La loutrophoros. Forma e distribuzione
p. 183-204
Texte intégral
1“Dentro la tomba dove si rinvenne il vaso rappresentante la morte di Archemore e Ercole negli Esperidi, furono scavati ancora molti altri, che certo sono insigni anche per merito d’arte e di stile. Fra essi principalmente si ammira il vaso a profumiere, detto volgarmente ad incensiere. Singolare è esso per la grandezza, e raro per la forma, per il soggetto, per la qualità dell’argilla, e per la viva espressione delle figure… È fregiato di due manichi di bizzarra e sconosciuta forma”. Con queste parole che ne sottolineano la particolarità e la rarità, il bibliotecario della Biblioteca Borbonica Giuseppe Sanchez descrive la loutrophoros con Tereo e Filomela rinvenuta nel 1834 nella tomba a semicamera di via Carafa a Ruvo (Tabella 2,30) 1. Insieme ai due esemplari scoperti nella stessa Ruvo nel 1836 raffiguranti il primo Niobe (oggetto, insieme al cratere a volute del Pittore di Dario, di questo incontro, Fig. 2,3 e Tabella 2,28) e il secondo l’incontro tra Paride ed Elena (Fig. 2,4 e Tabella 2,31), esso costituisce uno dei primissimi esempi di questo tipo di vaso di cui si abbia notizia.
2La forma, attestata ad Atene a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C. e funzionale al trasporto dell’acqua utilizzata nei rituali funerari e nuziali2, è introdotta nella ceramica italiota nel corso del Medio Apulo, periodo di grande trasformazione segnato dall’aumento quantitativo della produzione, dal rinnovamento dei temi figurativi e decorativi3 e dalla parziale trasformazione del repertorio morfologico delle officine. Alla monumentalizzazione dei crateri (soprattutto a volute e a calice), delle anfore di tipo panatenaico e delle hydriai, si accompagna, infatti, l’introduzione di nuove forme (situle, patere, dinoi, rhyta, kantharoi, nestorides, askoi e l’olla ariballica4) destinate principalmente, se non esclusivamente, al mondo indigeno e che rivelano una pluralità di fonti di ispirazione che vanno dai recipienti in metallo a quelli di tradizione indigena.
3La loutrophoros è tra le poche forme della ceramica dell’Italia meridionale ad aver ricevuto una certa attenzione da parte della bibliografia; la sua evoluzione e tipologia sono state, infatti, tratteggiate nelle loro linee principali5 rendendo possibile seguire la genesi e il consolidamento di questo vaso che, prodotto esclusivamente nelle officine apule, è attestato in tre distinti tipi (ciascuno presente con varianti), il primo a corpo ovoidale, il secondo a corpo cilindrico, comune anche al terzo tipo (noto anche come barrel-amphora) che se ne differenzia per l’assenza delle anse (Fig. 1).
4Le possibilità di uno studio morfologico approfondito sono tuttavia limitate dalla natura della documentazione disponibile, costituita principalmente da riproduzioni fotografiche in cui grande rilevanza è data alla decorazione figurata. Sono, inoltre, numerosi i vasi che, noti sin dall’Ottocento, sono entrati a far parte delle collezioni museali dopo restauri di cui è spesso difficile valutare la portata. Quanto riscontrato nell’esemplare napoletano con rappresentazione di Niobe, ampiamente discusso in questo convegno6, non è, infatti, un caso isolato, come mostrano, ad esempio, una loutrophoros del Louvre7, integrata con un piede di fattura moderna che richiama quello delle anfore di tipo panatenaico, o i due esemplari da Ceglie del Campo recentemente restaurati al Getty e conservati al Museo di Berlino8. Ai restauri storici si aggiungono, inoltre, quelli condotti dalle case d’asta soprattutto dei decenni centrali del ‘900, che risultano difficilmente individuabili data la quasi costante inaccessibilità di questi vasi.
5La bibliografia ha da tempo ipotizzato il carattere di anteriorità della loutrophoros a corpo ovoidale (Tipo 1)9. A.D. Trendall pone, all’inizio della serie, un vaso del Pittore di Lecce 660 (collaboratore del Pittore dei Nasi Camusi e da lui datato alla metà del IV secolo a.C.) raffigurante un giovane con strigile e phiale seduto all’interno di un naiskos10. Elementi morfologici quali l’ampiezza dell’orlo, le ridotte dimensioni e, soprattutto, il tipo di anse con racemi terminanti in un bocciolo di loto rimandano tuttavia ad una fase in cui la forma si è già consolidata11. Sembra, infatti, più corretto considerare il Gruppo del Pittore delle Situle di Dublino e, soprattutto, l’officina del Pittore Varrese come l’ambito di ideazione e di codificazione della forma, che vi compare in più esemplari con una varietà giustificabile con la ricerca sperimentale di nuove soluzioni. Al Pittore Varrese può essere, infatti, attribuito il vaso ora conservato a Bonn (Fig. 2,1)12 raffigurante Niobe all’interno del naiskos. Di dimensioni relativamente ridotte (è, infatti, alto circa 60 cm), già Trendall (che lo definisce amphora of special shape), ne aveva sottolineato la vicinanza con le anfore a collo distinto13 mentre H. Lohmann ne richiamava l’affinità con le loutrophoroi-amphorae attiche14 e a cui è applicato il tipo di piede campanulato di norma adottato, nell’ambito della stessa officina, per altri tipi di vasi quali le hydriai15. La forma così costruita è, di fatto, un unicum, confrontabile solo con il vaso del Pittore di Dario con raffigurazione di Creusa (Fig. 2,2)16. Si potrebbe trattare di una prima sperimentazione, come suggerito sia dalla sua presenza all’interno del naiskos accanto a Niobe nella posizione poi occupata da loutrophoroi (Fig. 7)17, sia dall’associazione dello stesso tipo di anse al corpo cilindrico caratteristico del Tipo 2 nell’esemplare del Gruppo delle Metope con Perseo e Andromeda ora a Taranto (Fig. 4,7)18. Ad una loutrophoros di Tipo 1 è, invece, riconducibile il vaso con Niobe del Pittore Varrese da cui prende le mosse questo convegno19 (Fig. 2,3) il cui recente restauro ha, tuttavia, permesso di comprendere come parte della spalla, collo ed anse siano un’aggiunta moderna applicata dopo il ritrovamento ottocentesco20. Di dimensioni nettamente superiori a quelle del vaso di Bonn21 (presenta, infatti, le proporzioni tipiche della forma, i cui esemplari sono compresi tra gli 70 e i 90 cm di altezza), esso ha forma slanciata e l’ampiezza del campo a disposizione fornisce il quadro ideale per il dispiegarsi della decorazione. Le anse a spirale, che costituiscono l’elemento caratterizzante della forma, compaiono, invece, sia in una loutrophoros attribuita al Pittore Varrese sul mercato d’arte22 sia in vasi collegabili al Pittore delle Situle di Dublino (Fig. 2,4)23. L’esemplare di Napoli attribuibile a quest’ultimo pittore è, infatti, coronato da un alto e stretto collo ad un terzo del quale è un toro delimitato da due listelli, simili a quelli che ricorrono nelle loutrophoroi in marmo attiche24, su cui si imposta la voluta superiore delle anse.
