Il Gruppo di Locri in Sicilia: proposte di analisi e riflessioni
p. 41-63
Texte intégral
1L’identificazione del Pittore di Locri risale al 1953 quando, in un articolo dedicato al Pittore delle Coefore, Arthur Dale Trendall presentò, giudicandoli simili per forma, disegno e qualità dell’argilla, due crateri a calice, conservati nel museo di Reggio Calabria, rinvenuti da Paolo Orsi, quasi quarant’anni prima, nella tomba 1119 della necropoli di Lucifero a Locri1. Da allora la fisionomia della produzione del Pittore e del Gruppo di Locri2 è molto cambiata. Non solo per il numero di vasi ad essa assegnati nel tempo, ma anche, anzi soprattutto perché, datata, in origine, tra il 380 ed il 360 a.C., attribuita, in via ipotetica, a fabbrica locrese, ma comunque inserita fra le ceramiche “apulo-lucane” del cosiddetto Gruppo Intermedio3, oggi la stessa si manifesta piuttosto come una lunga e variegata “tradizione produttiva”4 che, iniziata con grande probabilità in Sicilia, al più tardi nel penultimo decennio del V sec. a.C., “migra” nei primi anni del secolo successivo a Locri dove, per circa trent’anni, soddisferà, in maniera quasi esclusiva, la richiesta locale di ceramica a figure rosse di un certo pregio. Se tale svolta interpretativa va anche ascritta allo stesso Trendall, pronto ad intuire l’importanza del rinvenimento in Sicilia di alcuni vasi del Gruppo in qualche misura confrontabili con le prime produzioni ceramografiche dell’isola5, va però ricordato che, a cominciare da Umberto Spigo, diversi sono stati gli autori che negli ultimi vent’anni hanno contribuito allo studio di questa tradizione artigianale6. Consapevoli dell’interesse che la “nuova” produzione protosiceliota poteva rappresentare per la definizione dell’origine stessa della ceramografia nell’isola, gli studiosi si sono, peraltro, concentrati in maniera particolare sui “vasi siciliani” del Gruppo, apparsi i più antichi, i più complessi dal punto di vista iconografico, i più significativi anche stilisticamente, soprattutto per via di certe affinità con le coeve ceramiche figurate attiche ed italiote che lasciavano presagire anche interessanti fenomeni di mobilità artigianale tra un’area produttiva e l’altra. Alla “fase siciliana” del Gruppo di Locri è dedicato il presente contributo nato, certo, non dalla presunzione di dare risposte definitive sull’origine di questa tradizione produttiva, ma dal proposito di offrire alcuni elementi di discussione utili, si spera, ad una futura e più approfondita riflessione.
I “vasi siciliani” del Gruppo di Locri: cronologia, aree e contesti di rinvenimento
2I quindici vasi, tra interi e frammentari, che, a mio giudizio, vanno oggi assegnati alla “fase siciliana”, la prima della vasta produzione del Gruppo di Locri, sono riportati nella tabella (fig. 1) insieme alla bibliografia essenziale che ne documenta l’assegnazione al Gruppo e, in qualche caso, anche la loro “datazione alta”. Non appare, quindi, necessario soffermarsi sull’attribuzione, ormai condivisa, dei vasi, se non per l’ultimo cratere in elenco che, conosciuto sin dalla metà dell’Ottocento per la scena con Io ed Argo, in questa sede viene per la prima volta assegnato “ufficialmente” al Gruppo (fig. 2). Nonostante la frammentarietà delle informazioni ad esso relative7, il vaso, dal punto di vista stilistico, non pone infatti difficoltà, trovando assonanze convincenti nell’anfora inv. 2170 di Palermo (fig. 3) e nel cratere a volute con Apollo ed Eracle oggi conservato presso una collezione svizzera (fig. 4). Nel primo caso, infatti, non solo le due figure femminili sedute costituiscono un importante termine di confronto per Io, ma anche piccoli dettagli, come la pardales tenuta da un satiro o il phormiskos appeso alle spalle di una donna seduta, entrambi sul collo dell’anfora, denotano l’identità dell’esecutore dei due vasi. Nel caso del cratere a volute svizzero, poi, significativo è il modo di rendere i dettagli anatomici e le capigliature dei personaggi maschili evidentemente affini alla figura di Argo.
