (nuraghe Diana; fig. 3), all’epoca già crollato, ma l’esplorazione topografica effettuata nel 1965 rivelò l’esistenza di resti punici pertinenti a un abitato di notevoli dimensioni, a una necropoli rupestre e a un’area sacra. Le prime indagini hanno avuto luogo a partire dall’autunno del 1968 e si sono protratte sino al 1976, interessando prevalentemente la necropoli fenicia ad incinerazione, della quale furono individuate circa 150 tombe solo in minima parte indagate11. Alcuni corredi relativi a queste sepolture attestano l’antichità della fondazione fenicia, che si può far risalire alla fine del VII secolo a.C.12, e la rete di scambi, verosimilmente mediata da Sulky, con importazioni sia dal mondo greco sia da quello etrusco13.
12Le indagini a Pani Loriga da parte dell’Istituto di Studi sulle Civiltà Italiche e del Mediterraneo Antico (ISCIMA) del CNR sono iniziate nell’autunno del 2005 attraverso una sistematica attività di ricognizione che ha interessato l’intera collina. Nel 2007 ha avuto luogo la prima campagna di scavi all’abitato punico ubicato sul pianoro posizionato sul lato meridionale dell’altura (Area A; fig. 4)14. Nel 2008 è stato aperto sul versante settentrionale della collina un nuovo cantiere. La presentazione dello scavo, attualmente in corso da parte dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC), sarà oggetto della seguente trattazione. [M.B.-E.M.]
Gli scavi CNR all’abitato punico (Area B)
13Come accennato, l’insediamento punico doveva svilupparsi anche sul declivio settentrionale dell’altura, in rapporto con una naturale via di accesso al sito costituita da un profondo avvallamento entrato nella letteratura scientifica con il termine di « valloncello », a seguito del termine utilizzato dal Barreca nella sua prima pubblicazione dedicata alla scoperta del sito (fig. 4)15. Nel maggio del 2007, in prossimità di questa direttrice sono state effettuate indagini da parte di Massimo Botto e Federica Candelato16 che hanno portato all’individuazione di lacerti murari che si sono poi rilevati pertinenti a un grande edificio (fig. 5) la cui realizzazione si pone fra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.
14Gli scavi ancora in corso non permettono di stabilire con certezza le dimensioni e la pianta complessiva della struttura, nonostante l’area indagata superi i 300 m2 (fig. 6). Tuttavia, è ormai appurato che l’edificio, orientato a nord secondo gli angoli, doveva articolarsi in due file di vani fra loro solidali.
15Il settore meglio indagato si trova a valle ed è suddiviso in cinque vani rettangolari (denominati rispettivamente 1, 2, 4, 5 e 8), lunghi all’incirca 8 m e ampi mediamente 2,5/3 m. Altri quattro vani (3, 7, 6 e 9), paralleli a questi e collocati immediatamente a sud dei primi, risultano poco più corti (ca. 5 × 2,5/3 m). L’edificio in esame era affiancato a sud-est da altre strutture ugualmente imponenti come si evince dai monoliti che a distanze regolari emergono dal terreno. A nord-est e a sud-ovest era invece delimitato da due strade, sulle quali si affacciavano verosimilmente tutti gli ambienti, ad eccezione dei Vani 1 e 3, le cui aperture sono state individuate a nord-ovest in corrispondenza di un grande spazio aperto, probabilmente una piazza.
16A giudicare dai materiali rinvenuti nei singoli ambienti e dalla strutturazione degli stessi è possibile affermare che all’interno dell’edificio si svolgevano molteplici attività. Il Vano 1, per esempio, è stato interpretato come sacello, grazie alla presenza di una banchina realizzata sul fondo dell’ambiente sui cui erano stati deposti alcuni ex-voto rinvenuti ai piedi della stessa in connessione con ossa animali.
17In prossimità della banchina sono stati recuperati due vasi di importazione: una coppetta su piede di produzione etrusca e uno skyphos attico. Il primo reperto (fig. 7a)17 si riferisce a una tipologia di coppa offertoria diffusa in tutta l’Etruria, ma finora documentata in Sardegna solo a Pani Loriga, la cui produzione si colloca nella prima metà del VI secolo a.C. Il vaso, quindi, risulta più antico del contesto di rinvenimento di oltre un cinquantennio e fu preservato come cimelio per motivi che sfuggono alla nostra comprensione, ma che devono verosimilmente essere riportati alla natura « esotica » del manufatto. Di particolare interesse risulta il contesto di scavo, dal momento che la coppa, caduta molto verosimilmente dalla banchina sulla quale era stata appoggiata, si presentava adagiata sul terreno e circondata da un numero rilevante di ossa animali, pertinenti a sacrifici o a resti di pasto.
18Grazie a studi di Jacopo De Grossi, al momento inediti, è possibile affermare che dal Vano 1 provengono 24 resti di ovicaprini, pertinenti ad almeno due individui: un subadulto di età inferiore ai 2 anni e un adulto di età compresa tra i 4 e i 6 anni. Il bue è rappresentato solo da un astragalo, mentre il maiale da 9 resti riferibili a due individui: un neonato e un adulto. I selvatici sono rappresentati solo dal cervo, presente con 6 resti riferibili a due individui: un subadulto e un adulto.
19Lo skyphos (fig. 7b)18 conserva una parte della decorazione, costituita da una menade danzante e da una palmetta a cuore risparmiato, che indirizzerebbe verso l’officina del Pittore di Haimon attiva ad Atene tra il 500 e il 480 a.C. Questa cronologia risulta in linea con quella di altri frammenti di importazione attica rinvenuti nei vani attigui19 e, insieme ai materiali di fattura punica, permette di stabilire la datazione del primo impianto dell’edificio. Anche per lo skyphos risultano interessanti i dati di scavo, dal momento che una parte del vaso è stata rinvenuta incastrata all’interno di un supporto del tipo cosiddetto « a clessidra » (fig. 7c). Si ritiene quindi probabile che lo skyphos fosse esposto come dono sulla banchina del sacello e per motivi di stabilità poggiasse sul supporto sopra indicato.
20Dal Vano 1 provengono altri manufatti che potrebbero attestare il carattere sacro dell’ambiente. Si fa riferimento in particolare a vaghi e pendenti di collana in pasta vitrea e in ceramica di varia foggia, nonché alla riproduzione miniaturistica di un’anfora. Un elemento di interesse è poi rappresentato da un grande supporto20, che non trova confronti nel panorama delle produzioni puniche del Mediterraneo centro-occidentale. Si tratta verosimilmente di un’elaborazione locale, diffusa solo nella regione sulcitana. Riguardo alla sua funzione, si ritiene che per le considerevoli dimensioni esso fosse particolarmente adatto ad alloggiare grandi recipienti, che potevano avere svariati utilizzi a seconda del contesto di rinvenimento. Considerando il carattere « sacro » del Vano 1, il supporto poteva alloggiare un vaso per libagioni o un bacino lustrale. In proposito è interessante osservare che il supporto è stato rinvenuto quasi di fronte all’entrata, posizionata sul lato lungo esterno in corrispondenza dell’angolo sud-ovest, in modo che il fedele una volta entrato nel sacello avesse sul fondo, di fronte a sé, lo spazio sacro destinato alle offerte e sulla sua destra un grande vaso per libagioni o abluzioni.
21Passando ad esaminare il Vano 2, adiacente al Vano 1, si deve osservare che la presenza di ceramica prevalentemente da cucina, trasformazione e conserva indicherebbe uno spazio funzionale alla preparazione di cibi e stoccaggio di piccole riserve alimentari. L’ambiente era collegato, grazie ad un’apertura in seguito obliterata, all’adiacente Vano 4, che doveva essere parzialmente scoperto. Il rinvenimento di numerosi frammenti relativi ad almeno due tannur, i caratteristici forni tronco-piramidali di origine vicino-orientale21, farebbe pensare ad una specie di cortile, in cui poter espletare alcune funzioni fondamentali, come per esempio la cottura del pane. [M.B.-E.M.]
