“Ricominciamo da tre”. Il Pittore di Dario alla scuola di Metaponto
p. 173-187
Remerciements
Ringrazio Luca Basile per la traduzione in italiano e Francesca Silvestrelli per la revisione del testo.
Texte intégral
1Lo scopo del mio intervento è di cogliere l’occasione offerta dall’iconografia del lebes della tomba 100 della necropoli di Torre di Mare per riflettere sulle modalità di trasferimento del repertorio epico tra Metaponto e Taranto e sul ruolo della mobilità dei pittori nella formazione della loro cultura visuale. Una breve descrizione del vaso consentirà di identificare i principali elementi costitutivi delle due scene rappresentate.
2Sul lato principale ritroviamo cinque personaggi tra i quali distinguiamo, a sinistra, tre donne sedute e, a destra, due uomini stanti (fig. 1a-b).
3Delle tre figure femminili, due sono su un altare e si guardano mentre una terza sembra direttamente sul suolo, lo sguardo pensieroso rivolto verso il basso e la testa appoggiata sulla sua mano sinistra. Le tre donne indossano un chitone leggero sotto un peplo bordato da una linea nera dentellata, hanno i capelli raccolti in un copricapo ornato da motivi geometrici e la testa coperta da un velo. La figura centrale si differenzia, tuttavia, dalle altre poiché scosta con la mano sinistra un lembo della sua veste, svelando, in questa maniera, il suo corpo. L’uomo a destra del gruppo indossa un himation che gli copre il corpo e la testa lasciando scoperti solo la spalla sinistra e il braccio sinistro con il quale si appoggia ad un bastone. Quest’attributo, la postura leggermente inclinata in avanti e i suoi capelli bianchi lo identificano come un uomo anziano, contrariamente alla figura verso la quale tende la mano destra con il palmo rivolto in direzione del cielo. Infatti il suo interlocutore, che ha la barba e i capelli neri, è in piedi ma si tiene dritto, una mano su una lunga lancia e, nell’altra, il laccio del suo elmo a forma di pilos; il suo himation gli copre la parte inferiore del corpo lasciando liberi il busto e le spalle. Una spada sul fianco denota il suo status di guerriero, mentre le calzature alte suggeriscono un viaggiatore. Il contesto in cui avviene questo incontro è precisato da una statua di un dio arciere il cui busto emerge di profilo dietro alla donna pensierosa: di piccole dimensioni, ha una freccia in verticale nella mano destra e un arco in quella sinistra; delle volute disegnano i contorni del bicipite destro, della spalla e del torso. Sul lato secondario del vaso (fig. 2) un giovane uomo nudo, vestito di una clamide, è rappresentato mentre porge una corona vegetale ad una donna con un lungo chitone coperto dall’himation che le vela il capo. Invece di accettare l’offerta, la donna apre le braccia. La vivacità del suo atteggiamento è confrontabile a quella della seconda donna presente sulla scena che, con il suo himation annodato attorno alla vita, getta con una mano una phiale oltre la sua spalla lasciando cadere con l’altra un coltello.
4In occasione della prima presentazione del vaso, nel 2006, Antonio De Siena ha interpretato le due scene in relazione al ciclo troiano1. Lo studioso ha, infatti, proposto di riconoscere, sul lato secondario, l’incontro tra Paride ed Elena in presenza di Cassandra e, su quello principale, l’ambasciata fatta da Ulisse a Troia ad Antenore e a Elena, raffigurata insieme a due dame di compagnia. Lo schema del lebes è, in effetti, abbastanza vicino a quello di un cratere a campana apulo conservato in Vaticano (fig. 3)2.
