Commercio e consumo del grano ad Ercolano
p. 141-147
Résumés
Si prendono in esame per la prima volta i ritrovamenti di cereali, sempre ben conservati, di Ercolano, in particolare quelli degli scavi degli anni’30. Si tratta di 12 diverse quantità, recuperate sia in botteghe di generi alimentari che in abitazioni. Si è cercato, per quanto possibile, di ricostruire i contesti originali. Si discute poi della minore quantità di pistrina individuati finora a Ercolano rispetto che a Pompei, forse da ricollegare al diverso carattere economico-sociale delle due città.
For the first time, still very well preserved cereal finds of Herculaneum are examined, particularly those of the excavations of the 1930s. They consist of 12 different quantities, recovered both in shops of foodstuffs as well as in habitations. Wherever possible, it has been attempted to reconstruct the original contexts. There follows a discussion of the smaller quantity of pistrina found at Herculaneum in comparison to Pompeii, which perhaps must be connected to the different socio-economic character of the two cities.
Texte intégral
1Nel quadro di un convegno riguardante l’approvvigionamento granario di Romae delle città italiane nel I secolo d.C., di grande interesse appare l’esame della documentazione ercolanese, che può dirsi poco nota. E questo non tanto per la rilevanza della città, centro di minore importanza anche se inserito in una delle aree di maggiore pregnanza economica dell’Italia romana, quanto per la possibilità quasi unica di studio archeologico di un campione potenzialmente significativo, dove le particolari condizioni del seppellimento hanno permesso una sempre discreta,e spesso buona conservazione dei commestibili ed in particolare dei cereali: questi possono dunque essere studiati assai meglioe con maggiore dovizia di dati sul contesto di ritrovamento. Purtroppo si deve dire che questa grande potenzialità non è stata sfruttata finora nella sua pienezza. La rapidità con la quale furono condotti gli scavie le vicende successive dei commestibili recuperati, spesso divisi in vari sacchetti, tolgono buona parte del valore al campione almeno ai fini statistici. Si è cercato tuttavia in questa sede di riorganizzare i dati per trarne le indicazioni ancora possibili.
2Di primaria importanza sarebbe in primo luogo poter individuare l’area di produzione del grano: purtroppo il tempo trascorso dallo scavoe la carbonizzazione dei commestibili recuperati hanno fatto sì che sia impraticabile lo studio dei pollini frammisti al grano conservato. Di questi aspetti naturalistici si occupa larelazione della collega biologa A. M. Ciarallo, da alcuni anni impegnata nello studio dei materiali paleobotanici pompeiani, alla quale ho chiesto di studiare tutto il materiale a disposizione da tale punto di vista, occupandomi di persona della campionatura di esso. Ho dunque ripreso in esame tutta la documentazione concernente i ritrovamenti di cereali ad Ercolano, i primi dei quali risalgono ad epoca borbonica1, coniugando alla ricognizione dei materiali conservati nei magazzini degli Scavi di Ercolano lo studio dei contesti di ritrovamento, condotto sui giornali di scavo dell’epoca. Si è dovuto constatare che, anche se quasi tutti i vari ritrovamenti furono inventariati subito dopo la scoperta, solo otto contesti2 sono riconoscibili con sicurezza perché ancora ben indicati dal rispettivo numero di inventario ο da una targhetta, mentre le altre quantità di cereali sono state suddivise in un certo numero di sacchetti di plastica, senza conservare l’originaria indicazione.
3Finora solo pochi campioni di cereali ercolanesi sono stati oggetto di studio. Da quello raccolto nella bottega Ins. IV, n. 10-11 (fig. 1,C) si è ricavato che esso era infestato da insetti parassiti assai più del peggiore frumento moderno degli anni’50, il 12% circa del totale rispetto al 9% (Dal Monte 1950,28 sqq.). Altri campioni sono risultati essere di orzoe farro mescolati insieme, secondo l’uso più antico (fig. 1, Β; inv. n. 378: contesto di bottega di generi alimentari), di miglio (inv. n. 2327; fig. 1, A, contesto di bottega di generi alimentari), che si produceva abbondantemente in Campania, dove era usato per farne una minestra bianca (Florida 1936, 29; Dosi 1984, 142 sqq., 227 sq.), di orzo con piccola quantità di avena (ritrovamento di kg 0,5 in una bottega annessa alla casa del Bicentenario: fig. 1,I; inv. n. 1895) (Meyer 1988, 204 sqq., pubblicato anche in Meyer 1980, 401 sqq.).
