Il banchetto nuragico
p. 23-33
Résumés
In questo contributo l’autore analizza i modi di produzione e di consumo di alimenti di origine vegetale (cerali, legumi e frutti spontanei) e animale (allevamento e caccia) durante l’età nuragica (XVIII-VIII secolo a.C.).
In this paper the author analyzes the production methods and the consumption of food of vegetable origin (cereals, legumes and natural fruits) and animal origin (breeding and hunting) during the nuragic age (18th-8th Century BC).
Texte intégral
Tutto ciò che è commestibile viene impiegato nel tubo digerente molto accomodante della specie umana, ma non tutto viene consumato e, a meno di essere costretti dalla fame, i popoli manifestano numerosi rifiuti e preferenze molto caratterizzate dalla personalità etnica1.
1Questa frase di A. Leroi-Gourhan è estremamente esplicativa del fatto che l’alimentazione non può essere ridotta a mero fatto gastrico ma implica largamente il comportamento culturale dell’Uomo. È allora possibile, attraverso l’analisi dei resti di pasto delle genti nuragiche, ricostruire un loro peculiare modo di stare nel mondo mediterraneo in un passato così remoto? Io credo che la risposta possa essere positiva a patto di considerare il fatto che i tempi lunghi del percorso storico della civiltà nuragica e i luoghi diversi di un’isola così vasta creano differenziazioni temporali e locali anche nei gusti alimentari2.
2In sostanza noi siamo ciò che mangiamo, non solo perché il cibo lascia nei nostri corpi dei segni rintracciabili anche a distanza di millenni, come le recenti analisi degli isotopi stabili dell’azoto e del carbonio dimostrano ampiamente, ma anche perché produrre cibo significa organizzare il lavoro degli uomini nei campi, agire sulla natura e pertanto organizzare i rapporti sociali di produzione nelle differenti comunità protostoriche. Ne consegue che l’alimentazione e l’organizzazione del lavoro per produrre cibo riflettono in qualche modo la struttura sociale e l’assetto dell’ambiente in un particolare momento storico ed in un luogo determinato.
3Sarebbe ingeneroso pensare che l’Uomo Nuragico abbia semplicemente tratto vantaggio dai saperi e dalle competenze tramandate dagli uomini del Neolitico e dell’Età del Rame. I produttori di cibo del periodo prenuragico hanno senza dubbio sviluppato dei modi di intervenire sull’ambiente e sulla natura cui hanno ampiamente attinto i lavoratori dei campi e gli allevatori del tempo dei nuraghi. Ma la trasformazione del paesaggio in età nuragica, come vedremo in seguito, ha dei modi e un’intensità senza precedenti nella preistoria dell’isola. Si tratta di notizie desunte dalle rare analisi polliniche effettuate finora in alcuni siti, particolarmente nel tavolato basaltico del Pran’e Muru di Orroli e Nurri, pertanto difficilmente applicabili indistintamente a tutti i tipi di habitat isolani. Da queste rare ricerche traspaiono comunque dei paesaggi agrari fortemente impattanti sull’ambiente circostante i nuraghi, trasformato dalle comunità protostoriche, a loro volta trasformate e costruite intorno al loro lavoro.
4Come vedremo nelle pagine che seguono, i mezzi e gli strumenti della produzione in Sardegna sono rimasti sostanzialmente gli stessi fino agli anni Sessanta del Novecento. Non così il modo di produzione nuragico, che appare fondato sulla gestione comunitaria della terra e non sui rapporti sociali e politici instaurati con l’avvento della proprietà privata.
5Se il cibo, con i modi di produrlo, conservarlo, trasformarlo e consumarlo, è un formidabile indicatore culturale di una specifica civiltà, come sosteneva Leroi-Gourhan, è altrettanto vero che queste civiltà sono venute a contatto fra loro e che il Mediterraneo dell’Età del Bronzo è « la mer partagée3 » per eccellenza, dove donne e uomini si scambiavano pensieri sul loro mondo, oggetti e saperi ad essi collegati, ma anche sapori.