5Come sul lebes, siamo in presenza di due gruppi distinti composti da tre donne a sinistra e due uomini a destra. Due delle figure femminili sono sedute su una sorta di kline mentre una terza è in piedi. I personaggi maschili sono invece entrambi stanti e si trovano faccia a faccia. L’uomo anziano, caratterizzato dai capelli bianchi e dalla testa velata da un lembo del suo himation, si appoggia ad un bastone e ha di fronte un uomo dai capelli e la barba nera che tiene nella mano sinistra una lancia, calza un pilos ed è vestito con una tunica decorata. Alcune pietre, una colonna sulla quale è alloggiata una statua di profilo, un bucranio e uno scudo alludono all’ambiente santuariale in cui si svolge l’azione. Differenti interpretazioni sono state fornite a questa scena, tutte in relazione con una tragedia: si potrebbe, infatti, trattare dell’Ifigenia in Aulide di Euripide o di una tragedia perduta di Sofocle, Il riscatto di Elena3. Nel primo caso i personaggi sarebbero da destra a sinistra, Ulisse, Calcante, Clitennestra, Ifigenia e una serva; nel secondo caso, Ulisse si rivolgerebbe ad Antenore per chiedere la restituzione di Elena. Quest’ultima si distingue dalle altre due donne, due serve, per i suoi abiti e il suo copricapo, una stephanè coperta da un lembo del suo himation. Sul lebes, invece, la differenziazione delle tre donne, raffigurate tutte abbigliate alla stessa maniera, è ottenuta grazie alla variazione dei loro comportamenti: quella di destra è assorta nei suoi pensieri, mentre la gestualità della seconda al centro, appoggiata alla terza donna che la guarda, è quella della seduzione4; la fanciulla potrebbe, quindi, essere identificata con Elena, rappresentata con il viso reclinato nel momento in cui svela la sua bellezza a Paride anche in un cratere a volute del Pittore di Dolone (fig. 4)5.
6Il gesto di afflizione che caratterizza la figura femminile di destra è, tuttavia, adoperato dai pittori attici e apuli per raffigurar Elena sia in presenza di Paride sia nelle scene in cui è rappresentato il giuramento dei pretendenti6. A tal proposito si possono citare come confronti l’anforisco da Berlino attribuito al Pittore di Heimarmene (databile verso il 420 a.C.) dove una giovane donna, seduta sulle ginocchia di Afrodite, la testa china appoggiata sulla sua mano sinistra, mette in atto questa posa davanti a Paride, indicato da Nemesi, in piedi alle sue spalle (fig. 5)7.
7La presenza di Peitho ed Heimarmene consente di leggere questa raffigurazione in un’ottica di riabilitazione di Elena, vittima del destino come la presentano Gorgia e poi Euripide nell’omonimo lavoro teatrale, sulla scia della palinodia di Stesicoro. D’altra parte su un cratere a calice rinvenuto e conservato a Taranto, attribuito a un artista della cerchia del Pittore della Nascita di Dioniso e leggermente posteriore al vaso attico, Elena è rappresentata, ancora nubile, seduta con la testa china sulle ginocchia della madre (fig. 6)8.
8Questo atteggiamento traduce la sottomissione della giovane donna ad una situazione più grande di lei che ha a che fare con il piano escogitato da Zeus per alleviare la terra dal fardello dell’umanità9. Questa versione del poeta Stasino, autore nel VI secolo dell’epopea dei Canti Ciprii, metteva in relazione le cause della guerra di Troia con le nozze tra Peleo e Teti e la catena di conseguenze che, dal Giudizio di Paride al rapimento di Elena, metteranno in moto il conflitto storico. I segni di questo destino sono rappresentati, sul cratere tarantino, da Afrodite ed Eros, posti in alto a destra, che ricordano l’onnipotenza dell’amore e da un’ipotetica Nemesi, che possiamo riconoscere nella donna in nero seduta sulla kline all’interno dell’edificio. Il messaggio sotteso è quello di evocare il grande disegno di Zeus messo in atto dal tema generale della scena: il giuramento dei pretendenti che lega gli Achei a Menelao. Mentre nei due esempi illustrati l’afflizione di Elena è collegata al potere di Eros, la presenza del dio arciere sul lebes di Metaponto invita a riconsiderare l’identità della figura femminile associata.
9In occasione della giornata napoletana, il contesto apollineo mi aveva indotto ad riconoscere nella figura femminile di destra, piuttosto che Elena, Cassandra, caratterizzata da un atteggiamento pensieroso e poi afflitto, come accade frequentemente nelle rappresentazioni della ceramica italiota. Il Pittore di Dolone (fig. 7)10 è il primo ad averle conferito quest’aria preoccupata, che assume accenti patetici con i pittori apuli.
