Relazione conclusiva
p. 329-335
Texte intégral
1Comincio anch’io col ringraziare gli organizzatori del Convegno per l’invito a presentare alla vostra attenzione qualche riflessione conclusiva. Mi scuso già fin d’ora per la non completezza di quanto dirò: il fatto che io non citerò tutte le relazioni che sono state tenute non vuol dire che queste non siano state tutte di notevole interesse, ma è perché non posso ricordarle appunto per il tempo. Questi ragionamenti che presenterò corrispondono ovviamente anche ai miei principali interessie rappresentano perciò una scelta. Il compito non è facile, ed è stato reso più difficile dalla discussione che è venuta ora. Mi pare di poter dare degli inquadramenti di carattere generale.
2Incomincerò con delle riflessioni su problemi, diciamo così, di metodo. Vi è stato ovviamente un incontro, in tutte le relazioni, fra ragionamentie conclusioni condotti su dati letterari ed epigraficie su evidenze archeologiche. Non mi pare che siano risultate delle contraddizioni vistose. Necessariamente dobbiamo affrontare questo incontro, questa convergenza di serie documentarie diverse con una base solida, filologico-antiquaria, ma anche con altrettanto solida empirìa, chedeve essere connessa alla sensibilità per i problemi. E quando occorre,e quando c’è, anche con un impianto teorico: durante le relazioni mi sembra che siano state, queste premesse teoriche, piuttosto sottintese al caso, che non esplicitate. Vorrei fare qualche altra osservazione generale. Bisogna tener presente, almeno a mio giudizio, che il dato archeologico non deve essere assolutizzatoe generalizzato di fronte ad una realtà molto varia. Ma anche il dato letterario non può essere preso senz’altro al positivo ο al negativo. Faccio un esempio: bisogna valutare con molta attenzione che cosa significhino le notizie antiche su fertilità, ricchezza del suolo, grandi popolazioni, ο il loro contrario. Vale a dire: tutte queste affermazioni che in molti casi nelle relazioni che si son tenute sono state prese così, come termine di paragone, naturalmente andrebbero inquadrate in una situazione ben precisa. Secondo punto: vi è stato da parte di qualche relatore l’impiego esplicito di modelli, il che mi sembra comprensibile, dato che la tematica generale, con tutte le riserve che si possono fare, è una tematica di storia economica, almeno in parte di storia economica. Però non mi pare che pur impiegando modelli si sia andati molto al di là di una riorganizzazione dei materialie a mio giudizio il valore euristico non è stato molto alto, in questo caso. Terzo punto, sul quale insisto: emerge sempre di più l’importanza dell’impiego, in sede storica, di elementie di riflessionie di dati tratti dalla scienza della natura applicati all’uomoe tutti i dati paleobotanici che sono stati portati in discussione mi sembra che portino in una direzione estremamente interessantee che ci si augura possa portare a conseguenze ancora più precise.
3Sul piano del metodo, vorrei ricordare la relazione Ampolo, che mi sembra rilevante, nel senso che Ampolo ha prospettato, giustamente, senza volere arrivare né a conclusionie tanto meno a soluzioni, ma solo a delle presentazioni, dei prolegomena di alcuni problemi tipici, che sono quelli della valutazione della tradizione letteraria per l’età arcaica, della presenza di dati documentari. di una combinazione cauta dei medesimi con quelli archeologici; ha fatto accenni ad un approccio anche antropologico del problema. È ovvio che le riflessioni di carattere storico-economico, diciamo così, sulla produttività della terra in età arcaica, sulle condizioni geomorfologichee climatiche prospettano anche il più generale problema dei regimie dei modi di sfruttamento del suoloe delle forme giuridiche più arcaiche; di come si sia pervenuti all’appropriazione privata, della sopravvivenza di forme collettive nello sfruttamento del suolo;e continuo a ritenere che sia importante il fatto che l’agerpublicus non sia ricordato nelle Dodici Tavole. Naturalmente anche il quadro storicoe geografico italico è stato tenuto presente e, ripeto, sono anch’io dell’opinione che per quest’età arcaica vale meglio prospettare la varietà dei problemi più che trovare soluzioni più ο meno insicure.