6La forma ricorre anche nel repertorio del Pittore del Louvre MNB 1148, stretto collaboratore del Pittore Varrese, cui sono attribuite tre loutrophoroi di Tipo 1, caratterizzate da due varianti. La prima (Fig. 2,5), adottata anche dal Gruppo delle Metope e dal Pittore di Dario (Fig. 2,7-8)25, deriva dalla forma del Pittore Varrese e ne mantiene le proporzioni26. La seconda, caratterizzata da un corpo molto allungato che ne accresce l’eleganza (Fig. 2,6)27, ha minore diffusione ma torna quasi identica in una delle loutrophoroi attribuite al Gruppo delle Metope28 e in una seconda, molto restaurata, considerata da Trendall prossima al Pittore di Dario29. I due primi vasi citati sono accomunati anche dalla presenza, nella parte inferiore del vaso, di baccellature sovraddipinte30 che tradiscono una delle possibili fonti della creazione della forma, in cui confluiscono elementi decorativi rielaborati da modelli in metallo31. L’ispirazione toreutica è evidente anche nelle anse, realizzate con un nastro di argilla arrotolato alle due estremità a formare volute o spirali lavorate a giorno, talvolta sottolineate dalla sovraddipintura in bianco che ne segue il profilo32, e superficie esterna variamente lavorata. Le anse, che richiamano quelle delle loutrophoroi in marmo attiche, si arricchiscono, in alcuni esemplari33, di racemi, rosette, fiori di loto, foglie lanceolate o foglie di acanto simili a quelli in uso nelle loutrophoroi di tipo 234. Questi elementi contribuiscono a conferire plasticità all’importante decorazione vegetale che si dispiega al di sotto delle anse, sulla spalla e sul collo dei vasi, ad ulteriore testimonianza dell’unitarietà del processo creativo alla base della realizzazione di questa forma, che coinvolge in pari misura vasai e pittori e che raggiunge un’importante espressione nella loutrophoros conservata al British Museum (Fig. 3)35. Analogamente a quanto accade anche in altre produzioni coeve, sia figurate sia a vernice nera36, la ceramica medio-apula vede, infatti, l’accentuarsi dell’uso di elementi plastici di probabile ispirazione toreutica (baccellature nei crateri a volute, a calice e nelle nestorides, kyma ionico a rilievo usato in hydriai e pelikai) che contribuiscono all’arricchimento delle forme vascolari. Questa tendenza, che tradisce una maggiore prossimità con la coroplastica, è evidente anche nell’introduzione di vasi plastici (quali i rhyta) e nell’invenzione dei medaglioni con testa di gorgone dei crateri a volute, nelle rotelle decorate a rilievo con teste di Orfeo presenti in tre nestorides del Pittore Varrese37, o, ancora, nelle anse delle situle e delle patere, fino a portare, nel Tardo Apulo, ad esperimenti in cui la tecnica a figure rosse convive con quella a rilievo38.
7La decorazione figurata delle loutrophoroi di Tipo 1 interessa di norma l’intera superficie del vaso e solo in alcuni casi39 si dispone, come negli esemplari di Tipo 2 e 3, su due registri divisi da una banda centrale decorata da motivi vegetali nascenti da una testa o da motivi geometrici.
8La loutrophoros a corpo ovoidale sembra conoscere, nelle altre officine, minore fortuna; presente in quella del Pittore della Patera40, essa ha in parte perso il suo carattere monumentale (le dimensioni sono, infatti, pari a circa 50 cm, Fig. 2,9) e la complessità della decorazione, prediligendo scene di naiskos. I rari esemplari riferibili alla fase finale della produzione41 si discostano, talvolta, dalla forma ovoidale, come nel caso di un vaso attribuito al Pittore del sostegno Macinagrossa decorato da una testa femminile di profilo che richiama, nella marcata distinzione della spalla, le hydriai (Fig. 2,10)42.
9È, infatti, il Tipo 2 a corpo cilindrico (di norma, al contrario del Tipo 1, privo di fondo43), a conoscere con il 42,2% delle attestazioni il maggiore successo fino alla fine della produzione godendo di particolare favore presso i Pittori di Dario e degli Inferi, cui sono riferibili 18 dei 71 esemplari noti. Il legame con il Tipo 1 è evidente nell’articolazione dell’orlo, del collo e delle anse (che assumono però una forma più slanciata) e nel piede campanulato, mentre il corpo cilindrico, appena svasato e inquadrato da spalla e parte inferiore del corpo a profilo convesso con superficie baccellata o, più frequentemente, liscia costituiscono, invece, un elemento di novità. Analogamente agli esemplari raffigurati nei vasi (Fig. 7)44, esse potevano essere completate da un alto sostegno decorato da baccellature simile a quello della loutrophoros del Pittore di Laodamia raffigurante il commiato di Alcesti (Fig. 4,5)45 e da coperchi con presa a foglia di acanto (Fig. 4,9) che ne accentuano il carattere monumentale.
10Le due loutrophoroi a corpo cilindrico decorate dal Pittore Varrese46 (Fig. 4,1-2) confermano come la sua invenzione e codificazione abbia avuto luogo all’interno dello stesso ambito del Tipo 1 per essere rapidamente adottata nelle officine contemporanee e posteriori47.
11Numerosi esemplari di Tipo 2 hanno un’altezza compresa tra i 70 e i 90 cm ma possono anche superare il metro48. Ad essi sono di norma associate le raffigurazione di maggiore complessità, frequentemente disposte su due registri (di norma riservati al lato principale del vaso49) delimitati da elaborati anthemia posti al di sotto delle anse e completate, sul lato posteriore, da scene di naiskos50 o di giovani e donne, talvolta al louterion51. Al Pittore di Baltimora si deve l’introduzione di una diversa articolazione della sintassi decorativa, in cui gli ornamenti vegetali, non più destinati all’area al di sotto delle anse, occupano il lato posteriore del vaso secondo lo schema adottato anche nel Tipo 352.
12Esemplari di formato inferiore (30-60 cm), ugualmente frequenti, sono presenti nel Gruppo del Pittore di Gioia del Colle53 (Fig. 4,6), nel Pittore degli Inferi54, in quello della Patera (Fig. 5,2)55 e nelle officine collegate a questo pittore e a quello di Baltimora56. Esse sono di norma decorate con scene di naiskos e di offerta alla stele e, in alcuni esemplari più tardi, con teste femminili.
13Il Tipo 3 è caratterizzato dal corpo cilindrico privo di anse e sembra costituire una semplificazione del Tipo 2. Attestato con esemplari compresi tra i 30 e, soprattutto, tra 60 e i 110 cm di altezza57, è di norma decorato con naiskoi, mentre molto più rare sono le scene di soggetto narrativo. Probabilmente introdotto dal Pittore di Baltimora, alla cui officina possono essere attribuiti più della metà dei vasi noti, è il tipo più tardo ad apparire, e sembra principalmente legato alle officine attive in Daunia58.
14I soggetti prescelti per la decorazione delle loutrophoroi si riferiscono soprattutto alla sfera funeraria. Prevalgono, infatti, scene di offerta alla stele e, soprattutto, di naiskos (46%) di cui protagoniste principali sono le figure femminili, isolate59 o in gruppi di due o tre60 mentre più rare sono le rappresentazioni di figure maschili, presenti soprattutto nella fase tarda della produzione61. Le scene narrative, possibile spunto per gli elogi funebri e che dovevano acquisire il loro pieno senso nell’insieme dei vasi del corredo62, sono riservate agli esemplari di dimensioni maggiori che, privi di fondo e quindi defunzionalizzati, tradiscono la natura di veri e propri monumenti in cui prevale la funzione di supporto delle immagini. Notevole è la predilezione mostrata per destini tragici, quali quelli di Niobe, di Alcesti, raffigurata nel momento del commiato dalla famiglia63, o la morte di Ippolito e quella di Adone64; ad essi si affiancano le numerose raffigurazioni della liberazione di Andromeda65 o di scene di ratto (Eos e Kephalos66, Ade e Persefone67, Laio e Crisippo68, Poseidone e Anfitea69). Le scene narrative si associano, come nella loutrophoros del Pittore degli Inferi rinvenuta a Canosa con la follia di Licurgo (Fig. 5,1 e Fig. 6), a scene di naiskos70 o di offerta alla stele, o ad immagini di carattere cerimoniale di cui sono protagonisti gruppi di giovani, di fanciulle e di eroti con attributi che rimandano alla sfera dionisiaca o a quella nuziale.