L’alimentazione a base vegetale
6L’alimentazione a base vegetale si fonda quasi esclusivamente sulla coltivazione dei cereali (grano e orzo) e delle leguminose (soprattutto favino, piselli, lenticchie e cicerchia). Tutte le specie vegetali coltivate, non essendo conosciute forme endemiche sarde, sono state introdotte dall’Uomo già durante le fasi più antiche e recenti del Neolitico (fra VI e IV millennio a.C.).
7A giudicare dalle analisi dei pollini dei vari strati della torre A del nuraghe Arrubiu di Orroli e di altri monumenti turriti facenti parte del sistema territoriale del tavolato basaltico del Pran’e Muru di Orroli, Nurri ed Escalaplano (NU), i paesaggi agrari si sono formati e trasformati sensibilmente già a partire dalle fasi finali del Bronzo Medio (di seguito BM), intorno alla prima metà del XIV secolo a.C. Con il metodo del taglia-e-brucia, si è intervenuti sul fitto bosco di querce perennifoglie (leccio e sughera) e caducifoglie (roverella) attestato nelle fasi precedenti al fine di creare radure ove coltivare la terra e pascolare il bestiame4. I microfossili non pollinici, specie le spore dei funghi indicatori di incendio e coprofiti, nonché i pollini dei cereali che cominciano ad essere identificati in percentuali precedentemente non documentate, denotano un ambiente aperto nel quale i coltivi e i prati destinati al pascolo degli armenti sono l’elemento dominante nel paesaggio già nel Bronzo Recente (di seguito BR), fra la fine del XIV e tutto il XIII secolo a.C. (fig. 1). Il modo di intervento sull’ambiente circostante il nuraghe Arrubiu non può certamente essere esteso indistintamente a tutti i territori nuragici dell’isola e nuove analisi archeobotaniche sono certamente auspicabili.
8Già nelle fasi di poco precedenti gli albori della civiltà dei nuraghi, datate al radiocarbonio fra XXI e XVIII secolo, nella grotta di Monte Meana di Santadi sono stati identificati semi carbonizzati d’orzo (Hordeum vulgare), grano (Triticum aestivum/durum) e farro (Triticum dicoccum)5.
9A fasi comprese fra il BM ed il BR riportano i grani carbonizzati di frumento, orzo comune e farro rinvenuti nei nuraghi Duos Nuraghes di Borore e Cuccurada di Mogoro6. Al BR invece sono da attribuire i semi recuperati nei pozzi dell’insediamento di Sa Osa di Cabras7.
10Alla successiva fase del Bronzo Finale (di seguito BF) sono stati riferiti i rinvenimenti di cereali nella torre A e nel cortile G del Nolza di Meana Sardo e del nuraghe Adoni di Villanovatulo8. La torre D del nuraghe Arrubiu, utilizzata come cucina nello stesso orizzonte cronologico, insieme a numerosi carporesti, documenta sia l’orzo, il grano tenero/duro ed il farro, quest’ultimo probabilmente intrusivo data la sua scarsissima presenza (figg. 2-3).
11Fra gli altri utilizzi, la farina di grano era certamente lavorata per fare il pane. Le attestazioni di questo prezioso alimento ci provengono dalla torre C del nuraghe Arrubiu, un vero e proprio ambiente attrezzato per la preparazione del pane, fornito di focolare e piastre di cottura in argilla, nonché dei vasi da fuoco (le coppe di cottura) e macine in grande quantità. La camera della torre C è attribuibile a fasi antiche e recenti del BR. Nello stesso nuraghe sono stati recuperati altri frammenti di focacce carbonizzate, nella camera della torre D, cronologicamente riferibile al XII-XI secolo a.C.9. Si tratta, in entrambi i casi, di pane azzimo, ben riconoscibile al microscopio elettronico per gli alveoli (le bolle di gas) piccoli e regolari, tipici di un pane non lievitato (fig. 4). In entrambi i vani del nuraghe Arrubiu le focacce e i resti carbonizzati di cereali si accompagnavano a numerosi cotiledoni di ghiande carbonizzate, inducendo il sospetto che le farine fossero ottenute da una mistura di cereali e di frutti della quercia, così come avveniva ancora nella Sardegna orientale, nella regione dell’Ogliastra, fino all’immediato dopoguerra. Altri minuscoli frammenti di focaccia sono stati riconosciuti nei depositi archeologici del vano 12 del villaggio nuragico di Genna Maria di Villanovaforru, anch’essi a base di farine non lievitate10. Il vano 12, così come gran parte degli ambienti del villaggio di Genna Maria sono da riferire al passaggio fra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C. L’importanza alimentare del pane è testimoniata anche nelle rappresentazioni bronzee antropomorfe (bronzetti) di offerenti che reggono nelle mani delle focacce come ex voto alla divinità11.
