Canali e fiumi per il trasporto del grano
p. 159-165
Résumés
La fossa Neronis, il canale navigabile concepito dopo l’incendio di Roma nel 64 d. C., i cui lavori furono interrotti nel 69 in seguito allo scoppio della rivolta in Gallia, ha lasciato tracce ben visibili lungo gran parte del litorale campano, così come il taglio dell’istmo di Corinto, che rientrava nello stesso progetto, dovuto all’esigenza di rendere più sicuro il rifornimento alimentare dell’Urbe. Tra l’altro ne sono testimonianza la “fossa del Castagno” tra le lagune del Fusaroe del Lucrino, cui si riferisce evidentemente quanto ne dice Tacito, e il taglio del Pisco Montano a Terracina. Nell’ambito delle soluzioni di ripiego vanno annoverate le opere per rendere navigabile il Calore con funzione complementare alla via real izzata sotto Domizianoe un mulino ad acqua facente parte del rinnovamento del ponte sullo stesso fiume tra Aeclanume Beneventum completato nel 126.
The fossa Neronis, the navigable canal conceived after the great fire of Rome in 64 A. D., work on which was interrupted in 69 following a revolt in Gaul, has left very visible traces along a great part of the Campanian coast, just as the cutting of the isthmus of Corinth, which was part of the same project, due to the need of rendering more secure the resupply of foodstuffs to Rome. Other evidence is provided by the “fossa del Castagno” between the lagoons of Fusaro and Lucrino, to which Tacitus’ observation evidently refers, and the cut of Pisco Montano at Terracina. Among makeshift solutions are the works to make navigable the river Calore with a complementary function to the road built by Domitian and a water-mill included in the renovation of the bridge on the same river between Aeclanum and Beneventum completed in 126.
Texte intégral
1Benché le notizie che ce ne danno Tacitoe Suetonio siano esplicitee l’accenno di Stazio sia abbastanza chiaro (Tac., Ann., XV. 42; Suet., Ner., 3 1 ; Stat., Silvae, IV. 3), solo recentemente sono stati individuati alcuni tratti della parte più meridionale del canale iniziato da Nerone, consigliato dai tecnici Celere Severo, che avrebbe dovuto facilitare la navigazione tra Puteoli e Roma (Johannowsky 1990. 1 sq.), la cui costruzione, iniziata forse ancora nel 64 d. C., è stata sospesa in seguito alla rivolta di Vindex nel 69. Quanto rimane di quel che fu effettivamente realizzato, insieme con il canale attraverso l’istmo di Corinto, rimasto anch’esso incompiuto, e che rientrava nello stesso programma, dà un’idea della grandiosità dell’opera, la cui mancata ripresa è dovuta evidentemente alla sua classificazione come pazzesca, il che spiega anche il silenzio delle fonti pervenuteci sui suoi veri motivi, comunque chiaramente intuibili. Basta dire che la situazione alimentare di Roma era divenuta in seguito all’incendio del 64 da precaria a disperata, tanto da im-porre l’abolizione delle frumentationes tradizionali e il dimezzamento politico del prezzo del grano, e che già con Galba si tornò alla situazione precedente (Virlouvet 1986, 1 16, n. 83), per capire che la creazione del canale avrebbe dovuto eliminare gli squilibri dovuti al potenziamento, con aspetti anche speculativi, dello scalo di Puteoli nella prima età imperialee la precarietà delle strutture portuali alla foce del Tevere, esposte alle alluvioni del fiumee alle mareggiate, ma anche ai costie alla perdita di tempo che implicava il trasporto via terra1.
2Mentre una parte del tracciato della/ossa Neronis a Ν del Circeo era stata già individuata dal Lugli (1928, col. 86), ancora nel 1956 il Maturi si limitò a ripetere a proposito del tratto campano l’ipotesi espressa dal De Iorio, secondo cui la sola traccia visibile sarebbe stata la laguna di Licola, interrata agli inizi di questo secolo (De Iorio 1822, 122 sq. ·, Maturi 1954, 57 sq.), mentre più recentemente il Paget ha ritenuto di poter mettere una traccia da lui riconosciuta tra Cumae il lago Fusai o in rapporto con una ipotetica utilizzazione di quest’ultimo come bacino per il porto di Cuma (Paget 1968, 152 sq.), e la bibliografia archeologica più recente non ha neanche affrontato il problema2.
