Risorse agricole della costa ionica (Metaponto e Crotone) in età romana
p. 177-196
Résumés
L’evoluzione del territorio di Metapontoe Crotone dal IV sec. a. C. fino al IV sec. d. C. viene tracciata in questo articolo. La tesi di A. Toynbee-che l’Italia meridionale fu trasformata in un deserto abitato unicamente da pecoree schiavi in conseguenza delle campagne annibaliche-viene esaminata alla luce della intensa ricerca archeologicae rivela la sua impossibilità di applicazione per questa zona. Ci si basa qui su prospezioni fatte su larga scala, scavi di siti rurali ed esami di elementi botanici conservati (semie pollini)e di resti animali. L’approccio, di tipo cronologico, si rivolge particolarmente al sito di Metaponto, dove la ricerca è stata di gran lunga più completa.
This paper traces the evolution of the territories of Metaponto and Croton from the fourth century B. C. to the fourth century A. D. The thesis of A. Toynbee-that Southern Italy became a desert inhabited only by sheep and slaves as a consequence of Hannibal’s campaigns-is examined in the light of intensive archaeological research in the countryside and shown to be substantially inaccurate for these areas. The argument here is based on large scale field surveys, excavation of rural sites and the study of preserved plant (seeds and pollen) and animal remains. The approach is chronological and the focus is on Metaponto where research has been more complete.
Texte intégral
1Agri deserti, zone malariche abbandonate a vasti latifondi di pecore-questa è l’immagine del paesaggio agrario delle colonie greche dell’Italia meridionale nel periodo romano dataci dal grande storico Toynbeee da altri1 - un’immagine basata quasi interamente sui testi. Nessuna regione, secondo gli storici, fu più arretrata della Lucaniae della Basilicata. In breve, tutti i mali del Mezzogiorno dei tempi nostri, ebbero la loro origine con i Romani. Solo lo schiavismo stricto sensu non fu parte di questa triste eredità.
2Le poche parole degli autori antichi hanno avuto senza dubbio un peso eccessivo. Si dà, infatti, quasi per scontato il fatto che le colonie della costa ionica che appoggiarono Annibale subirono non solo la devastazione di vent’anni di guerra ma anche la successiva vendetta dei Romani. Ciò avrebbe significato il sequestro del territorioe la sua trasformazione in ager publicus. Il grande successo di Spartaco nel reclutare un ingente numero di schiavie pastori nei territori di Metapontoe Turioi è servito a confermare la teoria dell’allevamento su grande scala, così come la frase occasionale di Vairone –Metapontinos saltus - è stata considerata emblematica della conversione di un’economia agricola in una a pastorizia (Giannotta 1980).
3Benché l’importanza capitale attribuita da Toynbee alla guerra annibalica come causa di queste condizioni sia ora ritenuta eccessiva, le condizioni esistevano senz’altro seppur non in tutti i periodi né con la stessa intensità in tutte le aree del Sud, come hanno cominciato a dimostrare gli studi archeologici di varie regioni, specialmente della Puglia (Per esempio, Volpe 1990; Jones 1980).
4Il presente studio dei territori di Metapontoe di Crotone nel periodo romano, delle loro risorse agricolee dell’ambiente naturale è basato soprattutto su indizi archeologici-i risultati di vent’anni di collaborazione fruttuosa tra le Soprintendenze della Basilicatae della Calabriae l’équipe interdisciplinare della missione dell’Università del Texas2. Per ragioni di spazio, si concentrerà qui l’attenzione su Metaponto.
5La ricerca condotta nel centro urbano di Metaponto, di cui si occupanno i colleghie amici Antonio De Sienae Liliana Giardino, ha dimostrato la sua drammatica contrazione nel III secolo a. C. nell’area del Castrum, la distruzione del periodo della Guerra Servile, la sua ripre-sa nel I secolo dopo Cristoe la sua vitalità nel periodo tardo-antico nella zona del porto (D’Andria 1976; Giardino 1983). Τutto questo ha il suo complemento nel territorio. Anche lì infatti si riscontra un’attività che smentisce l’immagine di un progressivoe irreversible declino offertaci dagli storici. Le successive trasformazioni del territorio sotto il dominio romano saranno documentate qui con i dati delle campagne di intense ricognizioni, con i risultati degli scavie degli studi della faunae dell’evidenza paleobotanica.
I
6La chora della Metaponto greca era densamente popolata nella seconda metà del IV secolo a. C., un periodo di interminabli operazioni militari da parte dei Lucanie dei condottieri greci.
