Le grandi navi mercantili, Puteoli e Roma
p. 61-68
Résumés
Lo sviluppo della archeologia sottomarina ha rinnovato le conoscenze sulla tecnica navale antica, riproponendo altresì l’interpretazione di fonti controverse. Riguardo ai progressi scientificie tecnologici dell’Ellenismo, si mette in rilievo come la scoperta del principio idrostatico di Archimede vada collegata alle sue ricerche sul galleggiamento dei corpi, fondamento teorico per la costruzione di navi grandissime, come la famosa Syrakosia allestita per Ierone II, la più grande nave dell’antichità. La costruzione di navi sempre più grandi appare a sua volta collegata con i trasporti a distanza di derrate, specialmente di grano. È la necessità di grandi rifornimenti granari, legata al vasto teatro di guerra della seconda guerra punica, che mette in crisi il vetusto porto fluviale di Ostiae determina la ascesa di Pozzuoli, interessata dal portorium istituito nel 199 a. C.,e dalla deduzione coloniaria del 194 a. C. A Roma, la contemporanea costruzione della gigantesca porticus Aemilia e dell’emporium (193 a. C.) dimostra senza dubbio possibile l’unità di un grandioso progetto, da ricondurre alla iniziativa dell’Africanoe degli Aemilii strettamente collegati con gli Scipioni.
The development of underwater archaeology has renewed our knowledge of ancient naval techniques, reproposing as well the interpretation of controversial sources. Regarding the scientific and technological progress of Hellenism, emphasis is placed on how the hydrostatic principal of Archimedes must be linked to his research on floating bodies, a theoretical basis fundamental for the construction of very big ships, such as the famous Syrakosia fitted out for Hieron II, the biggest ship of antiquity. The construction of always greater ships appears in turn linked with the transport over distance of foodstuffs, especially of grain. It is the necessity of great supplies of grain, tied to the vast theatre of the Second Punic War, which puts in crisis the ancient river port of Ostia and determines the rise of Pozzuoli, affected by the institution of the portorium in 199 B. C. and by the foundation of the colony in 194 B. C. In Rome the contemporaneous construction of the gigantic porticus Aemilia and of the emporium (193 B. C.) undoubtably demonstrates the unity of a grandiose project, which must be traced back to the initiative of the P. Scipio Africanus and of the Aemilii closely connected to the Scipiones.
Texte intégral
1Lo sviluppo recente dell’archeologia sottomarina ha consentito che gli studiosi della navigazione antica venissero a contatto con i resti delle navi anziché solo con indicazioni fornite da autori spesso non competenti ο non interessati al problema,e quindi schematichee insufficienti,e per questo giudicate, talvolta a torto, inattendibili. A. Tcherniae P. Pomey hanno fatto, alcuni anni fa, il punto della situazione delle conoscenze, rivalutando anche, in taluni casi, le notizie delle fonti come nel caso della gigantesca nave granaria alessandrina, descritta da Luciano nel porto del Pireo, la Isis, le cui proporzioni appaiono non incompatibili con le attuali conoscenze sulle navi antiche: secondo i calcoli, la Isis poteva avere una stazza di circa 1600 tonnellatee una portata di quasi 1200 tonnellate di carico (Tchernia-Pomey 1980-81; Hopkins 1983).
2La Isis era un battello di eccezionali dimensioni, tale da destare stupore anche in unacittàdi grande tradizione marinara come Atene; eppure, siamo nell’avanzata età antonina, in un momento cioè in cui il problema del rifornimento granario nel Mediterraneo,e specificamente quello rivolto ai bisogni annonari dell’Urbe, sembra considerarsi se non risolto (non lo sarà mai del tutto), almeno impostato secondo stabili standards.
3Naturalmente, da molto tempo l’ingegneria navale si misurava con la costruzione di navi di grande portata, capaci di lunghi viaggie rotte d’alto mare. Senza pretesa alcuna di scendere in un campo di ricerche a me non familiare, vorrei soffermarmi brevemente su un tema noto, le “invenzioni” dell’Ellenismo,e specialmente su quelle, prodigiose al punto da dare origine a una vasta aneddotica, dell’inventore forse più grande di ogni tempo: Archimede.
4L’episodio più famoso ci presenta lo scienziato che, immerso nel suo bagno, profferisce il celebre eureka; l’esclamazione salutava la scoperta di quel principio idrostatico (o “principio di Archimede”) “un corpo immerso in un liquido riceve una spinta... ”, che tutti abbiamo appreso sin dalle scuole primarie. La formula eureka, “ho trovato”, indica che Archimede cercava qualcosa;e le fonti (specificamente Vitruvio, IX, 3) ci apprendono che ciò che egli cercava era la risposta ad un quesito, apparentemente insolubile, postogli dal suo sovrano (e, secondo Plutarco, anche suo parente, oltre che amico) Ierone II, il quale, sospettando che un orefice cui era stato affidato dell’oro per fondere una corona votiva, si fosse appropriato di parte del metallo sostituendolo con dell’argento, voleva che lo scienziato appurasse se l’oggetto in questione era tutto d’oro, ο se d’oroe d’argento in lega. Archimede riuscì con la sua scoperta a determinare il peso specifico delle sostanzee con ciò a dare risposta al quesito propostogli. Nella sua intonazione novellistica, l’episodio corrisponde con il cliché disegnato da Plutarco soprattutto nei capitoli 16e 17 della Vita Marcelli, dove si dipinge Archimede come uno scienziato “puro”, che considerava la sua attività tecnica come di minor dignità, al punto da non voler lasciare scritto nulla sulle macchine di sua invenzione,e tuttavia pressantemente sollecitato (e in parte convinto) da Ierone perché si rivolgesse un poco dalle cognizioni teoretiche alle cose concretee “a mescolare in qualche modo la speculazione ai bisogni materiali”.