10Su un cratere a volute del Pittore De Schulthess (fig. 8), il suo comportamento annuncia le conseguenze tragiche dell’arrivo di Elena a Troia ed è rappresentato sullo stesso registro, mentre su un cratere del Pittore degli Inferi, il fallimento del suo potere profetico rende ancora più drammatico l’addio di Andromaca a Ettore (fig. 9)11.
11Lo schema e il contesto potrebbero dunque condurre ad interpretare le due figure come Cassandra a destra rappresentata al fianco di una Elena al centro che compie un gesto di seduzione. Elena e Cassandra sarebbero, quindi, raffigurate su entrambi i lati del vaso sia nella scena dell’incontro con Paride sia in quella dell’ambasciata. L’ipotesi è seducente, visto che l’associazione delle due donne costituisce un tratto specifico dell’iconografia italiota, e ricorre costantemente nelle scene d’Ilioupersis della produzione apula tarda12. Tuttavia questa ipotesi ha il limite di non fornire una spiegazione soddisfacente per l’identità della terza donna presente nel nostro lebes metapontino, che, caratterizzata dallo stesso abbigliamento delle altre due, sembra porsi allo stesso livello di importanza.
12La ripresa del dossier in vista della sua pubblicazione, e l’attenzione portata allo schema iconografico delle tre donne sedute derivata da una suggestione fornitami da Enzo Lippolis a conclusione dell’incontro di studi, insieme alle discussioni con Martine Denoyelle, mi hanno condotto ad ipotizzare che la scena possa riferirsi ad un altro episodio, sempre legato alla guerra di Troia. Lo schema delle tre donne sedute ad un altare non è estraneo alla produzione dei pittori metapontini. Esso ricorre, con una composizione differente, anche su di una nestoris lucana attribuita al Pittore di Brooklyn-Budapest (fig. 10)13.
13Il gruppo delle tre donne, posto al centro dell’immagine, è inquadrato da due personaggi maschili stanti che indossano entrambi l’himation che copre le gambe e il braccio sinistro. La figura maschile a sinistra, barbata, guarda in direzione delle tre donne alle quali si rivolge, mentre quello di destra, che ha nella mano destra un kantharos e nella sinistra una pianta di nartece, le osserva. La terza figura maschile con il pilos e un tirso è seduto su di un sacco da viaggio. Molteplici elementi, quali i pinakes affissi e un tripode su una colonna, contribuiscono a caratterizzare l’ambientazione della scena, che si svolge in un santuario di Artemide, come indicato dalla statua che la raffigura. Tale presenza suggerisce di identificare nella scena l’episodio della guarigione delle Proitides nel tempio della dea14. Sconvolte dalla follia indotta da Hera15 alla quale avevano osato fare un torto, sono guarite dal divino Melampo riconoscibile nell’uomo anziano. Sul lebes di Metaponto, invece, la localizzazione della scena in un santuario di Apollo, resa certa dalla presenza della statua del dio arciere, suggerisce altre possibilità di interpretazione per le tre figure femminili e, dunque, per l’insieme del gruppo rappresentato.
14L’effigie divina è presentata con il busto di profilo. La sua rigidità e il motivo delle volute sui bicipiti, le spalle e il torso denotano i caratteri di una statua arcaica16. Se le piccole dimensioni e l’assenza delle Cariti nella mano destra non permettono di rintracciare una perfetta corrispondenza con l’agalma realizzato dagli scultori Tektaios e Angélion per l’Apollo di Delo17, lo stile arcaizzante del dio arciere potrebbe nondimeno costituire un segno distintivo della statua del maestro dell’isola18. Il contesto delio fornisce piena coerenza alla scena poiché un'altra figura si trova al suo posto: Anio, re di Delo e sacerdote di Apollo, accompagnato dalle tre figlie presso le quali diversi eroi greci come Menelao, Ulisse, Palamede e Agamennone, secondo le differenti tradizioni, si presentano per cercare rifornimenti per l’armata greca che assedia Troia19. Se quest’ipotesi fosse giusta, il Pittore del lebes sarebbe l’autore della prima rappresentazione, in Italia, della legenda delle Oinotrophoi, una scena conosciuta finora solo grazie a due vasi attribuiti al Pittore di Dario (fig. 11 e 12a)20. Questa novità consente di mettere in luce il ruolo rivestito da Metaponto già all’inizio del IV secolo nella ricezione e circolazione di immagini della cultura epica sulla costa ionica della Magna Grecia e, in particolare, di uno degli episodi preliminari della guerra di Troia che, raramente riprodotto, fu ripreso e reinterpretato due generazioni più tardi da uno dei pittori più eruditi di Taranto21.