4Tutte le relazioni si lasciano raggruppare, giustamente dato il titolo del Convegno, attorno a due grandi temi, due temi fra di loro strettamente connessi: il problema politico, economicoe sociale delle frumentationes, e più in generale di distribuzioni di grano, e, secondo, quello dell’economia agricola dell’Italia centro-meridionale.
5Il problema delle frumentationes, come è emerso chiaramente, comporta la valutazione di aspetti tecnico-amministrativie tecnico-organizzativi, trasporti per terra, per vie d’acqua interne, per mare, strutture stradalie portuali. E naturalmente del significato politico-sociale di queste stesse strutture. Vorrei insistere su un punto,e cioè il problema che concerne Roma. Evidentemente il problema è diverso, per quanto concerne Roma, non solo per l’ampiezza, rispetto alle varie forme di evergetismo municipale, ο di distribuzione di grano, di vettovaglie, in ambito coloniarioe municipale, più ο meno connesse con le cariche municipali. È stato fatto un accenno in questo senso; credo che le due cose debbano essere tenute disgiunte, anche se evidentemente ci sono degli aspetti connessi. Madame Virlouvet ha trattato la questione delle frumentationes dai Gracchi a Clodio, ma anche da altre parti ci sono stati accenni alla grande rilevanza di questo problema di politica interna, dove appunto politica ed economia si mescolano, anche nelle età successive. Credo che sia necessario stringere sempre di più i contesti storici per i singoli provvedimenti, soprattutto alle origini. La lex frumentaria del 123 avviene evidentemente dopo momenti di carestia — testimoniati dal grano tessalo che arriva a Roma, ο almeno sarà arrivato a Roma nel 129-di cui si è occupata la Deniauxe su cui è intervenuta anche la Gara. E mi permetto di credere che anche le riforme agrarie graccane, in piedi da dieci anni, avranno influito in senso, almeno agli inizi, piuttosto negativo, sulla produzione agraria italica. Inoltre poi, come è stato detto, c’è stato a Roma un aumento di popolazione,e il fenomeno dell’inurbamento è tradizionalmente collegato a quello delle frumentationes (Sallustio).
6Con le distribuzioni più ο meno gratuite di frumento pubblico, c’è un rovesciamento fra causa ed effetto. Io credo che inurbamento non sia causa dell frumentationes; almeno all’inizio, ripeto, ci sono dei fattori precisi, anche se è indubbio che la crescita della città avrà poi in seguito esasperato il problema. La crescita della città, a Roma, avviene agli inizi in modo sicuramente indipendente rispetto alle frumentationes. Un altro punto da tener presente è che nel 73, all’epoca della legge Terentia Cassia, c’era Spartaco che devastava da alcuni anni l’Italia, sicché, a prescindere da tutto il resto,e dalla necessità di mandare frumento agli eserciti di Pompeo in Spagna, c’erano evidentemente delle ragioni ben precise per il provvedimento stesso. Tant’è vero che nello stesso periodo, come ha mostrato la Deniaux, ci sono state forme di evergetismo più ο meno semiprivato degli edili. Provvedimenti questi, mi permetto di credere, che preludono in qualche modo, prefigurano, gli interventi in senso personalee privato di Augusto nella stessa direzione.
7Si è discusso anche il problema delle liste degli accipienti, se esistevano ο meno degli elenchi: io non credo che esistessero, allora, almeno agli inizi; poi dalla metà del I secolo le cose forse cambiano. Credo che si debba insistere sul fatto che chi andava a prendere frumento ο chi non andava era vincolato, diciamo così, da problemi di morale civica: Pisone va perché fa il provocatore, evidentemente. Anche i nobili poveri, i poveri vergognosi, che c’erano anche allora a Roma, non saranno sicuramente andati a presentarsi alle frumentationes. Non c’era bisogno di una lista per identificare gli aventi diritto. Tra l’altro noi sappiamo che anche all’epoca dei censimenti non c’era nessuna possibilità di evitare le infiltrazioni dei non cives che si facevano registrare fra i cittadini: proprio a seguito del censimento del 97 a. C. bisognò aprire una quaestio per identificarli, sicché è difficile che ci fossero, io credo, delle liste precise. Se vogliamo fare un paragone, completamente diverso, che però rende bene l’aspetto di questo senso di moralità civica, il problema parallelo è la crescente infrequentia ai comizi, di cui nessuno si preoccupava, perché ai comizi andavano a votare quelli che erano interessati ad andaree saranno stati i ceti alti sia cittadini che municipali. Vale a dire, c’era questo senso di moralità civica che non so fino a quando sia durato.