12Per quel che concerne le leguminose, nella grotta di Monte Meana, in una fase attribuibile al BM, sono presenti il favino (Vicia faba), la lenticchia (Lens culinaris), il pisello (Pisum sativum) e la cicerchia (Lathyrus sativa). Negli strati del BM tardo e del BR del nuraghe Duos Nuraghes è stato rinvenuto un solo seme di favino, mentre a Sa Osa, sempre nell’ambiente umido dei pozzi, sono stati recuperati in gran numero grani di favino, lenticchia, pisello e cicerchia. Dagli strati del BR del complesso nuragico di Cuccurada provengono pochi esemplari di favino, mentre dagli strati del BF del nuraghe Nolza sono stati recuperati semi di favino e di pisello. La capanna 12 del villaggio di Genna Maria ha restituito esemplari di favino e di lenticchia. L’ampia attestazione della coltivazione delle leguminose in età nuragica induce a credere che queste fossero coltivate in rotazione colturale con i cereali, in modo da rendere più fertili i suoli arricchendoli di azoto.
13In diversi contenitori del nuraghe Arrubiu e della prospiciente tomba di giganti sono state identificate le tracce molecolari che accertano la presenza del vino bianco in un arco di tempo che va dalla fine del XIV a tutto il X secolo a.C.
14L’olivicoltura e l’olio furono quasi certamente conosciuti nei nuraghi e nei villaggi nuragici, anche se abbiamo solo delle prove indirette. Occorre però specificare che, al momento, le testimonianze di noccioli carbonizzati di ulivo sono ridotte a pochi campioni provenienti da uno scarso numero di siti, forse a causa del fatto che i semi di questa pianta sono stati da sempre utilizzati come combustibile per accendere il fuoco. È inoltre opportuno precisare che per distinguere la forma selvatica (Olea europaea L. var. sylvestris) da quella domestica (Olea europaea var. europaea) occorre un campione consistente di noccioli, al fine di poter effettuare delle analisi morfobiometriche di sicuro valore statistico. In effetti, appena un solo nocciolo d’oleastro proviene dal nuraghe Duos Nuraghes di Borore, da uno strato datato al BM tardo (circa XV-XIV secolo), mentre altri due sono stati recuperati in strato del BR nel nuraghe Cuccurada. Noccioli d’ulivo provengono anche dal sito di Sa Osa. Un frammento di probabile seme di ulivo è stato rinvenuto negli strati del BF della torre D del nuraghe Arrubiu. In ogni caso è nell’Età del Bronzo che nella penisola italiana i paesaggi agrari sono caratterizzati anche dalla presenza dell’ulivo coltivato12. Nel nuraghe Antigori di Sarroch sono stati rinvenuti numerosi frammenti di vasi egei fra i quali vasi a staffa (tipici contenitori legati all’olio) ed un frammento di dolio cipriota che, nel suo primo utilizzo, è stato da sempre collegato alla conservazione e al trasporto dell’olio d’oliva. I rapporti con l’isola di Cipro sono da tempo attestati dal rinvenimento di lingotti di rame oxhide e degli strumenti da fonditore rinvenuti in tutta l’isola13.
15Fra i frutti spontanei più apprezzati è senza dubbio da annoverare il fico selvatico (Ficus carica) tanto che lo si trova in quasi tutti i contesti nuragici ove siano state effettuate analisi carpologiche. Lo si rinviene infatti nella grotta di Monte Meana, a Sa Osa, nel nuraghe Duos Nuraghes e nel nuraghe Nolza.
