Saturnino, Ostia e l’annona. Il controllo e l’organizzazione del commercio del grano tra II e I secolo a. C.
p. 35-46
Résumés
La storia edilizia di Ostia in età tardo-repubblicana sembra riflettere fedelmente lo sviluppo del porto, in funzione delle forniture annonarie di Roma. Epigrafi frammentarie rinvenute nell’area del santuario di Via della Foce permettono forse di collegare la monumen-talizzazionedi due dei templi (di Esculapioe di Ercole) con la questura ostiense di Saturninoe con il dominio che il tribuno esercitò sull’annona negli ultimi anni del II sec. a. C. La delimitazione di un’ampia fascia di terreno lungo la riva del Tevere, a est del Castrimi, attribuibile all’età graccana, trova giustificazione nella necessità di riservarla all’uso pubblico, e in particolare all’ampliamento dell’area portuale; qui sorgeranno quasi subito almeno due imponenti magazzini, tra i quali i cosiddetti “Grandi Horrea”, la cui realizzazione è da attribuire agli anni intorno al 100 a. C., e forse è anch’essa da collegare all’attività di Saturninoe al contemporaneo potenziamento delle strutture annonarie di Roma.
The building history of Ostia in the late Republican period seems to reflect faithfully the development of the port, in its function of supplying foodstuffs to Rome. Fragmentary epigraphs found in the area of the sanctuary of Via della Foce perhaps permit connecting two of the monumental Temples (of Asclepius and of Hercules) with the Ostian quaestorship of Saturninus and with the dominion that the tribune exercised on the annona in the last years of the second century B. C. The determination of a vast strip of land along the Tiber, to the east of Castrimi, which can be attributed to the period of the Gracchi, finds justification in the necessity of reserving it for public use, and particularly for enlarging the harbour area. Here two imposing warehouses arise almost immediately, among which the so-called “Great Horrea” whose realization must be dated to the years around 100 B. C., and perhaps this too should be connected to the activity of Saturninus and to the contemporaneous amplification of the victualling structures of Rome.
Texte intégral
11. La creazione del quaestor Ostiensis nel corso del III secolo a. C. (Meiggs 1973, 24 sq., 298 sq.) (probabilmente già dal 267, anche se è stato proposto di recente di abbassare questa data al periodo della seconda guerra punica [Harris 1976]) è da collegare con le sempre crescenti necessità di approvvigionamento di Roma. Non sappiamo praticamente nulla di questa magistratura fino all’ultimo secolo della Repubblica, quando appaiono i primi documenti che ce ne forniscono informazioni di un certo rilievo.
2Si tratta in primo luogo dell’iscrizione tiburtina di un Pacceius L. f., che vi è definito q(uaestor) pro pr(aetore) — cui si è aggiunto in seguito un documento parallelo scoperto ad Ostia1. Sembra che se ne possa ricavare la competenza giudiziaria del questore ostiense, competenza che è confermata dall’esistenza di un tribunal quaes(toris) nel foro di Ostia ancora in età repubblicana (CIL, XIV, 376; Meiggs 1973, 299, 499). Ciò significa indubbiamente che all’interno della colonia (una colonia di cittadini, quasi priva alle origini di autonomia amministrativa) il magistrato romano esercitava un potere preminente, almeno nell’ambito degli interessi vitali di Roma, connessi con il funzionamento del porto.
3Le competenze prevalentemente annonarie del questore ostiense risultano con chiarezza dal noto episodio relativo a Saturnino, in genere datato al 104 a. C., ma che può anche risalire a uno ο due anni prima2. Le poche informazioni a riguardo (ricavabili da due passi di Cicerone e da uno di Diodoro [Cic., bar. resp., 43; pro Sest., 39; Diod., XXXVI, 12; Harris 1976, 97]) non lasciano dubbi sulla funzione del questore; l’annona, la res frumentaria. In quell’occasione, il futuro tribuno venne rimosso dal suo incarico, e sostituito dal princeps senatus, M. Aemilius Scaurus: ciò che avrebbe suscitato la sua vocazione rivoluzionaria3.
4L’importanza politica della cura annonae si rivela chiaramente attraverso questo episodio, che prelude ad episodi analoghi: ad esempio, quello che vedrà affrontarsi Clodio e Pompeo (Rickman 1980, 48 sqq.; da ultimo, Virlouvet 1985, 39 sqq.). In ogni caso, il controllo dell’annona dovette essere di nuovo nelle mani di Saturnino nel periodo compreso tra il 103 e il 100 a. C., caratterizzato dall’alleanza con Mario: l’approvvigionamento della città, e in particolare le frumentationes (quale che sia la data della lex frumentaria di Saturnino)4 costituiranno da allora una delle chiavi essenziali della politica interna, e non potevano certo sfuggire al controllo dei populares. Un documento epigrafico di Ostia sembra potercene fornire una conferma.