8Le frumentationes sono evidentemente delle soluzioni politichee sono in relazione alla disponibilità di frumento provinciale, che viene dato, come sappiamo, prima a pagamento a certi prezzi politici, poi gratuito. Gli aspetti politici del problema emergono bene perché emerge l’importanza di magistrature già esistenti, che però erano di carattere marginale come appunto quella del questore ostiense, che i popolari cercano nel limite delle loro possibilità di accaparrarsi come ha indicato Coarelli.
9Naturalmente questo comporta tutta una serie di necessità: accrescere le già esistenti strutture adeguate: depositi, horrea, che è un problema tipico graccano, anche se è un problema, come ha fatto vedere Zevi, già precedente. Naturalmente c’è anche un altro aspetto importante per la necessità che a Roma vi siano dei depositi molto vasti: Roma, fino alla metà, almeno, del I sec. a. C. resta la base logistica per le operazioni militari romane. La Deniaux ha ricordato il caso di frumento che doveva essere distribuito al popolo, che viene invece mandato agli eserciti, perché il centro nevralgico di tutto questo movimento è Roma.
10Evidentemente le cose cambiano in seguito. Mi permetto a questo punto un breve excursus. Da quando con l’età augustea si hanno gli eserciti provinciali stanziali, le truppe di stanza in Oriente,e soprattutto quelle inviate in soprannumero per esigenze speciali (la rivolta giudaica, la guerra contra i Parti), dipendevano per i loro approvvigionamenti dal frumento egiziano. Vale a dire sarà stata una parte della produzione statale che non veniva spostata a Roma, ma che doveva servire per le truppe d’Oriente. Il problema era diverso per le truppe di stanza in Germaniae sui fronti settentrionali (si pensi anche al problema dei prata legionis, anche in Spagna). Dunque io credo che una parte della produzione egiziana aveva questa destinazione, dall’età imperiale: ma nel i sec. a. C. Roma è ancora il punto nevralgico per questi smistamenti di vettovaglie.
11In tutta questa discussione, molto interessante è che nessuno, giustamente, abbia toccato il caso della Cisalpina, che come sappiamo da Polibio era un mercato a parte dove le produzioni erano molto altee i prezzi erano bassi perché non c’era possibilità di smercioe Polibio dice che serviva per alimentare gli eserciti, evidentemente nelle guerre liguri, nelle guerre galliche, nella guerra d’Istria, nelle campagne militari di Fulvio Fiacco,e così via. E quello che è interessante, è che nel 129 l’edile Metello, a prescindere da tutti i suoi legami di clientela, ritiene che si faccia più presto a far venire il frumento dalla Tessaglia che non, per caso, andarlo a prendere in Cisalpina. Dove tra l’altro le popolazioni, soprattutto della Transpadana, non pagavano tributarti, ma però c’era, evidentemente, sovraproduzione perché Polibio lo dice: è che la Cisalpina, veramente, era tagliata fuori da questo meccanismo.
12Naturalmente questo meccanismo delle frumentationes ha messo in moto tutto un sistema di appalti, di trasporti, soprattutto per via di mare, vedi la relazione di Zevi, ad Ostiae Pozzuoli. È stata avanzata l’idea, mi sembra abbastanza interessante, che a Puteoli vi possa essere la presenza di modelli alessandrini, ellenistici in genere. Naturalmente la difficoltà resta sempre quella di nutrire Roma, è una difficoltà che andrà crescendo più avanti. Pompeo, se ricordo bene, riuscì a esaurire il suo compito in sessanta giorni: è stato citato anche qui quel passo delle Res Gestae (5, 2) dove si dice che Augusto riuscì a sopperire a del le carenze dell’annona intra dies paucos. Evidentemente deve aver fatto, certamente con denaro suo, degli acquisti massicci. Dove? Sicuramente non li ha fatti venire da fuori attraverso il mare, evidentemente è riuscito ad acquistare sui mercati di Pozzuoli, più che di Ostia,e sarà riuscito ad acquistare sopra le grandi proprietà aristocratiche. Noi sappiamo da Tacito che le proprietà imperiali erano ancora molto scarse in questo primo periodo di Augusto, sicché non saranno bastate le proprietà sue. Ma evidentemente con l’impiego di denaro è riuscito ad acquistare: questo mi sembra un dato interessante.