Fig. 1 - Tabella vasi della “fase siciliana” del Gruppo di Locri.
Forma | Collezione | Provenienza | Bibliografia essenziale | |
1 | Dinos | Palermo, Mus. Arch. Reg. “Antonio Salinas” | Selinunte (t. 1 Manicalunga-Gaggera) | Trendall 1983, p. 30, n. 375c; Kunsterman Graf 2002, p. 93-94, tav. VIII, CXXXV; Elia 2010, De1 |
2 | Cratere a campana | Palermo, Mus. Arch. Reg. “Antonio Salinas” | Selinunte (t. 57 Manicalunga-Gaggera) | Trendall 1983, p. 30, n. 375b; Kunsterman Graf 2002, p. 131, tav. XXIX, CXXXV; Elia 2010, CC2 |
3 | Cratere a campana | New York, già mercato antiquario | Sconosciuta | Trendall 1973, p. 30, n. 375a, tav. XXXI, 3-4; Trendall 1983, p. 30, n. 375a; Elia 2010, CC1 |
4 | Cratere a calice | Sambuca di Sicilia, Mus. Arch. “Palazzo Panitteri” | Monte Adranone, t. 35 (necropoli meridionale) | Spigo 2002, p. 287, n. 3. Elia 2010, CK1 |
5 | Cratere a volute | Svizzera, coll. privata | Sconosciuta | Schauenburg 1994, p. 117-123, figg- 1-3; Elia 2010, CV1 |
6 | Cratere a volute | Basilea, già mercato antiquario | Sconosciuta | Trendall 1983, p. 30, n. 375d, tav. V, 1-3; Elia 2010, CV2 |
7 | Anfora a punta | Palermo, Mus. Arch. Reg. “Antonio Salinas”, inv. 2170 | Agrigento | Trendall 1967, p. 74-75, n. 376; Elia 2010, An1; Barresi 2012, p. 28-38 |
8 | Pelike | Agrigento, Mus. Arch. Reg. “Pietro Griffo”, inv. V 1723 | Vassallaggi, t. 44 (necropoli meridionale) | Orlandini 1971, p. 78, n. 44.7, fig. 119-120; Trendall 1983, p. 30, n. 376a; CVA Italia 72, p. 36-37, fig, 25, tav. 31; Elia 2010, Pe1 |
9 | Skyphos | Palermo, coll. Mormino | (Selinunte?) | Barresi 1992, p. 203, G1; Elia 2010, Sk1 |
10 | Skyphos | Palermo, coll. Mormino | (Selinunte?) | Barresi 1992, p. 203, G2; Elia 2010, Sk2 |
11 | Skyphos, fr. | Palermo, coll. Mormino | Selinute (sporadico, necropoli Manicalunga) | Barresi 1992, p. 203, G3; Elia 2010, Sk3 |
12 | Skyphos, fr. | Palermo, coll. Mormino | Selinute (sporadico, necropoli Manicalunga) | Barresi 1992, p. 204, G4; Elia 2010, Sk4 |
13 | Skyphos | Randazzo, Mus. Arch. “Paolo Vagliasindi”, inv. R739 | Randazzo ( necropoli S. Anastasia) | Magro, Barresi 2012, p. 105-106, fig. 11 |
14 | Skyphos | Randazzo, Mus. Arch. “Paolo Vagliasindi”, inv. R740 | Randazzo ( necropoli S. Anastasia) | Magro, Barresi 2012, p. 105-106, fig. 12 |
15 | Cratere | Perduto, già Catania coll. Biscari | Sconosciuta | Engelmann 1871, p. 37-41, tav. 30 |
Fig. 2 - Cratere perduto, già collezione Biscari di Catania.