3Decisiva è stata senza dubbio l’osservazione delle fotografie aeree eseguite nel 1943 dalla R. A. F. insieme con la cartografia eseguita su nuove basi nel dopoguerra dall’I. G. M., che, insieme con ricognizioni sul terreno, ha permesso di riconoscere lunghi tratti del canale già parzialmente sterrati tra il portus Iulius e il territorio di Sinuessae di riconoscerne alcune caratteristiche che consentono di individuare anche qualcuno dei criteri di progettazione. Fiumi, quali il Volturnoe il Liternus e, probabilmente, anche il Liris, sono stati attraversati in senso normale al loro percorsoe nel tratto campano si è preferito all’utilizzazione delle lagune, quali ad esempio la Liternapalus (lago di Patria), lo sterro del cordone tra questee il mare, ma comunque non si è usato nessuno scrupolo nel ledere interessi, come dimostra la distruzione parzialmente attuata di complessi edilizi allo Scalandrone presso il Lucrinoe quella dei vigneti che producevano il caecubus presso il lago di Fondi, di cui parla Plinio (NH, XIV, 61). La larghezza dei tratti in pianura, il cui scavo è stato facilitato dal terreno in gran parte sabbioso, era di quasi 60 m, equivalenti a 200 piedi, senz’altro sufficiente per permettere il passaggio di quinquiremi a doppio senso, e sugli argini in terreno di risulta, di cui vasti tratti sono conservati, dovevano essere evidentemente previste delle vie in funzione del traino di natanti per mezzo di animali, di cui quella sul lato verso monte è poi diventata, con gli opportuni adattamenti, per gran parte del percorso, la via Domitiana. Alquanto più problematica era la soluzione laddove si frapponevano tratti di costa più ο meno alta in roccia calcarea, tra Gaetae Sperlongae a Terracina, dove il taglio del Pisco Montano è stato eseguito con ogni probabilità in funzione della fossa3 e avrebbe dovuto essere integrato con ogni probabilità con una scogliera protettiva verso il mare, sulla cui effettiva impostazione non si può dire nulla, date le manomissioni che ha subito l’area antistante dall’antichità, quando all’epoca di Traiano vi fu sistemata la variante dell’Appia (Coarelli 1982), ad oggi. Più agevole era comunque l’attraversamento del monte Grillo tra l’estremità settentrionale del Fusaioe il lago Lucrino, data la natura tufacea della roccia, con un trincerone, la cui parte effettivamente eseguita, nelle località Fossa del Castagnoe Scalandrone, coincide evidentemente con gli sbancamenti di cui parla Tacitoe cui accenna Stazio. A giudicare dall’inclinazione della scarpata, che avrebbe dovuto raggiungere un’altezza fino a 70 m, la largheza sul fondo doveva essere prevista di circa 35 m, equivalenti a 120 piedi ed eguale a quella dei canali d’ingresso del portus lulius e del porto di Baia, ma anche del canale di Corinto, per cui, con una quota massima pure intorno ai 70 m, il percorso è di ben 4 km. Data la minore larghezza, evidentemente si pensava di adottare sia per quest’ultimo, destinato a facilitare il rifornimento di grano dal Pontoe dalla provincia d’Asia, sia per il primo tratto della/osso Neronis, data la sua brevità, un senso unico alternato, facilitato qui dalla possibilità di attesa nei due laghi.
4Pur nella sua incompletezza, il progetto concepito sotto Nerone è pur sempre una delle testimonianze più significative dell’ingegneria romanae di come attraverso il modo di produzione schiavistico si sono cercati di risolvere i problemi posti dall’esigenza di una maggiore sicurezza della navigazione nel Mediterraneo anche nelle stagioni sfavorevoli, così come era avvenuto in parte già prima, superando difficoltà minori, tra Γ altro nell’alto Adriatico tra Ravenna ed Aquileia4.