4Per quanto riguarda i contesti di ritrovamento, si deve rilevare che, dopo il fondamentale volume del Maiuri del 1958, ben pochi sono stati gli studi riguardanti la storia economicae sociale di Ercolano3. Bisogna inoltre tener presente che assai minore è la superficie scavata rispetto a quella di Pompei, ed in larga misura essa comprende un settore eminentemente residenziale, se si escludono la zona del “decumano massimo” a Norde quella della “Palestra” ad Est. I soli duepistrina individuati (incertoe comunque munito di una sola macina è quello dell’/ni. V, n. 34, giacché in una foto degli anni’30 la macina appare collocata non, come ora, all’interno della bottega ma sulla sua soglia, sicché ne rimane incerto il contesto di ritrovamento, tenuto anche conto che altri elementi inferiori di macine granarie sono riutilizzati come paracarri nei pressi: fig. 1, H), si concentrano proprio presso quest’ultimo complesso, di età augustea, anzi nel suo stesso blocco edilizio. Il primo (Ins. Or. II, n. 8), dal quale proviene una notevole quantità di grano, evidentemente pronto per la macinazione (fig. 1, E; fig. 2), è quello celeberrimo di Sex. Patulcius Felix (Maiuri 1958, 456 sqq). Il secondo, all’incirca delle stesse dimensionie importanza, si apre sul vicoloche separa l’Insula Orientalis I dall’Insula Orientalis II (fig. 1, F). Ad esso furono annessi, nell’ultimo periodo di vita della città, i tre ambienti adiacenti sul lato Est, in origine appartenenti ad una casa di un certo tono, collegandoli al pistrinum per mezzo di una rozzae strettissima apertura praticata nel muro divisorio (Maiuri 1958,452 sqq.). Una interessante impastatrice da fornaio è visibile ancora al suo posto nell’ambiente absidato più orientale (Mau 1886,45 sqq., tav. III; Ciancio 1973, 33 sq.). Essa è di forma cilindrica, internamente cava nella parte superiore,e presenta sul fondo un incasso quadrato di cm 12 di lato riempito di ferro (fig. 1, G; fig. 3). Un’analoga impastatrice da Pompei, identica alla nostra ma con soli due fori nella superficie laterale, è visibile nel pistrinum ora scoperto lungo la via dell’Abbondanza (Reg. IX, ins. 12, n. 6), presso il forno,e presenta ancora sul fondo parte del meccanismo in ferro, costituito da un elemento quadrato con incavo per il collegamento ad un albero ligneo al centro munito di due larghe sbarre laterali che giravano nella circonferenza del fondo4. L’impastatrice è anche raffigurata nel sepolcro di M. Vergilio Eurisace a Roma. Nell’abside finestrata dello stesso ambiente, che non presentava una grande finestra (tutta di restauro) ma solo una nicchia poco profonda sulla parete Sud, è una vasca. L’identificazione del proprietario del pistrinum con C. Junius Serentiolus proposta dal Catalano (1966, 264. 286; 1982, 960) non è sufficientemente fondata. Va notato che nella vicina casa dei Cervi fu rinvenuto un pane carbonizzato col marchio di Celer, servo di Q. Granius Verus (CIL X, 8058, 18).