7Le ricognizioni condotte sotto la guida esperta, qui come a Crotone, di Cesare D’Annibale hanno interessato un’area di 42 km2 tra il Bradanoe il Basento, indicata qui dal rettangolo rosso. I campi coperti a tappeto sono colorati in grigio (fig. 1). In questo periodo centottantanove erano le abitazioni di agricoltori nell’area delle ricognizioni a tappeto, indicate con i quadretti, più le piccole necropoli (con i triangoli)e altri tipi di insediamenti (con i cerchi). Le fattorie erano distribuite più ο meno uniformemente sul terreno sabbioso delle terrazze marinee lungo le valli dei fiumie dei loro affluenti, dove le sorgenti sono numerose. Già nel primo quarto del III secolo a. C. la densità di queste diminuisce ma la distribuzione rimane immutata. Nella zona centrale questi insediamenti comunicavano con il centro urbano di Metaponto attraverso una rete di strade parallele, come dimostrano le foto aereee lo scavo.
8Le abitazioni erano in genere modeste strutture con ampio spazio dedicato alla produzione agricola. La grandezza media degli appezzamenti, secondo una ricostruzione molto precisa, era di 13,2 ettari, cioè una misura sufficiente perprodurre un surplus di grano (Carter 1990). La coltura dell’orzo nel periodo classico fu la fonte della rinomata ricchezza della colonia. Le numero se necropoli attestano l’alto livello di prosperità della chora e nello stesso tempo, secondo un recente studio antropologico, il grave problema della malaria (Henneberg 1990).
9Quali erano le piante, oltre l’orzo, tipiche della chora metapontina? Una risposta precisa a questa domanda è ora possibile grazie alla scoperta di un deposito di semie di pollini che va dal VI al I secolo a. C.
10Questo è stato conservato in un contesto stratigrafico nel santuario rurale di Pantanello. Il valore di queste informazioni è stato esteso ad un territorio molto più vasto perché, in contrasto con il grande interesse dimostrato da storici ed archeologi per una ricostruzione del paesaggio agricolo romano, non sono stati sollecitatie sviluppati studi di carattere naturalistico volti a definire il quadro vegetazionalee lo stato dei terreni agricoli. Lo studio approfondito di questo materiale è di Lorenzo Costantini per i semi,e di Donald Sullivan per i pollini (Carter 1985a) (fig. 2).
11Le colture principali per tutto l’arco di seicento anni erano i cereali ed i legumi. L’olivoe la vite erano d’importanza relativa intorno alla metà del IV secolo a. C. Nell’ultima "zona" pollinica che va dal III al I secolo a. C. e corrisponde alla prima fase del dominio romano della costa ionica, tutte le colture sono in declino, ma la presenza dell’olivo è più alta di quanto fosse nel VI secolo a. C. Gli indizi del pascolo, Centaurea e Plantago, salgono lievemente, ma sono meno importanti di quanto fossero nei primi anni del VI secolo a. C., cioè nel primo periodo della chora coloniale.
12La costante bassa presenza del pino, indica la lontananza delle foreste (fig. 3). Fra il VIe il I secolo una punta anche se modesta delle specie della macchia nel IV secolo a. C. può riflettere un declino nel pascolo di quelle specie di animali che distruggono la macchia, soprattutto delle capre. Un’ascesa pronunciata delle Liguliflorae nel periodo romano suggerisce un abbandono dei campie un possibile ritorno, almeno parziale, alla pastorizia, come nel periodo greco arcaico (Sullivan 1983).
13L’evidenza dei pollini è corroborata da quella della fauna. I bisogni delle specie selvatiche trovate nella chora rispetto all’ambiente indicano che le foreste non erano, comunque, molto lontane.
14Campioni signicati vi della fauna provengono da siti che rappresentano i principali periodi della vita di questo territorio, dal tardo neolitico al IV secolo d. C. Il cervo rosso (Cervus elaphus), le cui ossa costituiscono il 65% dei resti di animali selvatici in tutti i siti, con l’eccezione del primoe dell’ultimo, ha bisogno di fitte foreste (fig. 4). Altre specie presenti richiedono, invece, la presenza di prati punteggiati da zone boschiferee di boschi a galleria lungo fiumie ruscelli. Questo materiale è stato studiato dal Dottor Salvatore Scalie dal Professor Sandor Bökönyi (Bökönyi 1990).
15Per concludere la breve discussione paleobotanica, l’evidenza di semi provenienti dai livelli del ive del III secolo a. C. nel santuario oltre i cereali include una grande varietà di piante da foraggio, quali la fava, la veccia,e l’erba medica ο alfalfa, la cui introduzione dall’Oriente, attraverso la Grecia, era un fenomeno molto recente (Costantini 1983; White 1970, 202-203).
16Nota per le sue alte qualità nutritivee per la resistenza alla siccità, l’alfalfa avrebbe dato senza dubbio una spinta forte all’allevamento di animali da pascolo. La costante importanza dei legumi nella testimonianza pollinica sarebbe, come vedremo, una conferma all’ipotesi dell’allevamento, in particolare del bestiamee del cavallo nel Metapontino romano.