16La dieta a base vegetale delle degli uomini dei nuraghi era integrata dalla consumazione dei dolci frutti delle essenze arbustive tipiche della macchia mediterranea. Nella capanna 12 di Genna Maria sono stati recuperati i frutti carbonizzati del corbezzolo (Arbutus unedo) e in vari siti, fra i quali la torre D del nuraghe Arrubiu, il prugnolo (Prunus spinosa). Tutti questi frutti possono essere stati consumati in natura o fatti fermentare per ottenerne delle bevande alcoliche o, ancora, essere utilizzati come edulcoranti nelle pietanze e nel vino.
17Si ha inoltre l’attestazione della raccolta dei frutti di bosco come la fragola (Fragaria sp.) e le mora di rovo (Rubus ulmifolius). La testimonianza della prima è stata trovata nella sola grotta di Monte Meana, mentre le more provengono, oltre che dalla grotta sunnominata, anche da Sa Osa e dal Duos Nuraghes.
18I cinquanta semi di melone (Cucumis melo) rinvenuti nel pozzo N di Sa Osa testimoniano, in tempi del BR, una precoce orticoltura nell’ambito geografico del Mediterraneo occidentale14. Si tratta in ogni caso dell’unico frutto coltivato finora rinvenuto in contesti della Sardegna nuragica.
L’alimentazione carnea
19La dieta nuragica a base proteica si fonda quasi esclusivamente sul consumo delle carni e dei prodotti ottenuti dall’allevamento dei bovini, dei suini e degli ovicaprini. Solo in via del tutto sussidiaria vi contribuiva l’apporto delle carni provenienti dall’attività venatoria e dalla pesca.
20Il valore economico dei bovini in età nuragica non può esser misurato esclusivamente sulla base dell’apporto proteico nella dieta nuragica. Le età del loro abbattimento, generalmente in età adulta, e alcune patologie legate a stress meccanici intensi e continuati, indicano chiaramente che essi erano comunemente utilizzati nei pesanti lavori agricoli e che solo alla fine del ciclo produttivo le loro carni venivano impiegate nell’alimentazione. Ne deriva che ai fini nutrizionali le specie predominanti sono specialmente le pecore (Ovisaries), le capre (Capra hircus) ed il maiale (sus scrofa domestica).
21Nel nuraghe Arrubiu, durante la fase più antica di occupazione del sito, fra la fine del BM ed il BR, l’alimentazione è prevalentemente orientata verso il consumo di carne bovina di una decina individui abbattuti a tutte la età. Come valore economico seguono i suini e gli ovicaprini. La metà dei suini sono stati macellati prima dei sei mesi di età, mentre gli agnelli vengono allevati soprattutto per la produzione della carne15.
22Nei nuraghi arcaici Sa Fogaia di Siddi e Bruncu Madugui di Gesturi prevale l’allevamento degli agnelli da carne, anche se i bovini, abbattuti in età adulta, hanno una loro relativa importanza nella dieta. Consumare carni d’agnello ha delle immediate conseguenze sulla gestione del gregge16. Abbattendo gli agnelli le pecore sono lasciate libere di riprodursi e di produrre quantità di latte immediatamente utilizzate per il nutrimento dell’uomo. Nel Bruncu Madugui i suini sono prevalentemente macellati in giovanissima età e solo in parte una volta raggiunto l’optimum, cioè quel momento nel quale l’animale, se lasciato in vita, continuerebbe a consumare senza peraltro aumentare di peso e dunque di valore economico. Nel nuraghe Pitzu Cummu di Lunamatrona i pasti a base di carne erano prevalentemente costituiti dai suini.
23Per la successiva fase del BR, nel nuraghe Arrubiu si verifica una drastica riduzione del consumo delle carni bovine a favore di quelle ovicaprine e suine. Mentre le età di abbattimento degli ovicaprini indica un consumo prevalente di agnelli da latte, la metà dei maiali viene consumata prima dei sei mesi. In questa fase un po’ ovunque nell’isola predomina il consumo degli agnelli, anche se il valore economico dei bovini e dei suini, se calcolato sulla base della quantità di carne che le due specie potevano offrire, è senza dubbio più importante.