5Ma, per quel poco che ho visto,e scusandomi in anticipo per omissioni o, peggio, ovvietà, mi sembra che, almeno sul versante degli studi umanistici, sia stata scarsamente sottolineata la circostanza che, con quel- l’eureka, era stato trovato anche il principio scientifico del galleggiamento dei corpi, in altre parole i presupposti teorici per la costruzione delle navi grandie grandissime. L’opera, in cui il principio idrostatico viene presentatoe discusso è il Περὶ των όχουμένων ἢ περί τών ὕδατι έφισταμένων (cioè Sui galleggianti), un’opera recuperata solo alla fine del secolo scorso nel testo greco originale; i titoli della versione latina suonano De insidentibus aquae, ovvero De iis quae in humido vehuntur. Il secondo libro, che gli specialisti considerano come genialmente innovatore, tratta specificamente del galleggiamento di un segmento retto di ortoconoide1 - e cioè, se non mi inganno, una figura geometrica che corrisponde alla sezione ideale di uno scafo. Con tutte le cautele che necessariamente debbono accompagnare una incursione, come è la mia, in campi di studi che non mi sono propri, mi sembra difficile non istituire un diretto rapporto fra queste ricerche teorichee la realizzazione della nave più celebre, la Syrakosia, l’imbar- cazioncazione reale di Ierone rimasta insuperata per la portatae per le dimensioni in tutta l’antichitàe destinata ad essere uguagliata solo dai velieri transoceanici dal XVII secolo in poi. Le meraviglie di quella colossale imbarcazione consistevano in primo luogo nell’equipaggiamento straordinarioe nel lussuosissimo apparato di bordo (da Ateneo descritto nei Deipnosophistai, V, 206 d-209 b), ma anche nell’applicazione sistematica di una serie di invenzioni del grande scienziato rivolte tutte a razionalizzaree moltiplicare la forza dell’uomo: tra queste, un dispositivo che consentiva ad un solo marinaio, semplicemente azionando una fune, di svuotare tutta l’acqua di sentina della nave. Ebbene, questa immagine ne richiama un’altra altrettanto famosa, in cui-almeno secondo una versione dell’episodio — Ierone riappare nella veste del sovrano che richiede al “suo” scienziato cose impossibili; qui lo scenario è un poco diversoe si vede un uomo, forse lo stesso Archimede, che, ancora una volta manovrando una funicella, collegata con sistema di carrucolee puleggie, fa “camminare” all’asciutto una grandissima nave a tre alberi con tutto il suo carico di passeggerie di merci: è questo il contesto dell’altra celebre esclamazione archimedea «dammi il punto di appoggioe solleverò ilmondo»; δός μοι πού στώ και κινώ τήν γήν. Presso Ateneo, nel passo citato, la nave in questione è la stessa Syrakosia; in Plutarco (Vita Marcelli, 14, 8) si tratta invece di una delle navi mercantili (una όλκάς) della flotta di Ierone, tratta a riva con l’enorme sforzo di molti uomini,e poi, come abbiamo visto, fatta “viaggiare” a terra senza fatica, da una sola persona grazie ai congegni di Archimede; il particolare del caricoe dei viaggiatori a bordo doveva accrescere l’impressione di un evento al limite del prodigioso. Per noi, la questione non cambia di molto: anche qui sembra ravvisarsi il riflesso delle ricerche archimedee sui galleggianti, perché la manovrae la discesa in mare di una grande imbarcazione a pieno carico presuppongono una perfetta conoscenza delle reazioni statiche all’impatto con l’acqua,e cioè calcoli teorici precisi. Certo, le geniali invenzioni meccaniche di Archimede moltiplicavano la forza dell’uomo;e della “potenza di fuoco”, per così dire, conseguita dai Siracusani grazie alle sue macchine da guerra fecero le spese i Romani all’assedio della città. Ma l’altro campo di attività, in cui Archimede accettò di scendere sul terreno della pratica cui lo sollecitava Ierone, mi sembra dovesse essere proprio quello della ingegneria navale. Non a caso è a questo ambito che, lo abbiamo visto, sono legati gli aneddotie le esclamazioni celebri,e nell’immaginario della grande navigazione ci sembra ritrovare, secoli più tardi, quasi un “motivo firma” della topica archimedea, cioè, nel Navigium di Luciano, quell’ometto sparuto che, appena toccando una leva, riusciva a manovrare senza sforzo il pesante timone del grande mercantile egiziano2.