17Di per sé il polline parla di declino ma anche di continuità. Nel periodo in cui la chora passa sotto il controllo romano non ci sono cambiamenti bruschie inaspettati. Tuttavia ci si chiede; come cambia la distribuzionee il tipo di insediamento nel territorio? E come si possono accordare i cambiamenti degli insediamenti con l’evidenza fornita dai pollini?
II
18Grossi cambiamenti ci sono senza dubbio stati (fig. 5). Nel ii secolo a. C. il numero di insediamenti nel territorio è stato approssimativemente un sesto di quello del IV secolo a. C. Dei siti del II secolo a. C. solo una dozzina sono da considerare di principale importanza (indicati qui con i quadretti pieni) per dimensionie densità del materiale in superficiee per la quantità di ceramica a pasta grigia — fossile-chiave del tardo periodo repubblicano nell’Italia meridionale. In tutti i casi, salvo uno, i quarantasei siti con ceramica del II secolo sono stati occupati anche nel periodo della colonia -e la maggior parte fino all’inizio del iii secolo a. C.
19Le alte terrazze della chora, tanto adatte alla coltura del grano,e tanto densamente occupate durante il Ve IV secolo a. C. vengono abbandonate completamente; contemporaneamente scompare il sistema di strade parallele. La densità dell’insediamento è relativamente maggiore lungo la valle del Basento, con la concentrazione più forte a Sant’Angelo Vecchio.
20Un calo simile nel numero di insediamenti, dal IV al II secolo a. C., si verifica anche nel territorio di Crotone. Qui varia la strategia delle ricognizioni-quadrati di cento ettari scelti a caso invece di una striscia intera —, ma il totale dell’area coperta a tappeto è quasi la stessa,e il numero di siti in tutti i periodi, eccetto quello tardo-romano, è molto simile3. Scavi ancora molto limitati a Crotone hanno confermato che la fattoria isolata anche lì era l’unità basilare della chora coloniale (Morter 1990). Metaponto quindi non fu sola — anche se i risultati ricavati a Crotone non permettono per ora confronti particolareggiati, tranne nel caso delle ricognizioni. Generalizzazioni riguardo alla costa ionica perciò sarebbero, per ora, premature.
21A Metaponto, nella zona delle ricognizioni a tappeto alcuni siti sono distanziati 500 metri l’uno dall’altro. Altrove l’intervallo è di 1000 ο 1100 metri, eccetto nella zona centrale delle terrazze più basse dove il sito principale dista circa 2000 metri dall’equivalente più vicino.
22I tipi di ceramica – la ceramica fine, quella da cucinae quella da deposito-presenti in ciascuno di questi siti, così come le loro proporzioni numeriche, sono paragonabili a quelli dei siti del periodo coloniale. Le percentuali relative dimostrano in media un modesto aumento della ceramica di tipo utilitario. Se questi siti fossero dei semplici stabilimenti industriali adibiti al lavoro da parte di schiavi solamente ci si aspetterebbe una percentuale più alta di ceramica grezza.
23I siti stessi del II secolo a. C. tendono ad essere in media più estesi di quelli del IV secolo, ma la differenza potrebbe anche essere poco significativa. Se i siti principali sono ritenuti unità simili ed indipendenti, un calcolo approssimativo, basato sull’intervallo tra questi, suggerisce una grandezza massima per quelli lungo il Basento, che va dai 25 ai 125 ettari ο dai 100 ai 500 jugera. Appezzamenti di queste dimensioni rientrano nell’ordine di grandezza della fattoria "capitalistica", ad investimento, descritta dal contemporaneo Catone,e nei limiti stabiliti dalla lex agraria del 133 a. C., per gli appezzamenti individuali dell’ager publicus. Bisogna considerare anche le ville grandi lungo la costa scavate da De Sienae Giardino.
24Tre siti del IIe I secolo a. C., tutti lungo il Basento, sono stati scavati dall’équipe dell’Università del Texas (fig. 6). A Sant’Angelo Vecchio una coppia di fornaci del II secolo è stata scoperta vicino a fornaci del IV secolo a. C. (Edlund 1986). Ampie indicazioni di attività industriali appaiono in un grande sito, non scavato, a 500 metri di distanza sul vecchio argine del Basento. A Pantanello, due fornaci, una struttura per la lavorazione, un deposito dei prodottie uno scarico per i rifiuti offrono un quadro completo di un kerameikos rurale (Carter 1977) (fig. 7).
25Questi vari stabilimenti erano intercomunicanti con la zona del Castrume quella del porto attraverso una strada indicata con la linea rossa punteggiata. Il percorso di questa è definito dagli altri insediamenti del periodo, sia nell’area di ricognizioni a tappeto tra Biadanoe Basento, sia in quella intorno a Pantanello. È probabile che la linea centrale che divideva la chora in epoca coloniale continuasse in modo limitato a servire i pochi grandi siti dell’area centrale della chora.