5Sotto i Flavi cominciò invece ad essere di nuovo incrementato il sistema stradale probabilmente in base ad un progetto organico, la cui attuazione si è protratta fino al 126 d. C. almeno, quando fu completato il rifacimento del tratto della via Appia tra Beneventum ed Aeclanum5. I decreti di Domiziano in funzione dello spiantamento delle viti, di cui almeno il primo è stato evidentemente in larga misura eluso, devono aver tuttavia creato le premesse per una parziale riconversione delle colture in Apulia, soprattutto nel Tavoliere, il che potrebbe spiegare meglio il percorso della via Traiana6. Comunque sotto Domiziano venne attuata, utilizzando, come si è visto, soprattutto l’argine nel cui progetto doveva essere già prevista a monte della/ossa Neronis la via eponima dalle Aquae Sinuessanae a Puteoli, ma fu reso con ogni probabilità navigabile il Calore fino nella conca beneventana, il che certamente non è stato dovuto al solo scopo di trasportare i materiali pesanti per la costruzione dell’Iseo di Beneventum7. Troppo importante, anche se relativamente modesto rispetto ad altre operazioni eseguite per migliorare le comunicazioni, è il taglio del costone calcareo di Castel Fenucchio. comunque indispensabile a tale scopo8.
6Nel corso della ricostruzione del tratto di 15 miglia da Beneventum ad Aeclanum, realizzata tra il 118e il 126 d. C. con contributi anche da parte dei latifondisti interessati, che comunque ha reso più agevole anche l’accesso al diverticolo che portava ad Herdoniae ad una via che, pure da Fioccaglia di Flumeri raggiungeva Aequum Tuticum sulla Traiana9, è stato ristrutturato anche il ponte sul Calore presso la mutatio ad Calorem10. Tale struttura era costituita da almeno otto arcate, che avevano, salvo la più orientale di quelle conosciute, una luce di 14 m., su pilastri di m. 3,70 per 5,92 prolungati controcorrente, verso sud, di m. 1,50 circa rispetto alla sede stradale verae propria. Questi, con un nucleo di opera a sacco di ciottoli, hanno la faccia a vista in blocchi squadrati di calcare bianco disposti per assise alte in media m 0,90, con bugnato più ο meno rustico, ed appartengono ad una fase più antica, con campate evidentemente lignee con cui è chiaramente in rapporto un acciottolato in pendenza conservato nel terrapieno del piedritto ovest, interamente rifatto in età adrianea. Mancano per il momento elementi di datazione per tale prima fase, che deve aver sostituito una interamente lignea al più tardi in età augustea, ma più probabilmente, date le differenze rispetto ad altri ponti risalenti presumibilmente a tale periodo nel tratto tra Caudium e Beneventum11, in epoca più antica, tra i Gracchie il periodo del secondo triumvirato.