52. Il più notevole complesso di edifici cultuali della colonia a noi pervenuto è quello che occupa il lato immediatamente a nord di via della Foce, dunque all’esterno del Castrum: si tratta di un’area sacra comprendente tre templi (oltre ad altre strutture legate al culto), il maggiore dei quali è attribuibile con certezza a Hercules Invictus5. Se coglie nel segno, come tutto sembra indicare, l’ipotesi di R. Meiggs (1973, 340-341, n. 3), che identifica nell’area a est di esso, caratterizzata dalla presenza di quattro piccole are di origine arcaica, il centro di culto dei sociales arulenses, menzionati in un gruppo di iscrizioni ostiensi (Carcopino 1919, 49-58), è probabile che ci troviamo in presenza di un antichissimo luogo di culto, forse anteriore alla stessa fondazione del Castrum. In ogni caso, è certo che questo luogo di culto precede la monumentalizzazione del santuario, che dovette avvenire in due riprese. L’edificio più antico sembra infatti da riconoscere nel cosiddetto “Tempio dell’ara rotonda”, come si deduce dalle stesse caratteristiche architettoniche dell’edificio, e dai saggi in esso realizzati da F. Zevi6: siamo intorno alla metà del II secolo a. C. E possibile che si tratti di un tempio di Liber Pater7. È importante sottolineare che proprio questo culto sembra aver conservato un’importanza predominante anche in età imperiale, dal momento che esso solo conobbe una sontuosa ristrutturazione in età augustea.
6L’edificio che qui interessa particolarmente è però il cosiddetto “Tempio tetrastilo”, la cui costruzione appare contemporanea a quella del Tempio di Ercole (Zevi 1976, 54, 60-61). I dati tecnico-stilistici permettono di fissarne la cronologia intorno al 100 a. C.; basti qui ricordare l’uso del paramento in reticolato irregolare (Coarelli 1977, 14-16), il tipo dei capitelli (vicinissimo a quello del Tempio Β di Largo Argentina [Pensabene 1973, 52-53, n. 198; tavv. XVIII, LXXIX; 53, n. 199]), le modanature architettoniche (Shoe 1965, 162, tav. 51, 8; 196, tav. 61,7) e l’uso misto del tufo dell’Aniene (prevalente) e del travertino (Coarelli 1981, 19-21). Nella statua di culto, un grande acrolito di divinità maschile barbata, è stato da tempo riconosciuto (Zanker 1972, n. 3032; Zevi 1976, 60-61) un originale tardo-ellenistico, realizzato appositamente per il tempio da maestranze neoattiche (il marmo è pentelico) vicinissime a quelle che eseguirono l’acrolito del Tempio Β di Largo Argentina (Coarelli 1990, 661 -662, fig. 21) (che ancora una volta si rivela come il confronto più pertinente)e forse anche il simulacro di Diana dal santuario di Nemi, anch’esso restaurato intorno al 100 a. C. (Coarelli 1990, 662, fig. 22).
7L’attribuzione ad Esculapio di questo tempio sembra confermata, oltre che dallo stesso tipo della statua di culto, anche dai dati seguenti: in primo luogo, dalla scoperta, nellacella dell’edificio, di unastatuadi Lucilla rappresentata come Igea (Zevi 1976, 60-61; Calza R. 1978. n. 13, pp. 17-18, tav. VIII); inoltre, dalla analoga provenienzadi iscrizioni di Iuppiter Dolichenus (Bloch 1953, 243, nn. 4, 5; Meiggs 1973, 376), di cui è nota l’identificazione sincretistica con Esculapio [Merlat 1960, 104 sq.; Coarelli (c. s.)]. Una tale riconversione, se confermata, potrebbe testimoniare una certa flessione dell’importanza del culto originario, che sembra potersi dedurre anche dalla totale assenza di restauri ο rifacimenti dell’edificio fino al periodo traianeo, quando esso-insieme al vicino Tempio di Ercole — conoscerà un parzialee frettoloso restauro in laterizio. Non è impossibile che un tale disinteresse possa essere una conseguenza delle caratteristiche “politiche”, che sembrano connotare alle origini tutto il complesso architettonico.
8Le caratteristiche “plebee” di questo appaiono innegabili: collocato com’è in prossimità del Tevere, a immediato contatto con un’area commerciale in cui mi è sembrato di poter identificare il Forum vinarium di Ostia (Coarelli 1992), il santuario appare come una replica dell’area cultuale del Foro Boario (Coarelli 1988, passim): l’Ara Maxima di Hercules Invictus, il Τempio di Esculapio in insula, a cui si aggiunge, forse, se l’attribuzione a Liber del Tempio dell’ara rotonda è giusta, il culto della triade plebea, presente qui con uno dei suoi rappresentanti.
9Un’iscrizione ancora conservata sulla guancia destra della scalinata del “Tempio tetrastilo”8, certamente contemporanea alla costruzione, e quindi attribuibile a uno dei dedicanti (un altro doveva essere ricordato sulla guancia opposta, quasi completamente distrutta) sembra offrire una preziosa conferma alle ipotesi introdotte in precedenza. La parte sinistra del testo è scomparsa in una lacuna, provocata dalla rottura della lastra frontalee di quella disposta perpendicolarmente a questa. Si legge senza troppe difficoltà:
10[—]uleius L. f. / [—]ianus.