26La fabbrica di ceramica a Pantanello occupava una grande estensione, di circa 1000 m2, della collina sopra al santuario greco. Diversi elementi di archittetura monumentale greca sono stati riadoperati nella costruzione. Lo scarico era pieno. Anfore mal cotte con il timbro Damokrates (fig. 8), coppe del tipo Megarese di alta qualità (fig. 9), tegolee scorie di ferro attestano le varie attività.
27Materiali simili sono stati recuperati più in alto nella vallee anche nello scavo del Castrum fatto dalla Soprintendenza. La produzione di anforee di tegole era, ovviamente, per uso localee costituiva un aspetto importante dello sfruttamento del territorio agricolo. Questa testimonianza insieme con quelle polliniche,e della distribuzione dei siti nell’area delle ricognizioni a tappeto dovrebbero essere sufficienti a dimostrare che la vita nel territorio fu diversificatae intensa, insomma tutt’altro che agri deserti abbandonati alla pastorizia.
28I risultati dello scavo a Pantanello rivelano, inoltre, il tipo di agricoltura praticata. Lo scarico conteneva anche un ricco deposito di ossa di animali selvaticie domestici. Questo materiale, per essere compreso completamente, deve essere visto nel contesto della fluttuazione demografica animale nel territorio attraverso il tempo (fig. 10). Le nostre testimonianze risalgono al tardo periodo neoliticoe arrivano al periodo tardo-imperiale.
29Nel periodo preistorico è evidente la supremazia di ovinie caprini tra le specie domestiche. La percentuale di pecoree di capre è ancora molto significativa a Incoronata, che fu occupata durante il periodo dei primi contatti con i Grecie durante il primo insediamento coloniale nel lei-ritorio. Ma ad Incoronata il Bos, cioè il bestiame, il Sus, ο maiale, acquistano un’importanza non trascurabile. Si deve tener presente che in questo periodo gli indicatori pollinici del pascolo sono alti.
30Un cambiamento drammatico nella fauna appare in due siti, Pantanelloe Sant’Angelo Grieco, che documentano la chora metapontina nel periodo della sua floridezza, dal tardo VI secolo alla fine del IV secolo a. C. In tuttie due i siti il bestiame ha la supremazia. Sicuramente questo fatto è un riflesso dell’importanza dei buoi come "trattori" di un’economia agricola che produce soprattutto cereali. Da questo punto di vista la supremazia assoluta di ossa di buee l’alta percentuale di ossa equine nel deposito del II secolo a. C. puntano alla continuità dell’agricoltura dal periodo greco a quello romano. Nell’ultima fase dell’occupazione romana del territorio, a San Biagio, gli ovini sembrano tornare ad avere un ruolo dominante per la prima volta dopo l’arrivo dei Greci. Sembra perciò probabile che la pastorizia fosse praticata, seppur marginalmente.
31Non è, infatti, solo la quantità delle ossa animali recuperate nello scarico della fornace del II secolo a. C. ad essere indicativa, bensì anche le dimensioni delle stesse. L’analisi del Prof. Bokonyi dimostra la presenza di buoi di eccezionali dimensioni già nella chora greca. Bokonyi inoltre afferma che le ossa provenienti da questo deposito attestano la presenza di animali di statura molto grande rispetto alle razze dell’epoca classica.
32L’altezza del garrese suggerisce infatti la pratica, nel II secolo a. C., di un allevamento selettivo di bestiame di grandi dimensioni. La grandezza media di questo bestiame è di 131 cm al garrese che ben corrisponde alle misure del bestiame più grande delle province romane (per esempio in Pannonia la media era di cm 126,3). Bokonyi osserva inoltre che il bestiame a lunghe corna era molto vicino in dimensioni al bestiame selvatico, cioè agli aurochsen, anch’essi presenti nel depositoe che questo fatto era caratteristico della razza superiore del bestiame italiano. «Il campione del bestiame proveniente da Metaponto», scrive Bokonyi, «dimostra che una specie di bestiame di qualità superiore era arrivata in Italia nei tempi delle colonie greche, benché Γ alta statura, la colorazionee la costituzione massiccia fossero risultati ottenuti nel periodo della dominazione romana. Fu dall’Italia che si diffusero in quantità più ο meno grandi trasformando l’allevamento nelle province» (Bokonyi 1990).
33A conclusioni simili Bokonyi è arrivato anche per l’allevamento del cavallo che sorpassava nell’altezza del garrese i migliori cavalli d’Europa prima del periodo romano imperiale.
34Qual è il significato dell’allevamento di razze superiori a Pantanello? Questo fenomeno può essere un’altra indicazione del fatto che le fattorie del IIe del I s. a. C. nel Metapontino furono del tipo capitalistico descritto da Catone. La loro estensione avrebbe richiesto "trattori" più potenti ed efficienti. Inoltre i cavalli avrebbero potuto essere allevati per l’esportazione. La posizione primaria in Italia dei buoie cavalli di Pantanello è ovviamente dovuta alla mancanza di simili studi altrove sulla penisola (Bökönyi 1988).