6Le dimensioni della Syrakosia erano tali da non consentire l’approdo se non a Siracusa stessae ad Alessandria; e, ridenominata Alexandris, la nave finì infatti ad Alessandria, magnifico dono di un re ad un re, caricaper di più di un quantitativo enorme di derrate alimentari destinate a sollevare l’Egitto afflitto da una carestia. Nel suo ancor valido libro Pouzzoles antique, il Dubois (1907, 71) sottolineava l’importanza del viaggio di Eudosso il geografo, che, regnando Cleopatra moglie di Tolomeo Evergete II, avrebbe compiuto la tratta Ales-sandria-Puteoli senza scali. La notizia è in Strabone II, 4-5, ma D. Musti (1980, spec. 207) ha dato una diversa lettura del testo, che porterebbe ad un’altra interpretazione. Comunque, per la navigazione diretta tra Alessandriae le coste della Sicilia occorre quanto meno fare i conti con l’importantissimo precedente viaggio della Syrakosia. Il testo di Moschion presso Ateneo si conclude, dopo la lunga descrizione della nave, della sua costruzionee delle sue attrezzature, con la sorpresae il disappunto di Ierone, quando, la Syrakosia ormai in linea, non si trovò nel Mediterraneo nessun porto capace di accoglierla, salvo appunto Alessandria (Casson 1956). Ma naturalmente non possiamo prestar fede a questa presentazione di Ieronee del suo ammiragliato come personaggi tanto sprovveduti da ignorare quali fossero al tempo le condizioni degli approdi marittimi mediterranei; in realtà, dobbiamo ritenere che, l’enorme sua mole impedendo a priori qualunque scalo intermedio, la Syrakosia era destinata ab initio a percorrere solo grandi rotte transmediterranee e, in primo luogo, quella tra Siracusae Alessandria. La grande nave di Archimede si rivela per quello che voleva essere veramente, cioè non soltanto un vascello da diportoe di rappresentanza, ma un colosso del mare capace veramente di navigare, portando un carico effettivo che, secondo i dati riferiti dagli antichi, doveva ammontare a qualcosa come 3650-4200 tonnellate di merci,e che solo una forse arbitraria equiparazione delle “misure” di grano a moggi, anziché a medimni, ha consentito di ridurre a circa 2000 (Casson 1971, 185), una cifra comunque largamente superiore a quella riportata per qualunque altra nave pur grandissima in tutto l’evo antico. Alla metà del III sec. a. C. ο poco dopo, l’ingegneria navale ellenistica padroneggiava, per dir così, tutti gli ingredienti utili allo sviluppo delle navi grandissimee della grande navigazione,e particolarmente quei “cargo” egiziani destinati a suscitare, in secoli ben più smaliziati, l’ammirato stupore di un Luciano. Dobbiamo ritenere, infatti, che la Syrakosia, con tutte le stupefacenti invenzioni di Archimede, fosse stata inviata in Egitto con funzione dimostrativae che sia stata prontamente uti lizzata come modello tecnologi-co degli scienziatie degli ingegneri navali alessandrini. Sappiamo, del resto, che Archimede aveva studiatoe soggiornato a lungo in Alessandriae usava sottoporre all’approvazione dei suoi colleghi del Museo le proprie opere prima di pubblicarle.
7Naturalmente il problema che avevano in comune Sicilia ed Egitto era quello del trasporto dei cereali a distanza. La venuta di IeroneaRoma all’indomani della prima guerra punica,e i quantitativi di grano che in più di una occasione egli donò al popolo romano, dovettero costituire una circostanza privilegiata di approccio con i recentissimi sviluppi tecnici della costruzione delle navi mercantili, proponendo drammaticamente il problema della insufficienza del porto ostiense. Il plebiscito Claudio del 219, come noto, limitava il possesso da parte dei senatori di navi superiori a 300 anfore — imbarcazioni veramente troppo piccole,e talmente fuori scala al tempo della Syrakosia da lasciare perplessi. È da ritenere che il parametro prescelto fosse quello dei barconi in grado di risalire il Tevere, senza cioè necessità di trasbordi come per le navi da commercio.
8E. Gabba ha ripresentato di recente, nel suo volume Del buon uso della ricchezza3, alcuni saggi che interessano da vicino gli argomenti qui accennati; in particolare, egli ha valorizzato un passo del Trinummus plautino, dove il vecchio Philo chiede come un giovane abbia sperperato il proprio patrimonio: appalti pubblici ο traffici marittimi? Con il consueto acume, il Gabba ha colto, in questa associazione, il nesso concettuale per la duplice interdizione dai vectigaliapublico e dai negotia maritima che, nella legislazione più tarda, verrà imposta ai senatori. Ma, nel periodo che ci interessa, si tratta veramente di due aspetti concomitanti di una medesima realtà: in Sicilia il sistema “ieronico” delle decime che, con la sparizione del regno di Siracusa, i Romani assunsero in toto, comportava che, in quel caso, vectigalia publico e negotia maritima costituissero due aspetti bensì indipendenti, ma complementari di una medesima operazione; trasportie commerci del grano dovevano avvalersi di navi grandi, molto più grandi, certo, di quelle da 300 anfore. Se ha ragione chi riconduce già alla pretura di C. Flaminio (227 a. C.) l’organizzazione da parte dei Romani del tributo della decima “ieronica” in quella parte dell’isola che era loro soggetta4, mi sembra che possa molto più agevolmente cogliersi un nesso di causa-effetto nei confronti del plebiscito Claudio, che, pochissimi anni dopo, interverrà a limitare la stazza delle navi possedute dai senatori, in tale modo da escluderli definitivamente dal sistema vectigalia-negotia maritima, che, a seguito della guerra punica, si andava instaurando in Siciliae certamente, anche se siamo meno informati, nelle altre due grandi isole del Tirreno. Dovette