11Il calcolo degli spazi permette di ricostruire con sicurezza il numero delle lettere mancanti sulla sinistra: quattro per la prima riga (più la metà della V mancante all’inizio), tre per la seconda. Ciò permette di escludere un numero notevole dei possibili nomina gentilicia terminanti in -uleius, come Herennuleius, Hirtuleius, Licculeius, Proculeius (lista completa in Cébeillac 1971, 83, n. 1). Gli unici che possono adattarsi allo spazio residuo sembrano essere Apuleiuse Canuleius.
12Per quanto riguarda il cognomen, trattandosi di aggiungere tre lettere al testo conservato, [—]ianus, le possibilità sono ancora troppo numerose (Kajanto 1965, indici).
13Non è possibile decidere tra le varie alternative, se restiamo confinati all’interno del documento stesso. La cronologia di questo (intorno al 100 a. C.) e la probabilità che il personaggio sia noto permettono però di restringere notevolmente il campo delle ipotesi. Conosciamo infatti un C. Apuleius Decianus, tribuno della plebe nel 99 a. C.9 che fu esiliato, certamente l’anno successivo, per aver deprecato pubblicamente la morte di Saturnino. Non ci sonodubbi, di conseguenza, sulla posizione politica di questo personaggio, come pure dell’altro tribuno del 99 a. C., Sex. Titius10, anch’egli condannato contemporaneamente a Deciano per aver conservato in casa un ritratto di Saturnino: l’elezione dei due, avvenuta nel 100, e cioè in una fase di pieno dominio politico di Saturnino, ne costituisce un’evidente conferma.
14E. Badian aveva proposto da tempo di riconoscere in Apuleius Decianus un figlio di P. Decius-un tribuno della plebe filograccano del 120 a. C., poi pretore nel 115 — adottato da un Apuleius, in cui proponeva di riconoscere lo stesso Saturnino (Broughton 1951, 524; Badian 1956, 95-96). L’iscrizione ostiense, se veramente appartiene al partigiano di Saturnino, ci fornisce, con l’indicazione della filiazione, che ci era in precedenza ignota, una notevole conferma dell’ipotesi di Badian: Lucius infatti è anche il prenome di Saturnino.
15Sembra quindi possibile attribuire a C. Apuleius Decianus un intervento nel “Tempio tetrastilo” di Ostia, che forse consistette nella partecipazione alla costruzione di esso, certamente insieme ad altri (come si deduce dalla posizione relativamente marginale dell’iscrizione, e dalla mancanza di qualsiasi indicazione di magistratura). La cronologia di questa operazione non può che essere anteriore al 99 a. C., e collocarsi quindi nel periodo del dominio politico di Saturnino: ciò che costituisce tra l’altro una notevole conferma della datazione dedotta in base ai dati archeologici. Al tempo stesso, emerge dal nuovo dato una probabile implicazione di Saturninoe della sua factio nella costruzione in forme monumentali di due dei templi dell’area sacra ostiense.
16Una possibile conferma tanto della cronologia quanto delle caratteristiche politico-amministrative che sembrano presiedere alla realizzazione di tutto il complesso architettonico si può ricavare da un frammento di iscrizione che — per provenienzae caratteristiche tecniche-sembra esser appartenuta alla costruzione originaria del Tempio di Ercole (Bloch 1953, n. 64, pp. 298-299; Cébeillac 1971, 71 -73). Su un grande blocco di travertino, probabilmente inserito nell’epistilio del tempio, si leggono le prime lettere di due nomi, da identificare con tutta probabilità con i magistrati dedicanti: C. CA [—]/P. DO[—]/EX S[—].
17Va sottolineato in primo luogo il testo della terza riga che, nonostante i dubbi di Meiggs sulla lettura dell’ultima lettera come S (Meiggs 1973, 349, n. 3), non sembra completabile altrimenti che ex s[enatus consulto] oppure s[enatus sententia]. Se, come tutto induce a pensare, si tratta di magistrati urbanie non ostiensi, la prima delle due integrazioni si impone, trattandosi evidentemente del senato di Roma. Va quindi esclusa l’identificazione proposta per il primo con Cartilio Poplicola, ο con il padre di questi (Meiggs 1973, 349): tra l’altro, l’aspetto grafico delle lettere è perfettamente adeguato alla datazione archeologica del Tempio di Ercole, intorno al 100: quindi, in ogni caso, due generazioni almeno prima di Cartilio Poplicola, la cui gens, tra l’altro, sembra del tutto assente dai fasti della colonia prima dei decenni finali del I secolo a. C.
18Sembra quindi più probabile riconoscere nei dedicanti del Tempio due magistrati romani, uno dei quali potrebbe essere un questore ostiense11.
19Per almeno uno di essi si può riscontrare una possibile corrispondenza con un personaggio conosciuto, un tribunus plebis del 98 a. C., C. Canuleius12, anch’egli politicamente vicino a Saturnino, dal momento che accusòe fece condannare quel Furius, già invano accusato l’anno precedente da Apuleius Decianus, nel corso del processo che gli era costato l’esilio.
20Anche per l’altro nome che appare nell’iscrizione ostiense si può proporre un’identificazione, che però non aggiunge nulla alle conclusioni ipotetiche fin qui proposte. Per esso H. Bloch aveva rifiutato la naturale integrazione con P. Do[mitius] (Bloch 1953, 298-299, n. 64), in base alla convinzione dell’assenza di questo prenome nella gens Domitia. In realtà, conosciamo un M. Domitius P. f., legato nel 113 a. C.13, che potrebbe benissimo essere il padre del magistrato testimoniato a Ostia, il cui nome, in tal caso, sarebbe da integrare P. Domitius M. f. È del resto noto quanto lacunosa sia la nostra conoscenza dei magistrati minori dopo la fine del testo conservato di Livio, nel 166 a. C.