(da Engelmann 1871)
3Scorrendo la tabella, invece, potrà sorprendere l’assenza in elenco di altri vasi del Gruppo di Locri rinvenuti in Sicilia, l’hydria inv. 35187 ed il cratere a campana inv. 36465 del Museo Archeologico Regionale di Siracusa innanzitutto, rinvenuti rispettivamente nella necropoli del Fusco di Siracusa e a Gela8, e talvolta citati, insieme alle altre ceramiche “siciliane”, come prova di una fase isolana dell’attività del Gruppo9. Questi vasi, in realtà, dal punto di vista stilistico e cronologico mostrano maggiori affinità con alcuni dei vasi del Gruppo rinvenuti a Locri e databili già nel IV sec. a.C.10. Essi, rispetto alle ceramiche in elenco, rappresentano, dunque, uno stadio diverso e successivo della lunga tradizione del Gruppo di Locri, stadio che, peraltro, si arricchisce ora dell’interessante skyphos, anch’esso rinvenuto a Gela, presentato in questa stessa sede da Antonella Santostefano come possibile trait d’union tra le ceramiche della “fase siciliana” del Gruppo e gli esemplari più antichi della “fase locrese”.
4Come si evince dalla tabella, i vasi per i quali è noto il sito di rinvenimento provengono tutti dalla Sicilia ed, in maggioranza, da quell’area sud-occidentale dell’isola compresa tra i fiumi Belice e Salso (gli antichi Hypsas ed Himeras) che, poco prima della fine del V sec. a.C., viene sconvolta dalle distruzioni causate dall’esercito cartaginese di Annibale Magone prima ed Imilcone poi. Il dato storico-cronologico non è di secondaria importanza e va correlato con i contesti di rinvenimento dei vasi del Gruppo di quest’area. Accade così che il dinos ed il cratere a campana rinvenuti a Selinunte in contrada Gaggera, già datati per via del contesto intorno al 410 a.C., appartengono ad una necropoli, quella di Manicalunga, che, utilizzata per quasi due secoli, viene abbandonata alla fine del V sec. a.C., probabilmente in coincidenza con gli eventi bellici che nel 409 a.C. coinvolgono gravemente la città11. Il dato non solo suggerisce di estendere, almeno in via ipotetica, la datazione entro questo termine anche agli altri vasi privi di contesto, ma comunque scoperti a Manicalunga e oggi conservati presso la Collezione Mormino12, ma porta a trovare interessanti analogie anche con il rinvenimento della pelike del Gruppo di Locri a Vassallaggi e del cratere a calice con Perseo e Andromeda a Monte Adranone. In entrambi i casi, infatti, i vasi, appartenuti a sepolture datate alla fine del V sec. a.C., sono stati rinvenuti in necropoli abbandonate probabilmente tra il 406 ed il 405 a.C. a causa dell’invasione cartaginese13.
5La sola indicazione della provenienza da Agrigento, anch’essa sconvolta dai fatti di guerra appena ricordati, non autorizza comunque a trarre indicazioni cronologiche analoghe per l’anfora del Gruppo di Locri oggi conservata a Palermo. Va però detto che, oltre allo stile che, come si vedrà, permette di associare l’anfora agli skyphoi selinuntini, nel caso specifico la forma vascolare, ispirata alle anfore da trasporto corinzio-corciresi della fine del V sec. a.C. ed il programma iconografico, fortemente influenzato dai modelli attici della stessa età o, addirittura, di poco anteriori, sembrano suggerire una datazione entro la fine del secolo14.
6Mancano, infine, al di là dello stile, elementi utili alla datazione per i due skyphoi scoperti nella necropoli di Sant’Anastasia a Randazzo (fig. 5), un ricco complesso di sepolture scavato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la cui pubblicazione, complicata dalla mancanza di dettagliati resoconti di scavo e dalla distribuzione dei reperti in tre musei siciliani, è da tempo attesa. Per quanto noto, comunque, una datazione dei due vasi all’interno del V sec. a.C. appare coerente alla realtà complessiva della necropoli nella quale la ceramica figurata sembra scomparire al più tardi nei primi anni del IV sec. a.C. per poi riapparire nei corredi della seconda metà del IV sec. a.C.15.
I “vasi siciliani” del Gruppo di Locri: motivi decorativi, repertorio figurativo, stile
7Le prime osservazioni sulla specificità stilistica di alcuni dei vasi del Gruppo di Locri rinvenuti in Sicilia si devono ad Arthur Dale Trendall e ad Umberto Spigo. Se il primo, pur assegnando i rinvenimenti di Selinunte e Vassallaggi al medesimo decoratore dei crateri della tomba 1119 di Locri, ha infatti avuto il merito di rilevarne “certain stilistic affinity” con i lavori del Pittore di Himera e da qui, più in generale, con la produzione ceramografica siceliota degli inizi del IV sec. a.C.16, il secondo, alla ricerca di collegamenti stilistici tra la produzione del Gruppo ed i ceramografi attici della fine del V sec. a.C., ne ha notato la particolarità del disegno, “duro e legnoso”, a suo giudizio confrontabile, tra l’altro, con alcune espressioni della coeva ceramografia protoitaliota17.