allora apparire in tutta la sua gravità la assoluta inadeguatezza del porto ostiense: sufficiente per le navi da 300 anfore, era improvvisamente divenuto, non si dice insufficiente, ma di fatto inesistente per le necessità portuali dei grandi mercantili siracusanie alessandrini: Strabone dirà che Ostia è alimenos. Si sarà organizzato già allora il sistema del trasbordo in mare delle merci su piccole imbarcazioni in grado di risalire il fiume, una pratica che, del resto, doveva essere usuale al tempo, non solo per località fluviali, come Roma, ma anche per città marinare dotate di porti inadeguati: la “disavventura”, vera ο meno che sia, della Syrakosia, impossibilitata ad attraccare, ne costituisce chiaramente la prova. Ma è certo, d’altro canto, che in pari tempo,e in concomitanza con le necessità militarie di rifornimento della seconda guerra punica, Pozzuoli compare più frequentemente, presso gli autori,e specie in Livio, quale punto di imbarco ο sbarco privilegiato per le necessità annonarie dell’esercito. Non sono però certo che, come è stato autorevolmente sostenuto5, Puteoli si sviluppi come alternativa al porto di Siracusa, passata ai Cartaginesi dopo la morte di Ieronee quindi per il momento non accessibile per i Romani; i vistosi arrivi di cereali dalla Sicilia, dall’Egitto, dalla Numidia di Massinissa, non debbono far dimenticare che la base del rifornimento annonario di Roma restavano sempre, in primo luogo, l’Italia stessae l’Occidente6; il salto di qualità nell’organizzazione commerciale romana è prodotto dalla necessità del momento, con gran parte dei distretti annonari italiani devastati ο controllati dai Cartaginesi. I segni di un manifesto interesse commerciale per Pozzuoli si colgono esplicitamente, dopo la seconda guerra punica, nell’istituzione delportorium di Capuae Puteoli, deciso da Scipione l’Africano durante la sua censura, nel 199 a. C. ; la fondazione della colonia,, avvenuta poco dopo, si inquadra in una operazione di grande respiro, parte di un disegno più vastoe che, dimostrabilmente, va ricondotto al la iniziativa del l’Africano medesimo, in un processo che, una volta avviato, diverrà subito irreversibile.
9Come generalmente si ritiene, ed è stato sintetizzato con efficacia ad esempio dal Toynbee (1965,I, 61 sqq.), le colonie del 194 sulla costa campanae brezia dell’Italia avevano uno scopo di difesa costiera, contro il diffuso timore di un attacco seleucide fomentato da Annibale, tuttora attivo in Oriente. Non va tuttavia sottovalutata la circostanza che, votate nel 197, le colonie furono dedotte solo nel 194, tre anni più tardi, il che lascia dubbi sull’imminenza del pericolo temuto,e sulla funzione militare che si attribuiva loro. L’impressione è che, accanto ai motivi di politica esterae alle considerazioni militari, avessero peso anche motivazioni interne; sì che, se il vittorioso andamento della guerra di Macedonia allontanava un pericolo, il conseguimento del consolato da parte di Catone nel 195 deve avere costituito una remora di diversa natura;e le colonie furono dedotte finalmente solo nel 194, quando Scipione stesso fu console per la seconda volta avendo a collega l’amico Tiberio Sempronio Longo. È facile del resto, tenendo alla mano, oltre al sempre fondamentale libro del Cassola (1962), i Roman Politics dello Scullard (1973, specialmente i cap. V-VIII), constatare come almeno due dei tresviri incaricati nel 197 della deduzione coloniaria erano strettamente collegati con il gruppo degli Scipioni. Uno era lo stesso Sempronio Longo, poi console, non a caso, con Scipione; la stretta amicizia fra le due famiglie risaliva almeno alla generazione precedente,e si raccontava che l’Africano si rallegrasse di esser collega di Longo nel consolato, così come lo erano stati nel 218 i rispettivi genitori7. Quanto a M. Minucio Thermo, basterebbe la circostanza che nel 190 fu oggetto, insieme a M. Acilio Glabrione, di violenti attacchi ad opera di Catone per individuarne la parte politica. Ma va sottolineato ancoraché, nel consolato del 194, Scipione, disimpegnatosi appena possibile da un fronte di guerra in area alpina,e rifiutando per il successivo 193 il consueto proconsolato provinciale, si trattenne a Roma per preparare, dice Livio, le elezioni dell’anno successivo; uno dei due consoli eletti per il 193 risultò appunto Minucio Thermo, sostenuto quindi (al pari dell’altro console eletto, L. Cornelio Merula) dall’Africano medesimo dopo che aveva provveduto ad effettuare le desiderate deduzioni coloniarie, deduzioni che, pur non avendovi ufficialmente parte, l’Africano a Roma dovette controllare personalmente. Certamente vi furono insediati i veterani di Zama, compresi gli ufficiali. Che le cose così stessero, prova in primo luogo il praedium di Liternum, dove egli si ritirò volontariamentee trascorse gli anni fino alla morte; date le circostanze,e gravando su di lui l’accusa di illeciti arricchimentie di distribuzione personalistica dei fondi di guerra, si deve ritenere che la proprietà liternina fosse, per così dire, al di sopra di ogni sospetto, quasi un premio meritato sul campo della lunga milizia, in altre parole, il frutto legittimo della partecipazione alla divisione coloniaria. Ho valorizzato in altra sede (Zevi 1987, 1 1) un passo di Cornelio Nepote relativo alla vita di Terenzioe alla diffusa diceria che egli non fosse che il prestanome di aristocratici come Scipione Emilianoe Lelio: riassumo l’argomento. Nepote dice dunque che un giorno, nella sua dimora di Pozzuoli, Lelio si attardasse al tavolo da studio,e ai solleciti dei familiari, pregasse di non disturbarlo, dicendo di non avere