Le pratiche alimentari attraverso lo studio dei contenitori e le analisi dei loro contenuti
22Grazie alle analisi biochimiche condotte da Nicolas Garnier, si è potuta circoscrivere la natura dei prodotti presenti nelle anfore e in altri manufatti rinvenuti durante lo scavo degli ambienti descritti. Riguardo alla metodologia applicata22, è stata recuperata una quantità di polvere pari a circa 100 milligrammi da cui prelevare la materia organica, raschiando o fresando le superfici interne dei vasi appena messi in luce e non sottoposti ad alcun trattamento di pulizia. La ceramica polverizzata così ottenuta è stata sottoposta a due protocolli. Tramite il primo si accede ai markers lipidici (acidi grassi, steroli, terpeni, zuccheri) caratteristici degli oli, dei grassi, delle cere, delle resine e della pece. Il secondo protocollo invece permette di estrarre i markers insolubili e/o polimerizzati permettendo di rilevare le tracce della presenza di succo d’uva e quindi di vino23. Quest’ultima analisi è stata sviluppata e introdotta più recentemente e dunque applicata solo nel lotto di materiali campionato negli anni 2012 e 2013.
23Prima di procedere con l’esame dei singoli campioni si intendono affrontare alcune problematiche generali emerse dalle analisi.
24La prima problematica riguarda la presenza di cera d’api, che si ritrova anche se in percentuali diverse in circa la metà dei vasi campionati e in quasi tutte le 11 anfore esaminate24. Numerosi studi hanno cercato di chiarire le cause della presenza di tale sostanza nei contenitori da trasporto. Fra le ipotesi più accreditate rimane quella che ne suggerisce un utilizzo come impermeabilizzante o come sigillante, ma la cera d’api poteva anche costituire il contenuto dell’anfora, dal momento che veniva impiegata come combustibile per lucerne in aggiunta a sostanze grasse vegetali e animali25.
25Inoltre, residui di cera d’api potrebbero indicare la presenza di miele, prodotto che nell’antichità aveva svariate forme di utilizzo, specialmente in campo farmaceutico e per quel che concerne la cosmesi, motivo per cui questo prodotto risultava ampiamente commercializzato26.
26Dai testi antichi sappiamo inoltre che il miele veniva utilizzato per addolcire e per migliorare le qualità del vino. Tali pratiche sono ben documentate nei testi ittiti e in quelli rinvenuti nell’archivio del palazzo reale di Mari, in Mesopotamia27. In ambito mediterraneo la pratica di addolcire il vino con il miele è attestata nei testi micenei28, ma raggiunse la sua massima notorietà e diffusione nel mondo greco e in quello romano29. Un altro aspetto da prendere in considerazione riguarda la produzione di idromele, una bevanda alcolica molto diffusa nell’antichità ottenuta miscelando miele con acqua30.
27Purtroppo i soli dati analitici non sono sufficienti per trarre delle conclusioni definitive sulla natura della cera d’api rinvenuta nei contenitori da trasporto di Pani Loriga: le analisi indicano parte dei contenuti, ma ovviamente la funzione di questi deve essere oggetto di interpretazione. Per quanto riguarda i reperti analizzati, quindi, la cera d’api deve essere ricollegata sia a fattori funzionali sia al contenuto dell’anfora. Possiamo tuttavia sottolineare come un’elevata presenza di cera d’api nelle anfore, così come in altre forme vascolari, possa ricondursi alla chiusura e all’impermeabilizzazione del recipiente, avvenuta molto verosimilmente con un trattamento a caldo. Tuttavia, come sopra indicato, residui di cera d’api potrebbero indicare la presenza di miele. Per quel che concerne Pani Loriga, fra i vari impieghi di tale alimento si intende soprattutto evidenziare quello legato al consumo di vino e, come vedremo meglio in seguito, alla preparazione di particolari ricette, come per esempio la puls punica.
28Riguardo all’utilizzo del miele per stemperare l’acidità del vino, va rivelato che nei numerosi campioni di anfore esaminati, le cui produzioni afferiscono a fabbriche insulari, è stato identificato succo d’uva/vino (rosso e bianco) in associazione con cera d’api. Indicazione analoghe provengono dall’unica anfora di importazione al momento campionata. Si tratta di un esemplare che potrebbe rientrare fra le cosiddette produzioni « ionio-massaliote »31, il quale, come le anfore insulari di seguito esaminate, una volta rotto è stato riutilizzato come contenitore per conservare alimenti di diversa natura rispetto a quelli che doveva trasportare in origine. A causa dello stato frammentario, l’anfora è stata sottoposta a ben tre prelievi, realizzati nelle parti meglio conservate del collo e della spalla32, da cui si deduce che il vaso in origine doveva trasportare vino rosso (tab. 1).
29La seconda problematica riguarda la presenza in molti contenitori, soprattutto anfore, di resina di conifere. L’importanza del commercio della resina nell’antichità è stata più volte sottolineata negli studi di settore e si deve alle molteplici forme di utilizzo di tale sostanza impiegata sia nelle fumigazioni rituali e nei processi di imbalsamazione sia nella preparazione di svariati farmaci e nell’estetica femminile33.
30A Pani Loriga è molto probabile che la resina servisse principalmente per impermeabilizzare e sigillare le anfore. In effetti, tutti i campioni analizzati contenevano almeno tracce di resina, eccetto due anfore riferibili alle tipologie Bartoloni D3 e D434. Le analisi d’altro canto non rivelano la presenza di pece, identificabile attraverso markers specifici quali l’acido deidroabietico metilato e gli idrocarburi poliaromatici. Possiamo quindi escludere che nel sito la pece venisse utilizzata per il rivestimento interno e per la chiusura delle anfore. Questi accorgimenti, infatti, erano praticati molto verosimilmente utilizzando resina di conifere e cera d’api.
31La terza problematica riguarda il vino, che a Pani Loriga doveva essere prodotto e commercializzato in grandi quantità. L’individuazione di questo alimento si basa su dei markers specifici connessi all’uva (acido tartarico, acido malico) e alla fermentazione alcolica (acido succinico, maleico, fumarico, piruvico) e diversi a seconda si tratti di vino bianco o di vino rosso. Per quest’ultimo infatti, esistono dei marcatori specifici dell’uva nera come la malvidina, da cui è liberato l’acido siringico durante la seconda estrazione del campione.
32In assenza di questi marcatori e basandosi sulla presenza dell’acido siringico è possibile invece individuare un vino preparato secondo una « vinificazione in bianco » ottenuta separando il mosto dalle vinacce, cioè dalle parti solide dell’uva quali raspi, bucce e vinaccioli. Una « vinificazione in rosso » prevede invece una fermentazione con macerazione, ovvero in presenza delle vinacce. Durante la macerazione si solubilizzano i tannini e altri composti presenti nelle parti solide dell’uva e il vino acquista il caratteristico colore rosso35. A Pani Loriga è stato possibile identificare sia vino rosso sia succo d’uva e/o vino ottenuto con una vinificazione in bianco.
33Dal Vano 2 provengono alcune anfore rotte in antico e adattate in modo tale da essere riutilizzate in questo contesto come contenitori per cibi. I vasi sono stati oggetto in passato di disamine approfondite in relazione al loro recupero, alla loro tipologia e alle analisi biochimiche disposte per valutare la natura delle sostanze in esse conservate36. In questa sede si intende soffermare l’attenzione sul contenuto dei vasi, dal momento che parte dei campioni ha subito successive analisi oltre a quelle inizialmente pubblicate.
34Per esempio, l’anfora punica della tipologia Bartoloni D4 (V secolo a.C.; fig. 8a)37 è stata sottoposta ai due protocolli precedentemente descritti38. Dal primo, oltre all’individuazione di cera d’api e resina di conifere, che indicherebbe l’impermeabilizzazione del recipiente, è emersa la chiara presenza di grasso animale e di olio vegetale, probabilmente di oliva. Grazie al secondo protocollo invece sono stati individuati i marcatori specifici del vino rosso (tab. 1).
35Si presentano quindi due possibilità riguardo all’uso del contenitore: la prima prevede che l’anfora, adeguatamente impermeabilizzata, sia stata utilizzata per il trasporto di vino rosso e/o di olio d’oliva; solo successivamente l’anfora sarebbe stata impiegata come deposito di carne o pesce, conservati verosimilmente nel sale secondo una tecnica ampiamente documentata.
36Riguardo all’uso primario del contenitore, studi recenti hanno dimostrato che anche le anfore olearie, come quelle destinate al trasporto di vino e salse, erano adeguatamente impermeabilizzate39. Il dato, che era sempre stato escluso in passato, deve essere messo in relazione con un altro aspetto importante che emerge dalle analisi e che riguarda il commercio e il largo impiego nell’antichità di oli con utilizzi anche non alimentari, quali ad esempio l’olio di sesamo, di ricino e di lentisco, il cui impiego era probabilmente più rilevante di quanto ci si possa immaginare40. Per questi oli, infatti, l’alterazione del sapore derivata dalla presenza di resina nell’anfora non doveva costituire un problema41.