15La lettura che si propone non è tuttavia esente da alcuni problemi. Se il lebes metapontino e i vasi apuli hanno in comune il gruppo di tre donne22, la presenza di due uomini23 e il contesto sacro24, è anche vero che una variante mette in evidenza due tradizioni distinte. Mentre il Pittore di Dario ha sentito il bisogno di precisare l’identità delle Oinotrophoi, Eno, Spermo e Elaide, inserendo nelle loro mani un attributo come un tralcio d’uva, delle spighe di grano o un ramo di olivo (fig. 11 e 12b), che rappresentano i doni ricevuti da Dioniso per trasformare tutto ciò che toccano in vino, grano o olio, il Pittore del lebes si è accontentato di variare i comportamenti. Il tema delle supplici all’altare, probabilmente non ancora così diffuso (come accade, invece, a Taranto nella seconda metà del IV secolo) non rendeva necessario il ricorso a segni distintivi per il riconoscimento delle singole figure dal momento che la scena era localizzata ed identificata dalla presenza di un’effigie divina25. Suggerendo la protezione della divinità contro una forma di costrizione rappresentata dalla presenza di un eroe greco che cerca le figlie di Anio per i rifornimenti delle truppe greche davanti Troia, questo documento corrobora l’ipotesi avanzata da M. Halm-Tisserant di una versione violenta dell’episodio anteriore non solo all’epoca romana26 poiché attestata nel III secolo presso poeti ellenistici quali Licofrone, Callimaco e Euforione27, ma anche al Pittore di Dario, posteriore di mezzo secolo rispetto all’officina dei Pittori di Dolone e di Creusa. Questa lettura fornirebbe, inoltre, la possibilità di precisare l’identità dell’eroe, nel quale si può riconoscere Ulisse28 grazie alla presenza del pilos, assente nella versione apula29. L’identificazione del suo interlocutore è ancora più significativa se calata nel contesto mitologico del vaso, legato alla guerra di Troia, e al luogo di rinvenimento, Metaponto. Re di Delo, Anio fa da pendant alla figura di Cassandra rappresentata sul lato opposto del vaso. Le due scene figurate hanno entrambe come elemento caratterizzante una profezia collegata al conflitto troiano presentato, da una parte, come la conseguenza dell’incontro tra Paride ed Elena che provoca la reazione violenta della sacerdotessa e, dall’altra, come una guerra la cui durata pone il problema del rifornimento di viveri all’armata greca. Il fatto che sia Cassandra sia Anio debbano il loro potere profetico ad Apollo acquisisce una risonanza particolare nell’ambiente metapontino, dove il dio è onorato in diversi templi30. Questa interpretazione rafforza l’idea di un legame a sfondo cultuale tra l’effigie della statua del dio arciere, ispirata a monete del V secolo31, e il temenos dedicato ad Aristeas, con statua di Apollo, nell’agora descritto in un passo di Erodoto32. Il ruolo degli Iperborei nell’opera di Aristeas ha potuto favorire la creazione di una visione legata al destino delle figlie di Anio simile a quello delle vergini iperboree. Il grande interesse mostrato in più occasioni dai pittori metapontini per la leggenda troiana contribuisce a spiegare la precoce ricezione del mito delle Oinotrophoi nella fondazione achea, fucina attiva nell’elaborazione di una cultura visuale dell’epopea fino al termine del IV secolo.