mai avuto una giornata positiva come quella,e recitò dei versi che furono ritrovati poi nello Heauton-timouroumenos. Ora, poiché questa commedia fu rappresentata nel 163 a. C., l’episodio si riferisce a quell’anno. La data di nascita di Lelio junior è sconosciuta; per varie ragioni si ritiene che fosse un coetaneo forse un poco più anziano dell’Emiliano, nato perciò al più presto nel 190 a. C. Nel 163, dunque, Lelio appena venticinquenne forse ancora non sedeva in Senato. Sappiamo altresì che non era un uomo di grande imprenditorialità, intento semmai alla letteraturae all’otium, come l’episodio della commedia terenziana contribuisce a dimostrarci; in altre parole, sembra assai improbabile che la proprietà puteolana fosse stata acquistata ο costruita da lui stesso, con fortune recenti; d’altro canto, i Campi Flegrei non rappresentavano ancora un campo privilegiato per gli investimenti della nobiltà senatoria romana. Se le cose stanno così, ne consegue quasi obbligatoriamente che si trattava di un bene ereditato; e, risalendo di una generazione, giungiamo dal 163 esattamente a ridosso di quel 194 a. C. che rappresenta la data della deduzione. Dunque Caio Lelio padre, amico fedelissimoe luogotenente di Scipione in Spagnae in Africa, veterano anch’egli della guerra punica, deve aver avuto assegnato, al pari di Scipione stesso, un lotto di terreno (parte dell’ager exceptus? Cfr. Nicolet 1980), in un’altra delle colonie di nuova fondazione. Scipione a Liternum, C. Lelio a Puteoli; se conoscessimo qualcosa della storia municipale delle altre colonie, in primo luogo di Volturnum, non dubito che troveremmo anche lì personaggi tra i più vicini all’Africano. L’importanza militare di questo tratto di costa, un tempo appartenuta all’agro di Capua, emersa durante la seconda guerra punica, si saldava con eccezionali prospettive di sviluppo economico.
10Siamo così ricondotti all’ambito urbanoe agli eventi del 193. Le separazioni tra ambiti disciplinarie settori di competenza forse hanno impedito di cogliere, in tutte le sue implicazioni, il rapporto fra eventi esterni ed interni; alludo in particolare alle realizzazioni della “edilità insigne”, come dice Livio, dei due Emilii, Lepidoe Paolo, nel 193e alle sue costruzioni utilitarie che, come ha sottolineato P. Wiseman, davvero stupisce trovare definite, in un libro recente8, come «a modest buildingprogram». Come è noto, il passo di Livio, ancorché corrotto in un punto, attribuisce chiaramente ai due Emilii la porticus fuori porta Trigemina, che ebbe appunto il nome di porticus Aemilia, e l’emporium, opere su cui ritornarono poi, completandolee migliorandole, i censori del 179e del 174; inoltre una porticus fuori porta Fontinale verso l’ara di Marte, sulla cui natura siamo poco informati. Come è noto, un felice ricongiungimento di frammenti della Forma Urbis consentì a Guglielmo Gatti, negli anni’30, di localizzare la porticus Aemilia, riconoscendone i resti ancora superstitie ricostruendone la pianta: un portico a pilastri di dimensioni colossali, quasi 490 m di lunghezza per 60 ο più di larghezza, con una superficie coperta addirittura di quasi tre ettari. La definizione delle funzioni di questo edificio, enorme per l’epoca, ha lasciato generalmente perplessi gli archeologi; definizioni come “loggia per gli affari”, che pur sono state date, appaiono curiosamente modernizzanti; ma anche formule come “il magazzino di deposito delle merci in arrivo”, per quanto sicuramente più pertinenti, non soddisfano appieno. Manca nella letteratura, salvo un accenno brevissimo,e quasi casuale, del Castagnoli (1980), l’idea di un possibile collegamento tra i due fatti, cioè tra la colonizzazione di Puteoli,e quindi lo sviluppo del suo porto,e la porticus Aemilia a Roma. Eppure abbiamo citato l’attestazione precisa di Livio, secondo cui l’Africano si sarebbe trattenuto a Roma, per tener d’occhio l’andamento della contesa elettorale; lo storico pensa soprattutto alle elezioni consolari, ma non è men vero che tra i successi della politica interna scipionica, in quell’anno “forte” che fu il 194, si deve considerare anche l’elezione degli edili per il 193. Che gli Aemilii fossero strettamente legati agli Scipioni è stato in più sedi autorevolmente sostenuto9; d’altro canto, probabilmente i due giovani cugini erano parenti acquisiti dell’Africano che, non lo si dimentichi, aveva sposato una Aemilia Tertia, e nella generazione successiva le due famiglie si sarebbero unite in modo ancor più stretto con la adozione nella famiglia degli Scipioni appunto del figlio di L. Emilio Paolo, uno dei due edili del 193. Ora, tra le competenze più importanti degli edili vi erano certamente l’approvvigionamentoe le distribuzioni granarie; non occorre certo elencare le numerose testimonianze delle fonti; basterà ricordare al riguardo le distribuzioni del 196 in onore di C. Flaminio, di cui diremo, ovvero la concessione di un rilevante quantitativo di grano da parte del koinón dei Tessali in onore di Q. Cecilio Metello, edile appunto nel 129 a. C., che aveva usato evidentemente di una influenza (forse materializzata in un vero rapporto di clientela) che la sua famiglia aveva da generazioni nei confronti della Lega tessala, per provvedere ad una esigenza sempre basilare per la popolazione romana, ma ancor più pesantemente avvertita nell’età dei Gracchi10. Ebbene, anche se la planimetria non sembra corrispondere a quella dei modelli ellenistici come ci aspetteremmo11, tuttavia ritengo plausibile che la porticus Aemilia potesse fungere da grandioso granaio per l’urbe, anche se, naturalmente, non è escluso potesse accogliere anche altre merci.