15La funzione funeraria del vaso è confermata anche dalla sua ricorrenza, nelle rappresentazioni vascolari, all’interno dei naiskoi71; alle raffigurazioni di Niobe in cui i due vasi alludono ai figli morti prima del matrimonio (Fig. 7) si aggiungono quelle in cui essi compaiono come unico elemento del monumento funerario o a fianco dei defunti, di norma donne72. Le loutrophoroi sono presenti anche in scene di seduzione alludendo alla funzione, ben attestata in ambito attico, di vaso destinato al trasporto dell’acqua per il bagno nuziale (Fig. 8)73.
16Le dimensioni e l’articolazione del corpo delle loutrophoroi sono già di per sé indizio di un vaso di difficile realizzazione74. Particolarmente complesso è il procedimento che conduce alla creazione di una loutrophoros a corpo cilindrico; lo studio di dettaglio condotto sul vaso di Kiel consente, infatti, di verificare come esso fosse stato tornito in almeno 6 distinte parti (il piede, la parte inferiore del corpo, il cilindro centrale, la spalla con la parte inferiore delle anse e la parte superiore del collo e l’orlo), saldate mediante l’aggiunta di argilla75. Le dimensioni monumentali e i differenti diametri delle varie parti del corpo ne rendevano particolarmente impegnativa anche la cottura, costringendo i vasai a ricorrere ad alcuni accorgimenti tecnici volti a prevenire l’insorgere di eventuali problemi. Una loutrophoros di Tipo 3 del pittore di Baltimora, ad esempio, presenta il piede cotto separatamente e quindi fissato al corpo del vaso76 mentre nelle due loutrophoroi del Pittore di Dario provenienti da Ceglie del Campo collo, orlo ed anse sono lavorati (e cotti) separatamente e fungono da coperchio77. Lo stretto collo poteva inoltre determinare un accumulo di aria causando la fratturazione del vaso. Per ovviare a questo problema i vasai creavano dei fori posti alla base della spalla78 o nella porzione inferiore delle anse (Fig. 4,3)79 che, consentendo una migliore circolazione dell’aria, riducevano in modo consistente il rischio di danni80.
La distribuzione
17Delle 168 loutrophoroi censite in base all’edito, solo per 37 esemplari (pari al 22% del totale) è stato possibile recuperare informazioni relative al luogo di provenienza, percentuale che si abbassa ulteriormente (18%) se si eliminano i vasi la cui indicazione potrebbe indicare, piuttosto che il luogo di provenienza, il luogo d’acquisto81. Il primo dato da sottolineare è costituito dall’assenza di loutrophoroi certamente rinvenute in colonie greche. Se si eccettua l’esemplare di Roccagloriosa (Tabella 2,35), tutte le attestazioni si riferiscono, infatti, alla Peucezia e alla Daunia, aree a cui la forma sembra essere specificamente destinata (Fig. 9).
18In ambito peuceta, loutrophoroi provengono da Ruvo, dove si registra la maggiore concentrazione dei rinvenimenti noti (Tabella 1,17-20 e Tabella 2,21-31), da Rutigliano (Tabella 1,15-16), Ceglie del Campo e Polignano (Tabella 1,10-14). Con un solo esemplare per centro loutrophoroi sono note anche ad Altamura (Tabella 2,33) e a Timmari (Tabella 2,34).
19Poco rappresentata, e certamente a torto, è la Daunia; esemplari sono stati rinvenuti a Canosa, ad Arpi e nel territorio di Stornara, in provincia di Foggia (Tabella 1,1-5), ma l’incidenza della forma soprattutto nella versione di Tipo 3 (prodotta non solo a figure rosse ma anche in ceramica policroma82) nelle officine del Pittore di Baltimora e del Sakkos Bianco, probabilmente da localizzare in Daunia, ne conferma il successo e sottolinea in modo evidente la parzialità del quadro ricostruibile.
20Se dall’indicazione della provenienza si passa all’analisi dei contesti, i dati a disposizione risultano ancora più limitati. Le sepolture con loutrophoroi scavate e adeguatamente pubblicate si limitano, infatti, all’Ipogeo di via Legnano a Canosa (Tabella 1,3), alla tomba del vaso dei Niobidi di Arpi (Tabella 1,1) e alle tombe AGIP di Altamura, 33 di Timmari e 19 di Roccagloriosa (Tabella 2,33-35). Ad esse si aggiungono alcuni importanti contesti rinvenuti nel XVIII e nel XIX secolo, quali l’ipogeo Monterisi-Rossignoli e quello del Vaso di Dario a Canosa (Tabella 1,2 e 4) e alcune tombe a semicamera di Ruvo (Tabella 2,25-31) che, grazie agli studi condotti sui documenti d’archivio e sulle fonti contemporanee, sono ora meglio conosciuti. Recenti studi hanno, inoltre, consentito di ricostruire la storia della scoperta e parte del corredo della tomba rinvenuta a Polignano a Mare nel 1785 da cui proviene anche la loutrophoros di Tipo 3 del Pittore di Capodimonte ora conservata a Napoli (Tabella 1,14) e di dettagliare il quadro del ritrovamento, avvenuto all’inizio del XIX secolo, delle 2 loutrophoroi da Ceglie del Campo ora a Berlino e originariamente parte della Collezione von Koller (Tabella 1,10-11). Il panorama ricostruibile è, tuttavia, parziale e permangono incertezze sia nella composizione complessiva dei corredi sia nel numero di deposizioni presenti.
21Le sepolture note si riferiscono tutte a personaggi di altissimo rango, confermandone il carattere di vaso di prestigio utilizzato nei rituali funerari praticati dai gruppi gentilizi dei centri dauni e peuceti. Ne è testimonianza la sua inclusione, di norma con unico esemplare che si accompagna ai crateri e alle anfore duplicati83, nei corredi delle tombe a camera canosine e arpane, ambientazione privilegiata per lo svolgimento delle complesse cerimonie funerarie che contribuivano ad esaltare il ruolo dell’aristocrazia cui esse sono destinate84, e in quelle a semicamera della Peucezia. Oltre ai casi di Ruvo, noti in modo parziale (Tabella 2,25-31), ne sono conferma anche le loutrophoroi di Altamura e Timmari (Tabella 2,33-34) che si caratterizzano per l’eccezionalità dei contesti di rinvenimento. Si tratta, infatti, in entrambi i casi, di due tombe a semicamera maschili con corredi di grande ricchezza in cui si concentrano larga parte dei vasi figurati di alto livello rinvenuti nei due centri.