13Il problema diventa naturalmente tecnico-amministrativo con l’età imperiale, conosce delle precise strutturazioni. Cébeillac ci ha spiegato questo per Ostia,e ci ha mostrato la presenza di personale ausiliario ed ha avanzato anche importanti rilievi sulla provenienza di una parte, alla metà del II secolo, di costoro dall’Africa. E in qualche modo, se ho capito bene, c’è un rapporto con l’amministrazione, ο può esserci un rapporto con l’amministrazione delle strutture fiscali nelle province africane. Camodeca ha mostrato come Puteoli non sia decaduta nei confronti di Ostia, anche se forse, non so se si può dire così per il tipo, almeno, della documentazione a nostra disposizione, si può pensare che a Pozzuoli abbiano predominato gli aspetti privatistici del commercio dei grani, mentre ad Ostia quelli pubblici. Naturalmente c’è il problema della Fossa Neronis, spiegato molto bene da Johannowsky. Che evidentemente avrebbe avuto lo scopo di valorizzare, diciamo così, per evitare i rischi della navigazione sotto costa, il porto di Pozzuoli. È stata avanzata l’ipotesi che l’interruzione dei lavori della Fossa abbia avuto ragioni per così dire tecniche. È possibile, ma penso che possa aver interferito anche un’altra causa. Vespasiano si trovò di fronte dopo il 70 a spese spaventose. In Italia la ricostruzione di Cremona, i grandi lavori in altre città, come Brixia,e altrove nelle province coinvolte nella guerra civile. E poi le necessità di organizzare le difese per esempio in Oriente, specialmente nella prospettiva di una guerra contro i Parti, che doveva essere incombente. Un lavoro molto importante di Denis Van Berchem (BJ, 185, 1985, 47-87) ha messo in chiaro come in età flavia siano state create imponenti infrastrutture (porto di Seleucia di Pieria, potenziamento della via d’acqua dell’Orante, sistemazione della rete viaria in Siriae Commagene), in vista di possibili ostilità contro i Parti. Tutto questo deve aver richiesto un impiego enorme di risorse economichee può spiegare come si siano rinviate spese pieno urgenti.
14Se Roma, la capitale, dipendeva dalle produzioni granarie provinciali, non si può escludere che anche città minori, come ad esempio Pompei, si rifornissero a Pozzuoli.
15Tutto questo non esclude naturalmente un commercio libero, dei grani, oltre che di altre merci. Se qui se ne è parlato poco è perché il tema del convegno è un altro. La libertà dei marie dei commerci marittimi è un tema centrale nella propaganda augustea,e nella realtà storica del periodo: non per niente ricorre nelle Res Gestae. Un passo ben noto di Filone (Legatio ad Gaium, 46) contiene l’elogio della libertà marittima garantita da Augustoe Tiberio,e Filone era di una famiglia di Alessandria dedita ai commerci.
16Un passo famoso di Tacito, Annales, III, 54, ricordato anche da Gianfrotta, contiene un importante discorso di Tiberio a proposito di Romae della sua dipendenza dai vettovagliamenti provinciali: l’imperatore afferma che senza di essi la casa imperialee il modo di vita della classe senatoria non potrebbero essere mantenutie si dovrebbe tornare a vivere nelle campagne. Il che significa che Roma non poteva essere mantenuta dalla produzione italica. Il concetto è ribadito in Columella, I, praefatio, 20 e in Tacito, Annales, XII, 43, 2: non si tratta di un declino della terra italica, quanto di una scelta politico-economica, che è oramai impossibile smantellaree che ha richiesto, come le relazioni qui discusse indicano, il problema, politico, dell’organizzazione.