21In conclusione, nell’imponente complesso cultuale sorto a ridosso di via della Foce, certamente il più importante realizzato a Ostia in età repubblicana, sembra probabile riconoscere l’intervento diretto di un gruppo di personaggi legati a Saturnino, in un periodo limitato a pochi anni,e compreso tra il 103 e il 99 a. C. Anche un’altra iscrizione recentemente pubblicata da M. Cébeillac (1971, 39 sqq.), un ex-voto ad Ercole dovuto a un P. Livius P. 1., proveniente dallo stesso santuarioe databile intorno al 100 a. C., può forse rinviarci alla cerchia di un altro tribuno rivoluzionario, M. Livio Druso: potrebbe trattarsi, ad esempio, del liberto di un probabile liberto di quest’ultimo, un P. Livius Μ. 1., iniziato ai misteri di Samotracia nel 92 a. C.14 (è da ricordare che M. Druso fu questore in Asia)15. Il livello eccezionale del donario ostiense — che risulta dal materiale utilizzato per la base iscritta, il marmo delle isole-testimonia in ogni caso l’alto livello economico del dedicantee forse anche una sua attività nel Mediterraneo orientale, analoga a quella del suo possibile patronus.
22Se tutto quanto si è affermato Se tutto quanto si è affermato sin qui è accettabile, dobbiamo anche riconoscere che il settore ove sorge il santuario sembra riservato a magistrati romani, e soprattutto, verosimilmente, al questore ostiense,e di conseguenza sottratto ai magistrati locali: tutto ciò ovviamente non può che trovarsi in stretto rapporto con l’approvvigionamento di Roma,e soprattutto con l’approvvigionamento di grano.
233. Ci troviamo di fronte, in altri termini, a una situazione analoga a quella che possiamo riscontrare in un’area della città simmetricamente opposta rispetto al Castrum:quitutto il settore a nord del decumanus maximus, compresotra quest’ultimoe il Tevere, venne delimitato come area pubblica dal pretore urbano C. Caninius in un momento che si può fissare nel terzo quarto del II secolo a. C.(CIL, XIV, 4702 = I2, 2516; Meiggs 1973, 32; Pavolini 1988, 121),e rimase di conseguenza riservato all’intervento preminente di Roma, che sembra ancora prolungarsi in piena età imperiale. Torneremo più avanti su questo argomento: per ora, ci interessa soprattutto sottolineare una possibile interpretazione, che sembra sgorgare naturalmente dai dati finora esposti:e cioè, che l’area portuale più antica, collegata con i primi luoghi di cullo extraurbani, debba identificarsi con la zona a ovest delCastrum, compresatra la via della Focee il Tevere (Zevi 1976, 55, n. 15; Pavolini 1988, 122, n. 30); area che doveva essere soggetta fin dall’origine agli stessi vincoli giuridici che troveremo più tardi estesi alla zona a est del Castrum, delimitatada Caninio. In altri termini, come ci sembra risultare anche dalle iscrizioni esaminate in precedenza, si tratta di una zona riservata fin dalle origini alla competenza diretta del magistrato romano, e per ciò stesso sottratta alla colonia.
24Non mi sembra un caso che, proprio alle spalle dell’area cultuale di via della Foce, si disponga un’ampia area libera, che doveva prolungarsi fino al Tevere, nella quale dovrebbe riconoscersi il Forum vinarium (Coarelli1992).
25Ma lasciamo il vinoe torniamo al grano.
26In primo luogo, dobbiamo riprendere in esame il settore a nord del decumano, delimitato dai cippi di C. Caninius. La datazione di questi anteriormente alle mura tardo-repubblicane della città era stata già proposta da Becatti (1953, 99), ed è stata confermata da Zevi (1973, 570 sq.).L’aspettostesso delle iscrizioni-paleograficoe morfologico-consiglia comunque una data piuttosto alta, certamente anteriore di qualche decennio alla fine del II secolo a. C. Una data compresa nel corso del terzo quarto del II secolo sembra la più probabile, come pure l’identificazione del personaggio con un figlio del C. Caninius Rebilus, pretore nel 171 a. C.16 (trattandosi di un pretore di Sicilia, l’identificazione da taluno proposta di quest’ultimo con il respon-sabile della delimitazione ostiense non è sostenibile [Carcopino 1919, 13; Calza G. 1953, 19-20]): il normale scarto di una generazione ci porterebbe, nel nostro caso, agli anni 140-130 a. C.