22La sola loutrophoros rinvenuta al di fuori dell’Apulia proviene da una tomba a camera (n. 19) della necropoli in loc. La Scala dell’insediamento lucano di Roccagloriosa (Tabella 2,35); inserita in un recinto funerario riferibile ad un gruppo familiare aristocratico85, essa apparteneva ad un adulto di sesso maschile che i finimenti di cavallo presenti nel corredo qualificavano come cavaliere. La loutrophoros, di forme monumentali (è alta, infatti, cm. 90), è stata rinvenuta in associazione con un cratere a volute con naiskos (all’interno del quale è significativamente raffigurato un giovane con il suo cavallo), una oinochoe con il ratto di Crisippo da parte di Laio e due rhyta. Cratere e loutrophoros (che, per caratteristiche tecniche, potrebbero essere stati prodotti nella stessa Roccagloriosa), sono opera dell’officina del Pittore degli Inferi. Essa potrebbe, in questo caso, aver lavorato in una produzione decentrata al servizio di gruppi elitari emergenti interessati a nuove modalità di autorappresentazione legate a forme di eroizzazione e al consolidamento della genealogia del gruppo familiare, come suggerito dalla ricorrenza di temi matrimoniali (l’unione di Eracle e Ebe nella loutrophoros) e di narrazioni relative a membri della dinastia regale tebana (la vicina tomba femminile n. 24 ha, infatti, restituito un’anfora a collo distinto con rappresentazione di Niobe)86.
23A fronte di una iconografia in cui la figura femminile e i temi ad essa collegati sono preponderanti87, i rari contesti noti sembrano principalmente riferibili a defunti di sesso maschile88; la comprensione della sua funzione relativamente al genere è, tuttavia, condizionata sia dal numero limitato di corredi sia dalla parzialità con cui molti di essi sono conosciuti.
24La loutrophoros, vaso di funzione esclusivamente funeraria, nasce dunque nella Taranto dei decenni centrali del IV secolo a.C. quando l’officina del Pittore Varrese, prendendo le mosse da esperienze attiche89, elabora la nuova forma; essa assume rapidamente caratteristiche originali per decorazione e funzione rispetto ai suoi prototipi, ulteriore esempio della duttilità con cui gli artigiani dell’Italia meridionale recepiscono e rielaborano elementi provenienti da altre tradizioni culturali. Specificamente destinata al mondo indigeno della Peucezia e della Daunia, nella sua versione monumentale essa è, insieme ai crateri a volute e alle anfore di tipo panatenaico, esposta durante le cerimonie funerarie per essere poi inserita nella sepoltura, testimone della diffusione di un rituale che accomuna alcuni gruppi elitari della seconda metà del IV secolo a.C.90.
Bibliographie
Baggio 2013: M. Baggio, Sistemi di immagini, sistemi di oggetti. Le loutrophoroi del Pittore di Baltimora, Cahiers “Mondes anciens” IV, 2013, http://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/mondesanciens/1072.
Baggio 2019: M. Baggio, Le loutrophoroi del Pittore di Capodimonte. Forma e iconografie, in G. Maiellaro (dir.), Il Grand Mausolée di Polignano. Riscoperta di un contesto peuceta del IV secolo a.C., Foggia, 2019, p. 125-138.
Benincasa 2017: A. Benincasa, Loutrophoros apula a figure rosse, in E. Mugione, La ceramica apula a figure rosse da una collezione privata di Napoli, Roma, 2017, p. 315-321.
Bottini, Graell y Fabregat, Scarci 2018: A. Bottini, R. Graell y Fabregat, A. Scarci, L’ultimo cavaliere: una nuova datazione della seconda deposizione della tomba 669 di Lavello, Bollettino di Archeologia on line, IX,3-3, 2018.
Bottini, Lecce 2016: A. Bottini, L. Lecce, CVA Matera, Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” 2. Vasi italioti a figure rosse, Roma, 2016.
Cambitoglou 2006: A. Cambitoglou, Le Peintre des Situles de Dublin reconsideré, in A. Cambitoglou, J. Chamay, M. Campagnolo, Le don de la vigne: vase antique du baron Edmond de Rothschild, Neuchatel, 2006, p. 51-125.
Canosa 2007: M.G. Canosa, Una tomba principesca da Timmari, Roma, 2007.
Cassano 1992: R. Cassano, Ipogeo di via Legnano, in R. Cassano (dir.), Principi imperatori vescovi. Duemila anni di storia a Canosa, Bari, 1992, p. 384-402.
Collezione Banca Intesa 2: G. Sena Chiesa, F. Slavazzi (dir.), Ceramiche attiche e magnogreche Collezione Banca Intesa, Milano, 2006.
Collezione Guarini: F. Biagio et alii, Antichità della Collezione Guarini, Galatina, 1984.
Corrente 2005: M. Corrente, Produzione e circolazione della ceramica a figure rosse a Canosa e nel territorio: i dati delle recenti scoperte, in M. Denoyelle, E. Lippolis, M. Mazzei, C. Pouzadoux (dir.), La céramique apulienne: bilan et perspectives. Actes de la Table Ronde (Naples 30 novembre-2 décembre 2000), Napoli, 2005, p. 60-76.
Curti 2001: F. Curti, La bottega del Pittore di Meleagro, Roma, 2001.
De Juliis 1992a: E.M. De Juliis, Ipogeo Scocchera A, in R. Cassano (dir.), Principi imperatori vescovi. Duemila anni di storia a Canosa, Bari, 1992, p. 225-230.
De Juliis 1992b: E.M. De Juliis, La tomba del vaso dei Niobidi di Arpi, Bari, 1992.
Denoyelle, Iozzo 2009: M. Denoyelle, M. Iozzo, La céramique grecque d’Italie méridionale et de Sicile, Parigi, 2009.
Depalo 1992: M.R. Depalo, Storia delle ricerche nel territorio di Rutigliano, in F. Gezzi, G. Tamma (dir.), Il territorio di Rutigliano in età antica. Catalogo della Collezione Dioguardi, Palermo, 1992, p. 25-62.
Dufková, Kästner 2016: M. Dufková, U. Kästner, The History of the Ceglie Vases, in Kästner, Saunders 2016, p. 21-42.
Forentum II: A. Bottini, M.P. Fresa (dir.), Forentum II. L’acropoli in età classica, Venosa, 1991.
Fracchia 2011: H. Fracchia, Family and Community: Self-Representation in a Lucanian Chamber Tomb, in M. Gleba, H.W. Horsnaes (dir.), Communicating Identity in Italic Iron Age Communities, Oxford, 2011, p. 90-98.
Fracchia 2012: H. Fracchia, Changing Contexts and Intent: The Mourning Niobe Motif from Lucania to Daunia, in S. Schierup, B. Bundgaard Rasmussen (dir.), Red-figure Pottery in its Ancient Setting, Acts of the International Colloquium held at the National Museum of Denmark in Copenhagen (November 5-6, 2009), Aarhus, 2012, p. 70-79.
Gadaleta 2003a: G. Gadaleta, La ceramica italiota e siceliota a soggetto tragico nei contesti archeologici delle colonie e dei centri indigeni dell’Italia meridionale e della Sicilia, in Todisco 2003, p. 133-222.
Gadaleta 2003b: G. Gadaleta, Catalogo dei contesti. Vasi attici e sicelioti, in Todisco 2003, p. 533-572.
Gadaleta 2018: G. Gadaleta, Produzione e circolazione della ceramica a figure rosse apula in Peucezia: l’esempio dei vasi a prevalente modellazione plastica, in F. Giacobello (dir.), Savoir-faire antichi e moderni. Pittori e officine ceramiche nell’Apulia di V e IV secolo a.C., Atti della giornata di studio (Vicenza 2015), Milano, 2018, p. 115-130.
