Il restauro della loutrophoros con Niobe tra antico e moderno
p. 71-81
Texte intégral
1La loutrophoros apula a figure rosse con Niobe (inv. 82267, H 3246)1 proviene da una tomba di Ruvo di Puglia e confluì nella collezione del Canonico Ficco e del farmacista Raffaele Cervone di Ruvo, composta da 254 oggetti tra cui ceramiche, armi e armature in bronzo, ori, vetri e le celebri lastre funerarie della Tomba delle Danzatrici, che il 19 giugno del 1838 fu acquistata dal Real Museo Borbonico di Napoli per 8014 ducati2.
2Come è noto, a partire dal 1810, ma in particolare negli anni 1833-1836, il territorio rubestino fu oggetto di una spoliazione sistematica e dissennata delle necropoli. I rinvenimenti, talvolta eccezionali, che avvenivano quasi quotidianamente, avevano fatto sì che la cittadina pugliese si trasformasse in un vero e proprio mercato di “anticaglie” cui attingevano non solo mercanti d’arte quali Gargiulo3, Barone, Depoletti4, Lamberti, Casanova, Fatelli, Pacileo (definito da Giovanni Jatta senior “un vero camorrista”)5, che operavano soprattutto a Napoli, importantissimo centro di smistamento degli oggetti antichi provenienti da tutto il Regno di Napoli ove agivano commercianti d’arte provenienti da tutta l’Europa, ma anche antiquari di grande prestigio internazionale come il francese Durand, che acquistava in particolare per conto del Real Museo di Francia, e l’inglese James Millingen6. E se una parte della popolazione scavava con lo scopo esclusivo di trarre guadagni dai rinvenimenti, altri cittadini, più colti e con disponibilità economica, scavavano per la cupidigia di accrescere le proprie collezioni. Personaggi come il canonico Michele Ficco, il farmacista Cervone, il sindaco Ciliento ed altre « persone culte e rispettabili del paese », ad esempio, facevano parte di una “Società” di collezionisti e scavatori amatoriali a capo della quale era il Capitolo del Duomo di Ruvo7 e anche lo stesso Giovanni Jatta senior e il fratello Giulio parteciparono, almeno per un certo periodo, ad una di queste società.
3La loutrophoros con Niobe, inv. 82267, definita Vaso detto Langella nel verbale di acquisto della collezione Ficco e Cervone del 1838, nell’Inventario San Giorgio del 1852 (n. 113, vol. II) viene descritta come «vaso detto a langella ossia a tromba rappresentante da una parte tre ordini di figure in mezzo alle quali si vede un’edicola, il cui basamento è sostenuto da tre sirene. In mezzo di detta edicola vedesi una figura muliebre. Nella stessa parte opposta vi sono pure tre ordini di figure con altra edicola senza figure. Altezza palmi tre. È fornita di coverchio ed ha i manichi a foggia di una S». Nell’Inventario Generale del 1870, infine, il vaso è riportato come «anfora con manichi superiori e inferiori ricurvati. Rotta e restaurata» e viene fornita, per la prima ed unica volta, la descrizione del coperchio: «Vi è un coverchio il cui manubrio rappresenta un fior di loto. Sul coverchio è dipinto un giro di meandro ad onda, due pantere, due oche ed un fiore». Particolarmente interessanti sono l’annotazione scritta nell’inventario San Giorgio con caratteri ridotti, in pratica un’aggiunta, riferita alla presenza di un coperchio e la descrizione dell’Inventario Generale sempre a proposito di un coperchio. Tali informazioni trovano conferma in una fotografia delle Edizioni Brogi conservata nell’Archivio Fotografico del MANN, databile intorno alla seconda metà del XIX secolo, nella cui didascalia la loutrophoros, definita « vaso a incensiere », che mostra un coperchio culminante in un fiore di loto, tenuto bloccato sul vaso con un filo di ferro inserito tra le anse (fig. 1). In un’altra fotografia dello Studio Anderson di Roma (James Anderson o Domenico Anderson?), sempre dell’Archivio Fotografico del MANN, anch’essa databile intorno alla seconda metà del XIX secolo (l’Archivio Anderson viene acquistato da Alinari di Firenze nel 1860), la loutrophoros appare priva del coperchio e tale resterà fino ai nostri giorni (fig. 2). Entrambe le foto testimoniano, inoltre, che intorno alla seconda metà del XIX secolo il collo era raccordato al corpo della loutrophoros con una fascia decorata con tralci di vite e tale testimonianza, come si vedrà in seguito, è di particolare interesse per la ricostruzione della storia del restauro del vaso (fig. 3).