8In realtà, per quanto non semplice, la possibilità di definire con maggiore chiarezza l’identità formale dei vasi siciliani del Gruppo non è affatto remota. L’osservazione dei singoli tipi figurativi e delle composizioni in cui gli stessi sono quindi associati, l’analisi dei singoli elementi decorativi e della loro sintassi, l’esame, infine, dello stile e delle soluzioni disegnative riscontrate sui singoli vasi consentono, infatti, di isolare, all’interno del comune linguaggio del Gruppo di Locri, tonalità ed accenti specifici che sembrano ricorrere in maniera esclusiva sui vasi, cronologicamente più antichi, rinvenuti in Sicilia. Rinviando ad altra sede i dettagli dello studio condotto in tale direzione, vale, però, la pena riferire, come esempio, alcuni dati già apparsi indicativi18.
9Uno dei motivi ornamentali più peculiari in tal senso è, senza dubbio, la decorazione fitomorfa, al di sotto delle anse dei vasi, costituita da due palmette verticali, l’una sovrapposta all’altra, affiancate da due girali, con caratteristiche “bacche” circolari, che dopo aver seguito il profilo della palmetta inferiore, prima si avvicinano al punto centrale del sistema, lì dove ha origine la palmetta superiore, e poi si divaricano verso l’esterno, per terminare, ai lati o presso l’attacco delle anse, in un complesso di viticci e foglie larghe e carnose. Nonostante alcune variazioni sul tema, per lo più rappresentate dalla forma degli steli vegetali posti accanto al “modulo-base”, il modello appare costante nell’arco della variegata tradizione ceramografia del Gruppo. Degno di nota è, però, il fatto che sui “vasi siciliani” la palmetta inferiore mostra un profilo curvilineo che, progressivamente, si irrigidisce fino ad assumere quella forma triangolare che, di contro, è propria dei vasi provenienti da Locri o dei vasi rinvenuti in Sicilia ma in contesti già del IV sec. a.C. (fig. 6).
10Per restare nell’ambito delle decorazioni accessorie, esclusivo dei “vasi siciliani” del Gruppo della prima generazione sembra, ad oggi, essere anche il kymation ionico con ovuli, distanziati da puntini neri, resi con due pennellate di vernice nera ad U e segnate al centro, in modo assai caratteristico, da un segmento verticale che “taglia” la parte più interna dell’ovulo stesso19. Il motivo, oltre che lungo l’orlo del dinos di Selinunte, si ritrova anche sui crateri di Selinunte, Monte Adranone e di New York nel punto di congiunzione tra le anse ed il corpo del vaso, punto che, negli esemplari più tardi, verrà invece decorato con una semplice serie di “lingue” di vernice nera su fondo risparmiato.
11Nel repertorio figurativo del Gruppo di Locri, poi, è possibile distinguere anche alcune figure-tipo che, per quanto realizzate nel tempo da mani diverse e con stili differenti, sono vere costanti nella lunga e ricca tradizione ceramografica rappresentata dal Gruppo. Altre figure, invece, sembrano non travalicare i limiti, anche cronologici, di fasi ben definite. È il caso della figura maschile nuda, con viso di profilo, ma torso e bacino di tre quarti o, ancora, della figura femminile incedente, vestita con chitone (o peplo) e busto e gamba in movimento di scorcio, mentre il resto del corpo, viso compreso, è disegnato di profilo (fig. 7). Entrambe appaiono solo sui “vasi siciliani” più antichi ed insieme ad alcune figure-tipo rappresentate quasi di prospetto testimoniano, nella fase più antica del gruppo, una consuetudine per il disegno di corpi e volti di tre quarti che, sui vasi di IV sec. a.C., tranne un’unica eccezione, non è più documentata. L’elenco dei motivi, delle decorazioni, delle figure costantemente presenti nella produzione del Gruppo e, di contro, la conta di quelli peculiari della sola fase più antica potrebbero essere più lunghi. Ovvi motivi di spazio non lo consentono in questa sede. Già le sole osservazioni squisitamente stilistiche, d’altronde, permettono di definire la specifica identità dei “vasi siciliani” del Gruppo e di isolare almeno tre ceramografi.