24La tendenza verso il prevalente consumo di agnelli da latte si conferma anche per le fasi successive del BF e del Primo Ferro (di seguito PF). Tale tendenza può essere il risultato, più che di un cambiamento repentino dei gusti alimentari, di un progressivo degrado dell’ambiente, privato in gran parte della sua copertura vegetale e sottoposto all’eccessivo carico delle greggi degli ovicaprini. I suoli del plateau del Pran’e Muru, in base alle analisi dei microfossili non pollinici, risultano infatti estremamente impoveriti ed erosi, con conseguenze di grande rilievo anche sulla composizione delle faune selvatiche.
25Fra BF e PF si verificano importanti cambiamenti anche in ambito socio-politico all’interno delle comunità nuragiche. Mentre il nuraghe decade come centro catalizzatore dell’insediamento (il 70% dei nuraghi viene abbandonato o se ne rioccupano esclusivamente gli spazi esterni17), assumono un ruolo sempre più rilevante i centri cerimoniali, santuari dedicati al culto delle acque come i templi a pozzo, i templi « a megaron », le fonti sacre e le rotonde, dove si esplicano rituali che prevedono, fra l’altro, offerte di animali e pasti consumati in comune. Nei centri cultuali di Serra Niedda di Sorso e di S. Antonio di Siligo prevale nettamente il consumo di carni ovine18, mentre nei villaggi di Genna Maria di Villanovaforru, in una capanna del santuario di S. Anastasia di Sardara e nel tempio a pozzo di Ballao riprende vigore l’importanza dei bovini19.
26Fra i prodotti secondari dell’allevamento assumono un ruolo pregnante i latticini, il cui consumo è attestato dalle analisi della scodellina della « Tomba della Spada » presso il nuraghe Arrubiu di Orroli.
27Il prodotto dell’attività venatoria incide in modo piuttosto effimero sulla nutrizione delle donne e degli uomini nuragici rispetto a quanto riscontrato per i prodotti dell’allevamento, con un apporto quasi mai superiore al 15% sul totale. La caccia veniva praticata con il probabile ausilio dei cani (Canis familiaris), di cui sono stati rinvenuti frammenti ossei nel nuraghe Bruncu Madugui e nel nuraghe Arrubiu, che venivano sfamati con i resti dei pasti umani, viste le tracce di rosicatura sulle ossa delle faune e visti i bronzetti di cervi azzannati dai cani.
28Tendenzialmente la caccia ed il consumo di animali di grossa taglia come il cervo, peraltro anch’esso introdotto dall’Uomo almeno nel Neolitico Recente, decresce con il progredire del degrado dell’ambiente, mentre aumenta quello della selvaggina di piccola taglia, dei volatili e soprattutto del Prolagus sardus, un lagomorfo simile al coniglio, oggi estinto.
29La caccia grossa, praticata nei confronti della selvaggina di grossa taglia, si esplicava soprattutto nei confronti dei cervi (Cervus elaphus corsicanus) e dei cinghiali (Sus scrofa meridionalis). Nelle fasi più antiche del periodo nuragico, fra BM e BR, la caccia era selettiva, volta cioè a non impoverire il patrimonio faunistico evitando l’abbattimento delle femmine e dei cuccioli, così come si può dedurre dai dati del nuraghe Bruncu Madugui e del nuraghe Arrubiu. Nella fase del BR del nuraghe Arrubiu la caccia al cervo si fa più intensa (almeno 6 individui) con l’abbattimento di esemplari per lo più adulti, quasi tutti maschi, confermando i criteri selettivi della fase precedente e quasi estendendo le stesse tecniche dell’allevamento all’attività venatoria. La presenza del cervo regredisce invece pesantemente nel BF, non casualmente in concomitanza con il drastico impoverimento della copertura vegetale. Ai limiti fra l’Età del Bronzo e quella del Ferro i cervi rappresentano il 15% delle faune presenti nel nuraghe testimoniando criteri di abbattimento completamente diversi rispetto a quelli delle fasi precedenti. Gli individui sono infatti soprattutto giovani o giovanissimi, denotando così una minor sensibilità nei confronti della conservazione del patrimonio faunistico selvatico. Un cervo maschio adulto è stato rinvenuto completo all’interno di uno dei pozzi (K) dell’insediamento di Sa Osa. Nei suoi resti scheletrici non sono state riscontrate tracce di ferite o di macellazione, pertanto la carcassa è stata introdotta intera nel pozzo. Sono state invece riscontrate patologie ossee e dentarie compatibili con un animale catturato e mantenuto in stato di cattività20. Dell’importanza della caccia resta documento nel numero e nella varietà di bronzetti e ora anche in diverse statue di arcieri e, come si è detto, nel numero dei bronzetti dei cervi attaccati dai cani, ma anche isolati, accoppiati sulle spade votive.