7Le arcate appartengono invece al periodo adrianeo e hanno il nucleo in scaglie di tufo stratificatee i paramenti in laterizio con ricorsi di bipedales, i quali sono usati anche come cunei per la doppia ghiera, mentre le murature che sostenevano il terrapieno di accesso al piedritto ovest sono in reticulatum con ricorsi in laterizioe di bipedales. Mentre la terza arcata da ovest era lastricata in funzione del passaggio del fiume, l’arcata più orientale, di cui non conosciamo ancora il piedritto est, aveva una luce di soli m 7,40 ed era interamente occupata dalla camera di pressione di un mulino, le cui strutture legano con quelle adrianee. Il suo muro nord era attraversato da tre aperture alla cappuccina, evidentemente in rapporto con altrettante ruote, il cui asse doveva essere fissato mediante un elemento lapideo, di cui rimane la traccia, ad un contrafforte ad oveste evidentemente ad altri elementi di sostegno forse lapidei. Il lato sud, che aveva un’apertura forse a livello più alto, ed è in massima parte crollato, è preceduto invece da un ampio bacino fiancheggiato da muri, di cui quello ovest, l’unico visibile, ha, al di sopra di una larga risega, il paramento in reticulatum, e da un canale d’immissione, il cui argine è stato in gran parte divelto dalla corrente. La minore larghezza dell’arcata, che poteva anche non essere l’unica di tal tipo, è dovuta con ogni probabilità all’esigenza di creare tra essae la carreggiata un piano intermedio in cui dovevano essere allogate le mole, anche se non ne esiste attualmente alcuna traccia, così come non conosciamo neppure resti della chiusa che doveva esserci tra il canale d’adduzione del mulinoe l’arcata per cui passava il fiume, e i pilastri ai lati di questa sono ridotti alle sole fondazioni. Oltre che a cause naturali, quali le alluvionie i periodi di erosione, possono aver contribuito all’opera di distruzione le manomissioni, che il ponte ha subito tra la tarda anti-chitàe l’alto medioevo, nonché la costruzione di un ponte sostitutivo poco più a valle con materiali di reimpiego di quello adrianeo, ed anche spoliazioni successive.
8Quanto alla mutatio, nell’ambito della quale è da presupporre un horreum, almeno questo doveva trovarsi sulla riva destra, non troppo lontano dal mulino, dove, del resto, la pendenza è meno ripida, e affiora anche cocciame di età romana. Il trasporto veniva evidentemente fatto con chiatte almeno fino a Beneventum, ed è probabile che il mulino di proprietà pubblica, fosse in funzione dell’annona romana, più che per l’uso di detta città. D’altra parte la sua ubicazione era la più razionale possibile, in quanto il Calore era il primo fiume di notevole portatae comunque il primo che fosse navigabile, che s’incontrava venendo dalle zone granarie dell’Apulia.
9Nonostante lo stato di conservazione tutt’altro che ottimale il mulino ad acqua di Ponte rotto, anche se non è ancora interamente esplorato, è pur sempre un monumento estremamente significativo di una categoria che ormai sembra esser stata diffusa prima del tardo impero più di quanto si riteneva ancora poco tempo fa (Tornei 1981, 91 sq.). A parte il fatto che un mulino a Ickam nel Kent viene datato verso il 175 d. C., e quello di Cham in Svizzera è ormai ben datato sia attraverso la dendrocronologia, sia grazie al rinvenimento di ceramica, intorno al l90d. C. (Gàhwiler 1988, 17 sq.), anche per i mulini del Gianicolo viene ormai proposta una datazione anteriore alla metà del III secolo, che forse può essere meglio circoscritta al periodo di Severo Alessandro (Bell 1993, 65 sq.)12. Pertanto, anche se i dati oggi disponibili per l’impianto di Martres-de-Veyre in Alvernia, che viene datato genericamente nel II secolo d. C., per il mulino delle terme di Caracalla, per il veroe proprio stabilimento di Barbegal presso Arelate che pare non sia anteriore all’età traianea, ma alquanto più antico di quella costantiniana ed era probabilmente pure in funzione dell’annona romana (Benoit 1940, 19 sq., recentemente Amouretti 1991, 135 sq. ; Leveau 1993, 489 sq.) e per il mulino a turbine orizzontali di Chemtou, del tardo III secolo ο posteriore, sono ancora vaghi13, e la possibile datazione augustea della ruota di Venafroe di un probabile impianto a Saepinum in età augustea è allo stato di pura ipotesi, quanto conosciamo fa apparire meno teoricae isolata nel tempo la macchina descritta da Vitruvio (X, 4). Importante è comunque il fatto che i mulini ad acqua noti finora in Italiae quelli di Barbegal erano pubblici, anche se in parte municipalie in funzione ovviamente locale. Comunque appare sempre più evidente che l’uso dell’energia idrica per impianti preindustriali non è un fenomeno esclusivo del tardo impero, anche se è stato fortemente incrementato da quando il modo di produzione schiavistico è entrato in crisi.