17Naturalmente le città piccole potevano vivere sul loro hinterland. Anche se naturalmente non c’è da escludere-Johannowsky ha insistito su questo punto-che molta produzione sarà venuta a Roma anche lungo il fiume, basta pensare ai molti scali sul Tevere per esempio in Sabina, che evidentemente servivano per la commercializzazione immediata delle produzioni dei fondi lungo la Sabina. Teniamo presente che le ville così dette catoniane erano pensate in funzione della città, di commercializzare i prodotti in città, in città piccole evidentemente, non credo che Catone pensasse a Roma. Il che non vuol dire che non ci fosse un problema gravissimo di sistemazione annonaria per le varie città dell’Italia,e non solo dell’Italia, anche dell’Asia minore, come abbiamo sentito dalla Pierobon. Tacito commenta le notizie del discorso di Tiberioe testimonia un declino agricolo, anche con una chiara allusione al suo tempo: anche qui naturalmente bisogna prendere la notizia per quello che vale; però è sicuro che l’agricoltura italica all’epoca di Traiano subisce un qualche movimento; sono stati citati provvedimenti alimentari. Vi è un vasto retroterra dietro ai problemi alimentari: demografia, incentivazione all’agricoltura, tasse, pagamenti, il che vuol dire però che c’è una grossa importanza del problema agrario.
18I trasporti avvenivano anche per terra, ma quali trasporti? Il prof. Le Gall ha ricordato il passo di Varrone con le teorie di muli che portano al mare il grano apulo: io credo che si tratti di casi precisamente finalizzati,e il problema per una città come Roma di centinaia di migliaia di abitanti è la continuità di questi trasporti, che non può avvenire per via di terra. In Varrone io credo che noi siamo di fronte al caso di spostamenti di merci dai luoghi di produzione della Puglia settentrionale all’imbarco, che capita una volta all’anno, al momento del raccolto,e perciò sporadicamente. La stessa cosa credo che capiti in Sicilia, dove non per niente, ancora in età moderna, li ha citati anche Gallo, esistevano quei posti chiamati’caricatore’ ; sono dei toponimi ora, dove evidentemente veniva portata la produzione. Erano proprio degli imbarchi, non c’erano neanche, io credo, delle strutture portuali complete. Naturalmente sono cosa diversa, ripeto, i trasporti in ambito locale,e il caso citato da Johannowsky di Beneventum è estremamente interessante, anzi mi meraviglio che nessuno abbia mai studiato almeno a conoscenza mia, in età moderna, bene, la storia di questa colonia latina di importanza eccezionale.
19Presenza di grani egiziani in Italia. Il problema è stato toccato più voltee da ultimo da Ceraci. Prima naturalmente di Azio, già nel II secolo: credo che la cosa sia sicura, ο quasi sicura; il problema è stato toccato anche da Zevi anche in relazione alla presenza di culti egiziani, Serapide a Pozzuolie così via. Vorrei, dato che la cosa è poco nota, ricordare uno degli ultimi articoli di Momigliano sui Romanie i Maccabei, che è uscito in inglese nella Miscellanea Abramsky e in italiano nei Rendiconti dell’Istituto Lombardo dell’89. Momigliano ha fatto vedere questa importantissimae curiosa diffusione di culti dionisiaci in Egitto in Siriae a Roma fra IIIe II secolo a. C. Il fenomeno non è evidentemente ο solamente ricollegabile alla presenza di Egiziani, però, dico, il problema di questa trasmissione è un problema aperto.
20Come si vede il problema dell’approvvigionamento di Roma è strettamente connesso alla situazione socioeconomica delle aree centro-meridionali della penisola, soprattutto fra i due ultimi secoli della Repubblicae dell’alto Impero. In tutti questi nostri incontri, in tutti i nostri lavori, aleggia dominante, ma quasi mai espresso, se non in queste ultime battute di Giardinae di Coarelli, il problema del profondo cambiamento degli indirizzi dell’economia italica nell’età cosiddetta dell’imperialismo. È il problema, drammaticoe già ben avvertito dalla storiografia antica-penso soprattutto a Posidonio — dell’effetto dirompente che ha avuto su antichi equilibri economicie sociali, sia in Italia, sia nelle province, l’emergere di Roma a potenza imperialee a mercato imperiale. Questo condizionamento è stato determinante per l’indirizzo economico della Sicilia dopo il 210;e Diodoro dice che per i primi 60 anni le cose sono andate bene poi ci sono state le rivolte servili. Roma ha applicato nell’isola una politica economica dirigistica, estendendo il sistema ieronico;e il prof. Deussen ha mostrato un aspetto estremamente interessante. archeologico, della razionalizzazione ellenistica del sistema di governo a Morgantina. Ma Gallo ha richiamato a ragione un’ipotesi, già avanzata tempo fa dal Bengston, che cioè nella zona occidentale della Sicilia era stata sicuramente valorizzata anche l’esperienza politico-amministrativa dell’eparchia cartaginese.