35Il numero relativamente alto delle ossa di ovini nel deposito del IV secolo d. C., com’è stato notato prima, suggerisce un cambiamento nella demografia animale del territorio dopo il periodo repubblicano-ma quando avrebbe avuto luogo un tale evento? Un’ulteriore osservazione sullo scarico delle fornaci potrebbe aiutare a precisare il periodo della trasformazione.
36Fortunatamente il deposito, stratificato,e un’analisi delle ossa ad ogni livello rivela che la più alta percentuale di ossa di bestiame si trova ai livelli più bassi, livelli ben datati dalla presenza di due assi repubblicane degli anni 150 a 146 a. C.
37Le percentuali degli ovini invece cresce inversamente, toccando il massimo nei livelli più alti del deposito, dove quantità di ceramica aretina con timbro forniscono una datazione sicura all’età augusteae del Principato (Cabaniss 1983).
III
38L’ipotesi di una trasformazione nel tardo periodo repubblicanoe primo Impero da un’agricoltura intensiva su grande scala alla pastorizia almeno parziale trova sostegno nei risultati delle ricognizioni a tappeto, per il I secolo d. C. (fig. 11). In nessun periodo, anteriore ο posteriore fu il territorio così scarsamente popolato. Il lato del Bradano fu completamente abbandonato. In quel momento la situazione reale avrebbe potuto veramente sembrare quella suggerita dalla frase occasionale di Varrone, Saltus Metapontìnos. Varrone è la nostra principale autorità per la documentazione della transumanza in Lucania. La sua opera si data alla seconda metà del I secolo a. C., cioè, per Metaponto, poco dopo le distruzioni causate dalla Guerra servile (Varro, RR, II, 9, 6).
39Il numero di siti databili con certezza agli ultimi anni del I secolo a. C. e al I secolo d. C. sono solo una dozzina in tutta la zona delle ricognizioni a tappeto, cioè un terzo appena del numero di siti occupati nel periodo tardo-repubbl icano. Inoltre, quasi tutti questi siti sono secondari, indicati qui con quadretti vuoti. Tutti furono più intensamente occupati nel periodo precedente. L’unico sito di qualche rilievo nella zona delle ricognizioni è ubicato su una delle terrazze basse appena a sud della zona centrale con una grande estensione di terra vuota intorno. L’estensione media dei siti occupati in questo periodo diminuisce notevolemente rispetto a quella del periodo repubblicano ma la percentuale di ceramica utilitaria è leggermente più alta.
40L’impressione della presenza di siti più poveri nel primo Impero è confermata dallo scavo a Sant’Angelo Grieco nella valle del Basento. L’edificio del tardo periodo repubblicano funzionava da residenzae da laboratorio, con una cucinae una stanza adibita al lavoro del telaio (fig. 12). Elementi architettonici del periodo greco, comprese le fondazioni della precedente fattoria greca (e un capitello dorico di notevole dimensioni di un tempio ο edificio pubblico della metà del V secolo a. C.) furono incorporati nella struttura. Questa fattoria fu abbandonata nel tardo I secolo a. C. (fig. 13).
41La ceramica aretina del sito proviene da una tentatae parziale rioccupazione. Lo stesso genere di riadattamento rozzo di una struttura tardo repubblicana esistente è stato verificato anche nella fabbrica di Pantanello. Sia la fornace grande, sia l’edificio circostante furono ridotti a un frammento della loro precedente dimensione in età augustea.
42Oltre Varrone, un numero notevole di scrittori antichi ci ha lasciato testimonianze sui pastori della Lucaniae sulle loro greggi, come pure brevi descrizioni delle forestee degli animali selvatici. La maggior parte di essi vissero tra la fine del I secolo a. C. e il I secolo d. C. (Wiseman 1964, 34 sq.). Non è quindi casuale che i depositi della fauna indichino ancora in questo periodo un’alta percentuale di ossa del cervo rosso, da cui si può dedurre la continua presenza di dense foreste nelle vicinanze (fig. 14).
43È interessante notare che il piccolo campione di ossa rinvenuto a Sant’Angelo Grieco, all’estremità nord-ovest della zona delle ricognizioni a tappeto, il più vicino dei siti scavati al limite della foresta, non soltanto rivela un’alta presenza del cervo ma anche il numero maggiore in assoluto di ossa di Sus ferox ο cinghiale che in questo sito costituisce il 16% del totale di tutte le ossa di specie selvatichee domestiche. Dunque la foresta continua a fornire, attraverso il periodo colonialee i primi tre secoli del dominio romano, un modesto supplemento alla dieta dell’agricoltore metapontino. Da questo punto di vista non c’è infatti nessun’indicazione di cambiamenti rilevanti nella tipologia della forestae certamente nessun segno di progressivo ed esteso disboscamento dell’entroterra metapontino in questo lungo arco di tempo.