Discussion
10F. ZEVI: Werner Johannowsky ha fatto una relazione interessantissima; concordo su molti fatti. Mi colpiscono le coincidenze: ieri facevo una domanda a M. Bell sul possibile rapporto tra Acqua Traianae mulini del Gianicolo; adesso qui troviamo via Appia Traianae mulini del Calore: dico, questo aggettivo ‘traiano’ torna forse casualmente, ma spesso, non è che per caso dobbiamo vedere in questo sviluppo dei mulini ad acqua in un’età che a questo punto W. Johannowsky è in grado di precisare-non è proprio quella di Traiano ma immediatamente dopo, 118-123, quindi diciamo secondo un progetto traianeo-qualche cosa di connesso con la legislazione di Traiano, sui pistores, di cui si diceva ierie magari con la institutio alimentaria? Perché non dobbiamo neanche dimenticarci che nell’arco di Benevento il rilievo del fornice da cui inizia non a caso la via Appia Traiana reca proprio la figurazione dell’institutio alimentaria, la quale sappiamo benissimo — ormai nessuno crede più alla vecchia idea di Domaszewsky che i rilievi dell’arco di Benevento siano da intendere in rapporto con una, diciamo così, realtà locale beneventana — che raffigura una delle grandi benemerenze (e realizzazioni) pubbliche di Traiano. Però un qualche significato doveva avercelo pure per i Beneventani, perché altrimenti difficilmente si comprenderebbe il motivo per cui era stato eseguito a Benevento un rilievo che conteneva delle informazioni che non interessavano in nulla la città. Mi sembra dunque che il cerchio si chiudae forse anche qui possiamo annotare un argomento importante di riflessione ulteriore.
11Si potrebbe altresì riflettere ulteriormente sul perché dell’abbandono della Fossa Neronis, che è un problema veramente affascinante, se è vero, come W. Johannowsky mi pare abbia ben dimostrato, che tutto sommato la Fossa Neronis era arrivata quasi a compimento, se non proprio alla fine, comunque a uno stadio avanzato dei lavori. Perché poi è stata abbandonata questa impresa che, a leggere le fonti, sembrava un progetto grandioso, illuminato, se non addirittura geniale; se aveva già una effettiva concretezza, perché poi è stato abbandonato in corso d’opera? Questo è un problema secondo me non chiaro, ma mi torna alla mente quell’episodio narrato, mi pare, da Svetonio, dove si racconta che Vespasiano aveva licenziato, con elogie una ricompensa, ma senza accoglierlo, un bellissimo progetto tecnico presentatogli da un machinator che aveva messo a punto una macchina che avrebbe consentito di innalzare senza sforzo le colonne del nuovo tempio di Giove Capitolino fino alla sommità del colle-un passo che viene normalmente interpretato come una prova di una politica flavia dei lavori pubblici per dar lavoro alla plebe urbana. Certamente l’aneddoto dimostra un disinteresse, nell’età flavia, per questi problemi di tecnologia, che saranno ripresi poi in età traianea, forse in relazione alle imprese militari, ai problemi delle guerre daciche: qualunque opinione si possa avere in proposito, è comunque interessante che G. Martinez abbia potuto interpretare la colonna Traiana, con la sua scala a chiocciola interna, a somiglianza di un elemento a coclea ispirato ad una macchina bellica;e la strada che ci è sembrato intravvedere, di un accentuato incremento dei mulini ad acqua in questo periodo, sembra parlare esattamente nella stessa direzione di un interesse che proviene direttamente dal centro, per la tecnologia applicatae per l’utilizzazione delle energie naturali.