21Ecco, resta per me non evidente, ma ripeto, è un problema ancora aperto, come collegare questo sistemae la realtà sociale ed economicae sociale siciliana che esso presuppone, con i dati dell’indagine archeologica per l’età repubblicana, quali sono emersi anche per l’area iblea dalla ricerca del Di Stefano. Cioè, questa dispersione dell’insediamento: chi erano, questi che erano dispersi? Sicuramente per gli antichi era un aspetto di decadenza rispetto al sistema delle città. Ma non lo erano, però, per Cicerone nelle Verrine: evidentemente forse la cosa era diversa. Comunque credo che qui siamo di fronte, appunto, a un problema. Resta il fatto che, in Italia, questi cambiamenti, probabilmente strutturali, dell’economia romano-italica, hanno inciso, come sappiamo, sopra la società romano-italica. Anche qui non bisogna generalizzare. Innanzituto fuori del quadro resta sempre l’Italia settentrionale, dove l’impatto della colonizzazione è stato fortissimo ma completamente diverso,e restano fuori in parte anche le aree etrusco-umbree picene, che sono rimaste, anche se diversamente, abbastanza stabili, almeno fino alla guerra sociale. Nel sud le situazioni sono varie. La Puglia, specialmente settentrionale, è legata, dal II secolo, al grande sviluppo dell’allevamento su vasta scala, diciamo quasi industrializzato. Un problema fondamentale, sollevato dalla Compatangelo, è il rapporto con lo sviluppo agricolo di questa area. I due sistemi sono evidentemente-io credo che lo siano sempre stati,-complementarie coesistenti, ed è molto dubbio, tuttavia, come questa complementarietà, per l’età antica, possa essere spiegata con i dati archeologici, che secondo me sono di difficile ο quasi impossibile datazione. Naturalmente, se non ci si fida di affermazioni generali-l’agricoltura che decade a favore della pastorizia-anche i dati dell’archeologia devono essere valutati in modo non assoluto.
22Teniamo presente però che un dato di fatto abbastanza accettabile da tutti è che il sud della penisola, dalla guerra annibalica in poi, ha conosciuto un fenomeno di spopolamento, per effetto di emigrazioni. I centomila coloni che sono andati dalla seconda punica fino alla guerra sociale nell’Italia settentrionale provenivano dal centro-sud,e tutte le truppe che si sono fermate in Spagna nel corso del II secolo evidentemente hanno procurato un depauperamento demico nell’Italia meridionale. La complessità del problema è dimostrata per esempio dal caso di Paestum, studiato da Gasparri, caso tipico di colonia latina dedotta in area già urbanizzata. Giustamente ci si chiede dove sono andati a finire gli abitanti precedenti, a quale livello sono stati inseriti, se sono stati emarginati. Il caso è diversissimo, però può essere confrontato con quanto è avvenuto nella colonia di Piacenza, dove gli accolae gallici sono stati spinti sopra le colline, sopra gli Appennini. L’importante, che viene a conferma di tutta una serie di indizi in questo senso, è che l’organizzazione agrimensoria del suolo fosse per strigas, cioè con decumani con rigores perpendicolari di molto minor intensitàe perciò molto meno conservati, che sembra tipica della colonizzazione latina ancora fino alla prima metà del III secolo. Naturalmente è diverso il caso, perché sono diverse le finalità, delle catastazioni che avvenivano sull’ager romanus che sono già nel iv-iii secolo più regolari.