44Se così stavano le cose, un’altra spiegazione va trovata per i segni di erosione drammaticae di grandi alluvioni nelle valli sin dai tempi preistorici. Indicazioni di questi avvenimenti si trovano dovunque nelle valli del Bradano, Basentoe Cavone. Basti citare un esempio nel Bradano, leggermente a monte della zona delle ricognizioni. Lì il fiume, in tempi piuttosto recenti, ha inciso un nuovo letto attraverso 15 metri di deposito alluvionale. In un punto, sono stati scoperti tre siti sovrapposti. Vicino al livello attuale del fiume si trova un insediamento preistorico, probabilmente neolitico.
45Dieci metri più in alto si sono scoperti murie il tetto caduto di una fattoria, probabilmente del III secolo a. C. Ancora più in alto (tre metri) è venuta alla luce una grande struttura del tardo impero con pithos interrato visibile nella sezione (fig. 15). Una stratigrafia simile si riscontra nelle altre due vallate esplorate.
46È significativo il fatto che nella zona delle ricognizioni non sia stata trovata nessuna traccia di insediamento nel I secolo d. C. ? Chiaramente tutte le vallate erano soggette ad alluvioni, ma può darsi che solo lungo il Biadano siano state così serie da scoraggiare completamente l’insediamento. Un’altra osservazione, a questo punto, sembra rilevante.
47Immediatamente al di sotto della struttura del tardo Impero, esposto dal Bradano, si trova un incipiente paléosol, un antico suolo in via di formazione. Questo fenomeno è un’indicazione di un periodo di stabilità dell’ambiente antecedente la costruzione dell’edificio. Tali condizioni di stabilità ambientale, se esistevano realmente, avrebbero certamente contribuito alla modesta ripresa del territorio dal II al V ο VI secolo d. C. Ci potrebbe essere stata una pausa nelle alluvioni dovuta all’abbandono dell’agricoltura nel I secolo d. C. nel territorio?e anche a monte? È possibile che la povera economia di pastorizia, che sembra caratterizzare il I secolo d. C. abbia causato direttamente ο indirettamente una diminuzione delle alluvioni? Recenti indagini geomorfologiche (ancora in corso) potrebbero chiarire sia la cronologia che le cause di questi episodi di erosioni che sembrano essere stati catastrofici (Brückner 1986; Abbott 1990; Boenzi 1987).
IV
48Le ricognizioni rivelano una rinascita degli insediamenti lungo il Bi adanoe in tutto il territorio durante gli ultimi quattro secoli dell’Impero romano (fig. 16). In alcune zone, come a Giardinettoe a San Marco, nella valle del Bradanoe a Sant’Angelo sul Basento, agglomerati di siti occupano aree che erano state popolate più intensamente nei periodi colonialee repubblicano. Sebbene la distribuzionee la forma degli insediamenti nel tardo Impero somigli per alcuni aspetti a quella del periodo repubblicano, è evidente tuttavia un dislocamento globale, senza precedenti in tutta la storia del territorio greco-romano. Mentre tutti i siti del periodo repubblicano furono occupati nel periodo coloniale,e tutti i siti del primo Impero coincidevano con quelli repubblicani, soltanto un sito del I secolo d. C. continua nel secolo seguente,e soltanto dodici, su un totale di trentanove siti del tardo Impero furono occupati, un secolo prima, nel periodo tardo repubblicano. L’insediamento del II secolo d. C. ha tutta Γ apparenza di un’iniziativa nuova, ma la sua somiglianza con l’insediamento nel periodo repubblicano, insieme con l’evidenza trovata dal De Siena nel porto di un rinnovato commercio del grano in questo periodo suggerisce, almeno che la pastorizia non fu l’unica attività4 del territorio, ma che c’era anche una componente di cerealicoltura-cerealicoltura anche documentata generalmente per questa costa dall’autore dell’Expositio totius mundi per il iv secolo,e per il VI secolo da Cassiodoro5.
49Un confronto della distribuzione dei siti sicuramente databili al iie al iii secolo a. C. con quella dei siti del ive del v indica una permanenza della loro distribuzionee forma durante questi quattro secoli (Hayes 1985). Alcuni siti scompaiono, nuovi prendono posto vicino, ma la forma generale, gli agglomerati, la distribuzione di piccol ie grandi siti rimane la stessa. L’aspetto più interessante di questo fenomeno è la permanenza degli agglomerati di siti lungo le due vallate. Questo è infatti proprio l’aspetto più originale del tardo Impero nel territorio. Ci si domanda se siano dei piccoli villaggi ο ville composte di quattro ο cinque diverse strutture.