30Nel villaggio di Genna Maria il numero di cervi abbattuti è considerevole in rapporto al numero minimo di individui delle specie allevate, pertanto l’apporto di proteine nobili provenienti dall’attività venatoria risulta di proporzioni maggiori. Lo stesso discorso può essere esteso ai resti di cervo nella capanna 1, coeva al contesto di Genna Maria, del santuario di S. Anastasia di Sardara. Nel nuraghe Toscono21, in ambito cronologico dell’età del Ferro, il cervo è presente con ben 5 esemplari ed è apparentemente accompagnato dal capriolo (Capreolus capreolus). Il cervo è presente anche nel nuraghe Miuddu di Nuoro22.
31Possiamo ben ipotizzare che fosse particolarmente importante la caccia nei confronti della forma ferale, cioè inselvatichita, dei caprini: il muflone (Ovis musimon), che è difficilmente distinguibile a livello morfometrico dai suoi parenti domestici. Nel nuraghe Arrubiu sia nel BR, nel BF e nel BF/PF sono stati riconosciuti complessivamente 3 individui, rispettivamente uno per fase.
32Il cinghiale, poco distinguibile dal porco domestico,è presente nel nuraghe Miuddu e nei nuraghi Madonna del Rimedio di Oristano23 e Is Paras di Isili, dove sono stati riconosciuti i segni della ferita inferta da una lancia. Zanne di cinghiale facevano parte delle offerte nel centro cerimoniale di Funtana Coberta di Ballao24.
33La volpe (Vulpes vulpes) è stata individuata fra i resti faunistici del nuraghe Pitzu Cummu di Lunamatrona in contesto di Bronzo Medio e in vari siti del BR/BF fra i quali il nuraghe Miuddu e il santuario di Serra Niedda.
34Le faune di piccola taglia, come già detto in precedenza, sono sempre più presenti nella dieta nuragica con il procedere del degrado dell’ambiente. Fra queste si distingue il Prolagus sardus, un roditore endemico della Sardegna e della Corsica, l’unico ad esser perdurato fino ai tempi nuragici dal Pleistocene. Significativo è il caso del nuraghe Arrubiu, dove questo lagomorfo è presente nelle cucine a partire dal BM fino al BF/PF, con un aumento dei resti nel BF. Nella fase compresa fra BF e PF, nel villaggio di Genna Maria, il prolago è ancora presente con quattro individui. Proprio a questa fase è stata attribuita l’introduzione della lepre (Lepus sp.), competitore del prolago, che insieme al predatore per eccellenza, l’Uomo, potrebbe averne causato l’estinzione25.
35Al declino della civiltà nuragica fa parte dei pasti anche il riccio (Erinaceus europaeus), presente sia nel nuraghe Arrubiu, sia nel villaggio di Genna Maria. Nel nuraghe Arrubiu è stata identificata anche la martora (Martes martes).
36L’avifauna è sempre presente nei contesti nuragici, per quanto mai più rilevante della percentuale dell’1% nel numero dei resti. Nel nuraghe Arrubiu sono stati riconosciuti il piccione (Columba livia), il colombaccio (Columba palumbus) e il tordo (Turdus philomelus). Più problematica è la edibilità della gru (Grus grus), del gheppio (Falco tinnunculus) e dell’aquila di mare (Aliaeetus albicilla)26. Il tordo e la colomba sono stati peraltro individuati anche nel villaggio di S. Imbenia27.