23Sul problema delle produzioni granariee di altri prodotti, in Pompei ed Ercolano, trattate da Andreaue da Pagano, si possono, esercitare degli approcci metodologici nuovi. Tuttavia, da quanto ho capito, ne risulta un contesto agrario che essenzialmente produce per le due cittadine. Anche qui non è facile trapassare all’identificazione delle società cittadine partendo da questa base. Io credo che rimangono ancora valide le indagini socio-economiche su Ercolanoe Pompei del nostro compianto amico Lepore.
24I problemi naturalmente si complicano con quelle relazioni che hanno cercato di delineare un quadro dei cambiamenti intervenuti nell’ambito dell’economia sud-italica con l’avvento di Roma: mi riferisco alla relazione Carter, bene integrata da quella Giardino-De Siena, soprattutto per quanto riguarda Metaponto ed Heraclea. La tradizione letteraria su di un piano generale parla di un declino demografico ed economico-sociale procurato indirettamente da Roma, che tuttavia aveva cercato, soprattutto con coloniee assegnazioni, di rivitalizzare l’economia sud-italicae aveva cercato anche, per quello che mi è dato di capire, di non introdurre troppi cambiamenti nelle strutture sociali delle comunità magno-grechee indigene. Naturalmente è difficilissimo dire quali siano state le conseguenze delle confische dopo la guerra annibalica, confische in ogni modo parziali,e in larga misura non sfruttate immediatamente per cittadini romani. Come dicevo prima, un dato di fatto è sicuramente lo spopolamento, che in larga misura ha anche alimentato l’emigrazione extra-italica. Naturalmente è difficile giudicare l’incidenza di questo panorama generale sui casi specifici. Ora l’analisi di Carter, condotta su un lungo periodo di tempo, dimostra un indubbio cambiamento non in meglio: aziende più vaste nel corso del ii sec. a. C. significa evidentemente declino di minori proprietà, non sviluppo. Perché a prescindere dai calcoli sulle estensioni di queste maggiori proprietà, non è detto che qui valga il modello catoniano: anche qui, ripeto, si continua a parlare di villa catoniana, ma la villa catoniana è localizzata in un punto preciso. Tutta quest’altra struttura economica ed organizzazione aziendale non so io fino a che punto coincida con quella catoniana. Ci sono delle incognite, che sono quelle a cui aveva accennato anche prima Coarelli: sono unità aziendali produttive autonome? Ο sono inserite, anche queste aziende, in proprietà più ampie? E chi sono i proprietari? E sono sull’ager publicus ο su terra privata? E sopratutto, chi le lavora? Io credo che fino ad ora a questi ed altrettali quesiti l’evidenza archeologica non possa rispondere. Naturalmente, se c’è un modulo antico, specialmente in aree di colonizzazione greca, come ci ha mostrato benissimo il Lepore in tutti i suoi lavori, questo era una piccola azienda, sicché il cambiamento evidentemente è un cambiamento che può essere visto come negativo.
25Una riserva va fatta: le conseguenze della guerra annibalica sono state evidentemente incisive, ma non però sull’agricoltura. Il bel volume di V. D. Hanson (Warfare and agriculture in classical Greece, Pisa, 1983), uscito qualche anno fa, dimostra che non è che la guerra riesca a distruggere un’agricoltura, non riesce a strappare gli olivie la vite. Io non so,e qui faccio mie completamente le riserve avanzate prima da Coarelli, io non so se queste aziende testimoniate nell’area di Metaponto ed Heraclea possano essere chiamate capitalistiche. Dove viene commercializzata la produzione? Heraclea era certamente uno scalo di una qualche importanza, vi facevano capo strade di un qualche rilievo; ma gli abitati si restringono, come è stato dimostrato. È vero che il bestiame è migliorato, però sappiamo che lì fa capo una linea di transumanza, ci sono cambiamenti ulteriori nel corso del I secolo a. C. Queste sono zone in cui si è combattuta la guerra socialee poi la guerra di Spartaco, che sono strettamente collegate. Vi è poi un altro grave problema: come mai poi non si hanno più guerre servili in Italia? Quali sono le condizioni in età augustea, c’è una qualche ripresa? È singolare che vi sia una ripresa, invece,e qui il problema tocca gli storici del tardo-antico, fra IIIe IV secolo, quando evidentemente l’aristocrazia romana urbana ha un nuovo interesse per il Sude per la Sicilia. Questo impatto del dominio romano è stato evidentemente forte anche sull’economia sarda, come ha dimostrato la relazione Rowland. È possibile che qui il dominio romanoe la tassazione abbiano rappresentato un fattore di incentivazione, forse con la messa a coltura di terre nuove. Anche qui però io non accetterei integralmente il dato delle fonti sulla grande ricchezza del suolo della Sardegna: sarà stato uguale ο non molto diverso da quello che è attualmente; cioè i criteri per determinare la fertilità maggiore ο minore di terreni dati dalle fonti antiche sono molto dubbi. Penso per esempio alle notizie che dà Flavio Giuseppe sulla grande fertilitàe sulla grande popolazione della Palestina, dove evidentemente le cose non potevano andare in modo molto diverso.