4Nelle due fotografie sopra descritte la loutrophoros appare come un vaso intero sia pure con i segni, nella parte inferiore, di una ricomposizione da frammenti. In realtà, il vaso è composto da due parti ben distinte: il corpo, sicuramente antico, e il collo, già riconosciuto non antico da chi scrive sulla base delle osservazioni delle caratteristiche tecniche quali il tipo di argilla utilizzata, del tutto diversa da quella antica del corpo del vaso; la c.d. vernice che risulta spessa, coprente, opaca, che si stacca facilmente; il notevole peso, ecc., osservazioni confermate, poi, dai risultati delle analisi effettuate dalla dott.ssa Annarosa Mangone del Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari Aldo Moro. Un confronto molto vicino al vaso con Niobe è fornito da un esemplare presente nei depositi del MANN: la loutrophoros a figure rosse inv. 82265, H 3242 con scene di Amazzonomachia e di soggetto dionisiaco, rinvenuta a Ruvo il 27 maggio 1836 in una tomba posta in luce poco fuori dalla città in mezzo alla strada che conduceva al convento dei Frati Minori osservanti, attribuita al Gruppo di Ruvo 423, cerchia del Pittore di Varrese (fig. 4). Il Laviola la descrive come «vaso di figura singolarissima tra le mille diverse forme qui rinvenute… La forma è simile ad un uovo, su cui sorge un collo lungo quasi un palmo, coronato dal labbro di mezzo palmo di diametro. Il coverchio è sormontato da un ananasse con tre foglie di squisito lavoro. Un ben delineato fiorame ne adorna il collo ed il labbro »8. Anche Salvatore Fenicia la definisce «vaso a tromba di nuovissima forma e della maggiore eleganza »9. La loutrophoros inv. 82265 è ritratta in una fotografia delle Edizioni Brogi conservata nell’Archivio Fotografico del MANN, databile intorno alla seconda metà del XIX secolo, in cui appare anche il coperchio che non è più presente in altre foto dell’Archivio del 1958 (fig. 5 e 6). È particolarmente significativo che anche la loutrophoros con Niobe inv. 82267 venga descritta da Raffaele Gargiulo in una relazione del 1838 come «una nuova e bizzarra forma simile ad un altro assai interessante che fu rinvenuto in Ruo ne’scavi che colà si fanno per conto Reggio»10. La possibilità che possa riferirsi alla loutrophoros inv. 82265 appare più che probabile. Una prima ricerca effettuata nei depositi della Collezione Vascolare del MANN, che naturalmente necessita di ulteriori approfon-dimenti,11 ha permesso di verificare che il numero delle loutrophoroi conservate è esiguo e che si tratta di loutrophoroi a corpo cilindrico con e senza anse. Al momento, da ciò che è stato possibile verificare, sembra che le loutrophoroi inv. 82267 e 82265 siano le uniche a corpo ovoide presenti. Sempre nella stessa relazione del 10 dicembre 1838 Gargiulo riferisce che « a questo vaso vi ha supplito l’inesperto… una bocca, un collo e porzione della parte superiore del corpo affatto estraneo, e così mal fatto che lo deturpa, rendendolo goffo non solo, come pure nell’esecuzione e così male a fronte della finezza degli ornati e la purezza del disegno delle figure, lo fa così sfigurare che niente attira la considerazione degli amatori » e propone che la loutrophoros ed il cratere a mascheroni con Achille che trascina Ettore, proveniente anch’esso dall’acquisizione Ficco e Cervone, siano smontati, ripuliti, incollati con colla forte per « modificare l’errore » e che occorre restaurare i due vasi « secondo le buone regole di dett’arte: così che ridurre i due nominati vasi in grado di essere ammirati dagli amatori e conoscitori di tali oggetti. Per ciò che bisogna per tale operazione avendoli con considerazione esaminati io credo che il restauratore Sig. Fortunato vi ci potrà occupare tre mesi e mezzo e se li potranno pagare Ducati cento e Ducati venti per le spese». Siamo certi che il vaso «a langella » di cui parla Gargiulo sia la loutrophoros con Niobe poiché in una Minuta del Controloro del Real Museo del 18 Luglio 1839 si legge « Tra li vasi fittili … trovasi una così detta Langella nella quale è dipinta una Dea in un Tempio di colore bianco fiancheggiato da Giove e Mercurio. Questa langella che nella sua origine era di forma nuova e bizzarra, trovasi deturpata da inesperto Restauratore. Conviene dunque restaurarla per ridonarle la prisca sua bellezza. Il Sig. Gargiulo da me interrogato sul proposito mi assicura che questo lavoro eseguendosi dal Ristauratore D. Domenico Fortunato tra il giro di circa tre mesi di tempo, possa richiedere la spesa di ducati sessanta, cioè ducati dieci di materiali e ducati cinquanta per la mano d’opera…». Il restauro fu autorizzato se nella Ministeriale 6 Agosto 1839 si dice che S.M. approva il restauro del vaso «così detto Langella che è di una nuova e bizzarra forma, e trovasi deturpato da cattiva restaurazione, eseguendosi il lavoro sotto la direzione del Professore D. Raffaele Gargiulo dall’artista Domenico Fortunato …» e fu anche realizzato considerato il notamento di spesa di 60 ducati del 24 agosto 1839 a firma di Domenico Fortunato12.