11Ignoriamo i presuppostie le motivazioni ufficiali della realizzazione della grande opera edilizia; può darsi che, come per le colonie marittime dedotte l’anno precedente, abbiano influito la psicosi della guerra contro Antiocoe il timore di attacchi navali, di cui Livio dà testimonianza a più riprese nel corso del suo XXXV libro: si riteneva infatti che l’attacco sarebbe iniziato con l’invasione della Sicilia. Comunque, gli afflussi sempre più ingenti di carichi di granaglie, di cui abbiamo notizia particolarmente dagli anni di Ierone II in poi, dovevano aver reso evidenti i problemi, al tempo praticamente irrisolvibili, degli approdi sul litorale romano. Nel 196, finita la guerra macedonica, gli edili avevano potuto destinare interamente alla distribuzione al popolo, per un prezzo assai basso, ben un milione di moggi di grano donati dai Siciliani in onore di C. Flaminio padre di uno dei due magistrati (Liv., XXXII, 42, 8); ovviamente si sarà provveduto a regolamentare gli arrivie le vendite, ma i problemi di stoccaggio, anche sul breve periodo, debbono essere stati considerevoli; che io sappia, le fonti non parlano, per quest’epoca, di horrea pubblici a Roma, come ne esistevano per esempio a Siracusa al tempo dell’uccisione di Geronimo (Liv., XXIV, 21, 11)· Il luogo che verrà scelto per la costruzione della porticus Aemilia, oltre che opportuno per l’attracco delle navi che risalivano il fiume, era altresì poco fuori della porta Trigemina, luogo deputato da tempo antichissimo alle distribuzioni granariee dove la Colonna (o il bove aurato) di Minucio ricordavano le provvidenze del Senato al momento della crisi di Spurio Melio.
12Possiamo forse concludere con tre brevi considerazioni, ciascuna delle quali potrebbe essere oggetto di approfondimento. In primo luogo, va sottolineata la ormai acquisita certezza che coloniae maritimae del 194 e Porticus Aemilia del 193 costituiscono momenti di un unico progetto, ovvero due fasi correlate di un progetto d’insieme; gli Aemilii erano una famiglia di antica nobiltà ed importanza, ma la loro ascesa al vertice della scena politica data dalla generazione che starno ora considerando: i due edili del 193 sono destinati entrambi ad una carriera di protagonisti d’eccezione nella storia politica romana del II sec. a. C. e i legami degli Emili con gli Scipioni, già allora stretti, come abbiamo visto, si intensificheranno ulteriormente nella generazione successiva, con l’adozione dell’Emiliano. È indubbio che la edilità del 193 non avrebbe potuto essere insignis senza il consenso pieno del gruppo al potere. Un’altra osservazione potrebbe essere utile nel contesto. A proposito della nascita della basilica forense è stata messa in evidenza la straordinaria esperienza politica cui partecipò il giovane Lepido, quale membro della ambasceria inviata, qualche tempo dopo Zama, a comporre le querelles tra i regni ellenistici, in primo luogo tra la Siria ed un Egitto indebolito dalla morte precoce di Tolomeo V sostituito sul trono dal figlio appena fanciullo (Gaggiotti 1985). Questo incarico venne magnificato dall’omonimo discendente M. Emilio Lepido, il futuro triumviro, quando nel 61, come monetalis, emise un denario in cui compare un togato che incorona un personaggio di minore staturae la didascalia tutor regis. Sulla realtà, sulla natura di tale incarico si è molto discusso12. Interessa qui sottolineare che la scelta di un giovanissimo per una missione tanto impegnativa (Lepido non doveva avere ancora vent’anni), implica quasi certamente relazioni di famiglia ο di clientela con i Tolomei13; in ogni caso, comportò una permanenza di Lepido nel paese in una posizione tale da poterne conoscere da vicino strutturee organizzazione. Mi chiedo dunque se questa speciale esperienza, in un paese di millenaria vocazione granaria come l’Egitto, possa essere stata determinantee abbia fornito, se non un modello diretto, quanto meno la ispirazione progettuale per la realizzazione di un tipo di edificio nuovo per Roma, di impianto grandiosoe che richiedeva certamente una complessa organizzazione logistica. Naturalmente la tecnica edilizia è tutt’altra, assolutamente romana; ma suggerimenti debbono certamente esser provenuti dall’Oriente ellenistico. A Roma è attestata, del resto, una precoce presenza di elementi alessandrinie a Pozzuoli la notissima lexparieti faciendo attesta l’esistenza di un Serapeo già nel 105 a. C.
13Infine, un accenno alla interdipendenza delle strutture urbane in Roma all’inizio del II sec. a. C.: non esiste, né poteva esistere data l’organizzazione delle competenze magistratuali dei tempi repubblicani, quello che oggi chiamiamo un piano regolatore della città; ma le esigenze funzionali trovano risposte adeguate che mostrano come si fosse sviluppata quanto meno una mentalità urbanistica su cui varrà la pena di indagare in altra occasione. Un esempio vorrei solo accennare: colpisce la connessione tra due opere legate allo stesso personaggio, cioè, ancora una volta Emilio Lepido: da un lato la porticus, di cui abbiamo parlato, con l’emporio; dall’altro la basilica forense, che si chiamerà Aemilici. Le due opere si proponevano in un certo senso come complementari, l’una destinata ad accoglieree custodire le merci, l’altra essendo luogo destinato anche ad affarie contrattazioni; i due monumenti finivano per corrispondersi quasi come due facce di una stessa medaglia, rappresentando rispettivamente l’aspetto unitario delle necessità commerciali di una grande città, che trovavano a loro volta nell’edificio del foro un’espressione architettonica tale da qualificare magnificamente il centro dell’Urbe. Ma su questo occorrerà tornare.