27Ora, è probabile che l’attività di C. Caninius non si fosse ristretta alla limitatio ostiense: in una nota iscrizione urbana (CIL, I2, 809), proveniente dal Comizio, in cui è ricordata un’amplissimae sistematica operazione di lastricatura delle strade di Roma, databile certamente nei primi anni del I secolo a. C., troviamo menzionate delle scalae[...]niniae, daintegrare quasi certamente inscalae Caniniae (Hiilsen 1902, 261-262). Il contesto topografico sembra indicare una zona prossima al Tevere, con tutta probabilità all’altezza del Foro Boario17.Nedobbiamo dedurre che a Roma, in una data certamente anteriore agli inizi del I secolo a. C., un magistrato di nome Caninius (nome tra l’altro rarissimo nei fasti urbani)18 avrebbe realizzato delle scale, probabilmente destinate all’accesso del portas Tiberinus.Sesi tratta, come tutto induce a pensare, dello stesso Caninius di Ostia, ne dovremmo concludere che quest’ultimo, in qualità di pretore urbano, dovette intervenire nella sistemazione delle strutture portuali tanto di Roma quanto di Ostia:e tutto questo in un periodo caratterizzato da grandi lavori di ristrutturazionee di ampliamento degli empori romani, in seguito all’enorme incremento delle esigenze alimentari della città: il periodo cioè compreso tra la censura di Scipione Emiliano (realizzatore tra l’altro, se una mia ipotesi coglie nel segno, di horrea Aemiliana, destinatiin seguito al grano delle frumentationes[Coarelli1988, 147-155])e il tribunato di Gaio Gracco, la cui importanza, per quanto riguarda l’incremento delle forniture granarie della cittàe per la realizzazione di infrastrutture pubbliche funzionali a questo incremento, è universalmente nota (Plut., C.Gracch., 6,2; Fest., p. 290 L.; Rickman 1971, 173; Meiggs 1973, 32).
28La logica dell’operazione realizzata da C. Caninius a Ostia appare perfettamente comprensibile in tale contestoe sembra riprodurre un modello realizzato a Roma già alcuni decenni prima: intendo riferirmi alla realizzazione di un nuovo settore portuale nella zona di Marmorata (Rickman 1971, 97-104; Meiggs 1973,30-31), destinato a integrare l’anticoportus Tiberinus, ormai insufficiente per le crescenti esigenze della cittàe non suscettibile di sviluppo nell’area ristretta tra Campidoglioe Aventino. Significativamente, il primo intervento appare di carattere pubblico, e comportò la costruzione dell’Emporiume della porticus Aemilia (Gatti1934, 123-149, tavv. I-V = Gatti 1989, 57-83): ma alle spalle di questi complessi, sorti evidentemente su terreno pubblico, rimase disponibile per l’iniziativa privata un’ampia area di intervento, che verrà investita soprattutto a partire dalla fine del II secolo a. C., con la realizzazione dei grandiosi horrea Galbana, sorti nell’area dei praedia appartenenti alla stessa famiglia (Rodriguez 1977, 9 sqq.; Id. 1981, 102-105).
29La storia edilizia di Ostia, per quanto riguarda l’ampio settore a est del Castrum, misembra riprodurre, con qualche decennio di ritardo, le vicende di Roma or ora descritte.
30In un primo momento, che si può fissare verosimilmente negli anni 140-130, viene delimitato un ampio settore adiacente al Tevere, allo scopo evidente di predisporre una situazione di ricambio per il porto più antico, quello a ovest della città, ormai insufficiente per le nuovee accresciute esigenze. Mi sembra ovvio concluderne che questo ampio settore dovette cominciare a funzionare immediatamente dopo l’operazione di Caninius, e cioè ancora nei decenni finali del II secolo. Il terreno a sud del decumano rimase evidentemente disponibile per l’iniziativa privata,e venne in seguito occupato da una serie di horrea chiaramente privati, i più importanti dei quali si dispongono a immediato contatto con il decumano stesso,e cioè entro l’area disponibile più vicina all’emporium: si tratta degli horrea di Hortensius, del Sabazeo (scavati solo in minima parte)e dell’Artemide (Rickman 197 1, 61 -69), che vengono ad assumere, rispetto alla prospiciente area pubblica, la stessa posizione che a Roma occupano, rispetto all’Emporium e alla portions Aemilia, gli horrea Galbana, Lolliana ecc., di carattere privato.
31I collegamenti con la riva del Tevere, a Ostia, erano assicurati da vie, alcune delle quali (come la cosiddetta “Semita dei cippi” [Meiggs 1973, 122; Pavolini 1983,29, 34, 204]) sembrano destinate esclusivamente a questa funzione: se questa almeno è l’interpretazione giusta del testo iscritto sui cippi della via (curiosamente ancora semiinediti): « hae csemita Ihorr(eorum) p(opuli) R(omani) i(ussu) est » (Becatti1953, 120).
32Questa linea interpretativa cozza irrimediabilmente con l’opinione corrente tra archeologie storici, che attribuiscono concordemente agli horrea diquesta zona— tanto a nord quanto a sud del decumano-una datazione non anteriore agli anni centrali del I secolo d. C.19, edescludono l’identificazione con horrea del-l’unicl’unico edificio di cui viene riconosciuta la cronologia repubblicana-curiosamente il più lontano dal Castrum —, gli “horrea di Porta Romana” (Wilson 1935, 77-87). È dunque indispensabile confrontarsi con questo problema, e innanzitutto controllare datie documenti sui quali si basa una tale opinione.