5Degli altri ritrovamenti di cereali, se si esclude la discreta quantità recuperata nel pistrinum di Sex. Patulcius Felix (Ch. supra, nota 2; Maiuri 1958, 456 sqq.) (fig. 1, E; fig. 2) vanno distinti quelli di quantità notevoli, di molto superiori ai 10 kg, tutti connessi a botteghe di generi alimentari poste lungo i due decumani finora scavati (fig. 1, A, Βe C, D). Due di esse pare vendessero unicamente cereali: 1) angolo fra decumano massimoe IV° Cardine (al piano superiore è una sorta di ballatoio sporgente sulla strada che costituiva un veroe proprio silos rivestito di cocciopesto: inv. n. 378 [kg 2 di grano]e inv. n. 1949 [kg 60 di orzo]); 2) Ins. IV, n. 10-11, all’incrocio fra il decumano inferioree il IV° Cardine: inv. n. 465e inv. n. 723 (rispettivamente kg 60e kg 10 di grano). Il terzo ritrovamento, sul decumano massimo, lato Nord (inv. n. 2320: «grano in gran quantità»; inv. 2327: miglio) è pertinente ad una bottega dove sono stati rinvenuti molti altri generi alimentari (Maiuri 1961 = Maiuri 1962, 115 sqq. ; Deiss 1966,99) (legumi,datteri). Gli altri ritrovamenti, di più modestaentità riguardano altre tre botteghe (bottega annessa alla casa del Bicentenario, inv. n. 1895, kg 0,500 di farro: fig. 1, I; bottega dell’edificio fra il IV°e V° Cardine scavato nel 1967 sul lato Nord del decumano massimo: fig. 1, Τ, kg 1,400 rinvenuti in un’anfora nell’ammezzato sovrastante l’ambiente n. 4 del piano terra; bottega Ins. Or. I,n. 15:kg 10 di grano [inv. n. 1703] rinvenuti in un’anfora posta in una vasca insieme a kg 15 di fave),e alcune case (piano superiore della casa d’Argo: quantità notevole [cfr. supra, nota 1], fig. 1, Ο; Casa Sannitica: inv. n. 260, «piccola quantità di orzo», fig. 1, M; Casa dei Due Atri: inv. n. 2015, «miglio in piccolissima quantità» — ma sotto questo numero d’inventario sono attualmente conservate delle lenticchie -, fig. 1, Ρ; forse Casa del Rilievo di Telefo: inv. n. 1304. fig. 1, N). Un certo numero di piccole molae manuales visibili in altre abitazioni (Casa del Telaio, Casa del Genio, bottega Ins. IV, n. 5, annessa alla casa del Papiro dipinto, abitazione Ins. V, n. 24: rispettivamente indicate in fig. 1, lett. R, T, Se Q) fanno pensare, con i vari ritrovamenti di piccola entità di cui si è detto, che spesso il grano veniva macinato in casa, come nell’età più antica. Va infine ricordato il recente ritrovamento di una grande quantità di grano, già vista nel corso degli scavi borbonici, depositata in un ammezzato della Villa dei Papiri (Conticello 1987, 12; De Simone 1987, 23; Conticello 1990, 176): frutto della coltivazione del fundus della villa stessa ο delle sue dipendenze ο riserva di grano acquistata per il sostentamento del personale della proprietà? Le successive indagini potranno forse rispondere a questo quesito.
6Da questo esame non può non rilevarsi il divario esistente fra Ercolanoe Pompei, dove sono finora noti ben ventiquattro pistrina (senza considerare i pistrina dolciaria con i quali il numero si alza a trentacinque), alcuni dei quali di dimensioni maggiori rispetto a quelli ercolanesi (Mayeske 1972,82 sqq. ; 1979. 39 sqq. ;La Torre 1988, 84; Varone 1988. 231 sqq.). Almeno in parte ciò può essere spiegato, oltre che con la minore grandezza della città, col fatto che ancora non scavata è ad Ercolano buona parte dell’area centralee soprattutto la grande direttrice viaria che da Puteoli e Neapolis conduceva a Pompei,e i valloni fluviali che la limitavano ad Este ad Ovest, luogo ideale per l’installazione di mulini. Va anche tenuto presente che il territorio ercolanese era certamente molto più piccolo di quello pompeiano,e poco adatto alla cultura dei cereali, occupando prevalentemente le pendici del Vesuvio. Ad Ercolano, in conclusione è riconoscibile un totale di soli otto esercizi adibiti alla macinazione (due ο forse tre, da sottrarre a tale somma) ο al commercio dei cereali, dei quali solo quattro di notevole rilievo.
7In conclusione si può dire che i ritrovamenti ercolanesi, pur fornendo alcuni dati molto utili, costituiscono finora piuttosto un’occasione mancata per una migliore ricostruzione della storia economica romana.