12Quanto ai lavori della Fossa Traiana in relazione anche con il progettato canale di Nerone, vorrei citare un esempio laziale — W. Johannowsky parlava della necessità di approfondire ciò che avviene nel Lazio -e cioè la disposizione che le navi fluviali che risalivano il Tevere per portare derrate a Roma, che normalmente discendevano vuote il corso del fiume, fossero caricate invece delle macerie dell’incendio del 64 da scaricarsi negli stagni di Ostia. Normalmente si interpreta tale misura come rivolta a bonificare lo stagno che, se ne aveva avuta una, non aveva certamente più alcuna funzione portuale dopo la creazione del portas Augusti. Mi chiedo invece se Nerone non intendesse procedere non ad un interro completo dello stagno, bensì a sistemarlo in funzione di ultimo tratto, fino allo sbocco del Tevere, del grande canale navigabile dal Lucrino a Roma. Anni fa abbiamo scavato nello stagno di Ostia alla c. d. Longarina, trovando sistemazioni più antiche, di età augustea, in cui erano stati utilizzati filari di anfore vuote, che, come sapete, sono state pubblicate poi da Antoinette Hesnard; evidentemente c’era una serie di apprestamenti di natura portuale ο comunque di canalizzazioni lungo lo stagno di Ostia che Nerone intendeva riprendere nel suo progetto.
13X.: Voglio riallacciarmi al pregevole intervento di Johannowsky, del quale ho veramente molto apprezzato la prudenza con cui parla di indizi circa l’esistenza di un porto fluviale a Benevento. Ora mi domando invece, e soprattutto gli domando, se non sia il caso, almeno come ipotesi di lavoro da prendere in seria considerazione, di considerare Benevento come punto nodale anche dei traffici annonari in direzione di Roma, attraverso naturalmente la via del Caloree del Volturnoe quindi la valle telesina. In effetti, anche sulla scorta di quanto diceva prima nel suo intervento Zevi, e anche pensando alla vocazione cereal icola ancora ben presentee radicata nella zona, e poi ancora all’esistenza di quel complesso abbastanza misterioso intanto, dei Santi Quaranta, che è posto proprio alla confluenza del fiume Sàbato con il Caloree che per posizione, appunto, e per configurazione. io tenderei a rapportare agli horrea a Roma, sulla riva del Tevere. In effetti se un immenso deposito possa essere stato questo complesso, noi avremmo, considerandone le dimensioni che nel rilievo di Meomartini fatto all’inizio del secolo ammontano a più di 110 metri, un indizio veramente considerevole dell’importanza che possa avere avuto Benevento in questa via interiore di comunicazione, dove abbiamo trovato appunto i monili, dove stanno comparendo anche altre indicazioni precise per l’accumuloe poi la spedizione verso Roma di tutto il grano che poteva essere prodotto in questa zona d’Italia.
14M. BELL: Ho trovato molto interessante il mulino sul Calore presentato dal prof. Johannowsky, anche se non ho capito bene il sistema di operazione delle ruote. Mi domando se possa trattarsi di mulini a turbine, simili a quelli di Tchemtou in Tunisia recentemente documentati dal Rakob.
15W. JOHANNOWSKY: Mi pare difficile che possa trattarsi, nel caso del mulino sul Calore, di un mulino a turbine, in quanto nel mulino a turbine che è stato individuato sulla Medjerda praticamente le ruote erano allogate dentro dei cilindri in muratura, di cui non abbiamo nessun indizio nel mulino sul Calore. È vero che è esplorato solo in parte, comunque penso che gli ingranaggi per arrivare alle ruote verticalie alle mole fossero tra le singole ruote, in quanto lo spazio di dieci piedi, 2,96 m è senz’altro sufficiente. Forse qualche tecnico mi potrà chiarire meglio questo problema, in rapporto alla effettiva potenza che sviluppava questo mulino con la forza della corrente dell’acqua. Ma penso che ci sia uno spazio sufficiente per attivare delle mole che erano evidentemente sostenute sia da contrafforti laterali, sia probabilmente da elementi in muratura che ancora devono essere sottoterra, ma che erano indispensabili anche per motivi statici, anche per gli stessi assi orizzontali delle ruote. Per quel che riguarda il problema degli alimenta, in sostanza la fondazione istituita già da Nerva