33G. Rickman riconosce in effetti la possibilità che gli edifici ora visibili ne sostituiscano altri più antichi (Rickman 1971, 84 sq.) — tanto è evidente l’improponibilità di un’opinione che escluda l’esistenza stessa di magazzini annonari a Ostia in età repubblicana. Ma è proprio l’assenza di tracce rilevanti di età anteriore a fare problema, dal momento che gli horrea nonsono costruzioni che richiedano rifacimenti totali: in genere infatti essi venivano semplicemente restaurati in modo più ο meno esteso, ma conservando sostanzialmente le strutture originarie, come a Ostia si può constatare il più delle volte. E del resto, come nel caso degli horrea di Hortensius, la possibilità stessa è esclusa dalla presenza nei livelli inferiori di edifici più antichi, identificabili con case di abitazione (databili tra il IIe i primi decenni del I secolo a. C. [Becatti 1953, 1 17 sqq.]).
344. Il nostro esame deve partire logicamente dalle strutture esistenti nel settore di carattere pubblico a nord del decumano, e in primo luogo confrontarsi con il più vasto di tutti i magazzini ostiensi, i cosiddetti “Grandi Horrea”. Scavatinel 1920 e pubblicati subito dopo da G. Calza (1921, 360-383), questi sono, tra l’altro, tra i rari edifici della città dotati di quella che-con tutti i limiti dell’archeologia dell epoca-può considerarsi un’edizio-ne corretta. Nonostante ciò, come è inevitabile, i criteri di datazione utilizzati non sempre corrispondono alle esigenzee alle conoscenze che sono le nostre. E tuttavia, le conclusioni di Calza non sono state mai realmente riconsiderate alla luce di criteri più attuali, e vengono regolarmente ripetute dalla manualistica recente (ultima quella di Rickman 1971, 43-54). Del resto, la situazione attuale dell’edificio, ricoperto quasi interamente da una lussureggiante vegetazione, sotto la quale le strutture scompaiono quasi del tutto, non è tale da permettere quel riesame accurato, che pure si imporrebbe, stesso che restaurò il Tempio di Bellona)20 abbiano dovuto richiedere l’assenso preliminare del senato di Roma, come risulta dall’iscrizione.
35Le caratteristiche “frumentarie” del culto di Vulcano richiederebbero un lungo discorso, che qui non è possibile neppure accennare (Wissowa 1912, 230): ci limiteremo ad accennare al modello cui sembra ispirarsi il complesso ostiense, identificabile a mio avviso nell’insieme costituito dalla Crypta Balbi con il Tempio di Vulcano21, collegato con il vicino Tempio delle Ninfe (sede dell’archivio delle frumentationes, al centro della porticus Minucia frumentaria [Coarelli 1981; Nicolet 1976, 29-51]). Aggiungerò che il Tempio di Vulcano in campo è la probabile sede della praefectura vigilum22: comprendiamo così meglio la prossimità al “Piazzale delle Corporazioni” della Caserma dei vigili di Ostia (Meiggs 1973, 305-308; Reynolds 1926, 107-114; Rainbird 1986. 156-164), la funzione dei quali, come è stato osservato da tempo (ad es., Meiggs 1973, 308-309), era proprio di domare gli incendi che-colpendo gli horrea del porto di Roma — potevano mettere in crisi l’approvvigionamento granario della città.
36Gli “Horrea di Hortensius”, sull’altro lato del Decumano, attestano l’importanza del Γ i intervento privato nel settore (Rickman 1971,64 sqq.). Ancora una volta, si tratta di un edificio mal datato: il reticolato non regolarissimo utilizzato come paramento, l’uso di colonne di tufoe di travertino suggeriscono una cronologia non posteriore al terzo quarto del I secolo a. C. (età cesariana ο triumvirale). Il confronto con gli Horrea Galbana, già accennato in precedenza, trova un’ulteriore, impressionante conferma nella presenza, lungo il Decumanoe all’altezza di questi horrea, di un edificio che sembra un sepolcro di età repubblicana (Vaglieri 191 1, 56; Becatti 1953, 100, tav. XLIV, 2), che occupa una posizione analoga a quella del mausoleo di Ser. Sulpicius Galba, il console del 108 a. C., davanti agli horrea da lui costruiti in Roma23. La scoperta della probabile iscrizione del monumento ce ne rivela il titolare24: si tratta di un P. Lucilius Gamala, nel quale si deve riconoscere il figlio del primo personaggio di questo nome, eroizzato qui per particolari meriti civici, che l’iscrizione sottolinea. Non è improbabile che, anche per la loro posizione antistante alla “Casa di Apuleio”e ai Quattro Tempietti, si debba identificare negli “Horrea di Hortensius” una realizzazione dei Gamala, dovuta allo stesso personaggio eroizzato cui si deve attribuire il “mausoleo” del Decumano.
376. L’analisi di un gruppo di monumenti ostiensi, condotta sulla base di criteri archeologici aggiornatie di dati epigrafici trascurati ci ha condotti a conclusioni che, a ben vedere, collimano perfettamente con quanto per altra via sappiamo, sulla scorta delle fonti letterarie, a proposito dell’organizzazione annonariae della rilevanza — politica oltre che economica —che questa riveste nella società romana della tarda Repubblica. Il ruolo preminente di Ostia ne risulta confermatoe precisato.