5Dunque, pur con le dovute cautele, considerata la nota abitudine di Gargiulo di criticare i restauri non eseguiti nell’Officina del Real Museo sotto la sua direzione, si può affermare che la loutrophoros con Niobe pervenne al Real Museo Borbonico con un collo e una spalla «affatto estraneo», opera di un «inesperto» restauratore rubestino. In questo caso, vi sarebbe un primo, scadente restauro eseguito a Ruvo in cui il collo e la spalla già non erano originali cui seguì un secondo restauro effettuato a Napoli da Domenico Fortunato sotto la direzione di Gargiulo nel corso del quale il collo e la spalla sarebbero stati «suppliti ». I documenti d’archivio non aggiungono altre informazioni sul restauro napoletano.
6Troppo poco conosciamo dei restauratori attivi nella cittadina pugliese negli anni della frenetica attività di spoliazione delle necropoli. Giovanni Jatta senior in una lettera al fratello Giulio del febbraio 1828 rimprovera aspramente quest’ultimo per l’uso esagerato degli acidi che per impazienza e curiosità di pulire i vasi egli faceva e nel contempo accenna con disprezzo a un certo Adessi : «acqua forte non ne avrete neppure per cento secoli, giacchè il vostro pennello e il coltellaccio di Adessi per la carneficina dei vasi vanno di pari passo »13. L’unico restauratore sicuramente attivo a Ruvo con un proprio laboratorio, l’unico del quale Jatta senior si fidava e che descrive « già impiegato nella fabbrica di ceramiche, d’impareggiabile abilità nel disegno, conoscitore d’antichità, … excellens in arte », che lavorava « come un angelo »14, è don Aniello Sbani, noto anche come « negoziante di anticaglie », che operava nella città pugliese, oltre che a Napoli, con i figli Pietro e Vincenzo15, ambiguo ma affermato personaggio che proprio a Ruvo nell’agosto 1835 trovò la morte in circostanze poco chiare forse legate al commercio clandestino di materiali archeologici. Le forze dell’ordine che perquisirono la casa e il laboratorio dopo la scomparsa di don Aniello rinvennero casse piene di «rottami di vasi antichi» e oggetti in corso di restauro con l’indicazione dei proprietari tra cui anche mercanti senza scrupoli come il sellaio ruvese Donato Fatelli16. Di Sbani, come si è detto, conosciamo molto poco e non sappiamo se vi fossero rapporti di parentela con Paolo Sbani, restauratore di terracotte e vasi operante nel Reale Museo Borbonico intorno alla metà dell’80017.
7Nel corso del restauro eseguito nel 2012 si è potuto osservare che la base del collo della loutrophoros con Niobe ha un diametro di molto inferiore rispetto a quello del corpo antico del vaso e che presenta un margine netto dal taglio obliquo che lascia il sospetto che il collo possa essere stato originariamente realizzato per un’altra loutrophoros nella quale doveva inserirsi perfettamente e che poi, per ragioni che non conosciamo, sia stato riadattato alla loutrophoros inv. 82267 (fig. 7).
8Nel (secondo?) vecchio restauro (quello eseguito da Domenico Fortunato?) il raccordo tra il collo e il corpo del vaso era stato realizzato con un’integrazione decorata con tralci di vite che compare ancora in una fotografia del 1912 dell’Archivio Fotografico del MANN che mostra un dettaglio del Lato A della loutrophoros con un quadro fessurativo piuttosto preoccupante e lacune con rifacimenti pittorici (si veda, ad esempio, la parte inferiore del chitone di Niobe, il braccio e la parte inferiore della veste del re Tantalo) (fig. 8). Ancora nel 1912, quindi, la loutrophoros, che non compare nella Guida Ruesch del 1908 tra gli oggetti esposti nel Museo Archeologico, si presentava così come appariva nelle fotografie di Brogi e Anderson.