26Si è accennato già prima al problema della Sicilia, che è stato oggetto in questa ultima giornata di alcune relazioni. Manganaro ha fatto vedere, attraverso le rotte marittime ancora in età avanzata, la centralità dell’isola che era già ben rilevata dalla tradizione antica, nel mondo ellenistico. Abbiamo avuto esempio attraverso le iscrizioni di questi movimenti commerciali. L’importanza annonaria dell’isola, come si diceva, è già antica,e risale per Roma al V secolo, perché si è generalmente concordi nell’accettare la tradizione-i rapporti fra Romae la Sicilia -e come oggi ha ribadito anche Gallo, pur se in qualche modo sposta l’osservazione più sulla parte occidentale che su quella orientale. Naturalmente per il V secolo, il problema di questi rapporti si colloca anche nell’ambito di più generali contatti culturali fra Romae l’isola. Dopo la provincializzazione della Sicilia, il problema si pone, per noi, come ricostruzione di una struttura sociale ed economica fondata su serie differenti di documentie presenta quindi gravi difficoltà di metodo. Penso ai lavori nella Sicilia antica, dove si sono avuti dei contrasti per le interpretazioni dei dati della tradizione diodorea a confronto con quello che emerge dalle Verrine. Un problema indubbiamente importante e, ripeto, da affrontare proprio con la consapevolezza che la tradizione letteraria non va messa tutta sullo stesso piano univoco. La conoscenza dei meccanismi propriamente politico-amministrativi del sistema romano di raccolta dei tributi in Siciliae altrove, viene ora a conoscere molte precisazioni, ο almeno così si spera, dalle iscrizioni della legge doganale di Efeso,e Nicolet ha già coraggiosamente affrontato sul nuovo testo alcune delle difficoltà principali. centrali, direi, relative alle modalità dell’appalto delle imposte, alla loro percezione,e soprattutto ai rapporti fra i versamenti in denaro effettuati a Romae le disponibilità delle imposte in natura nelle province. Di nuovo si prospetta, al di là delle difficoltà generali presentate dal testo, un problema anche qui di metodo, cioè la comparazionee la distinzione con i sistemi che sono in essere nelle altre provincee che dovranno essere riesaminati sulla base di questo nuovo documento in modo comparativo.
27Ho finito. Non traggo conclusioni generali, perché mi sembra impossibile. L’identificazione dei problemi fatta da tutti i relatori mi sembra sia stata eccellente. Sono state prospettate delle impostazioni degli stessie anche delle proposte di soluzione,e qui mi pare già che vi sia un risultato notevole. Se devo esporre un giudizio mio generale, io non credo che si possa parlare -e questo Convegno me lo dimostra — di un’economia unitaria imperiale anche se Roma svolge il ruolo di cerniera, direi, unitaria, in questo mondo variegato,e l’imperatore figura quasi come redistributore delle ricchezze anche attraverso Roma. Ma sono importanti anche la complementarietà di queste economie, al plurale, l’unitarietà di certe strutture che sono emerse, amministrative, militari,e dei meccanismi amministrativi, già tali, unitari, nell’età tardo-repubblicana. In questa tensione fra unitàe diversità delle province, credo che consista la storia dell’Impero.
Auteur
Università di Pavia
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