Grossman 2001: J.B. Grossman, Greek Funerary Sculpture. Catalogue of the Collections at the Getty Villa, Los Angeles, 2001.
Gualtieri 2007: M. Gualtieri, Un gruppo di vasi “apuli” dalla Lucania occidentale, in G. Sena Chiesa, S. Fortunelli (dir.), Sertum Perusinum Gemmae oblatum. Docenti e allievi del Dottorato di Perugia in onore di Gemma Sena Chiesa, Napoli, 2007, p. 259-271.
Gualtieri 2008: M. Gualtieri, Contesti della ceramica tardo-apula. Il “caso Arpi” e la Lucania, in G. Volpe, M. J. Strazzulla, D. Leone (dir.), Storia e archeologia della Daunia. In ricordo di Marina Mazzei, Atti delle Giornate di studio (Foggia 19 - 21 maggio 2005), Bari, 2008, p. 221-231.
Gualtieri 2012: M. Gualtieri, Late “Apulian” Red-figure Vases in Context. A Case Study, in S. Schierup, B. Bundgaard Rasmussen (dir.), Red-figure Pottery in its Ancient Setting, Acts of the International Colloquium held at the National Museum of Denmark in Copenhagen (November 5-6, 2009), Aarhus, 2012, p. 60-68.
Hildebrandt 2011a: F. Hildebrandt, EPOIHSEN KAI EGRFSEN - Er hat es geschaffen und er hat es bemalt. Zur Herstellung der Monumentalen Loutrophoros in Kiel, in K. Hitzl (dir.), Kerameia. Ein Meisterwerk apulischer Töpferkunst. Studien dem Andenken Konrad Schauenburgs gewidmet, Kiel, 2011, p. 80-94.
Hildebrandt 2011b: F. Hildebrandt, Die Loutrophoros. Form und Entwicklung, in K. Hitzl (dir.), Kerameia. Ein Meisterwerk apulischer Töpferkunst. Studien dem Andenken Konrad Schauenburgs gewidmet, Kiel, 2011, p. 96-99.
Hoffmann 2011: A. Hoffmann, Loutrophoren in Grabcontext, in K. Hitzl (dir.), Kerameia. Ein Meisterwerk apulischer Töpferkunst. Studien dem Andenken Konrad Schauenburgs gewidmet, Kiel, 2011, p. 150-162.
LCS Suppl. 3: A. D. Trendall, The Red-figured Vases of Lucania, Campania and Sicily. Third Supplement, Oxford, 1983.
Le Blonde 1990: P. Le Blonde, Les loutrophores apuliennes à figures rouges : morphologie et iconographie, Master Thesis, 1990.
Lippolis 1996: E. Lippolis, Lo stile proto-apulo e apulo antico e medio, in E. Lippolis (dir.), I Greci in Occidente. Arte e Artigianato in Magna Grecia. Catalogo della Mostra (Taranto 2006), Napoli, 2006, p. 177-193.
Lippolis 2007: E. Lippolis, Tipologie e significati del monumento funerario nella città ellenistica. Lo sviluppo del naiskos, in C. G. Malacrino, F. Sorbo (dir.), Architetti, architettura e città nel Mediterraneo antico, Milano, 2007, p. 80-100.
Lippolis 2008: E. Lippolis, Modelli attici e artigianato artistico in Magna Grecia, in Atene e la Magna Grecia, Atti del XLVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, (Taranto 2007), Taranto, 2008, p. 351-403.
Lohmann 1979: H. Lohmann, Grabmäler auf unteritalischen Vasen, Berlin, 1979.
Lohmann 1982: H. Lohmann, Zur tecnischer Besonderheiten apulischer Vasen, JdI, XCVII, 1982, p. 191-249.
Lucchese 2012: C. Lucchese, Forme vascolari, in L. Todisco (dir.), La ceramica a figure rosse della Magna Grecia e della Sicilia, II, Roma, 2012, p. 129-152.
Macchioro 1911: V. Macchioro, Per la storia della ceramografia italiota. Spigolature d’archivio, RM, XXVI, 1911, p. 187-213.
Maiellaro 2019: G. Maiellaro, La riscoperta del Grand Mausolée, in G. Maiellaro (dir.), Il Grand Mausolée di Polignano. Riscoperta di un contesto peuceta del IV secolo a.C., Foggia, 2019, p. 15-32.
Mazzei 1992: M. Mazzei, Ipogeo Monterisi Rossignoli, in Principi imperatori vescovi, p. 163-175
Milchhöfer 1880: A. Milchhöfer, Gemalte Grabstelen, AM, V, 1880, p. 164-194.
Millin 1816: A.L. Millin, Description de tombeaux de Canosa ainsi que de bas-reliefs, des armures et des vases peints qui y ont été découverts en MDCCCXIII, Parigi, 1816.
Mitomania: E. Degl’Innocenti, A. Consonni, L. Di Franco, L. Mancini (dir.), Mitomania. Storie ritrovate di uomini ed eroi, Roma, 2019.
Montanaro 2006: A. C. Montanaro, La tomba del vaso della morte di Archemoro da Ruvo di Puglia (Bari), Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia Dell’Università di Bari, XLIX, 2006, p. 5-41.
Montanaro 2007: a.C. Montanaro, Ruvo di Puglia e il suo territorio. Le necropoli, Roma, 2007.
Mösch-Klingele 2010: R. Mösch-Klingele, Braut ohne Bräutigam. Schwarz- und rotfigurige Lutrophoren als Spiegel gesellschaftlicher Veränderungen in Athen, Mainz, 2010.
Principi imperatori vescovi: R. Cassano (dir.), Principi imperatori vescovi. Duemila anni di storia a Canosa, Bari, 1992.
Raeder 2011: J. Raeder, Dokumentation der Kieler Loutrophoros, in Kerameia. Ein Meisterwerk apulischer Töpferkunst. Studien dem Andenken Konrad Schauenburgs gewidmet, Kiel, 2011, p. 70-78.
Riccardi 2014: A. Riccardi, Apulian and Lucanian Pottery from Coastal Peucetian Contexts, in T.H. Carpenter, K.M. Lynch, E.G.D. Robinson (dir.), The Italic People of Ancient Apulia. New Evidence from Pottery for Workshops, Markets, and Customs, Cambridge, 2014, p. 133-151.
Roscino 2015: C. Roscino, CVA Ruvo di Puglia. Museo Nazionale Jatta II. Ceramica apula figure rosse. Apulo Medio I, Roma, 2015.
Roscino 2017: C. Roscino, CVA Ruvo di Puglia. Museo Nazionale Jatta V. Ceramica apula figure rosse. Apulo Medio II, Roma, 2017.
Sabetai 2009: V. Sabetai, Marker vase or burnt offering? The Clay Loutrophoros in Context, Shapes and uses of Greek vases (7th-4th centuries B.C.). Proceedings of the symposium held at the Université libre de Bruxelles 27-29 April 2006, Bruxelles, 2009, p. 291-306.
Saunders, Svoboda 2016: D. Saunders, M. Svoboda, Catalogue, in Kästner, Saunders 2016, p. 132-143.
Saunders, Svoboda, Milanese 2016: D. Saunders, M. Svoboda, A. Milanese, Exactitude and Mastery: Raffaele Gargiulo’s Work as a Restorer, in Kästner, Saunders 2016, p. 43-66.
Schauenburg 1981: K. Schauenburg, Zu einer Situla in Privatbesitz, MededRom, LVIII, 1981, p. 83-89.