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Referenze bibliografiche
Badian 1958: BADIAN (E.), Foreign Clientelae. Oxford, 1958.
10.1017/S0068246200008564 :Braund 1983: BRAUND (D.). Royal wills and Rome. PBSR, 51, 1983, 16-57.
Broughton 1951: BROUGHTON (T. R. S.), The magistrates of the Roman republic. I: 509 B. C. -100 B. C. New York, 1951 (Philol. Monographs XV, 1).
Broughton 1989: BROUGHTON (T. R. S.), M. Aemilius Lepidus: his youthful Career. In: Studia Pom-
peiana et Classica in honour of W. Jashemski, II. New York. 1989, 12-23.
Cassola 1962: CASSOLA (F.), I gruppi politici romani nel III sec. a. C. Trieste, 1962 (Univ. degli Studi di Trieste, 1st. di Storia antica. II).
Cassou 1956: CASSON (L.), The size of ancient merchant ships. In: Studi in onore di A. Calderinie R. Paribeni. I. Milano, 1956, 231 -238.
10.1515/9781400853465 :Casson 1971: CASSON (L.), Ships and seamanship in the ancient world. Princeton, 1971.
Castagnoli 1980: CASTAGNOLI (F.). Installazioni portuali a Roma. In: The Seaborne Commerce of Ancient Rome. Studies in Archaeology and History (Eds J. D’Arms and E. Kopff). Rome, 1980 (MAAR, XXXVI), 35-42.
Clemente 1976: CLEMENTE (G.), Esperti, ambasciatori del Senatoe la formazione della politica estera romana tra il ITIe il II secolo a. C. Athenaeum, 54, 1976, 319-352.
Clemente 1980-81: CLEMENTE (G.), Considerazioni sulla Sicilia nell’Impero romano. III a. C. -V sec. d. C. Kokalos, XXVI-XXVII, 1980-1981. I (Atti del V congr. internazionale di studi sulla Sicilia antica), 192-219.
10.4159/harvard.9780674331198 :D’Arms 1981: D’ARMS (J.), Commerce and social standing in ancient Rome. Cambridge (Mass.), 1981.
Dijksterhuis 1989: DIJKSTERHUIS (E. J.), Archimede. Firenze, 1989 (Trad. it.).
Dubois 1907: DUBOIS (C.). Pouzzolesantique. Paris, 1907 (BEFAR. 98).
Frederiksen 1980-81: FREDERIKSEN (M.), Puteolie il commercio del grano in età romana. Puteoli, IV-V, 1980-1981 (Atti del convegno “Studie ricerche su Puteoli romana”. Napoli. 1979), 5-27.
Gabba 1988: GABBA (E.). Del buon uso della ricchezza. Saggi di storia economicae sociale del mondo antico. Milano, 1988.
Gaggiotti 1985: GAGGIOTTI (M.), Atrium regium-basilica Aemilia. Una insospettata continuità storicae una chiave ideologica per la soluzione del problema dell’origine della basilica. Anal. Rom. Inst. Donici, XIV, 1985,53-80.
Garnsey 1988: GARNSEY (P.), Famine and food supply in the Graeco-Roman world. Responses to risk and crisis. Cambridge, 1988.
Garnsey-Gallant-Rathbone 1984: GARNSEY (P.), GALLANT (T.), RATHBONE (D.), Thessaly and the Grain Supply of Rome during the II Cent. B. C. JRS, 74, 1984,30-44.
Guarino 1982: GUARINO (Α.), Quaestus omnis patribus indecorus. Labeo, 28, 1982, 7-16.
Hesberg 1987: HESBERG (H. von), Mechanische Kunstwerke und ihre Bedeutung fiir die hofische Kunst des frühen Hellenismus. MWPr, 1987, 47-72.
Hopkins 1983: HOPKINS (K.), Models, ships and staples. In: Trade and Famine in Classical Antiquity (P. Garnsey, C. R. Whittaker eds). Cambridge, 1983 (PubCambPhilolSoc Suppl. VIII), 84-109.
Marasco 1988: MARASCO (G.), La guerra annibalicae lo sviluppo economico di Pozzuoli. In: Geografiae storiografia del mondo classico (a cura di M. Sordi). Milano, 1988 (CISA, XIV), 205-216.
Marino 1984: MARINO (R.), Levinoe la formula provinciae in Sicilia. In: Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, III. Napoli, 1984-1985 (Bibl. di Labeo VIII), 1083-1094.
Marino 1988: MARINO (R.), La Sicilia dal 241 al 210 a. C. Roma, 1988 (Kokalos Suppl. VII: Testimonia Siciliae antiquae I, 12).
Mazza 1980-81: MAZZA (M.), Economiae società nella Sicilia romana. Kokalos, XXVI-XXVII. 1980-1981, I (Atti del V congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica), 292-358.
Musti 1980: MUSTI (D.), Il commercio degli schiavie del grano: il casodi Puteoli. In: The Seaborne Commerce of Ancient Rome. Studies in Archaeology and History (Eds J. D’Arms and E. Kopff). Rome, 1980 (MAAR. XXXVI), 197-215.