16Indipendentemente dall’oggetto dell’ambasciata (sia esso il recupero di Elena o abbia come protagoniste le figlie di Anio), l’immagine del lebes arricchisce il repertorio dell’officina dei Pittori di Dolone e di Creusa, nel quale sono note almeno altre due rappresentazioni legate al ciclo troiano: il Giudizio di Paride, che ricorre sul cratere a calice del Cabinet des médailles33, e l’incontro di Cassandra e Aiace, raffigurato nel già citato cratere a campana da Taranto. I soggetti raffigurati nei vasi della tomba 100 di Torre di Mare presentano dunque, come già evidenziato da Antonio De Siena, caratteri innovativi e costituiscono un ulteriore esempio dell’attenzione riservata a temi troiani già sottolineata da Thomas Morard in relazione ad con alcuni frammenti di un cratere decorato con scene di Ilioupersis adoperato come sema in una tomba della necropoli di Pizzica/Pantanello34. Attribuiti alla cerchia del Pittore di Dario o degli Inferi35, questi frammenti testimoniano l’attività a Metaponto, nel terzo quarto del IV secolo, di pittori la cui produzione è abitualmente localizzata a Taranto. Questo esempio depone a favore della mobilità degli artisti al pari della documentazione archeologica proveniente da uno dei depositi di scarico del kerameikos metapontino, che ha restituito scarti di produzione attribuiti a questi ateliers36. Se in questo discorso aggiungiamo i vasi da Roccagloriosa, assegnati al Pittore degli Inferi ma realizzati con un’argilla differente da quella di Taranto e di Metaponto, è ragionevole ipotizzare “l’itinérance des ateliers”37 proposta da Thomas Morard sulla scorta degli studi di Ted Robinson, Marina Mazzei e François Villard.
17L’inserimento di Metaponto “nell’itinerario del mito, che condusse le figlie di Anio da Delo a Taranto e a Roma38”, pone una domanda sulle modalità di accesso ai repertori iconografici dei pittori che lavoravano a partire da cartoni. Un tale fenomeno, suggerito di sovente in letteratura senza una dimostrazione pienamente circostanziata, può essere ragionevolmente supposto grazie ai continui spostamenti degli artisti che entravano così in contatto con molteplici ambienti culturali e lavorativi. In questo modo il lebes della tomba 100 di Torre di Mare, che attesta l’anteriorità di uno schema e, forse, della rappresentazione di un mito nella tradizione italiota, fornisce un indizio supplementare alla sempre più evidente mobilità della bottega del Pittore di Dario39. Questo fenomeno ci invita, in effetti, ad ipotizzare il contributo di un’esperienza metapontina nella sua formazione e a sperare che pubblicazioni future completino rapidamente un insieme di conoscenze che, per il momento, giocano soprattutto in favore di Taranto.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 De Siena 2007, p. 443.
2 Cratere a campana (Vaticano T. 2, inv. 17941) attribuito al Pittore di Boston (360-340): RVAp I, 10/49; Kahil, Icard 1988, p. 536, n. 208, con ill.
3 Kahil, Icard 1988, p. 536, n. 208. Louis Séchan è stato il primo ad aver proposto questa identificazione: Séchan 1926, p. 181-184. L’episodio del riscatto di Elena da parte di Ulisse e Menelao si trova già in Omero, Iliade III, 205-208; XI, 138-142.
4 Di recente su questo tema vedere il catalogo della mostra, Giacobello 2018.
5 Cratere a volute da Ruvo (Collezione Intesa Sanpaolo, inv. 177): Sena Chiesa, Slavazzi 2006, p. 164-169, no 64 ; Giacobello 2018, p. 85, fig. 17.
6 Prioux, Pouzadoux 2015.
7 Anforisco attribuito al Pittore di Heimarmene (Berlino, Antikensammlungen, 30036) intorno al 420 a.C.: ARV2, 1173, 1; Kahil, Icard 1988, p. 525, n. 140, con ill.