9Un nuovo restauro fu effettuato tra il 1912 e il 1960, epoca alla quale appartengono due scatti dell’Archivio Fotografico del MANN (fig. 9 e 10) che mostrano per la prima volta un’ampia integrazione acroma che il restauro del 2012 ha documentato essere costituita da un’anima di argilla grigiastra rivestita da uno strato di argilla rosata. Inoltre, l’interno della loutrophoros, in prossimità delle zone lacunose del piede e del collo, è risultato essere stato rinforzato con una sorta di intelaiatura costituita da uno spesso strato di stucco, colla e carta di giornale. Le cattive condizioni di conservazione della loutrophoros con Niobe hanno comportato la decisione di procedere a un nuovo e, ci si augura, definitivo restauro18 che, come si è potuto vedere in precedenza, si è rivelato, però, un’occasione straordinaria per ricostruire le vicende conservative e la storia dell’oggetto (fig. 11 e 12) e per porre l’attenzione su un tema ancora tutto da indagare: i restauratori che operavano a Ruvo negli anni del saccheggio delle necropoli antiche, la cui attività intuiamo in maniera sia pure indiretta mano a mano che studiamo i singoli oggetti, e i rapporti che essi dovevano intrattenere con i collezionisti locali e con i mercanti d’arte del Regno e stranieri.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Il testo è stato licenziato nel 2014.
Sulla loutrophoros inv. 82267: Fenicia 1840, p. 90; Heydemann 1872, p. 558-560, n. 3246; Trendall 1985, p. 129-144; RVAp I, p. 341, n. 13; Borriello 1996, p. 223-224; Gadaleta 2003, p. 447-448; Todisco 2002, p. 75, tav. 12,2; Montanaro 2007, p. 296-297, fig. 148-149; Giacobello 2013b; Melillo, Operetto 2013b.
2 Sulla Tomba delle Danzatrici : Tinè Bertocchi 1963; Todisco 1996, con bibliografia precedente; Cassano 1996; Gadaleda 2002; Melillo Faenza 2003.
3 Su Raffaele Gargiulo e il restauro della ceramica nel Real Museo di Napoli: Milanese 2005-2006; Milanese 2007b; Milanese 2010; Martino 2005; Kaestner 2010; Chazalon 2010; Svoboda 2010; Svoboda 2013.
4 Su Depoletti: Bernard 2008.
5 Jatta 1929, p. 47.
6 Sul commercio delle antichità nella Napoli borbonica: Borriello 1996; Iasiello 2011, in particolare p. 23-26.
7 Sugli scavi e il collezionismo privato a Ruvo nell’800 : Di Palo 1994; Borriello 1996; Montanaro 2007, p. 31.
8 Laviola 1837; Heydemann 1872, p. 552-554, n. 3242.
9 Fenicia 1840, p. 70-75, n. 29; Montanaro 2007, p. 363-365, fig. 239- 242.
10 Cfr. relazione del 10 dicembre 1838 di Raffaele Gargiulo al Controloro e al Direttore del Real Museo Borbonico. Ringrazio Angela Luppino per avermi segnalato il documento.
11 La verifica è stata effettuata da Angela Luppino e da chi scrive con la collaborazione dei consegnatari del MANN Maria Gabriella Martucci e Raffaele Danise.
12 Ringrazio Angela Luppino per avermi segnalato i documenti.
13 Jatta 1929, p. 44.
14 Jatta 1929, p. LXXXI. Su Sbani e sul fervore per gli scavi a Ruvo negli anni ’30 dell’800 : Di Palo 1994, p. 59-61.
15 Nell’Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è conservato un fascicolo sulle cause sostenute dal Real Museo contro Vincenzo Sbani per una statua di marmo rinvenuta presso Cuma tra il 1839 ed il 1841 e dallo Sbani venduta senza l’autorizzazione regia (II E 3 5). Cfr. anche « Produzioni chieste dall’avv. cav. Arpino riguardo alle cause d’interesse della Direzione del Real Museo, quelle cioè di Guarracino, Santoro e de Horatiis contro Luongo e Sbani, onde osservare il giusto punto in cui finirono le procedure », 1852 (III A 5 5).
16 Labellarte 1993, p. 35-36.
17 Nell’AS-MANN sono conservati i seguenti fascicoli relativi a Paolo Sbani: “Paolo Sbani adoperato nel restauro dei vasi italo-greci”, 1858 (XXI D 7 8); « Restauri di vasi greci eseguiti da Paolo Sbani. Anno 1860 » (XXI C 6 33); « Terrecotte. Restauro di quattro statue di terracotta » (restauratore Paolo Sbani), 1861 (XXI B 10 11).
18 Il restauro è stato eseguito nel 2012 in occasione di “Restituzioni 2013” presso il Laboratorio di Conservazione e Restauro del Museo Archeologico Nazionale di Napoli sotto la direzione di chi scrive e con il coordinamento di Mariateresa Operetto da Raffaele D’Aniello, Pasquale Festinese, Antonio Guerra e Antonio Esposito Marroccella. Le fotografie sono state eseguite dal fotografo Gennaro Morgese.
Auteur
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
luigia.melillo@beniculturali.it
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
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1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
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1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
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1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
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1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
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