37Passando all’utilizzo secondario dell’anfora punica, impiegata nel Vano 2 come contenitore da conserva, si deve osservare che la conservazione di alimenti nell’antichità poteva avvenire in modi diversi42. Tuttavia, nel mondo fenicio e in quello punico il sistema più utilizzato prevedeva che i cibi fossero coperti con sale o salamoia, cioè con una soluzione acquosa satura di cloruro di sodio, in grado di combattere funghi e microbi43. Non si possono comunque escludere altre tecniche. Per esempio, prendendo in esame situazioni documentate in Sardegna, si devono segnalare alcune anfore fenicie e puniche recuperate nel tratto di mare antistante Nora al cui interno è stata prelevata, insieme a ossa di ovicaprini con evidenti segni di macellazione, una cospicua quantità di vinaccioli di Vitis vinifera L. ssp. vinifera44.
38Questi dati hanno permesso di ipotizzare l’immersione delle carni essiccate negli acini, i quali, in seguito alla loro fermentazione, avrebbero favorito la conservazione delle vivande45. Tale metodo di conservazione delle carni ovicaprine è documentato attraverso i recuperi norensi almeno a partire dal VI secolo a.C., trovando continuità di applicazione anche in piena epoca punica (IV secolo a.C.)46.
39In alcune anfore contenenti carni macellate sono stati recuperati altri resti vegetali. Si ha notizia, infatti, di numerosi frustuli lignei carbonizzati e di un frammento di mandorla47. La presenza di carboni risulta in apparenza molto curiosa, ma può trovare a nostro avviso un’importante analogia, pur tenendo conto delle differenze geografiche e temporali, con quanto documentato in area mesopotamica, dove fra i vari modi per conservare il pesce vi è anche quello attestato nelle fonti che prevede che i prodotti ittici vengano ricoperti da uno spesso strato di cenere48.
40La conservazione delle carni con prodotti vegetali è ben documentata in Sardegna, come emerge dai recuperi di anfore puniche effettuati nella laguna di Santa Gilla (Cagliari). In questo caso nei vasi, utilizzati per il trasporto di carni macellate di ovini e bovini, sono stati individuati pinoli e noccioli di oliva49. Al riguardo, si potrebbe ipotizzare una marinatura in salsa di olive di carni aromatizzate, grazie all’aggiunta di pinoli disposti all’interno del vaso in strati alternati con i pezzi selezionati degli animali macellati.
41L’ipotesi sembrerebbe in parte confermata da quanto emerso dai recenti scavi nella laguna di Santa Giusta, presso l’antico insediamento di Othoca. Infatti, secondo Ignazio Sanna le carni macellate rinvenute nelle anfore di produzione fenicia e punica da lui stesso recuperate potevano essere conservate con l’ausilio di prodotti aromatizzanti come le mandorle, le nocciole, i pinoli e addirittura le pigne intere50. A nostro avviso, i prodotti indicati potevano insaporire e aromatizzare le carni trasportate, ma non erano adatti alla loro conservazione. Solo la resina delle pigne inserite intere all’interno dei contenitori anforici aveva questa proprietà, che però doveva essere attivata per mezzo di un legante. Al riguardo, si potrebbe ipotizzare l’utilizzo di olio, in grado di dissolvere la resina che in questo modo poteva agire come antibatterico. La presenza di numerosissimi vinaccioli, inoltre, porta a valutare l’ipotesi, peraltro già prospettata per le anfore recuperate dai fondali di Nora, di una conservazione delle carni in succo d’uva o vino51.
42Per la prima delle due anfore fenicie del tipo Bartoloni D352 (seconda metà avanzata del VI-inizi V secolo a.C.)53 messe in luce nel Vano 2 (fig. 8b), le analisi hanno stabilito che le pareti interne sono state impermeabilizzate con resina di conifere trattata a caldo (tab. 1). Ciò significa che all’origine il vaso doveva essere destinato al trasporto di vino, olio o salse di diversa natura. Il dato è confermato da successive analisi, le quali hanno individuato i marcatori specifici del vino rosso e tracce di olio di oliva.
43Dalle analisi, infine, emerge la presenza di grasso animale. Si tratta di una situazione analoga a quella riscontrata nell’esemplare punico, che testimonia come le due anfore furono riutilizzate nel Vano 2 per lo stoccaggio di alimenti simili.
44All’interno dell’anfora sono stati rinvenuti un imbuto54 e una paletta55 ricavata tagliando e regolarizzando la parete di un’altra anfora (fig. 8c-d). Le analisi biochimiche effettuate sull’imbuto hanno evidenziato tracce di olio vegetale e grasso animale. Il dato deve necessariamente essere incrociato con i risultati ottenuti sugli altri campioni indagati. Per esempio, le analisi effettuate su una pentola56 proveniente dallo stesso vano (fig. 8e) hanno permesso di distinguere la presenza di cera d’api e di grasso animale, mentre il protocollo del vino ha dato esito negativo (tab. 1). Si tratta di risultati molto simili a quelli ottenuti da Alessandra Pecci57 su tre campioni di pentole selezionate da Lorenza Campanella provenienti dall’US 500 del Cronicario di Sant’Antioco e datate fra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. Anche in quel caso, infatti, è stato riscontrato un rivestimento interno delle pareti delle pentole con cera d’api e resina di conifere, nonché la presenza di grasso animale.
45Tornando a Pani Loriga, le analisi biochimiche condotte su un mortaio58 rinvenuto nel Vano 4 (fig. 8f) hanno evidenziato la presenza di grasso animale dimostrando come questa tipologia ceramica fosse funzionale per macinare, triturare o battere diversi generi di alimenti59. Oltre ai cereali, la cui lavorazione può essere stabilita grazie alla tecnica del « pollen washes »60, possiamo affermare che all’occorrenza venivano trattati anche la carne e probabilmente il pesce. Nel nostro caso, per esempio, non si esclude la possibilità che venissero macinate alternativamente farina di grano e farina di pesce. Dalle fonti antiche61 sappiamo infatti che da un loro impasto si potevano ricavare delle gallette particolarmente gustose e nutrienti62.
46Inoltre, la presenza di grasso animale permette di ipotizzare che nei mortai di Pani Loriga venisse praticata la battitura di carni precedentemente ammorbidite a seguito di lunghe marinature. Queste considerazioni sembrerebbero avvalorate dai risultati ottenuti da analisi condotte su un altro bacino63 proveniente dal Vano 3, che hanno stabilito la presenza di grasso animale di non-ruminante e succo d’uva o vino (tab. 1). In questo caso, infatti, si potrebbe ipotizzare una macerazione/marinatura delle carni nel vino seguita da una battitura prima del loro consumo. Diversamente da quanto osservato in precedenza, nel processo di ammorbidimento e aromatizzazione delle carni sarebbe stato utilizzato un vino ottenuto con una « vinificazione in bianco », dal momento che è stata riscontrata la presenza di acido tartarico e l’assenza di acido siringico.
47Riguardo alla paletta, le analisi di laboratorio hanno evidenziato la presenza di numerosi componenti (tab. 1). Innanzitutto grassi di origine vegetale e resina di conifere, che devono essere posti in relazione con la funzione primaria dell’anfora da cui è stato ricavato lo strumento. Il contenitore infatti venne fabbricato e appositamente trattato per il trasporto di olio vegetale. Il che confermerebbe l’importanza assunta da tale alimento durante la colonizzazione fenicia e quella punica, come evidenziato dalle analisi gas-cromatografiche condotte in passato sia su anfore sia su teglie e pentole rinvenute in Sardegna64.
48Le analisi biochimiche hanno individuato altri componenti che più direttamente devono essere posti in relazione con la funzione della paletta: si tratta di steroli eccezionalmente concentrati (ergosterolo), che derivano da microrganismi come lievito o funghi: tra questi la Saccharomyces cerevisiae, connessa con i processi di vinificazione, potrebbe essere un’ottima indiziata. In particolare, la S. cerevisiae ha un ruolo attivo nella fermentazione del mosto, che porta tuttavia alla formazione di una pellicola superficiale, la quale deve essere rimossa per non compromettere lo stesso processo di fermentazione: la paletta doveva appunto servire alla rimozione di questa pellicola.