Schauenburg 1985: K. Schauenburg, Zu einer Gruppe polychromer apulischen Vasen in Kiel, JdI, C, 1985, p. 399-443.
Schauenburg 1988: K. Schauenburg, Kreusa in Delphi, AA, 1988, p. 633-651.
Schauenburg 1989: K. Schauenburg, Zur Grabsymbolik apulischer Vasen, JdI, CIV, 1989, p. 19-60.
Schauenburg 1991: K. Schauenburg, Der Varresemaler in Kiel, JdI, CVI, 1991, p. 183-197.
Schauenburg 2001: K. Schauenburg, Studien zur unteritalischen Vasenmalerei, Band III, Kiel, 2001.
Schierup 2015: S. Schierup, The Nestorides. Innovation and Ambivalence in the Early South Italian Red-figure Production, in J. Fejfer, M. Moltesen, A. Rathje (dir.), Tradition: Transmission of Culture in the Ancient World, Copenhagen, 2015, p. 387-425.
Schmidt, Trendall, Cambitoglou 1976: M. Schmidt, A.D. Trendall, A. Cambitoglou, Eine Gruppe Apulischer Grabvasen in Basel. Studien su Gehalt und Form der unteritalischen Sepulkralkunst, Mainz, 1976.
Schreiber 1999: T. Schreiber, Athenian Vase Construction. A Potter’s Analysis, Malibu, 1999.
Sena Chiesa 2006: G. Sena Chiesa, I vasi a figure rosse del periodo apulo medio: il nuovo linguaggio figurativo, il prestigio del mito e la celebrazione aristocratica, in Collezione Banca Intesa 2, p. 236-249.
Silvestrelli 2017: F. Silvestrelli, Le situle nella ceramica a figure rosse dell’Italia meridionale, in C. Masseria, E. Marroni (dir.), Dialogando. Studi in onore di Mario Torelli, Pisa 2017, p. 407-418.
Trendall 1985: A.D. Trendall, An Apulian Loutrophoros Representing the Tantalidae, in Greek Vases in the J. Paul Getty Museum, II, 1985, p. 129-144.
Van der Wielen 1992: F. Van der Wielen, Ceramica a decorazione plastica e policroma, in Principi imperatori vescovi, p. 310-328.
Zimmermann 1998: N. Zimmermann, Beziehungen zwischen Ton- un Metallgefässen spätklassischer und frühhellenistischer Zeit, Rahden, 1998.
Notes de bas de page
1 Sanchez 1835, p. 258. MANN, H. 3233 (RVAp II, p. 500, n. 62, Tipo 2, Pittore di Dario) e RVAp II, p. 496, n. 42 (Pittore di Dario). Per la tomba, cfr. Montanaro 2006.
2 La sua identificazione con la loutrophoros citata dalle fonti si deve a Milchhöfer 1880, p. 176-194: Hoffmann 2011, p. 150. Sulla forma e sulla funzione delle loutrophoroi attiche si vedano, da ultimo, Sabetai 2009 e Mösch-Klingele 2010.
3 Per un quadro aggiornato della produzione di questa fase si vedano Lippolis 1996, p. 386-391, Sena Chiesa 2006 e Roscino 2017, p. 5-10.
4 Lucchese 2012, p. 133-134; 138-139; 147-148 (con ampia bibliografia) cui si possono aggiungere Roscino 2015, p. 38-40, tav. 21-22 (olla); Schierup 2015 (nestorides); Silvestrelli 2017 (situle); Gadaleta 2018 (kantharoi).
5 Schmidt, Trendall, Cambitoglou 1976, p. 81-85; Lohmann 1979, p. 152-156; Lohmann 1982, p. 211-215; Trendall 1985, p. 129-133; Le Blonde 1990; Hildebrandt 2011b; Lucchese 2012, p. 142-143.
6 RVAp II, p. 341, n. 22. Si veda, in questo volume, il contributo di L. Melillo.
7 RVAp II, p. 506, n. 105 (Pittore di Dario).
8 RVAp II, p. 500, nn. 60 e 61 (Pittore di Dario) e Saunders, Svoboda 2016, p. 132-143, nn. 10-11. Sul restauro, opera di R. Gargiulo, cfr. Saunders, Svoboda, Milanese 2016.
9 Schmidt, Trendall, Cambitoglou 1976, p. 81.
10 RVAp I, p. 323, n. 55, H 41.8 e Trendall 1985, p. 133, fig. 6. Nell’introduzione al volume sulla ceramica a figure rosse apula (RVAp I, p. l) tuttavia egli scrive: “About the middle of the fourth century an Apulian variant of the loutrophoros makes its appearance (e.g. Naples 3246, no. 13/22 by the Varrese Painter)” dando quindi maggiore importanza all’esemplare di quest’ultima officina.
11 I vasi attribuibili a questo pittore sono tutti privi di contesto ad eccezione di una pelike e di una hydria (RVAp I, p. 322, n. 44, tav. 100,3 e p. 323, n. 56) rinvenute nella Tomba 1/1902 di Timmari Camposanto, il cui corredo, per quanto di difficile valutazione visto lo stato parziale di pubblicazione, può collocarsi nel terzo quarto del IV secolo a.C.: Bottini-Lecce 2016, p. 6; p. 30, tav. 25; p. 31, tav. 26 (datazione proposta: 340-330 a.C.).
12 RVAp I, p. 338, n. 3.
13 Questa forma (che in ambito attico, dopo un certo favore goduto ancora con il Pittore di Suessola, sembra esaurirsi con il Pittore di Meleagro: Curti 2001, p. 61, n. 67-68, tav. LII), è invece presente nella ceramica campana e pestana sin dalle origini della produzione (Denoyelle, Iozzo 2009, p. 185-185, fig. 257, Pittore dell’Oreste di Ginevra; p. 186, fig. 258, Assteas; p. 195, fig. 272, Pittore di Cassandra), mentre ha scarsa fortuna in Apulia, dove è nota di fatto solo con l’esemplare del Pittore della Danzatrice di Berlino (RVAp I, p. 7, n. 13).
14 Lohmann 1979, p. 154; Lohmann 1982, p. 211; Hildebrandt 2011b, p. 97.
15 Si veda, ad esempio, RVAp I, p. 337, n. 1, tav. 108,1.
16 RVAp Suppl. 2, p. 149, n. 59c, tav. XXXVI, 2-3; XXXVII,1.
17 Oltre che nell’esemplare di Bonn, lo stesso tipo di vaso ricorre accanto a Niobe anche nell’anfora di tipo panatenaico dell’Ipogeo Varrese a Canosa (RVAp I, p. 338, n. 4, tav. 109,1, Pittore Varrese). I vasi raffigurati accanto a Niobe nel vaso del Getty (RVAp Suppl. 1, p. 100, n. 278a, tav. XlX,1-2) e in una hydria di Ginevra (RVAp Suppl. 2, p. 150, n. 63e) sono, invece, loutrophoroi.
18 RVAp Suppl. 2, p. 144, n. 16g, tav. XXXIV-3-4 e Mitomania, p. 94, n. 7.
19 RVAp I, p. 341, n. 22 (Pittore Varrese).
20 Si veda, in questo volume, il contributo di A. Melillo.
21 Corpo e piede misurano, infatti, 60,5 cm e nel complesso esso doveva essere alto intorno ai 90 cm.
22 Il vaso, su sostegno, presenta la parte inferiore del corpo baccellato: Schauenburg 2001, p. 16-17, fig. 50-56 (H. 43,5, con sostegno 52).