37Per quel che concerne la fauna marina le analisi sono caratterizzate dall’estrema scarsità dei resti, dovuti principalmente al fatto che lo scheletro dei pesci presenta notevoli difficoltà di conservazione. Diversi resti sono stati recuperati in ambiente umido nei pozzi di Sa Osa, quindi molto ben conservati, che sono ancora in fase di studio. Ad una analisi preliminare pare siano presenti mandibole e vertebre di orata (Sparus aurata), spigola e muggine28. Le analisi degli isotopi stabili sugli inumati del sepolcreto di Mont’e Prama, mentre per le sepolture più antiche hanno individuato un’alimentazione di tipo prevalentemente terrestre (circa XI-X secolo a.C.), per le più recenti hanno riconosciuto un orientamento alimentare quasi esclusivamente indirizzato verso le faune marine.
38Dal nuraghe Arrubiu provengono diversi bivalvi, soprattutto di cozze (Mytilus galloprovincialis) e ostriche (Ostrea edulis), ma non mancano esemplari di Glycimeris insubrica. È presente anche un grande gasteropode, la Charonia lampas, che però non deve aver fatto parte del banchetto in quanto con tutta probabilità usata come strumento a fiato. Da altri nuraghi, e non solo in ambito costiero, provengono numerosi altri bivalvi, riferibili principalmente alle specie già elencate per il nuraghe Arrubiu.
39Un ruolo importante nell’alimentazione doveva essere svolto dal miele, sia come nutrimento in sé sia come edulcorante per diverse bevande e pietanze. Non abbiamo prove dirette ma il fatto che l’uso della cera d’api nell’impermeabilizzazione dei vasi e nel processo della foggiatura dei bronzetti fosse ben conosciuto in età nuragica, induce a credere che anche il prodotto per eccellenza delle api fosse apprezzato.
40Recenti analisi sui residui organici contenuti all’interno di diversi recipienti rinvenuti nel nuraghe Arrubiu di Orroli hanno consentito di individuare alcune ricette del tempo dei nuraghi. È stato provato l’uso del vino rosso e bianco per la cottura di carni di ruminanti e non ruminanti (brasato) e il consumo di ortotteri cotti anch’essi nel vino29. Si tratta della prima attestazione del costume dell’entomofagia nel Mediterraneo centro-occidentale.
I luoghi e i modi del consumo
41La produzione del cibo avviene attraverso strumenti ed attrezzature pensate e costruite in sua funzione. La lavorazione della terra, come visto precedentemente, avviene con l’utilizzo dei bovini impiegati per il traino dell’aratro di legno con il vomere litico o in bronzo, come nei casi di Genna Maria e del ripostiglio di Monte sa Idda di Decimoputzu (fig. 5)30. Si conoscono inoltre, da matrici di fusione e da reperti, sia le falci messorie sia i falcetti di bronzo, più adatti questi ultimi per la spigolatura e per la vendemmia31.
42La conservazione delle derrate comunitarie avveniva nei capienti sili ricavati entro la struttura delle torri, come nei casi dei nuraghi Nieddu di Codrongianus, Orolo di Bortigali e Lugherras di Paulilatino, o comunque ben controllate e circondate da esse, come nel caso dei due sili del nuraghe Arrubiu32. Le riserve alimentari erano conservate nei grandi doli con anse a X rinvenuti ovunque nei nuraghi e nelle capanne dei villaggi nuragici.
43La trasformazione in pietanze comportava varie lavorazioni. I cereali erano sottoposti a molitura tramite l’uso delle macine, composte da due elementi, quello inferiore (la macina a sella) e quello superiore (il macinello; fig. 6). Alla preparazione dell’impasto seguiva la cottura, in genere adoperando tegami e coppe di cottura che venivano posti sulle piastre in argilla e ricoperti dalle braci ardenti come una sorta di fornetti portatili. Tali modalità di trasformazione dei cereali sono state osservate nel « panificio » della torre C del nuraghe Arrubiu.