49La seconda anfora fenicia65 (fig. 9a) ha restituito tracce di grasso animale, al pari degli altri contenitori esaminati. Il dato innovativo è rappresentato dal fatto che le analisi hanno evidenziato la possibilità che l’anfora abbia potuto contenere prodotti a base di latte, in particolare formaggio (tab. 1).
50La presenza a Pani Loriga di cera d’api e quindi di miele, in associazione con una produzione che dobbiamo immaginare cospicua di latte e formaggi66, legata a un’economia agropastorale, potrebbe fare ipotizzare all’interno del Vano 2 la preparazione e un successivo consumo della caratteristica puls punica. Dalle fonti classiche sappiamo che sia il formaggio fresco (casei recentis) sia il miele sono due componenti essenziali per la preparazione di questo alimento. Catone il Censore ci ha tramandato la ricetta di questo piatto affermando che « la farinata alla cartaginese si cuoce così: metti in acqua una libbra di semola di grano e lasciala bene a mollo; poi versala in un recipiente pulito e aggiungivi tre libbre di formaggio fresco, mezza libbra di miele e un uovo; amalgama bene tutti questi ingredienti e travasa in altra pentola » (De Agri Cultura 85)67. Si tratta di un piatto altamente nutriente in cui venivano mescolati miele, formaggio, uova e grano. Quest’ultimo doveva essere precedentemente macinato, verosimilmente in grandi mortai, che come si è avuto modo di vedere sono ben attestati nella struttura indagata.
51In conclusione, i dati di scavo combinati con lo studio della cultura materiale e con le analisi biochimiche concordano nell’indicare nei Vani 2 e 4 degli spazi destinati alla produzione, conservazione e cottura di alimenti. In particolare, è probabile che in questi ambienti venissero elaborate pietanze a base di carne e/o pesce condite con olio vegetale successivamente travasate, grazie a grossi imbuti, in anfore riutilizzate come contenitori da conserva in quanto rotte e non più funzionali al trasporto di derrate alimentari. [M.B.-N.G.-E.M.]
Depositi di fondazione e riti alimentari a Pani Loriga e nel mondo fenicio e punico
52Una situazione di scavo che ha restituito fondamentali dati sia per l’inquadramento cronologico sia per il tipo di utilizzo dell’edificio preso in esame è quella documentata all’interno del Vano 7 (fig. 6). Infatti, negli strati di vita sigillati dal crollo della struttura è stata rinvenuta una coppa su piede a vernice nera, che in base ai confronti stabiliti con i materiali dell’Agorà di Atene68 è possibile datare al 490-480 a.C. (fig. 9b).
53Il vaso si trova in associazione ad anfore puniche dei tipi Bartoloni D3 e D4 e ad altre forme ceramiche che è quindi possibile datare in questo arco di tempo, quali per esempio la brocca con imboccatura circolare ad orlo concavo-convesso (fig. 9c)69, la coppa a pareti inflesse (fig. 9d)70 e la pentola biansata con orlo rettilineo a pareti parallele (fig. 9e)71.
54Per quest’ultima72 le analisi biochimiche hanno dato risultati alquanto interessanti (tab. 1). Innanzitutto è presente cera d’api in percentuali elevate a conferma del trattamento interno delle superfici con questa sostanza spalmata verosimilmente a caldo73. Inoltre, sono attestati grassi vegetali in quantità elevate, ma anche acido tartarico che indica la presenza di succo d’uva bianca o vino bianco, come si è potuto constatare in precedenza
55Passando alla coppa a pareti inflesse74, le analisi hanno evidenziato la presenza di grasso animale di non ruminante (tab. 1), probabilmente di suino vista l’individuazione di questo animale da parte di Jacopo De Grossi fra i resti di pasto del Vano 1. Le analisi hanno inoltre stabilito che il grasso animale è stato sottoposto a cottura prolungata, come rilevato su altri campioni provenienti dal Vano 7.
56Riguardo alla brocca con spalla ribassata e corpo piriforme (fig. 9f) proveniente dallo stesso ambiente75, le analisi hanno segnalato la presenza di cera d’api, succo d’uva bianca o vino bianco e resina, la quale in questo caso viste le modiche quantità potrebbe essere considerata come additivo del vino. Questo prodotto doveva essere molto utilizzato all’interno del Vano 7, dal momento che è stato identificato sia rosso che bianco anche in anfore76 e nella brocca con orlo concavo-convesso77.
57Fra i reperti di particolare interesse rinvenuti nel Vano 7 si segnala uno scarabeo in pasta vitrea azzurrina con motivo della caccia al cervo (fig. 10a). Oltre all’importanza del monile, che rappresenta un unicum in Sardegna, si deve sottolineare che in molti dei vani indagati compaiono ossa di cervo. Da questo punto di vista Pani Loriga si allinea con la documentazione proveniente dai vicini centri di Monte Sirai e Nuraghe Sirai, che hanno restituito abbondanti resti di cervo78.
58Nel Vano 7 un frammento di radio prossimale di cervo adulto è stato individuato da Jacopo De Grossi fra i resti di pasto di un probabile rito di fondazione. Durante la campagna del 2013, infatti, è stata messa in luce una struttura, una specie di pozzetto, chiusa originariamente da una lastra di scisto, all’interno della quale sono state rinvenute diverse ossa animali e un ritaglio di piombo disposti in modo accurato. La struttura, che risulta in connessione con il primo impianto dell’ambiente, presentava sul fondo ossa riferibili prevalentemente ad ovicrapini: si tratta di almeno due individui, un subadulto fra 1 e 2 anni di età e un adulto di oltre 3 anni. Sono inoltre presenti il bue, con tre resti riferibili ad un individuo adulto di età compresa tra i 42 e i 48 mesi, e come precedentemente accennato il cervo.
59Depositi di fondazione sono ben attestati nel mondo fenicio di Occidente, con attestazioni che spaziano da Kition, sull’isola di Cipro, sino a Lixus, sulle sponde atlantiche del Marocco, e coprono un arco di tempo molto ampio dal IX al II secolo a.C.79. Nella stessa Pani Loriga, inoltre, nell’edificio recentemente messo in luce nell’Area A80, coevo al nostro, provengono ben due depositi di fondazione: il Vano I ha restituito una cooking-pot del tipo Campanella P2B (fine VII-inizi del VI secolo a.C.), mentre dal Vano II proviene una pentola del tipo Campanella P5 (IV-prima metà del III secolo a.C.)81.
60Nel primo caso il vaso risulta più antico di circa un secolo rispetto alla costruzione dell’edificio: vista la vicinanza della necropoli fenicia alla struttura indagata e considerato il fatto che la cooking-pot è stata recuperata integra, suggestiva risulta l’ipotesi di una sua provenienza da ambito funerario nel segno di una simbolica continuità del nuovo impianto di impronta cartaginese con la precedente presenza fenicia82. La pentola del Vano II, invece, sarebbe in fase con la fondazione dell’edificio, dal momento che sulla base dei dati provenienti dal Vano 7 è possibile proporre una datazione più ampia del tipo rispetto a quella tradizionale83, con un innalzamento cronologico sino agli inizi del V secolo a.C.84.
61La situazione documentata nel Vano 7 si presenta sostanzialmente differente da quella della maggioranza dei depositi di fondazione coloniali per tre aspetti specifici: l’assenza di ceramica, l’evidente presenza di resti di pasto e la costruzione di una struttura che doveva preservare i segni del rituale propiziatorio. Il confronto a nostro avviso più pertinente, nonostante la distanza geografica e cronologica, è ravvisabile nel deposito di fondazione messo in luce nel « sondeo del algarrobo » a Lixus85. In questo caso, all’interno di una cista litica, in connessione con il muro dell’ambiente in cui il deposito è stato individuato, è stato recuperato un kalathos in perfetto stato di conservazione in associazione con semi di vite, resti di animali domestici e due vaghi in pasta vitrea. Il vaso, la cui produzione si pone fra il 175 e il 125 a.C., permette di datare il contesto, caratterizzato anche dalla presenza di ossa di maiale (11), ovicaprino (1) e bovino (1).
62L’elemento distintivo rispetto al « pozzetto » del Vano 7 di Pani Loriga è dato dal grande contenitore ceramico, mentre molti sono i punti di contatto, a partire dai resti di pasto, dall’ubicazione e dalla natura della struttura che conteneva il deposito e dalla presenza di manufatti con una probabile valenza cultuale. Anche quest’ultimo aspetto deve essere a nostro avviso valutato con attenzione, dal momento che tali depositi sottintendono pratiche rituali che avevano la funzione di preservare le strutture da catastrofi e distruzioni86.