38Si tratta di un risultatoche potrebbe apparire scontato,e non lo è, in una situazione degli studi in cui la separatezza disciplinare,e l’ipercritica distruttiva che ne è il risultato, continua a provocare danni non indifferenti, e forse irreversibili, a un patrimonio di nozioni che sarebbe invece nostro compito di arricchiree precisare.
Discussion
39M. CÉBEILLAC: Nell’Année Épigraphique del 1973, n. 126. si è pubblicata una base di statua reimpiegata nella fascia esterna del teatro, e nel commento riportato anche dall’Année Épigraphique, c’è una dedica fatta dal Procuratore dell’annona sotto Marco Aurelio nel maggio 175: Praefecti Flavii Pisonipraefecti Annonae (adsignante) Valerio Fusco Procuratore Augustorum e agito ex auctoritate Flavii Pisonis. Tutti si sono chiesti come questo prefetto dell’Annona poteva avere ex auctoritate; e credo che quello che ha detto F. Coarelli lo spiega molto bene. Se effettivamente parte della città era pubblica, coloro i quali hanno sostituito il questore sono il prefetto dell’Annonae il procuratore che all’epoca imperiale hanno sostituito il potere di questi.
40F. ZEVI: Una quantità di problemi ha sollevato F. Coarelli con la sua relazione, che ha “sistemato” tanti edifici di Ostia: conoscevamo già alcune cose, di altre egli mi aveva parlato, altre restano da discutere. Per esempio, la sua identificazione con Appuleius Decianus del personaggio il cui nome figura iscritto sull’anta destra della scalinata del tempio tetrastilo ο di Asclepio appare certamente seducente; ma, se si trattava di un tribuno della plebe, mi chiedo perché tale carica non figurasse nel testo epigrafico a seguito del nome, come ci si sarebbe dovuto attendere. Quando ho schedato l’iscrizione, tanti anni fa, pensai si trattasse di un Canuleius; confesso che non ne ricordo ora esattamente le ragioni, ma mi sembra, comunque, che tale possibilità non vada scartata neppure adesso.
41Quanto alla iscrizione del tempio di Ercole, Coarelli sembra ritenere che ex senatus consulto significhi « per delibera del senato (di Roma) ». Questo, per sé, è certamente giusto, ma non significa necessariamente che il senato sia stato consultato per quella specifica circostanza; può trattarsi di un senatus consultum anche anteriore, di portata più generale, che viene citato per significare che la costruzione è stata eseguita in conformità con quanto prescritto da quella disposizione, che aveva, evidentemente, un valore normativo. Cito un caso locale: ad Ostia è attestata epigraficamente una crypta terentiana, costruita cioè da una Terentia A. f. ex s. c. et d. d., cioè in conformità con il (un) senatus consultum e con un decretum decurionum. Ora, mentre il decreto dei decurioni venne certamente fatto ad hoc, in relazione cioè al costruendo monumento di Terenzia, è da ritenere che il s. c. richiamato contenesse disposizioni generali in cui rientrava anche lo specifico caso della crypta ostiense; non credo perciò che da questo si possa dedurre una costante presenza del senato romano sulla politica edilizia di Ostia, e inferire da ciò, conseguentemente, l’esistenza di aree specifiche come quella del tempio di Ercole, sottoposta direttamente per così dire alla giurisdizione del potere centrale di Roma. Per questa ragione, reputo ancora da dimostrare che tutti i nomi che compaiono in iscrizioni pubbliche provenienti dall’area sacra del tempio di Ercole appartengano di necessità a magistrati romani. Il problema andrà ripreso. Ancora un’iscrizione citata da Coarelli, quella della Semita dei Cippi, che egli scioglie: haec semita horr(eorum)p(opuli) r(omani) i(ussu) est. La lettura non è facile; quella proposta lascia qualche perplessità; forse si potrebbe immaginare un’espressione connessa con ius (come iuris est ο qualcosa del genere). In ogni caso, si tratta di un’opera risultante da un intervento pubblico voluto da Roma; in questo contesto, a nord della via Ostiense viene stabilito un passaggio (iter) che è giuridicamente privatum ad Tiberini usque ad aquam distinto dal resto dell’area che è invece di proprietà pubblica del popolo romano, ed è, senza dubbio, quella vasta estensione delimitata dai cippi iscritti per ordine del pretore urbano C. Caninio, che ho studiato quasi venti anni fa (Zevi 1973). La situazione sembra dunque questa: a nord della via Ostiense, fuori dal castrum in prosecuzione del decumano verso oriente, la proprietà fino alla sponda del fiume è tutta pubblica, tranne un sentiero ο passaggio privato che consentiva di raggiungere il Tevere; sul lato opposto dell’Ostiense, cioè a sud di essa, la situazione invece è inversa,e cioè la “semita dei cippi” è riservata per una funzione pubblica, mentre i terreni ad est (ad ovest della semita ci troviamo a ridosso delle mura) debbono, al contrario, essere privati. Questo corrisponde infatti a quanto rilevato negli scavi condotti venti anni fa con M. Carta nella taberna delle Terme dette dell’Invidioso, dove infatti sono apparsi resti di case forse fin dalla fine del III sec. a. C. L’urbanizzazione delle aree fuori le mura cominciò dunque prima di quanto Coarelli ritenga; se essa si realizza a sud della via Ostiense, e non a nord, dobbiamo ritenere che l’area poi delimitata con cippi iscritti dal pretore Caninio già prima fosse di proprietà pubblica, e che l’intervento pretorio fosse inteso a dirimere controversiee sancire in modo permanentee definitivo confinie diritti già esistenti.