12Non necessariamente il più antico, ma di certo il più dotato dal punto di vista stilistico è il decoratore del cratere a calice di Monte Adranone, a cui va attribuito anche il cratere a volute di Basilea con Tamiri e le Muse (fig. 8). Pur nell’ambito di un comune linguaggio che lo vede condividere motivi ornamentali accessori (i citati ovuli ad archetto tagliato, ad esempio), elementi decorativi del campo figurato (la benda chiusa di forma ovale) e iconografie (Scilla ed il cavallo marino) tipiche della tradizione del Gruppo, l’artigiano, orientato, come si dirà, verso composizioni di grande respiro che sembrano rifarsi a modelli pittorici importanti, si distingue, infatti, sia per la cura che riserva al disegno dei più minuti dettagli (le singole chiavi della lira suonata da Tamiri o, addirittura, le unghie delle mani e dei piedi dei suoi personaggi), sia per l’eleganza con cui realizza le vesti in movimento.
13Evidentemente diverse sono le qualità del pittore dell’anfora di Palermo per il quale, a giudicare dal modo di disegnare la figura umana, è possibile parlare di una vivace tendenza al bozzettismo. Nonostante una certa scioltezza nella resa dei panneggi e nonostante le pose morbide ed animate dei suoi personaggi, le figure, che infatti presentano, generalmente, proporzioni ridotte, talvolta tozze, si distinguono, in verità, per la banalità con cui sono resi dettagli importanti come gli occhi e per la difficoltà di disegnare le mani, piccole, goffe, appena abbozzate soprattutto quando strette attorno ad un oggetto. A questo pittore, come accennato, vanno attribuiti anche il cratere con Io ed Argo, il cratere a volute decorato sul lato principale con la lotta tra Eracle e Apollo per il tripode, i due skyphoi di Randazzo, lo skyphos con giovane e donna della Collezione Mormino, e probabilmente, anche il cratere a campana da Selinunte.
14Ad un terzo pittore attivo, come visto, entro gli ultimi anni del V sec. a.C., si devono, infine, il dinos da Selinunte, la pelike da Vassallaggi, nonché il cratere a campana già sul mercato antiquario di New York e lo skyphos con Eros della Collezione Mormino, vasi questi ultimi due, che, comunque, costituiscono un significativo trait d’union con le ceramiche del precedente raggruppamento. È evidente, nel caso di questo artigiano, come le rappresentazioni siano segnate da una concezione monumentale delle figure, da un ductus aspro e netto che dà origine a personaggi rigidi, quasi scontornati a spigolo vivo sul fondo nero del vaso. Le figure maschili, in particolare, a dispetto delle pose sinuose, quasi leziose, appaiono statiche, legnose, dure anche nei dettagli anatomici, mentre i personaggi femminili, non sempre proporzionati nel disegno di testa ed arti, colpiscono per la rigidità dei movimenti e per le vesti dalle pieghe come inamidate.
I “vasi siciliani” del Gruppo di Locri e le coeve produzioni figurate attiche ed italiote
15Lontana dall’essere un mero esercizio accademico, la distinzione di mani diverse all’interno della produzione più antica del Gruppo di Locri costituisce, in realtà, il necessario punto di partenza per una riflessione sull’origine di questa tradizione ceramografica.
16Si devono, come detto, ad Umberto Spigo i primi accenni a possibili influssi stilistici di origine attica e italiota sull’attività iniziale del Gruppo di Locri. Mentre il confronto con la produzione ateniese non sembra, però, aver innescato nel tempo una più approfondita linea di ricerca in tal senso20, la “pista italiota”, invece, di recente ha trovato una certa accoglienza presso alcuni studiosi, tanto che il Gruppo di Locri, e insieme a questo le attività probabilmente coeve, del Pittore di Santapaola e del Pittore di Himera, nel più ampio dibattito sull’origine delle prime produzioni figurate in Sicilia, sono state visti come segno di uno stimolo esterno alla nascita delle officine protosiceliote, una “seconde source”, è stato scritto, (la prima, come documentato dal Pittore della Scacchiera, sarebbe la presenza nell’isola di artigiani di chiara tradizione attica) da identificare nella “tradition établie à l’époque depuis déjà quelques décennies par les ateliers de la côte ionienne”21.