23 RVAp I, p. 404, n. 44 (H. 92) e Suppl. 2, p. 107, n. 44-1, tav. XXIV, 1-4 (Gruppo di Ruvo 423) e Cambitoglou 2006, p. 62-67, n. 4 e p. 104-107, n. 23 (Pittore delle Situle di Dublino).
24 Esso ricorre anche in altri esemplari, quali, ad esempio, la loutrophoros del Pittore di Laodamia: RVAp 2, p. 482, n. 16, tav. 171,4 e Trendall, Schmidt, Cambitoglou 1976, tav. 22,a. Per le loutrophoroi attiche, Malibu 83.AA.253: Grossman 2001, p. 77-80, n. 27.
25 RVAp Suppl. 2, p. 149, n. 56a (H. 83) e 56b, tav. XXXVI, 2-3 (H. 79.5).
26 RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-1, tav. XLVII,1 (diam. orlo 21,5; diam. piede 15; H. 69.5) e RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-2, tav. XLVII,2 (diam. orlo 26; diam. piede 18,7; H. 90.1).
27 RVAp II, p. 589, n. 278, tav. 225,1 (H. 81.5).
28 Monaco, Staatlichen Antikensammlungen: RVAp Suppl. 2, p. 144, n. 16f, tav. XXXIV, 1-2 (Gruppo delle Metope).
29 Louvre S4047: RVAp II, p. 506, n. 105.
30 Riecheggiate nella loutrophoros presente all’interno del naiskos del vaso del Metropolitan Museum di New York: RVAp Suppl. 1, p. 72, n. 16d, tav. X,2-3 (Gruppo delle Metope, H. 88.3).
31 Lohmann 1979, p. 153. È tuttavia importante sottolineare che, al contrario di quanto accade per altre forme, quali ad esempio le situle o i kantharoi, non sono note al momento loutrophoroi in metallo.
32 RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-1, tav. XLVII,1.
33 Loutrophoros di Napoli RVAp I, p. 404, n. 44; loutrophoroi del Pittore del Louvre MNB 1148 RVAp II, p. 589, n. 278, tav. 225,1 e RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-2, tav. XLVII, 2.
34 Foglie lanceolate simili a quelle di mirto: Napoli, Collezione Grimaldi n. 108, RVAp II, p. 500, n. 59 e Benincasa 2017, p. 315-321, n. 101. Si veda anche Schauenburg 1985, p. 409-411.
35 Schmidt, Trendall, Cambitoglou 1976, tav. 33, b (Pittore della Bottiglia del Louvre), H. 78,7.
36 Zimmerman 1998.
37 RVAp I, 343, n. 34 e Suppl. I, p. 46, nn. 34,1 e 34,2 , tav. V,1-2.
38 Si veda, ad esempio, la situla di tipo 2 dalla tomba 33 di Timmari: Canosa 2007, p. 43-53.
39 Essa ricorre solo nelle loutrophoroi Napoli 82265 (RVAp I, p. 404, n. 44), Louvre S 4047 (RVAp II, p. 506, n. 105, Pittore di Dario) e in quella di Tampa 87.37 (RVAp Suppl. 2, p. 53, n. D8, tav. XCII, 3-4, Pittore del Sakkos Bianco, priva di anse).
40 RVAp Suppl. 1, p. 131, n. 125a, tav. XXIV,4 e RVAp Suppl. 2, p. 232, n. 52-1, tav. LIX,1 (Pittore della Patera); RVAp II, p. 758, n. 249 (Officina del Pittore della Patera, Gruppo della donna seduta).
41 Tra cui si segnala la loutrophoros del Pittore del British Museum F 339 decorata, su entrambi i lati, da una testa femminile di profilo (H. 38): RVAp II, p. 1032, n. 104.
42 RVAp Suppl. 2, p. 315, n. 555, tav. LXXX,3. A loutrophoroi di tipo 1 sono state ricondotti anche alcuni vasi del Pittore di Baltimora raffiguranti scene di naiskos (RVAp Suppl. 2, p. 279, n. 43-1 tav. LXXIII, 2; 43-2, 43-3) e l’incontro tra Bellerofonte e Iobates (RVAp Suppl. 2, p. 279, n. 43-4). Si tratta piuttosto di anfore di tipo panatenaico le cui anse sono state arricchite da racemi.
43 Lohmann 1982, p. 214.
44 Si veda, ad esempio, la loutrophoros raffigurata accanto a Niobe nel vaso Getty 82.AE.16: RVAp Suppl. 1, p. 100, n. 278a, tav. XlX,1-2.
45 RVAp II, p. 482, n. 16, tav. 171,4 (Pittore di Laodamia, H. 1,04/1,20).
46 RVAp Suppl. 1, p. 45, n. 22a, tav. IV, 1-2 (H. 88) e p. 46, n. 22b, tav. IV,3 (H. 89,9).
47 Pittore di Laodamia, Gruppo delle Metope, Pittori di Dario, degli Inferi, di Baltimora e del Sakkos Bianco. Elenco di dettaglio in Lucchese 2012, p. 142.
48 Si vedano, soprattutto, le loutrophoroi del Pittore di Laodamia (RVAp II, p. 482, n. 16, tav. 171,4, H. 128), del Pittore del Louvre MNB 1148 (Suppl. 1, p. 100, n. 278a, tav. XlX,1-2, H. 98) e del Pittore di Dario RVAp II, p. 200, n. 60 (H. 102) e 61 (H. 103).
49 Si veda comunque, la loutrophoros del Pittore di Dario RVAp II, p. 489, n. 20, tav. 174,2 in cui la divisione in due registri è applicata all’intera superficie del vaso.
50 RVAp Suppl. 1, p. 46, n. 22b, tav. IV, 3-4 (Pittore Varrese).
51 Come nella loutrophoros del Pittore di Laodamia: RVAp II, p. 482, n. 16, tav. 171,4 e Schmidt, Trendall, Cambitoglou 1976, tav. 19.
52 Si veda, ad esempio, RVAp Suppl. II, p. 280, n. 43f e Schauenburg 1989, p. 28, fig. 9,11.
53 RVAp II, p. 517, n. 184a (Gruppo di Egnazia) e Collezione Banca Intesa 2, p. 372-373, n. 131 (Gruppo del Pittore di Gioia del Colle, attribuzione G. Sena Chiesa), H. 53,5.
54 RVAp Suppl. 2, p. 163, n. 299a (Pittore degli Inferi), H. 36,8.
55 Si vedano, ad esempio, RVAp II, p. 726, n. 5a e Collezione Banca Intesa 2, p. 466-469, n. 175 (H. 57); p. 735, n. 54, tav. 271,5 (H. 43,9, Fig. 5,2).
56 Come ad esempio RVAp II, p. 940, n. 188, tav. 369,12 (Gruppo di Deri, H. 45).
57 Come ad esempio, RVAp Suppl. 1, p. 155, n.48b, tav. XXIX, 2-3 (Pittore di Baltimora, H. 110).
58 Pittore di Capodimonte, Gruppo di Taranto 7053, Pittore di Berlino 336. Pittore del Sakkos Bianco; Lucchese 2012, p. 142 per elenco di dettaglio.
59 RVAp Suppl. 1, p. 72, n. 16c, tav. X,1 (Gruppo delle Metope) e San Antonio 86-134G (RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-1, tav. XLVII,1, Pittore del Louvre MNB 1148).