63Al riguardo, risulta interessante il recupero all’interno del « pozzetto » di un ritaglio di piombo (fig. 10b), che avvalorerebbe l’interpretazione rituale del contesto. In effetti elementi in piombo ricorrono spesso in contesti sacri fenici e punici. A Pani Loriga, per esempio, durante le ricognizioni condotte nel 2005 nella cosiddetta Area Sacra, sono stati rinvenuti due ritagli di piombo87. Manufatti o ritagli in questo metallo sono presenti in alcuni santuari-tofet di Sardegna e Nord-Africa, mentre a Mozia colature ed elementi in piombo sono ben documentati nei recenti scavi88. [M.B.-N.G.]
Considerazioni conclusive
64Dovendo trarre alcune conclusioni riguardo all’edificio esaminato, vista la sua posizione decentrata rispetto al nucleo dell’abitato e la sua probabile collocazione in prossimità di un percorso carraio, si potrebbe ipotizzare l’allestimento di botteghe per le esigenze alimentari delle persone in entrata e uscita dall’insediamento. Inoltre, l’interpretazione del Vano 1 come sacello apre nuove prospettive d’indagine, dal momento che non è da escludere la possibilità che nei vani attigui venissero confezionati alimenti da offrire alla divinità titolare del luogo di culto.
65L’importanza dell’edificio, da ritenersi con tutta verosimiglianza il risultato di uno sforzo collettivo della comunità di Pani Loriga, è confermata non solo dall’articolazione della pianta e dalla monumentalità degli elementi struttivi, ma anche dalla ricca documentazione ceramica, che include pezzi d’importazione molto rari sull’isola, e dalla presenza del deposito di fondazione con evidenti resti di pasto opportunamente selezionati, che sottintendono cerimonie pubbliche con consumo rituale di cibi e probabilmente di vino, a giudicare dalle analisi biochimiche condotte nel Vano 7 e negli ambienti attigui. [M.B.-D.F.-N.G.-E.M.]
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Aranegui 2001: C. Aranegui (dir.), Lixus. Colonia fenicia y ciudad púnico-mauritana. Anotaciones sobre su ocupación medieval, Valencia, 2001.
Aspesi 2002: F. Aspesi, Il miele, cibo degli dei, in D. Silvestri, A. Mirra, I. Pinto (dir.), Saperi e sapori mediterranei. La cultura dell’alimentazione e i suoi riflessi linguistici, III, Napoli, 2002, p. 919-929.
Barreca 1966: F. Barreca, L’esplorazione topografica della regione sulcitana, in Monte Sirai III, Roma, 1966, p. 133-170.
Bartoloni 1981: P. Bartoloni, Contributo alla cronologia delle necropoli fenicie e puniche di Sardegna, Roma, 1981, p. 13-29.
Bartoloni 1988: P. Bartoloni, Le anfore fenicie e puniche di Sardegna, Roma, 1988.
Bellelli, Botto 2002: V. Bellelli, M. Botto, I bacini di tipo fenicio-cipriota: considerazioni sulla diffusione nell’Italia medio-tirrenica di una forma ceramica fenicia per il periodo compreso fra il VII e il VI sec. a.C., in Etruria e Sardegna centro-settentrionale tra l’Età del Bronzo Finale e l’Arcaismo. XXI Convegno di Studi Etruschi ed Italici, Pisa-Roma, 2002, p. 277-307.
Bernardini 2007: P. Bernardini, La regione del Sulcis in età fenicia, Sardinia, Corsica et Baleares Antiquae, 4, 2007, p. 109-149.
Bernardini 2008: P. Bernardini, La morte consacrata. Spazi, rituali e ideologie nella necropoli e nel tofet di Sulky fenicia e punica, in X. Dupré Raventós, S. Ribichini, S. Verger (dir.), SATURNIA TELLUS. Definizioni dello spazio consacrato in ambiente etrusco, italico, fenicio-punico, iberico e celtico, Roma, 2008, p. 639-658.
Bernardini, Spanu, Zucca 1999: P. Bernardini, P.G. Spanu, R. Zucca (dir.), Μάκη. La battaglia del Mare Sardonio. Catalogo della mostra, Oristano, 1999.
Bonetto 2014: J. Bonetto (dir.), Nora e il mare, I. Le ricerche di Michel Cassien (1978-1984), Padova, 2014.
Bonetto, Falezza, Ghiotto 2009: J. Bonetto, G. Falezza, A.R. Ghiotto (dir.), Nora. Il foro romano. Storia di un’area urbana dall’età fenicia alla tarda antichità, 1997-2006, II.1. I materiali preromani, Padova, 2009.
Bonifay 2007: M. Bonifay, Que transportaient donc les amphores africaines ?, in E. Papi (dir.), Supplying Rome and the Empire. Proceedings of an International Seminar held at Siena-Certosa di Pontignano (may 2-4, 2004), Porthsmouth, Rhode Island, 2007, p. 9-24.
Bordignon et al. 2005: F. Bordignon, M. Botto, M. Positano, G. Trojsi, Identificazione e studio di residui organici su campioni di anfore fenicie e puniche provenienti dalla Sardegna sud-occidentale, Mediterranea, 2, 2005, p. 190-217.
Bottéro 1980-1983: J. Bottéro, s.v. Konservierung, Reallexikon der Assyriologie und vorderasiatischen Archäologie, 6, 1980-1983, p. 191-197.
Botto 2004-2005: M. Botto, Da Sulky a Huelva: considerazioni sui commerci fenici nel Mediterraneo Antico, AIONArchStAnt, n.s. 11-12, 2004-2005, p. 9-27.
Botto 2008: M. Botto, Forme di interazione e contatti culturali fra Cartagine e la Sardegna sud-occidentale nell’ambito del mondo funerario, in J. González et al. (dir.), L’Africa Romana 17. Le ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi, Roma, 2008, p. 1625-1638.
Botto 2009: M. Botto, La ceramica da mensa e da dispensa fenicia e punica, in Bonetto, Falezza, Ghiotto 2009, p. 97-237.
Botto 2012a: M. Botto, L’abitato fenicio e punico di Pani Loriga (Area B), in M. Guirguis, E. Pompianu, A. Unali (dir.), Summer School di archeologia fenicio-punica. Atti 2011, Sassari, 2012, p. 33-40.
Botto 2012b: M. Botto, Alcune considerazioni sull’abitato fenicio e punico di Pani Loriga, RStFen, 40, 2, 2012, p. 267-303.
Botto 2017a: M. Botto, Pani Loriga, in M. Guirguis (dir.), La Sardegna fenicia e punica. Storia e materiali, Nuoro, 2017, pp. 167-181.
Botto 2017b: M. Botto, The Phoenician and Punic settlement of Pani Loriga in the light of recent discoveries, Fasti On Line Documents & Research (FOLD&R), www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2017-393.pdf.
Botto, Candelato 2014: M. Botto, F. Candelato, Recenti indagini nell’abitato fenicio e punico di Pani Loriga, in M. Guirguis, A. Unali (dir.), Summer School di archeologia fenicio-punica. Atti 2012, Sassari, 2014, p. 26-32.
Botto, Candelato c.d.s.: M. Botto, F. Candelato, Pani Loriga fra Fenici e Cartaginesi: analisi di un insediamento interno del Sulcis e delle sue trasformazioni nel passaggio dall’età fenicia all’egemonia cartaginese, in A. Roppa, M. Botto, P. Van Dommelen (dir.), Il Mediterraneo occidentale dalla fase fenicia all’egemonia cartaginese. Dinamiche insediative, forme rituali e cultura materiale nel V secolo a.C., c.d.s.
Botto, Oggiano 2012: M. Botto, I. Oggiano, Le site phénico-punique de Pani-Loriga (Sardaigne). Interprétation et contextualisation des résultats d’analyses organiques de contenus, in D. Frère, L. Hugot (dir.), Les huiles parfumées en Méditerranée occidentale et en Gaule (viiie s. av.-viiie s. ap. J.-C.), Rennes, 2012, p. 151-166.
Botto et al. 2010: M. Botto, F. Candelato, I. Oggiano, T. Pedrazzi, Le indagini 2007-2008 all’abitato fenicio-punico di Pani Loriga, Fasti On Line Documents & Research (FOLD&R), www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2010-175.pdf.