50Un fenomeno analogo è chiaramente presente nel territorio di Crotone, dove i siti del tardo Impero, in genere sono più frequenti (fig. 17). Lì una dozzina di siti, ο più, formano gli agglomerati che coprono un’area più vasta,e sembra perciò molto probabile che si tratti di villaggi. Uno dei più grandi si trova nell’area della nuova base NATOe a quest’ora potrebbe già essere stato distrutto insieme con tanti altri siti di epoche diverse (fig. 18).
51Nel Metapontino, nel periodo tardo-romano, la distanza tra siti è di circa 500 ο 1000 metri, come nel periodo repubblicano, mentre tra i due agglomerati di siti sul Bi adano è di 2000 metri. Una distanza simile si nota tra l’agglomerato di Sant’Angeloe la piccola villa scavata a San Biagio appena al di fuori della zona delle ricognizionie vicina all’angolo sud-ovest. Il fatto che questi agglomerati (che siano concentramenti di siti ο pochi grandie complessi stabilimenti) si trovino ad intervalli brevie regolari lungo le strade non è un indizio decisivo (fig. 19).
52Più indicativo, forse, è il fatto che il sito di San Biagio sia infatti una villa, benché piccola e, sembra, isolata. Due piccoli depositi di monete ci danno la datazione sicura dagli ultimi anni del III secolo alla metà del IV secolo d. C. In seguito fu abbandonata.
53L’edificio ha una pianta quadratae copre 320m2 al- l’incircal’incirca. Prescindendo dal fatto che è più grande ed era fornita di un cortile lateralee di un piccolo complesso balneare, la pianta, con tre file di stanze senza cortile centrale, ha molti elementi in comune con quella della fattoria greca a Ponte Fabrizio sulla vicina valle della Venella.
54Il confronto di questi due edifici mostra un forte conservatorismo nell’archittetura rurale di questa regione, che abbraccia sei secoli ricchi di cambiamenti politici ed economici di grande rilievo (Carter 1981).
55Può darsi che la villa, ο per meglio dire, la fattoria a San Biagio appartenesse ad un vilicus che ostentava un modesto lusso-vetro alle finestre, pareti intonacate, dipintie un ipocausto nel bagno. La testimonianza della fauna proveniente da questo sito, notata prima, indica l’importanza delle pecoree della pastorizia (v. fig. 10).
56Si nota qui la presenza sia di ovini che di capre, con una chiara preferenza per i primi, come in tutti gli altri periodi. Il riapparire di una notevole quantità di ossa di maiale dopo uno iato di molti secolie il numero veramente significativo delle ossa di gallo che appaiono per la prima volta, segnalano lo sviluppo di un allevamento diversoe più moderno.
57I pithoi interrati per il vinoe forse per l’olio indicano che almeno una parte della terra vicina era destinata ad un’agricoltura intensivae diversificata. Alla luce di questi dati la fattoria di San Biagio si avvicina forse più dei siti più antichi qui discussi al vecchio ideale dell’autosufficienzae del profitto (fig. 20).
58Per riassumere: i risultati delle indagini archeologiche nella chora di Metaponto delineano uno sviluppo molto diverso da quello postulato dagli storici in base alla limitata evidenza documentaria. Agerpublicus sarebbe potuto diventare nel II secolo a. C. senza dubbio. Le numerose fattorie, piccole mediee grandi del periodo classico sono scomparse, ma l’unità di grandezza giusta per un’agricoltura scientifica ο almeno ben organizzata con il probabile uso di schiavi, l’evidenza per un allevamento all’avanguardiae per una continuazione della colture tradizionali come il granoe quelle meno note delle piante da foraggio, sono prove sufficienti che la terra non fu abbandonata alla pastorizia, almeno non prima dell’età augustea, ma che fu invece sfruttata al massimo dai suoi nuovi padroni. Questa striscia della costa ionica nei due secoli dopo Annibale non fu certo il paese arretrato rappresentato dagli storici, ma fu invece un’area all’avanguardia degli sviluppi più avanzati, almeno nel campo dell’allevamento. Questa supremazia fu persa, pare, in seguito, ad opera delle province, come pure, altrove, nel II secolo d. C. fu persa quella del commercio fiorente dell’olioe del vino (Potter 1987, 169-170). Dopo uno iato di poco più di un secolo il territorio torna alla produttività nel II secolo d. C. — di nuovo-per quanto ci indica l’evidenza seguendo le pratiche agricole più adatte al suo suolo, l’allevamentoe la coltivazione del grano.