Discussion
8J. ANDREAU: Come pensate sono stato molto interessato dalla relazione di Paganoe della collega Ciarallo, particolarmente da quello che ha detto la collega Ciarallo sui pollinie su questi studi paleobotanici su Pompei ed Ercolano. Vorrei chiedere due ο tre cose in proposito: la prima è su quello che ha detto di un certo numero di chili di orzoe di grano duro, di frumento, di farro. Ha detto che ha dato un numero di siti: vorrei chiedere di che siti si tratta, se sono parzialmente siti urbani, parzialmente siti rurali,e in che proporzione ο se sono solo siti urbani, se è possibile fare differenza tra queste categorie di siti. Un’altra questione è sul numero di commerci di granoe di forni ad Ercolanoe a Pompei. Pagano ha detto «è evidente che il numero di commerci è molto più ridotto a Ercolano che a Pompei anche se si paragona la popolazionee la zona scavata». Questo mi sembra un po’strano perché, come spiegare che il numero di forni sia più ridotto a Ercolano anche tenendo conto della differenza di popolazionee della zona scavata, bisognerebbe allora supporre che ci sia più autoconsumoe autosufficienza, più grano venendo dalla proprietàe consumato a casa senza passare per il tramite di un forno ο di una bottega a Ercolano,e si capisce male come sarebbe possibile. Bisognerebbe, prima di concludere una cosa così, essere sicuri che il numero diverso di botteghee di forni non è solo dovuto alla differenza di superficie delle zone scavate, ο al la fortuna dello scavo, ο alla differenza di popolazione. Io credo che i fattori siano questi tree non altri, che sarebbero la differenza di costumi tra più autoconsumoe meno autoconsumo. La terza questione è sulla presenza di magazzini; la Ciarallo ha detto che non abbiamo magazzini, il che vuol dire che probabilmente questo grano veniva dalla zonae non da fuori. Mi sembra che questo indizio rimane abbastanza debole perché i magazzini potevano essere in zone non scavate, per esempio al porto di Pompei per Pompei. Non mi sembra che questo indizio di origine locale sia molto forte, ma vorrei chiedere: ci sono possibi-lità nell’avvenire di determinare l’origine di certi cereali dalle specie, dai resti paleobotanici, oppure no? Cioè, si potrà sapere che certi cereali vengono quasi certamente dall’Egitto, per esempio, oppure no? Questa è la terza questione.
9M. PAGANO: Rispondo al prof. Andreau. I campioni di grano esaminati provengono tutti da siti urbani di Ercolano,e quindi dallo scavo urbano; del resto c’è un solo ritrovamento extraurbano, quello recentissimo della Villa dei Papiri, in quantità piuttosto notevole, che non è stato ancora esaminato. Attualmente noi abbiamo 42 sacchi ο sacchetti di cereali nei magazzini di Ercolano,e quelli di cui si può riconoscere con certezza la provenienza sono 10 di questi campioni. Dalla documentazione di scavo conosciamo in tutto 11 complessi di ritrovamento di cui alcuni di quantità piuttosto notevole, cioè di 60 kg. Solo, purtroppo, non abbiamo più indicazioni per collegare alcuni di questi campioni ai dati di ritrovamento dei giornali di scavo, per cui non è più molto facile ricollegare precisamente questi campioni ai contesti rilevati: solo per 10 siamo sicuri. Su quello che è conservato, che probabilmente non è tutto quello che è stato scavato, comunque abbiamo, diciamo, un campione omogeneo nel senso che sono gli scavi Maiuri, sono gli scavi cioè di quasi tutta la parte scavata a cielo aperto di Ercolano salvo i disturbi provocati dai cunicoli borbonici. Abbiamo in totale 56 kg di orzo; 108,4 di frumento, e 7 di farro. Questi sono i dati quantitativi, però come dico, purtroppo il campione non è perfettamente omogeneo perché ci sono delle variabili x che sono: 1) i disturbi praticati nel’700 dai cunicoli borbonici; 2) poiché gli scavi non erano poi molto attenti a queste cose, chiaramente non tutto è stato prelevato di queste quantità di