8 Cratere a calice (Taranto, Mus. Naz. 52230) datato verso il 400 a.C.: RVAp I, 2/25, p. 40-41, tav. 12, 2.
9 Euripide, Elena, v. 36-37.
10 Cassandra appare pensierosa su un cratere a campana da Taranto (Mus. Naz. Coll. Ragusa 117): LCS I, 18, 516a, tav. 6, 2; Simon 2009, p. 306, n. 193, con ill.
11 Cratere a volute attribuito al Pittore De Schulthess (Ginevra, Collezione Hellas e Roma, inv. HR 44): Aellen, Cambitoglou, Chamay 1986, p. 97-108; RVAp Second Suppl., p. 135, n. 77, tav. 32, 3. Cratere a volute attribuito al Pittore degli Inferi (Berlino, Staatlichen Museen): RVAp Second Suppl., 18/283a; Giuliani 1995, p. 43-45, 122-132; Pouzadoux 2013, p. 94, fig. 5.
12 Giacobello 2014.
13 MANN, inv. 82125, vers 400-380: LCS, 114, 589; LCS III, 71, BB 54; De Caro, Borriello 1996, p. 50-51, fig. 5.5.
14 Kahil 1994, p. 523, n. 4, con ill.
15 O da Dioniso presente a destra.
16 Si veda il ricorso alle volute per disegnare i muscoli della coscia della statua di Poseidone su un cratere a volute del Pittore dell’Ilioupersis (Princeton, Art Museum): De Cesare 1997, p. 135-136, fig. 77.
17 Bruneau 1970, p. 54-59.
18 Sull’iconografia di Apollo arciere: Bruneau 1984, p. 184. Sul significato dello stile arcaizzante nelle statue si rimanda a Prioux 2011.
19 Per la tradizione letteraria, la leggenda e il culto di Anio, Bruneau 1970, p. 413-430.
20 Un cratere a calice da una collezione privata di Miami (Dan Paul coll.): RVAp Second Suppl.: p. 150, n. 65a, tav. 37, 2. Una loutrophoros da una collezione privata di Napoli: RVAp II, 18/59, tav. 179, 2; Trendall 1986; Kossatz-Deissmann 1994; Benincasa 2017.
21 Si veda anche un frammento dalla collezione Cahn: RVAp I, p. 438, n. 35a.
22 Due in piedi e una seduta.
23 Uno seduto su un altare mentre tiene nella mano destra un bastone e si rivolge ad uomo in piedi che stringe uno scettro.
24 Altare, colonne, bucrani, Apollo seduto sul registro superiore del cratere a calice.
25 Per la rappresentazione di due supplici presso un altare si vedano i tre vasi da Ginevra, Amburgo ed Eblem: Aellen, Cambitoglou, Chamay 1986, p. 73-80.
26 Halm-Tisserant 2000, p. 135-138.
27 Prioux 2013, p. 67-70.
28 Questa precisazione non permette tuttavia di ricollegare questa versione ad una determinata tradizione poetica poiché Ulisse è accompagnato da Menelao: Schol. a Od. VI, 164; Halm-Tisserant 2000, p. 136.
29 Si veda Benincasa 2017, p. 321, n. 541, che cita un’osservazione di Trendall secondo cui l’uomo barbuto sui vasi del Pittore di Dario non può essere Ulisse a causa dell’assenza del pilos.
30 Sassu 2013.
31 Carter 2005, p. 217, fig. 5.25.
32 Hdte, IV, 15; De Siena 2007, p. 443.
33 Cratere a calice (Paris, Cab. Med. 422) da Pisticci: LCS, p. 102, no 532.
34 Tomba 5/83: Morard 2002.
35 Ibid. p. 43-47.
36 Si tratta della fossa di deiezione n. 3 per la quale si rimanda a D’Andria 1975, p. 422-424, tav. 1-4. Si veda anche ibid., p. 357, n. 4, e p. 359, n. 14; Silvestrelli 1996 e in questo volume.
37 Morard 2002, p. 47-50; Gualtieri, Fracchia 1990.
38 Halm-Tisserant 2000, p. 142.
39 Su questo argomento: Mangone et al. c.d.s.
Auteur
Centre Jean Bérard (CNRS, EFR), Napoli; claude.pouzadoux@cnrs.fr
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