Botto et al. c.d.s.: M. Botto, A. Acca, Y. Carrión Marco, D. Frère, S. Interlando, S. Ledda, E. Madrigali, L. Peña-Chocarro, G. Pérez Jordà, R. Porcu, S. Trastu, Nuove indagini alla necropoli fenicia di Pani Loriga, Fasti On Line Documents & Research (FOLD&R), c.d.s.
Campanella 2008: L. Campanella, Il cibo nel mondo fenicio e punico d’Occidente. Un’indagine sulle abitudini alimentari attraverso l’analisi di un deposito urbano di Sulky in Sardegna, Roma, 2008.
Campanella 2009a: L. Campanella, I forni, i fornelli e i braceri fenici e punici, in Bonetto, Falezza, Ghiotto 2009, p. 469-498.
Campanella 2009b: L. Campanella, La ceramica da cucina fenicia e punica, in Bonetto, Falezza, Ghiotto 2009, p. 295-358.
Carenti 2012: G. Carenti, Lo sfruttamento del cervo sardo nel Sulcis. Controllo del territorio ed espressione del potere, in M.B. Cocco, A. Gavini, A. Ibba (dir.), L’Africa Romana 19, Roma, 2012, p. 2945-2952.
Caruso 1994: F. Caruso, Zeus Kretagenes e i ladri di miele, Cronache di archeologia, 33, 1994, p. 9-39.
Cassien 2014: M. Cassien, Il rapporto del 1978, in Bonetto 2014, p. 53-99.
Cugusi, Sblendorio Cugusi 2001: P. Cugusi, M.T. Sblendorio Cugusi (ed.), Opere di Marco Porcio Catone Censore, 2, Torino, 2001.
Del Vais, Sanna 2009: C. Del Vais, I. Sanna, Ricerche su contesti sommersi di età fenicia e punica nella laguna di Santa Giusta (OR). Campagne 2005-2007, Studi Sardi, 34, 2009, p. 123-142.
Del Vais, Sanna 2012: C. Del Vais, I. Sanna, Nuove ricerche subacquee nella laguna di Santa Giusta (OR) (campagna del 2009-2010), in Ricerca e confronti 2010. Atti delle Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte a 20 anni dall’istituzione del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche dell’Università degli Studi di Cagliari (Cagliari, 1-5 marzo 2010), ArcheoArte, 1, 2010, suppl., p. 201-233.
Dessena 2015: F. Dessena, Nuraghe Tratalias. Un osservatorio per l’analisi delle relazioni tra indigeni e Fenici nel Sulcis, Roma, 2015.
D’Oriano 1996: R. D’Oriano, Prime evidenze su Olbia arcaica, in A. Mastino, P. Ruggeri (dir.), Da Olbìa a Olbia. 2500 anni di storia di una città mediterranea, Sassari, 1996, p. 37-48.
Fonzo 2005: O. Fonzo, Conservazione e trasporto delle carni a Cagliari in età punica (Stagno di Santa Gilla, V-IV sec. a.C.) / Preservation and transport of meat in Cagliari (Sardinia) in Punic Age (5th-4th century B.C.), in I. Fiore, G. Malerba, S. Chilardi (dir.), Atti del 3o Convegno nazionale di archeozoologia (Siracusa, 3-5 novembre 2000), Roma, 2005, p. 365-369.
Frère, Garnier 2012: D. Frère, N. Garnier, Archeologia e analisi chimica dei profumi archeologici: uno status quaestionis, in A. Carannante, M. D’Acunto (dir.), I profumi nelle società antiche. Produzione, commercio, usi, valori simbolici, Napoli, 2012, p. 55-79.
Frère, Garnier, Dodinet 2012: D. Frère, N. Garnier, E. Dodinet, L’étude interdisciplinaire des parfums anciens au prisme de l’archéologie, la chimie et la botanique : l’exemple de contenus de vases en verre sur noyau d’argile (Sardaigne, vie-ive s. av. J.-C.), ArcheoSciences. Revue d’archéométrie, 36, 2012, p. 47-59.
Frère, Garnier, Dodinet 2015: D. Frère, N. Garnier, E. Dodinet, Archéologie des huiles parfumées et médicinales en Méditerranée nord-occidentale préromaine (viiie-vie s. av. J.-C.). Problématiques, état de la question et nouvelles données, in C. Malet (dir.), Le corps : soins, rites et symboles, Paris, 2015, p. 99-120.
Frère et al. 2015: D. Frère, N. Garnier, M. Cyglielman, L. Pagnini, Les cruches askoïdes sardes en Étrurie : la problématique de leur contenu et de leur fonction, Studi Etruschi, 77, 2015, p. 253-291.
Garau 2006: E. Garau, Da Qrthdsht a Neapolis. Trasformazioni dei paesaggi urbano e periurbano dalla fase fenicia alla fase bizantina, Ortacesus, 2006.
Garnier 2015: N. Garnier, Identifier les traces de vin archéologique : des structures de production aux vases à boire. Un bilan des méthodologies et des apports de l’analyse chimique organique, in SFECAG. Actes du Congrès de Nyon (14-17 mai 2015), Marseille, 2015, p. 299-314.
Garnier, Valamoti 2016: N. Garnier, S.M. Valamoti, Prehistoric wine-making at Dikili Tash (Northern Greece): Integrating residue analysis and archaeobotany, Journal of Archaeological Science, 74, 2016, p. 195-206.
Garnier, Silvino, Bernal Casasola 2011: N. Garnier, T. Silvino, D. Bernal Casasola, L’identification du contenu des amphores : huile, conserves de poissons et poissage, in SFECAG. Actes du Colloque d’Arles (2-5 juin 2011), Marseille, 2011, p. 397-416.
Garnier et al. 2002: N. Garnier, C. Cren-Olive, C. Rolando, L. Regert, Characterization of archaeological beeswax by electron ionization and electrospray ionization mass spectrometry, Analytical Chemistry, 74, 19, 2002, p. 4868-4877.
Geib, Smith 2008: P.R. Geib, S.J. Smith, Palynology and archaeological inference: Bridging the gap between pollen washes and past behavior, Journal of Archaeological Science, 35, 2008, p. 2085-2101.
Gorny 1996: R.L. Gorny, Viticulture and ancient Anatolia, in E. McGovern, S.J. Fleming, S.H. Katz (dir.), The origins and ancient history of wine, Amsterdam, 1996, p. 133-174.
Gras 1985: M. Gras, Trafics tyrrhéniens archaïques, Rome, 1985.
10.3406/befar :Iozzo 2002: M. Iozzo, Vasi antichi dipinti del Vaticano. La Collezione Astarita nel Museo Gregoriano Etrusco, II.1. Ceramica attica a figure nere, Città del Vaticano, 2002.
Lanfranchi, Bui Thi Mai, Girard 1999: F. de Lanfranchi, Bui Thi Mai, M. Girard, La fabrication d’huile de lentisque (Linsticu ou chessa) en Sardaigne, Journal d’agriculture traditionnelle et de botanique appliquée, 41, 2, 1999, p. 81-100.
Lilliu 1995: G. Lilliu, Preistoria e protostoria del Sulcis, in V. Santoni (dir.), Carbonia e il Sulcis: archeologia e territorio, Oristano, 1995, p. 13-50.
Loi 2015: C. Loi, Olio di lentisco: i metodi di produzione nella preistoria. Le testimonianze archeologiche nella Sardegna centrale, Làcanas, 73, 2015, p. 62-65.
Madrigali, Zara 2018: E. Madrigali, A. Zara, Anfore fenicie e puniche con contenuti alimentari dai rinvenimenti di Michel Cassien a Nora, in M. Guirguis (dir.), From the Mediterranean to the Atlantic: People, good and ideas between East and West II: 8th International Congress of Phoenician and Punic Studies. Italy, Sardinia. Carbonia, Sant’Antioco, 21-26 October 2013, Pisa-Roma, 2018, p. 54-58.
Mansel 2003: K. Mansel, Zeremonielle und rituelle Handlungen bei Baumaßnahmen. Zu phönizisch-punischen Bauopfern, in C. Metzner-Nebelsick et al. (dir.), Rituale in der Vorgeschichte, Antike und Gegenwart, Rahden, 2003, p. 127-148.
Mansel 2013: K. Mansel, Rituelle Deponierungen: phönizisch-punische Bauopfer, in A. Schäfer, M. Witteyer (dir.), Rituelle Deponierungen in Heiligtümern der hellenistisch-römischen Welt, Mainz, 2013, p. 115-150.