44Le carni venivano cotte nei focolari e nei forni strutturati, ma dobbiamo supporre che fossero conservate anche tramite salatura e affumicatura. Porcetti e agnelli erano suddivisi in due mezzene e arrostiti negli spiedi di legno, solitamente infissi verticalmente, per poi consumarne le carni in porzioni individuali. Tali modalità di preparazione delle pietanze sono state riscontrate nell’ambiente rinvenuto al di sotto delle strutture della capanna γ del villaggio di Su Nuraxi di Barumini dove, attorno ad un focolare in argilla, sono stati evidenziati 44 fori di un cm circa di diametro, che penetravano profondamente il pavimento fatto con argilla e sfoglie di sughero (fig. 7)33. I fori sono la traccia più evidente dell’infissione verticale degli spiedi in legno attorno alla fonte di calore.
45I luoghi del banchetto sono generalmente gli stessi nei quali il cibo veniva preparato, cioè le cucine, attrezzate con focolari strutturati, forni, banconi e di sedili. Così appare la cucina del XII secolo a.C. evidenziata nella camera della torre D del nuraghe Arrubiu (fig. 8). La stessa torre si affaccia nel cortile che conserva un sedile perimetrale, un focolare e un bacile litico. I resti di pasto rinvenuti nello strato del BF denunciano una maggiore esposizione al fuoco rispetto a quelli delle fasi precedenti; il banchetto a base di carni arrosto era accompagnato dall’assunzione di liquidi inebrianti versati da una brocchetta in ceramica grigia nuragica, cioè da uno degli elementi del servizio da mensa nuragico. Gli arrosti erano preparati con l’ausilio di un alare o sostegno di spiedo34. La camera della torre D, con la sua cucina attrezzata, ed il cortile B erano i luoghi deputati alla consumazione di pasti in comune nel nuraghe Arrubiu, quindi i luoghi del banchetto.
46L’offerta di cibi alla divinità è attestata nel vano A adiacente il pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao, un ambiente databile al BF, dove le faune (soprattutto bovini, suini e ovicaprini) sono state sottoposte a calore intenso, bruciate per essere votivamente oblate solo ed esclusivamente ai numi35.
47Le modalità di conservazione nei sili, i depositi delle derrate della comunità, controllati strettamente all’interno del sistema delle torri nei nuraghi complessi, costituiscono indubbiamente un metodo efficace per contrastare le fluttuazioni della produzione dovute alle condizioni naturali (siccità, malattie ecc.). Allo stesso tempo sono un potente mezzo di controllo politico delle stesse comunità, offrendo alle élites una grande opportunità di potere esplicato nel dominio dei meccanismi della redistribuzione delle derrate. Il potere dei gruppi egemoni nuragici non si esercitava pertanto attraverso il possesso del mezzo di produzione per eccellenza, cioè la terra, ma tramite il controllo dei suoi prodotti, in altre parole per mezzo del controllo del cibo.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Leroi-Gourhan 1977, p. 339.
2 Per una sintesi globale sull’alimentazione nuragica, vedi Perra 2018.
3 Guilaine 1995.
4 Lopez, Lopez Saez, Macìas 2005; Leonelli 2008.
5 Ucchesu et al. 2014.
6 Bakels 2002; Ucchesu et al. 2014.
7 Sabato et al. 2015.
8 Perra 2010; Ucchesu et al. 2014.
9 Lo Schiavo, Perra, Marinval c.d.s.
10 Cossu 2005; Perra 2015.
11 Lilliu 1966.
12 Fiorentino et al. 2004.
13 Lo Schiavo et al. 2009, p. 225-390.
14 Sabato et al. 2015.
15 Fonzo 2003; 2008.
16 Perra 2015.
17 Perra 2012.
18 Wilkens 2003.
19 Fonzo 1987; Manunza, Zedda 2008.
20 Wilkens et al. 2015.
21 Webster 1987.
22 Wilkens 2003.
23 Santoni, Wilkens 1996.
24 Manunza, Zedda 2008.
25 Wilkens et al. 2015.
26 Fonzo, Lo Schiavo, Perra c.d.s.
27 Manconi 2000.
28 Usai et al. 2012.
29 Gradoli, Garnier 2017.
30 Taramelli 1921.
31 Lo Schiavo 2004.
32 Perra 2003.
33 Perra 2010.
34 Perra 2003.
35 Manunza, Zedda 2008.
Auteur
Musei Civici Archeologici di Su Mulinu (Villanovafranca) e Villa Abbas (Sardara).
perramarro@gmail.com
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