17L’ipotesi è certamente interessante e potrebbe trovare, in qualche misura, forza anche nei rinvenimenti, non numerosi, ma significativi, di vasi proto-italioti nell’isola già nel corso del terzo venticinquennio del V sec. a.C.22. Attirati, è stato scritto, da una Sicilia non più saturata, a partire dal 430-420 a.C., dalle importazioni di ceramica figurata attica, “alcuni artigiani proto-italioti, ben consapevoli della nuova situazione siciliana (i contatti con la Sicilia sono testimoniati, per esempio, dalle importazioni proto-italiote), potrebbero allora essere emigrati probabilmente dall’area apulo-lucana verso quelle zone che avrebbero potuto garantire un facile successo di mercato”23. Va da sé che, sulla base dei dati oggi disponibili, le tracce di un tale spostamento di maestranze vanno innanzitutto ricercate nelle affinità di stile, composizione, iconografiche, morfologiche, tra i prodotti delle più antiche officine magnogreche ed i vasi attribuiti ai ceramografi protosicelioti attivi negli ultimi decenni del V sec. a.C. Generiche condivisioni di soggetti figurati, somiglianze nella postura delle figure o, addirittura, identità tra singoli motivi decorativi e stilemi non devono però ingannare. Lo stesso Spigo, appena ricordato per aver intuito e segnalato richiami ed echi proto-italioti nella ceramica proto-siceliota, nella medesima occasione aveva, però, cura di richiamare all’esercizio metodologicamente corretto del confronto tra produzioni ricordando che “quando in termini di paragone vengono ricondotti a questi settori di produzione pianificata, dagli stilemi ripetitivi, dagli esiti spesso piuttosto corsivi […], i raffronti stilistici fra ceramica attica […] e produzione italiota e siceliota rischiano a volte di colorarsi di arbitrarietà”24. Isolati elementi di contatto o generiche somiglianze non sono, infatti, necessariamente comprensibili soltanto alla luce di forme di trasmissione diretta di saperi e conoscenze. Certe affinità tra produzioni, ancor più se sporadiche o limitate ad un numero limitato di esempi, possono essere ben interpretate nell’ottica di una comune matrice, quella attica che, negli anni venti del V sec. a.C., non è del tutto superata da linguaggi locali, in certa misura, ancora permeabili e in via di definizione.
18Un esempio di quanto detto, per restare al Gruppo di Locri, mi sembra che possa essere rappresentato dal confronto tra la nike dipinta sul dinos da Selinunte del Gruppo e la nike che decora uno dei lati del cratere a calice di Londra B.M. 1910.4-18.1, attribuito al cosiddetto Pittore del Grande Kantharos di Atene, un artigiano beota la cui attività è datata intorno all’ultimo venticinquennio del V sec. a.C. (fig. 9)25.
19Le affinità tra i due soggetti sono evidenti – in alcuni casi anche maggiori di quelle segnalate tra lo stesso Gruppo e i pittori proto-italioti – e sembrano coinvolgere non solo lo schema della figura in volo con rappresentazione di tre quarti della parte superiore del corpo, ma anche alcune peculiarità del ductus disegnativo che riguardano il movimento e la resa delle pieghe della parte inferiore delle veste, il disegno, in certa misura, dei seni, il tipo di collana a più vaghi indossato dalle due nikai. Estrapolato, ciascun dettaglio, dal resto della rappresentazione e, ancor di più, sradicato dalla totalità delle produzioni di riferimento e dal complesso di elementi (motivi e sistemi decorativi, forme vascolari, iconografie, stile) che caratterizzano le produzioni stesse, vedere un collegamento tra i decoratori del dinos siceliota e del cratere beota potrebbe risultare plausibile. Alla ricerca di conferme, poi, si potrebbe ricordare come in Sicilia, anzi proprio a Selinunte, siano stati rinvenuti alcuni vasi a figure rosse di produzione beota (raro caso di circolazione extra territoriale di una produzione ceramografica a forte vocazione regionale) appartenenti alla seconda metà del V sec. a.C.26, così come si potrebbe essere tentati di stabilire una qualche relazione tra la frequenza con cui appare l’immagine di Scilla sulle ceramiche a figure rosse beote ed il favore di cui gode lo stesso soggetto nell’intera produzione del Gruppo di Locri27.