Musti 1981: Modi di produzionee reperimento di manodopera schiavile: sui rapporti tra l’Oriente ellenisticoe la Campania. In: Società romanae produzione schiavistica (a cura di A. Giardinae A. Schiavone), I, Bari, 1981. 243-263.
Nicolet 1980: NICOLET (CI.), Economie et institutions au IIe s. av. J. -C.: de la lex Claudia à l’Ager Exceptas. In: AA. VV., Tra Greciae Roma. Roma, 1980, 93-1 10.
Pinzone 1979: PINZONE (Α.), Maiorum sapientia et lex Hieronica. Roma e l’organizzazione della provincia Sicilia da Gaio Flaminio a Cicerone. Atti Acc. Peloritana, 15, 1979, 165-194.
Pinzone 1980-1981: PINZONE (Α.), Intervento su: G. Clemente, Considerazioni sulla Sicilia nell’impero romano, III sec. a. C-V sec. d. C. Kokalos, XXVI-XXVII, 1980-1981, I (Atti del V congresso internazionale di studi sulla Sicilia antica), 243-245.
Reiter 1988: REITER (W.), L. Aemilius Paullus, Conqueror of Greece. London, 1988.
Rickman 1971: RICKMAN (G.), Roman granaries and store buildings. Cambridge, 1971.
Rickman 1980: RICKMAN (G.), The corn supply of ancient Rome. Cambridge, 1980.
Scullard 1973: SCULLARD (H. H.), Roman Politics 220-150 B. C. Oxford,19732.
Tchernia-Pomey 1980-81: TCHERNIA (A), POMEY (P.), Il tonnellaggio massimo delle navi mercantili romane. Puteoli, IV-V, 1980-1981 (Atti del convegno “Studie ricerche su Puteoli romana”. Napoli, 1979), 29-57.
Toynbee 1965: TOYNBEE (Α.), Hannibal’s legacy. I-II. Oxford, 1965.
Wiseman 1991: WISEMAN (T. P.), Rome and the Resplendent Aemilii. In: Tria Lustra. Essays to J. Pinsent, Liverpool, 1991.
Zevi 1987: ZEVI (F.), Tra mitoe storia. In: I Campi Flegrei. Napoli, 1987, 1 1-72.
Zevi 1991: ZEVI (F.), Atrium Regium. Arch. Class., XLIII. 1991, 475-487.
Notes de bas de page
1 Traggo queste notizie dalla classica opera di Dijksterhuis (1989, spec. 305 sqq.); ringrazio G. Manganare per l’indicazione al riguardo.
2 Ancora in età antonina, un altro tema “archimedeo”: Erode Attico esibì nelle Panatenee una nave che “camminava da sola”, cfr. Hesberg 1987.
3 Specialmente il saggio Arricchimento e ascesa sociale in Plauto e in Terenzio, rist. in Gabba 1988, 69-82; ma si vedano anche gli altri saggi della prima parte del volume. Con prospettiva diversa, Guarino 1982; Nicolet 1980; D’Arms 1981, 31 sqq.
4 Toynbee 1965, spec. p. 221, ripreso recentemente da Pinzone 1979; cfr. anche Pinzone 1980-1981. La opinione comune fa risalire l’adozione dellalex Hieronica alla riconquista romana e all’opera di Levino, cioè al 210a. C. Cfr. peresempio Marino 1984eMarino 1988. Ampie trattazioni di Mazza 1980-81 e di Clemente 1980-81.
5 Musti 1980, 206; Musti 1981, 251. Diversamente, da ultimo, Marasco 1988.
6 Garnsey 1988, specialmente p. 188 sqq. Restano fondamentali Frederiksen 1980-81 e Rickman 1980.
7 Per le carriere dei personaggi citati si veda naturalmente Broughton 1951. Il terzo e più anziano dei tresviri, M. Servilius Pulex Geminus, appartiene, invece, a quanto sembra, agli avversari degli Scipioni.
8 Wiseman 1991. Il libro in questione è quello di Reiter 1988, 109.
9 Soprattutto da Scullard 1973.
10 Iscrizione di Larissa; cfr. Garnsey-Gallant-Rathbone 1984; dei trasporti doveva occuparsi Metello, «perché i Tessali non hanno navi». Il frumento ceduto dai Tessali equivaleva a 483 750 moggi.
11 Malcolm Bell ha sottolineato, nel corso del convegno, la differenza con i granai ellenistici, particolarmente quelli di Morgantina. La funzione della porticus Aemilia, non è definita nel classico Rickman 1971.
12 Braund 1983, specialmente 30 sqq.: Broughton 1989. In generale, Clemente 1976.
13 Per questa ipotesi, cfr. Zevi 1991, specialmente 482 n. 25; il caso sarebbe forse non dissimile da quel lo, ricordato sopra, dei due C. Flaminii nei confronti della Sicilia. In generale, si veda il classico volume del Badian 1958.
Auteur
Università La Sapienza, Roma
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Les bois sacrés
Actes du Colloque International (Naples 1989)
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
1993
Énergie hydraulique et machines élévatrices d'eau dans l'Antiquité
Jean-Pierre Brun et Jean-Luc Fiches (dir.)
2007
Euboica
L'Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente
Bruno D'Agostino et Michel Bats (dir.)
1998
La vannerie dans l'Antiquité romaine
Les ateliers de vanniers et les vanneries de Pompéi, Herculanum et Oplontis
Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971