60 Come nell’esemplare del Louvre RVAp II, p. 589, n. 278, tav. 225,1.
61 RVAp I, p. 323, n. 55 (Pittore di Lecce 660); RVAp II, p. 910, n. 15 (Pittore dell’Elmo); p. 916, n. 50 (Gruppo di Taranto 7013); p. 955-956, n. 367-368 e 370 (seguaci dei Pittori della Patera e di Baltimora); RVAp Suppl. 2, p. 175, n. 86f; RVAp II, p. 1018, n. 11, tav. 392,4 (Pittore Tenri) e p. 1032, n. 107, tav. 399, 5-6 (Pittore del BM F 339).
62 Chiarificatrice, a questo proposito, è la lettura del sistema dei vasi dell’Ipogeo del vaso di Dario a Canosa: Pouzadoux 2013, p. 93.
63 RVAp II, p. 482, n. 16, tav. 171,4 (Pittore di Laodamia).
64 RVAp II, p. 489, n. 20, tav. 174,2 (Pittore di Dario).
65 RVAp Suppl. 2, p. 107, n. 44-1, tav. XXIV, 1-4; RVAp Suppl. 2, p. 144, n. 16g, tav. 34,3-4 (Gruppo delle Metope); RVAp II, p. 500, n. 58 (Pittore di Dario); RVAp Suppl. 2, p. 280, n. 43f, RVAp II, p. 869, n. 47, tav. 329, 4-5 e Suppl. 2, p. 280, n. 47b (Pittore di Baltimora); p. 928, n. 107 (Gruppo dell’Andromeda di Bari). Pouzadoux 2013, p. 194-211.
66 RVAp Suppl. 2, p. 181, n. 278-3, tav. XLVII,3 (Pittore del Louvre MNB 1148).
67 RVAp II, p. 501, n. 63 (Pittore di Dario) e Suppl. 2, p. 280, n. 47a (Pittore di Baltimora).
68 RVAp Suppl. 2, p. 352, n. D4, tav. XCI, 2 (Pittore del Sakkos Bianco).
69 RVAp Suppl. 2, p. 149, n. 56a (Pittore di Dario).
70 Canosa, Ipogeo Monterisi-Rossignoli: RVAp II, p. 535, n. 297, tav. 200.
71 RVAp Suppl. 2, p. 180, n. 278-1, tav. XLVII,1; p. 181, n. 278-3, tav. XLVII,3. RVAp Suppl. 1, p. 100, n. 278a, tav. XlX,1-2 (Pittore del Louvre MNB 1148). Gruppo delle Metope: RVAp Suppl. 1, p. 72, nn. 16d-e, tav. X, 2-4. Officina del Pittore Dario, Gruppo di New York 28.57.10: RVAp Suppl. 2, p. 156, n. 196b, tav. XL,1.
72 Una coppia di loutrophoroi è posta a coronamento di un naiskos nell’hydria dell’Ipogeo Varrese (RVAp I, p. 337, n. 1, tav. 108,1). Per le loutrophoroi in naiskoi cfr. RVAp Suppl. 2, p. 180-181, n. 278-1 e 278-3, tav. XLVII,1 e 3 (Pittore del Louvre MNB 1148); RVAp Suppl. 1, p. 72, n. 16d, tav. X,2-3 (Gruppo delle Metope); RVAp II, p. 500, n. 59 (Pittore di Dario); RVAp Suppl. 2, p. 156, n. 196b, tav. XL, 1 (Gruppo di New York 28.57.10); RVAp II, p. 537, n. 315, tav. 201,4 (Pittore degli Inferi); RVAp II, p. 726, n. 4-5 (Pittore della Patera); p. 988, n. 107 (Gruppo dell’Andromeda di Bari).
73 Anfora di tipo panatenaico da Canosa: RVAp II, p. 497, n. 44 e Lohmann 1979, tav. 52 (Pittore di Dario). Una loutrophoros di tipo 1 in contesto di corteggiamento è anche raffigurata in una hydria del Pittore Varrese: RVAp Suppl. 2, p. 88, n. 30c, tav. XV,4 e Schauenburg 1991, tav. 40.
74 Sulle modalità di fabbricazione delle loutrophoroi attiche si veda Schreiber 1999, p. 187-193.
75 RVAp Suppl. 2, p. 181, n. 278-3, tav. XLVII,3 e Hildebrandt 2011a, p. 81-82.
76 RVAp II, p. 869-870, n. 48, tav. 330 (Pittore di Baltimora): Lohmann 1982, p. 203, fig. 11.
77 RVAp II, p. 500, n. 60-61, tabella 1, 10-11.
78 Napoli, Collezione Grimaldi n. 108 (RVAp II, p. 500, n. 59 e Benincasa 2017, p. 320).
79 Si vedano, ad esempio, le loutrophoroi RVAp Suppl. 1, p. 73, n. 20a, tav. XI, l-2 (Pittore di Dario), quelle del Getty 82.AE.16 e di Kiel: RVAp Suppl. 1, p. 100, n. 278a, tav. XlX,1-2 e RVAp Suppl. 2, p. 181, n. 278-3, tav. XLVII,3; Hildebrandt 2011a, p. 90-91 (Pittore del Louvre MNB 1148).
80 Per esempi in altre forme cfr. Lohmann 1982, p. 206-209. L’uso di fori è noto anche in vasi italioti più antichi, come ad esempio nel cratere a calice del Pittore di Dolone conservato a Parigi (LCS Suppl. 3, p. 59, n. D21).
81 Come nel caso dei 4 vasi detti provenire da Bari (Tabella 1,6-9), quello acquistato a Gioia del Colle (Tabella 2,32) o la loutrophoros del Pittore di Dario (Tabella 2,37) che Lohmann dice provenire da Taranto.
82 Lohmann 1982, p. 214; De Juliis 1992a, p. 227, n. 14-15 (Canosa, Ipogeo Scocchera A); van der Wielen 1992, p. 318-321, n. 36-46 (Canosa, Ipogeo Varrese); Bottini, Graell y Fabregat, Scarci 2018 (Lavello, tomba 669, maschile).
83 La reiterazione della forma è, invece, nota per gli esemplari in ceramica policroma presenti in numero di 6 nell’Ipogeo Varrese (in cui, tuttavia, la ricostruzione delle singole deposizioni è incerta a causa delle vicende legate al rinvenimento: Gadaleta 2003a, p. 198 con amplia bibliografia) e in numero di 2 nella seconda deposizione, maschile, della tomba a camera 669 di Lavello (Forentum II, p. 56, nn. 50-51, tav. XVI; Bottini, Graell y Fabregat, Scarci 2018 (con nuova proposta della cronologia del contesto, ora datato al primo quarto del III a.C.).
84 Corrente 2005, p. 70-71; Pouzadoux 2013, p. 50-51.
85 Tomba 19-1978: Gualtieri 2012, con bibliografia precedente.
86 Gualtieri 2007, p. 265-269; Gualtieri 2008, p. 228. Gualtieri 2012, p. 65-68. Fracchia 2012.
87 Baggio 2013 e Baggio 2019.
88 Oltre agli esempi discussi, si veda anche Tomba B di via Moro a Ruvo, che ha restituito una loutrophoros policroma: Riccardi 2014, p. 146-148, WF 082.
89 Sul ruolo dei modelli attici nell’elaborazione dei semata presenti nella ceramografia apula a partire dal Pittore dell’Ilioupersis e nella fioritura del naiskos a Taranto si vedano Lippolis 2007, p. 99-101 e 2008, p. 367-368.
90 Pouzadoux 2013, p. 74-79.
Auteur
Università del Salento
francesca.silvestrelli@unisalento.it
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986