Discussion
59W. JOHANNOWSKY: Quello che io vorrei far presente, a proposito del tipo di ricerche che sarebbe ideale fare, come le ha fatte Carter, è esaminare anche le situazioni dovute a fattori come l’erosionee le alluvioni. Questo, ovviamente, mediante carotaggi,e cioè sempre con la prospezione sul terreno in superficie. Il territorio di Velia, a mio avviso, si presterebbe moltissimo perché è un territorio in sé concluso, dove ho potuto constatare anche con dei saggi dove ho dovuto intervenire in area dove è sorta una diga, praticamente, che c’era un insediamento antico completamente sconvolto-cioè le strutture non c’erano più, c’era molto cocciame, un insediamento del V sec. avanti-da frane, cioè dall’erosione. Dall’altro lato c’è tutto il golfo che è stato riempito, dall’antichità in poi, dalle alluvionie sappiamo sicuramente che era un seno di mare. Quindi penso che anche questo aspetto debba essere considerato, cioè la linea della costa anticae le cause che hanno determinato (credo innanzitutto il disboscamento, tra queste) queste situazioni.
60J. C. CARTER: Vorrei dire qualcosa a proposito della mancanza di fondi. C’è una falsa opinione che il tipo di ricerca che faccio io ed altri costi tanti soldi. Non costa molto per niente, è una frazione di quello che costa uno scavo. Per esempio, la ricostruzione dell’evoluzione del paesaggio che ho fatto oggi è basata su diversi elementi,e uno dei più importanti è quello della ricognizione del territorio per cui ci vogliono 4 ο 5 persone’buone’, con uno che veramente sappia il suo mestiere. Le persone di buona volontà devono dormiree mangiare. Ma questa non è una grossa spesae vorrei sottolineare che il tempo per fare questo tipo di lavoro è quasi finito perché ora il paesaggio sta subendo grosse trasformazioni con mezzi meccanici potentie fra poco non ci sarà più rimasto niente. Questo è molto grave. Io speravo, quando ho iniziato, di’incitare’altre persone a fare questo tipo di lavoro altrove, ma sono pochi purtroppo quelli chehanno seguito ciò nel Sud,e questo è un grosso peccato, veramente. Noi quest’anno siamo andati di nuovo sul terreno dove abbiamo cominciato le ricognizioni dieci anni fa,e la distruzione è tale da far venire le lacrime, veramente; grossi siti non esistono più, altri certamente sono apparsi con questi grossi movimenti di terra. Ci sono siti preistorici che non abbiamo visto prima, però i nostri risultati sarebbero irripetibili, ora, in quella zona. Volevo dire questo da tanto tempo a un pubblico che potesse capirne l’importanza.
61E. LATTANZI: Sì, quello che dice J. Carter è profondamente vero; a distanza non solo di dieci anni, ma anche di qualche anno non si trovano più quelle presenze individuate nelle ricognizioni precedenti. Come Soprintendenza (parlo naturalmente per la Soprintendenza archeologica della Calabria) cerchiamo quanto più è possibile (e tutti sanno quanto siano diversie numerosi i compiti di una Soprintendenza), di continuare a fare queste ricognizioni seguendo segnalazioni ma anche sistematicamente. Si è cercato anche di fare un tentativo con i famosi progetti’giacimenti culturali’abbiamo cercato di far battere a tappeto alcuni territori: il territorio di Laos, il territorio di Hipponion-Vibo Valentia, però certo sono ricerche terminate non solo per mancanza di fondi, ma forse anche per mancanza di gruppi organizzati. C’è necessità di organizzare ricerche, come quelle con l’Università del Texas; ricordo anche i colleghi canadesi che lavoravano in Basilicata quando Adamesteanu era Soprintendente. Purtroppo in Italia meridionale non ci sono molti esempi. Conosco altrove diverse organizzazioni, ma in Italia meridionale questo è lasciato all’iniziativa di alcune Università, di alcuni gruppi. Sarebbe assolutamente necessario incrementare questo tipo di ricerca, naturalmente cercando conferme con lo scavo. È chiaro che non è sufficiente l’indagine di superficie, ma senza quella non si può neppure fare la verifica con lo scavo.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Toynbee 1965; Brunt 1971. Alcuni studi storici più recenti che tengono conto dell’evidenza archeologica offrono un quadro diverso, più in armonia con quello presentato qui. Per esempio: Frederiksen 1970; Garnsey 1979; Ghinatti 1977.
2 Rapporti preliminari negli Atti dei Convegni di studio sulla Magna Grecia di Taranto del 1974, 1975, 1976, 1977, 1982, 1983, 1984, 1985 e inoltre i rapporti preliminari dell’Istituto di archeologia classica dell’Università del Texas, citati sotto.
3 Carter 1985b; J. C. Carter. C. D’Annibale, in: Atti del Convegno di studi sulla Magna Grecia di Taranto del 1983, 1984, 1985.
4 A. De Siena, comunicazione personale.
5 Cassiodoros, The Letters of’Cassiodoros (ed. T. Hodgkin). London, Frowed, 1886, p. 185, 2, 26; p. 163, 1, 35; Expositio Totius Mundi. (ed. J. Rougé). Paris, Les Editions du Cerf, 1966, p. 190, 53, 5.
Auteur
University of Texas, Austin
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