mirava a evitare lo spopolamento, la fuga dalle campagne, cioè mirava anche a valorizzare la piccolae la media proprietà, come risulta abbastanza chiaro anche dalle tabulae alimentares dei Liguri Bae-biani. Stiamo nelle vicinanze di Benevento, in territorio contiguo in parte anche, forse, diventato territorio beneventano, ma comunque in pratica questa valorizzazione della piccolae media proprietà è chiaro che poteva esser fatta anche con i cereali, anche se è una zona non particolarmente adatta nelle zone collinose, alte, per questo tipo di coltura. Abbiamo notizia di un intervento degli agrimensores per la distribuzione di terreni agricoli dei Baebiani, nel 180 ο subito dopo avanti, main realtà non c’è come nel territorio beneventano una centuriazione regolare. Evidentemente la suddivisione per le distribuzioni agrarie era fatta in base a quei concetti che sono illustrati da un passo del Liber Coloniarum relativo al territorio di Corfinium, per cui praticamente là dove c’erano colline, saltus, che limitavano chiaramente, si usava un altro sistema di compensazione in base, credo, ai concetti della geometria ellenistica, che evidentemente già forse nel III secolo s’era andata affermando in Italia, forse anche già al momento della deduzione della colonia latina di Beneventani nel 268 a. C. Certamente non era una zona che aveva la stessa produttività come, per esempio invece il Tavoliere: mi pare che dalla relazione Cassano-Compatangelo sia venuto fuori con molta evidenza questo fatto che il Tavoliere anche allora in gran parte doveva essere coltivato a grano. Certo, a proposito dei rapporti con l’Egitto, anche a Beneventani, anche se il luogo dov’era è discusso, esisteva un grande santuario delle divinità egizie, il che fa pure supporre effettivamente che vi fosse una colonia egizia, santuario che almeno è stato ristrutturato all’epoca di Domiziano; è possibile che ci fossero Egiziani proprio in qualche modo interessati anche al commercio del grano dalla Puglia; mi chiedo se non sia effettivamente questo il motivo. E chiaroe naturale, la via Appia che pure serviva, però prima della ristrutturazione tra, diciamo,Traianoe Adriano, in realtà non era, certo, effettivamente efficiente al 100%, almeno come via di trasporto. Certo, è possibile però che anche già prima di Adriano, in realtà ci fosse un traffico di chiatte verso Volturnum. Sono tutti problemi da discutere, direi.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Sulla costruzione del porto di Claudio v. Scrinari 1965, 393 sq., con bibliografia precedente. Già sulla via consolare da Puteoli a Capua bisognava superare la salita piuttosto ripida dalla piana di Quarto verso il valico di S. Rocco.
2 Ne ha tenuto conto solo M. Frederiksen come storico (Frederiksen 1984, 344, n. 151).
3 V. su tale taglio, in cui sono indicate le quote in piedi, Coarelli 1982, 302 sq.
4 Sui canali navigabili v., tra l’altro, RE. VI, col. 44 sq.; Uggeri 1987, 305 sq. ; Salviat 1986, 106 sq. ; Coarelli 1988, 37.
5 V. su tale tratto, recentemente. Johannowsky 1990; Gangemi 1987.
6 V. su tale problema, tra l’altro, Tchernia 1978.
7 Sul santuario delle divinità egiziane, che doveva sorgere nell’area dell’ex monastero di S. Agostino, v. Marucchi 1904, 104 sq.
8 Attualmente, data l’erosione da parte del fiume, favorita dai prelevamenti di ghiaia, vi si è creata di nuovo una rapida.
9 V. sulla situazione viaria, tra l’altro, Gangemi 1987.
10 V. su questo Johannowsky 1990, con bibliografia precedente.
11 V. su questi Meomartini 1889.
12 Per la proposta di datazione più ristretta v. Coareili 1987,448 sq.
13 Rakob 1993, 286 sq.; comunque tale mulino è la prima testimonianza di un sistema a ruota orizzontale che, diversamente da quelli precedenti, è a turbine in un alloggiamento cilindrico, il che aumentava notevolmente il rendimento.
Auteur
Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea, Roma
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Bruno D'Agostino et Michel Bats (dir.)
1998
La vannerie dans l'Antiquité romaine
Les ateliers de vanniers et les vanneries de Pompéi, Herculanum et Oplontis
Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971