20È ovvio che le obiezioni ad una simile ricostruzione potrebbero essere numerose. Lo schema della nike ad ali spiegate rappresentata di tre quarti, si potrebbe innanzitutto ricordare, risale alla tradizione ceramografica ateniese comune ad entrambe le produzioni in questione28, così come l’immagine di Scilla, nella Sicilia di Stesicoro, autore di una composizione lirica intitolata alla creatura dello Stretto, o del noto tetradramma agrigentino con Scilla aposkopeusa, non necessita di una mediazione iconografica operata attraverso la ceramica beota29. Tuttavia la suggestione è indubbiamente forte, tale da non escludere a priori che nel processo di formazione delle officine di ceramica a figure rosse occidentali, e siceliote in particolare, possano essere entrate in gioco anche componenti finora non riconosciute che meritano, certo, molta più attenzione di quanto ad oggi ad esse riservata. Ipotizzare e sostenere, però, relazioni dirette o, ancor di più, rapporti di “filiazione” tra produzioni differenti presuppone molto di più della sporadica condivisione tra vasi di schemi o anche di falsi stilemi. L’affermazione potrà apparire ovvia e quindi, forse, anche presuntuosa – e di ciò chiedo venia –, ma non è raro, è noto, che quanto proposto solo come ipotesi di lavoro diventi talvolta, in modo incontrollato, una sorta di dogma.
21Analoga circospezione si impone nel confronto tra produzioni anche più contigue, per lo meno sul piano geografico. Il recente lavoro di dottorato di Marco Serino, incentrato sull’interessante ipotesi di una formazione in ambito ceramografico proto-apulo per il siceliota Pittore di Himera, dimostra ancora una volta come, nell’esame di una produzione vascolare e nel confronto della stessa con le altre produzioni, sia necessario uno studio, per così dire, integrato, sviluppato, innanzitutto, attraverso un’analisi dettagliata di stile, forme vascolari, contesti di rinvenimento, motivi decorativi, repertorio figurato, iconografie e, quindi, indirizzato verso una sintesi dei dati emersi che tenga conto, in modo equidistante, di tutte le variabili possibili per evitare risultati, in qualche misura, orientati a priori.
22Nel caso del Gruppo di Locri, in attesa di proporre insieme a Diego Elia uno studio complessivo sulla produzione, l’idea di un rapporto con la tradizione italiota, per quanto oggi posso sostenere, non mi appare convincente. Le somiglianze con certa parte della produzione del Pittore di Amico già rilevate nella composizione ternaria delle scene, nell’incertezza del disegno anatomico o nell’ambiguità delle iconografie non risultano a mio giudizio probanti30. I vasi della prima fase del Gruppo di Locri, infatti, presentano in realtà una notevole varietà di soluzioni compositive (a due, a tre, a quattro figure), nessuna prevalente, ed, anzi, se una costante si vuol trovare nella decorazione delle ceramiche della bottega, questa potrebbe, piuttosto, risiedere nella mancanza dei tipici ammantati sul lato secondario del vaso: un dettaglio, certo non trascurabile, che differenzia in modo marcato il Gruppo di Locri non solo dall’officina del Pittore di Amico, ma anche dalla tradizione italiota più in generale. Per quanto riguarda, poi, le affinità nel disegno, è vero che l’aspetto monumentale ed il profilo spigoloso dei personaggi maschili sul dinos di Selinunte e sulla pelike di Vassallaggi possono, in qualche misura, ricordare certe figure dipinte da artigiani formati nella bottega del Pittore di Amico, ma è anche vero che simili analogie sono riscontrabili sulla coeva ceramica figurata prodotta ad Atene, ad esempio, nelle botteghe di Aison o del Pittore del Dinos, botteghe nelle quali è frequente l’elaborazione delle figure sinuose nella posa, ma rigide nella resa che i primi artigiani del Gruppo di Locri mostrano di conoscere bene31. Alle medesime produzioni attiche, peraltro documentate in alcune delle necropoli siciliane che hanno restituito i vasi del Gruppo di Locri32, guardano, del resto, anche le figure di donne del Gruppo che, a mio modesto avviso, ben poco, di contro, condividono con i soggetti femminili dipinti nell’atelier del Pittore di Amico33.