Mansel 2014: K. Mansel, Depósitos fundacionales púnicos de Cartago, in A.M. Arruda (dir.), Fenícios e Púnicos, por terra e mar. Actas do VI Congresso internacional de estudos fenícios e púnicos, II, Lisboa, 2014, p. 1010-1021.
Marinval, Cassien 2001: P. Marinval, M. Cassien, Les pépins de raisin (Vitis vinifera L.) des amphores phénico-puniques de l’épave de Coltellazzo Nora-Pula (Cagliari-Sardaigne, Italie), in P. Marinval (dir.), Histoire d’hommes, histoire de plantes. Hommages au professeur Jean Erroux, Toulouse, 2001, p. 121-130.
Milano 1994: L. Milano, Vino e birra in Oriente. Confini geografici e confini culturali, in L. Milano (dir.), Drinking in ancient societies. History and culture of drinks in the ancient Near East, Padova, 1994, p. 421-440.
Moore, Pease Philippides 1986: M.B. Moore, M.Z. Pease Philippides, The Athenian Agora XXIII. Attic black-figured pottery, Princeton, 1986.
Notti, Aspesi 2014: E. Notti, F. Aspesi, Tracce del culto dell’ape a Thera, DO-SO-MO. Journal of Minoan-Mycenaean and Classical Studies, 10, 2014, p. 35-53.
Oggiano, Pedrazzi c.d.s.: I. Oggiano, T. Pedrazzi, Il V secolo in Sardegna può ancora definirsi invisibile? Il contributo degli scavi dell’abitato punico di Pani Loriga (Area A), in A. Roppa, M. Botto, P. Van Dommelen (dir.), Il Mediterraneo occidentale dalla fase fenicia all’egemonia cartaginese. Dinamiche insediative, forme rituali e cultura materiale nel V secolo a.C., c.d.s.
Patrier 2009: J. Patrier, Temps et alimentation au Proche-Orient ancien : conservation et stockage de denrées alimentaires, in F. Luciani, C. Maratini, A. Zaccaria Ruggiu (dir.), Temporalia. Itinerari nel tempo e sul tempo, Padova, 2009, p. 41-70.
Pazos et al. 2006: M. Pazos, A. Alonso, J. Fernández-Bolanos, J.L. Torres, I. Medina, Physicochemical properties of natural phenolics from grapes and olive oil byproducts and their antioxidant activity in frozen horse mackerel fillets, Journal of Agricultural and Food Chemistry, 54, 2, 2006, p. 366-373.
10.1021/jf0518296 :Pecci 2008: A. Pecci, Analisi dei residui organici assorbiti nei materiali dell’US 500, in Campanella 2008, p. 260-263.
Pecci 2010: A. Pecci, Olio e oli: analisi dei residui organici nelle ceramiche, in G. Barbieri, A. Ciacci, A. Zifferero (dir.), Eleiva Oleum Olio. Le origini dell’olivicoltura in Toscana: nuovi percorsi di ricerca tra archeologia, botanica e biologia molecolare, San Quirico d’Orcia, 2010, p. 213-228.
Pecci, Cau Ontiveros 2010: A. Pecci, M.Á. Cau Ontiveros, Análisis de residuos orgánicos en ánforas: el problema de la resina y el aceite, in J.M. Blázquez Martínez, J. Remesal Rodríguez (dir.), Estudios sobre el Monte Testaccio (Roma) V, Barcelona, 2010, p. 593-600.
Perra et al. 2015: M. Perra, F. Lo Schiavo, N. Garnier, P. Marinval, La vite e il vino nella Sardegna nuragica, in 50ma Riunione scientifica dell’Istituto di Preistoria e Protostoria (Roma, 5-9 ottobre 2015), http://preistoriadelcibo.iipp.it/contributi/3_32.pdf.
Poplin 1980: F. Poplin, Les ossements animaux des amphores puniques de Nora, in M. Cassien, Campagne de sauvetage 1980 sur les sites sous-marins de Nora-Pula, Paris, 1980, p. 76-97.
Poplin 2014: F. Poplin, Le ossa animali delle anfore puniche di Nora / Les ossements animaux des amphores puniques de Nora, in Bonetto 2014, p. 226-247 (traduzione), 621-626 (ristampa anastatica).
Ramon Torres 1995: J. Ramon Torres, Las ánforas fenicio-púnicas del Mediterraneo central y occidental, Barcelona 1995.
Santocchini Gerg 2014: S. Santocchini Gerg, Incontri tirrenici. Le relazioni fra Etruschi, Sardi e Fenici in Sardegna (630-480 a.C.), Bologna, 2014.
Solinas 1997: E. Solinas, La laguna di Santa Gilla: testimonianze di età punica, in P. Bernardini, R. D’Oriano, P.G. Spanu (dir.), Phoinikes B Shrdn. I Fenici in Sardegna, Oristano, 1997, p. 177-183.
Sourisseau 2011: J.-C. Sourisseau, La diffusion des vins grecs d’Occident du viiie au ive s. av. J.-C. Sources écrites et documents archéologiques, in La vigna di Dionisio. Vite, vino e culti in Magna Grecia. Atti del XLIX Convegno di Studi Sulla Magna Grecia (2009), Taranto, 2011, p. 145-252.
Tore 1973-1974: G. Tore, Notiziario archeologico. Ricerche puniche in Sardegna: I (1970-74). Scoperte e scavi, Studi Sardi, 23, 1973-1974, p. 365-374.
Tore 2000: G. Tore, L’insediamento fenicio-punico di Paniloriga di Santadi (Cagliari), in P. Bartoloni, L. Campanella (dir.), La ceramica fenicia di Sardegna. Dati, problematiche, confronti, Roma, 2000, p. 333-344.
Tronchetti 1988: C. Tronchetti, I Sardi, Milano, 1988.
Ugas, Zucca 1984: G. Ugas, R. Zucca, Il commercio arcaico in Sardegna, Cagliari, 1984.
Wilkens 2012: B. Wilkens, Archeozoologia. Il Mediterraneo, la storia, la Sardegna, Sassari, 2012.
Notes de bas de page
1 Gras 1985.
2 Bernardini 2008, p. 650-658, fig. 7.
3 Frère, Garnier 2012; Frère et al. 2015.
4 Frère, Garnier, Dodinet 2015.
5 Frère, Garnier, Dodinet 2012.
6 Per alcune anticipazioni sui risultati delle indagini cf. Botto 2017a, p. 167-169, fig. 176B; per l’edizione integrale dello scavo, cf. Botto et al. c.d.s.
7 Bernardini 2007, p. 134-136, 144, fig. 22; Dessena 2015.
8 Lilliu 1995, p. 22, 26-27.
9 Tore 2000, p. 333-334.
10 Barreca 1966, p. 162; Bartoloni 1981, p. 19, nota 32.
11 Tore 1973-1974.
12 Botto 2008; 2012b, p. 273-282.
13 Ugas, Zucca 1984, p. 121-122; Tronchetti 1988, p. 53, 107; Tore 2000, p. 337-338, nota 33, con bibliografia.
14 Botto et al. 2010, p. 4-11.
15 Barreca 1966, p. 162, tav. LXIV, 1.
16 Botto et al. 2010, p. 11-17.
17 Santocchini Gerg 2014, p. 120, tav. XXII, nr. cat. 530.
18 Moore, Pease Philippides 1986, tav. 103, nr. 1516; Iozzo 2002, p. 123, nr. 165, tav. LXXV.
19 Per la coppa carenata a vernice nera del Vano 2 datata al 480-470 a.C. cfr. Botto et al. 2010, nota 45, fig. 44; per la coppa su piede a vernice nera del Vano 7 datata al 490-480 a.C. cfr. Botto 2012a, p. 36, fig. 10; Botto, Candelato 2014, p. 31, fig. 8a.
20 Botto, Candelato 2014, p. 29-30, fig. 5c.
21 Campanella 2009a, p. 470-485, con bibliografia precedente.
22 Perra et al. 2015.
23 Garnier, Valamoti 2016.
24 Delle 11 anfore campionate, dieci provengono dall’Area B e una, indeterminata, dall’Area A (cfr. tab. 1). Riguardo alle anfore dell’Area B, l’esemplare attribuito a produzione « ionio-massaliota » è stato campionato ben tre volte, mentre l’anfora punica del tipo Bartoloni D4 (PLB08.S2.1039.4) risulta sottoposta a due prelievi, allo stesso modo dell’esemplare fenicio del tipo Bartoloni D3 (PLB08.S2.1039.6), recuperato al suo fianco all’interno del Vano 2.