commestibili che sono state ritrovate; 3) probabilmente molto sarà andato anche disperso nei magazzini. Per quanto riguarda la questione del numero dei pistrina, io mi sono limitato a una constatazione, che d’altra parte è coerente con quello che si è osservato a partire dal fondamentale studio di Lepore sulla diversa situazione economico-sociale di Ercolano rispetto a Pompei. Ciò si constata anche in altri campi: per esempio, bisogna notare che mentre a Pompei abbiamo moltissime iscrizioni elettorali, ad Ercolano ne abbiamo finora una sola. Certo, bisogna dire che l’area esplorata di Ercolano è solo una parte, rispetto a tutta l’estensione della città, anzi ho voluto sottolineare che mancano, appunto, quelli che dovevano essere probabilmente i fulcri della vita cittadina, una parte per lo meno,e cioè la strada per Pompei, la zona del foroe quella degli approdi. Comunque credo sia indiscutibile che Pompei sia al centro di un bacino più grande di produzione ed anche di traffico, rispetto ad Ercolano. E probabilmente a questo è anche da collegare la presenza di un maggior numero di opificie perché no, anche di pistrina di un certo livello. Non escluderei del tutto una situazione anche sociale diversa, in cui c’è, diciamo, una maggiore autonomia familiare ad Ercolano rispetto a Pompei. Naturalmente i dati sono quelli che sono, non abbiamo tutta la città a Pompei, ad Ercolano abbiamo ancor meno, però un pistrinum in genere si riconosce abbastanza bene, quindi diciamo che possiamo essere abbastanza sicuri, oppure sbagliare di poco, che nella parte scavata finora di Ercolano ci sono solo due pistrina, questo è un dato di fatto, che è una percentuale molto minore rispetto a quella di Pompei. Per quanto riguarda il problema fondamentale, cioè se si può riconoscere il grano dell’Egitto, personalmente non posso rispondere perché naturalmente non sono uno specialista.
Bibliographie
Referenze bibliografiche
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Notes de bas de page
1 Particolarmente notevoli quelli della Villa dei Papiri e della Casa d’Argo (piano superiore). Su quest’ultimo v. Ruggiero 1885, 63, 540 sq.. 543, 546 sq., 550, 556 sq., 560; D’Aloe 1853, 108 sq.; Bonucci 1835, 36 sqq.; Maiuri 1958, 371.
2 Grano rinvenuto nel pistrinum di Sex. Patulcius Felix (volume delle bacheche in cui esso è conservato, rispettivamente: cm. 36 x 49 x 89 (h) e cm. 34 x 57 x 29 (h); grano (kg 1,400) rinvenuto il 6 aprile 1967 nell’ammezzato sovrastante Γ ambiente n. 4 del piano terra dell’edificio a più piani prospettante il lato Nord del decumano massimo (fig. 1. T); Inv. n. 723 (frumento, kg 10, rinvenuto il 23 gennaio 1932 nella “Casa n. 11, Decumano inferiore, Ins. IV”; Inv. n. 1703 (frumento, rinvenuto il 26 ottobre 1936, sul piano superiore della “Casa n. 15, estremità est, ins. occidentalis II”: kg 10); Inv. n. 1895 (farro, kg 0,500- nell’inventario è indicato come orzo-, rinvenuto il 17 marzo 1938, nella “Casa n. 27 sul decumano massimo, ambiente del piano inferiore”); Inv. n. 465 (frumento, kg. 60, rinvenuto al piano superiore nell’“ins. IV, n. 8”); Inv. n. 2320 e 2327 (frumento e miglio, rinvenuti «in gran quantità» il 28 luglio 1961 in una bottega sul lato Nord del decumano massimo); grano rinvenuto, nel 1872, nella bottega, Ins. VII, n° 1 : Ruggiero 1885, 632.
3 Fondamentale ma ormai invecchiato è il saggio di Lepore 1955, 423 sqq. (ripubblicato in Lepore 1989, 423 sqq.). Nuovi e importanti studi, sulla base del riesame dell’importantissima documentazione fornita dal le tavolette ercolanesi, sono in corso da parte di G. Camodeca.
4 Varone 1990, 238; 1989, 233 sqq., dove però non vi è parola dell’impastatrice e del meccanismo. Misura m 0,66 di altezza esterna e m 0,40 di altezza dell’interno, m 0,82 il diametro esterno e m 0,49 il diametro interno.
Auteur
Soprintendenza archeologica di Pompei
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