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Notes de bas de page
1 Bloch 1953,269-270, n. 32, fig. 23. Cfr. CIL, XIV, 3603 = Mancini 1952, n. 119. Se l’iscrizione CIL, I2,2440=ILLRP, 204 (proveniente dalla collezione Pacca, ora a Vienna) proviene da Ostia, come ritiene Meiggs (1973, 347) si tratterebbe della più antica testimonianza di un quaestor Ostiensis (fine del III sec. a. C.).
2 Sappiamo solo che la questura di Saturnino precede il tribunato del 103: sembra difficile che l’elezione al tribunato possa essere avvenuta nello stesso anno della questura, che quindi va probabilmente retrodatata di uno ο più anni.
3 Cic., har. resp., 43: Saturninum... scimus dolore factum popularem.
4 Sulla data controversa della lex frumentaria di Saturnino, cfr. da ultimo la discussione in Ferrary 1983,566 sqq.
5 Sul santuario di Ercole, Becatti 1939, 37 sqq.; Becatti 1942, 152 sqq.; Meiggs 1973, 346 sqq.; Zevi 1976,54 sqq.; Mar 1990, 137-160.
6 Shoe 1965,149, tav. 46,4 (che attribuisce l’edificio agli anni 80-60 a. C. mentre i confronti da lei stessa proposti rimandano tutti ai decenni centrali del II secolo a. C.: tav. 46,2 —Lanuvio—;46,3—Pietrabbondante, Tempio A 46,5 -facciata del Sepolcro degli Scipioni); Zevi 1969,96-100 e n. 7 a p. 100: il podio dell’edificio è realizzato in una tecnica più antica (senza uso del cementizio) rispetto agli altri due della stessa area sacra.
7 L’ipotesi è stata da me presentata in un convegno della Scuola Britannica di Roma (Coarelli 1992). Sulla presenza a Ostia di un culto di Liber già dal III sec. a. C., cfr. nota 1.
8 Bloch 1953, 299, n. 65, che legge [...]uleius [...]anus; Cébeillac 1971, 81-83, che legge [...]leius [... ]anus. La presenza di una/iniziale nella seconda riga è sicura.
9 Su Apuleius Decianus: RE, II, cc. 259 sq., Apuleius, 21 (Klebs). La data al 99 (e non al 98) è ormai accertata: Gruen 1966, 33 sqq.
10 Sex. Titius: RE, VI, A2, cc. 1563-1565 Titius, 23 (Münzer).
11 Un caso analogo di attività coordinata di un questore ostiense e di un questore urbano è probabilmente quello documentato dalla nota moneta di L. Calpurnius Piso e Q. Servilius Caepio, che per di più riguarda un ambito “frumentario”: Crawford 1976, 330, n. 330, tav. XLII; Zehnaker 1973, 550-552.
12 RE, III, c. 1509, Canuleius, 3 (C. Robert); Broughton 1952, 5 e n. 5 a p. 6.
13 M. Domitius P. f.: Broughton 1951, 536-537.
14 CIL. I2, 663 = ILS. 4053. RE, XIII, c. 816, Livius, 8 (Munzer).
15 Come ricorda Munzer, cit. a nota precedente.
16 RE, III, c. 1478, Caninius, 8 (Munzer); Broughton 1951, 416.
17 Subito dopo le scalae nell’iscrizione il toponimo pone foros, riferito ovviamente a una delle due strade che seguivano i lati lunghi del Circo Massimo: cfr. Humphrey 1986, 64-67.
18 Broughton 1951, 542. In età repubblicana, prima di Cesare, oltre al praetor Siciliae del171 e al pretore delle iscrizioni ostiensi, conosciamo solo un M. Caninius Rebilus, forse fratello del primo, legatus 170 in Macedonia e nel 167 in Tracia (RE, c. 1479, Caninius, 12 (Munzer).
19 Ad es., Rickman 1971, 66. Si veda, in proposito, la posizione estrema di Wilson 1935, 47 sq.
20 Uno dei duoviri responsabili della costruzione del tempio di Vulcano del Piazzale delle Corporazioni è un Proculus, forse da identificare con A. Livius Proculus che curò, certamente in età giulio-claudia, la costruzione del tempio di Bellona, insieme a P. Lucilius Gamala filius (Meiggs 1973, 201, iscr. 4; 559, tav. XXXVIII, con datazione errata).
21 Manacorda 1990. Credo però che il tempio non vada collocato alle spalle del teatro di Balbo, ma al centro della crypta, come attesta il frammento della Forma Urbis marmorea relativo a quest’ultima.
22 Su questo argomento tornerò in altra sede.
23 Come mi fa notare M. Torelli, che ringrazio. CIL, I2, 695: Nash 1968, 370.
24 Grosso 1959. Anche su questo argomento mi riprometto di tornare in altra sede.
Auteur
Università di Perugia
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