25 Sul contenuto e l’analisi di una coppetta etrusca in bucchero nero dalla Castellina, cfr. Garnier et al. 2002.
26 In generale cfr. per es. Aspesi 2002; per il mondo minoico-miceneo cfr. Notti, Aspesi 2014, p. 40-41.
27 Cfr. rispettivamente Gorny 1996, p. 150, 153-154 e Milano 1994, p. 426-431, con bibliografia precedente.
28 Notti, Aspesi 2014, p. 42.
29 Si vedano per es. le numerose associazioni fra vino e miele presenti in Omero: Od. IX, 208; X, 234-235 (« ... e per loro del cacio, della farina d’orzo e del miele nel vino di Pramno mischiò »); XVI, 52; XVIII, 151, 426. Per l’epoca romana si ricorda Columella, De re rust. XII, 41.
30 Caruso 1994, p. 24-26. Diverse inoltre sono le fonti che rimandano alla preparazione e al consumo di bevande alcoliche derivate dal miele, tra queste: Ippocrate, Aph. V, 41; Aristotele, Metaph. XIV, 1092b; Orph. fragmenta 116 Kern; Plinio il Vecchio, Nat. Hist. XIV, 113.
31 PLB10.S4.1195.2. Sul tipo in generale cfr. Sourisseau 2011, p. 189-190, fig. 6. Per la Sardegna cfr. D’Oriano 1996, p. 41, fig. 3, 2 (es. da Olbia); Bernardini, Spanu, Zucca 1999, p. 98, nr. 80 (es. da Olbia, Chiesa di San Paolo), p. 100, nr. 85 (es. da Ozieri, Museo Civico Archeologico); Garau 2006, p. 261 (es. da Neapolis).
32 Cfr. Analisi 2012, nr. 2, 7 e 12.
33 Cfr. per es. Botto 2004-2005, con bibliografia precedente.
34 Rispettivamente PLB08.S2.1039.5 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 61) e PLB08.S2.1039.4 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 60).
35 Garnier 2015.
36 Botto et al. 2010; Botto 2012a, p. 35-36; Botto, Oggiano 2012, p. 157-171.
37 PLB08.S2.1039.4 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 60; Analisi 2012, nr. 9).
38 Per il tipo cfr. Bartoloni 1988, p. 47, fig. 9, in alto a sinistra = Ramon Torres 1995, p. 175-176, 285, fig. 238 (T-1.4.4.1.).
39 Per una recente messa a fuoco della problematica cfr. Pecci 2010, p. 215-217, 224; Pecci, Cau Ontiveros 2010; Garnier, Silvino, Bernal Casasola 2011. Per il mondo fenicio cfr. in particolare Bordignon et al. 2005, p. 215-216.
40 Lanfranchi, Bui Thi Mai, Girard 1999, p. 88-89, 93-95; Pecci 2010, p. 217-220, 224; Pecci, Cau Ontiveros 2010, p. 599-600; Loi 2015.
41 Bonifay 2007, p. 11.
42 Per il Vicino Oriente antico cfr. Patrier 2009, p. 53-57.
43 Campanella 2008, p. 82-84, con bibliografia precedente.
44 Poplin 1980, p. 82-84; Marinval, Cassien 2001, p. 126-128; Poplin 2014, p. 232-234, 622-623.
45 È stato appurato che le carni, al pari di altri alimenti, si conservano bene nel vino per la presenza di tannini antiossidanti che impediscono ad alcune specie di funghi e di batteri di aggredire gli alimenti: cfr. per es. Pazos et al. 2006.
46 I vinaccioli sono stati rinvenuti in anfore del tipo Bartoloni D2/3 e Bartoloni D7, cfr. Madrigali, Zara 2018.
47 Cassien 2014, p. 62.
48 Bottéro 1980-1983, p. 195; Patrier 2009, p. 54.
49 Solinas 1997, p. 179; Fonzo 2005, p. 369.
50 Del Vais, Sanna 2009, p. 132-133; 2012, p. 215-217.
51 Del Vais, Sanna 2012, p. 215.
52 PLB08.S2.1039.6 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 57; Analisi 2012, nr. 8).
53 Per il tipo cfr. Bartoloni 1988, p. 46, fig. 8, in basso a sinistra = Ramon Torres 1995, p. 174, fig. 237 (T-1.4.2.1.).
54 PLB08.S2.1031.1 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 59).
55 PLB08.S2.1031.2 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 58).
56 PLB09.S2.1057.2 (cfr. Analisi 2012, nr. 11).
57 Pecci 2008.
58 PLB08.S4.1013.12 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 65).
59 Gli aspetti funzionali di questa tipologia ceramica trattati da Bellelli, Botto 2002 sono ripresi e approfonditi da Campanella 2008, p. 79, 138, 140-141.
60 Cfr. Geib, Smith 2008.
61 Arriano, Ind. XXIX, 12; Strabone, XV, 2, 2.
62 Campanella 2008, p. 79.
63 PLB12.S3.1215.11 (cfr. Analisi 2013, nr. 5).
64 Bordignon et al. 2005, p. 215-216; Pecci 2008, p. 262.
65 PLB08.S2.1039.5 (cfr. Analisi Perhamo, nr. 61).
66 Per la produzione e consumo di latte e formaggi nel mondo fenicio e punico cfr. Campanella 2008, p. 85.
67 Traduzione di Cugusi, Sblendorio Cugusi 2001, p. 166-167.
68 Cfr. supra nota 18.
69 Campanella 2008, p. 182-183.
70 Botto 2009, p. 152-153.
71 Campanella 2008, p. 105; 2009b, p. 325-327.
72 PLB12.S7.1147.6 (cfr. Analisi 2013, nr. 10).
73 Pecci 2008, p. 262.
74 PLB12.S7.1147.13 (cfr. Analisi 2013, nr. 8).
75 PLB12.S7.1262.2 (cfr. Analisi 2013, nr. 1).
76 PLB12.S7.1146.1 (cfr. Analisi 2012, nr. 4) e PLB12.S7.1146.22 (cfr. Analisi 2013, nr. 3).
77 PLB12.S7.1147.3 (cfr. Analisi 2013, nr. 12).
78 Carenti 2012; Wilkens 2012, p. 94-96, tab. 7.5.
79 L’insieme della documentazione è raccolta da Mansel 2003; 2013; 2014.
80 Oggiano, Pedrazzi c.d.s.
81 Cfr. rispettivamente Campanella 2009b, p. 299-300 e 325. Per una sostanziale modifica della cronologia del tipo Campanella P5 cfr. supra testo l’esemplare proveniente dal Vano 7 (fig. 9e) che si colloca in un contesto datato agli inizi del V secolo a.C. Sull’argomento cfr. Botto, Candelato 2014, p. 32 (fig. 8d).
82 L’ipotesi è stata formulata da Botto, Candelato c.d.s.
83 Cfr. supra nota 81.
84 Botto, Candelato 2014, p. 31-32.
85 Aranegui 2001, p. 46-47, fig. 4, p. 56-59, fig. 4, p. 196-197, fig. 1, p. 202, fig. 8, p. 237.
86 Cfr. per es. Mansel 2014, p. 1020.
87 Botto 2012b, p. 291-296.
88 Per una disamina della documentazione raccolta cfr. Botto 2017b.
Auteurs
Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC-CNR).
massimo.botto@libero.it
Université de Bretagne Sud, Lorient. UMR 9016 TEMOS.
dominique.frere@univ-ubs.fr
Laboratoire Nicolas Garnier, Vic-le-Comte. UMR 8546 AOROC, CNRS-PSL, Paris.
labo.nicolasgarnier@free.fr
Missione archeologica Pani Loriga.
e.madrigali@gmail.com
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Les bois sacrés
Actes du Colloque International (Naples 1989)
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
1993
Énergie hydraulique et machines élévatrices d'eau dans l'Antiquité
Jean-Pierre Brun et Jean-Luc Fiches (dir.)
2007
Euboica
L'Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente
Bruno D'Agostino et Michel Bats (dir.)
1998
La vannerie dans l'Antiquité romaine
Les ateliers de vanniers et les vanneries de Pompéi, Herculanum et Oplontis
Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971