23Anche il patrimonio iconografico del primo Gruppo di Locri, d’altronde, parla a favore di un’evidente contiguità con la tradizione attica che, senza mediazioni o filtri prodotti dal mondo italiota, sembra conosciuta e riproposta sui vasi del Gruppo o in modo aderente al modello d’origine o secondo rielaborazioni che sembrano nascere da esigenze locali. È questo, ad esempio, il caso dell’anfora di Palermo da Agrigento sulla quale, come ho cercato di dimostrare in passato, la rara rappresentazione del rito ateniese delle nozze tra Dioniso e la basilinna appare più comprensibile alla luce di quelle fonti antiche che ricordano anche per il mondo siceliota l’esistenza di cerimonie connesse con le Antesterie e con gli amori rituali di Dioniso34. Una perfetta adesione al modello attico si registra, sullo stesso vaso, nella rappresentazione del mito di Mida che riceve Sileno e nella scena della consegna del piccolo Dioniso alle ninfe del Monte Nisa. In entrambi i casi le iconografie, ad oggi non documentate sulla ceramica italiota coeva, ricalcano prototipi attici databili tra il 440 ed il 425 a.C.35, mentre più tardo è probabilmente lo schema di riferimento per la scena con Argo ed Io del citato cratere Biscari che, ad oggi difficilmente confrontabile con le soluzioni iconografiche del mito elaborate in ambiente italiota, sembra invece ricalcare l’immagine di Argo ed Io attestata ad Atene alla fine del V sec. a.C.36.
24Significativa, per citare, pur brevemente, un ultimo esempio, è anche la rappresentazione del suonatore di lira, in abiti orientali, dipinto fra tre figure femminili sul cratere a volute già sul mercato di Basilea (fig. 8). Sin dalla sua prima edizione, nella figura del cantore è stato riconosciuto ora Orfeo, ora Tamiri. La prima interpretazione, per quanto sostenuta di recente anche con motivazioni interessanti37, a mio giudizio non trova tuttavia conferma nella tradizione iconografica di età classica di Orfeo, sempre rappresentato, quando associato a personaggi femminili, in situazioni di prossimo pericolo o forte conflitto. Anche nelle rare immagini che non lo dipingono assalito o squartato dalle donne tracie, la presenza di una donna, solo in apparenza non ostile, ma, in realtà, armata ora di lancia, ora di bastone, ora con un falcetto, si palesa, infatti, per il cantore, come anticipazione della sua tragica fine38. Nessuna indicazione in tal senso è possibile ravvisare, invece, sul cratere del Gruppo di Locri sul quale, al contrario, l’atteggiamento assorto delle figure femminili, comunque non connotate, certo, come tracie, non si contrappone, anzi, ad una loro identificazione con le Muse, spesso rappresentate sui vasi figurati dell’ultimo venticinquennio del V sec. a.C., con gambe incrociate e mano piegata sotto il mento in posa di ascolto39. Certo, la mancanza di strumenti o rotoli musicali lascia un certo margine di incertezza alla lettura delle figure femminili e quindi della scena, ma, fra le due possibili interpretazioni, Tamiri fra le Muse, grazie al confronto con le rappresentazioni dello sfortunato cantore tracio sulla coeva ceramica attica, appare la più convincente. Di recente, peraltro, è stato mostrato con valide argomentazioni da Mauro Menichetti che negli ultimi decenni del V sec. a.C. l’immagini di Tamiri “perde i caratteri di estraneità e di hybris violenta e assoluta” che ne caratterizzano le rappresentazioni precedenti “per assumere invece i tratti di un’alterità controllata, inserita nel patrimonio musicale del mondo greco e in particolare nel mondo degli agoni giovanili”40. Alle immagini del cantore impegnato nella sfida fatale con le Muse o addirittura ritratto già cieco e disperato, tanto da scagliare lontano da sé la cetra, strumento del proprio orgoglio, si sostituiscono, infatti, una serie di rappresentazioni della gara tra Tamiri e le Muse dal carattere decisamente “pacifico” in cui, assente ogni accenno alla punizione del cantore, il confronto appare ricondotto ai valori agonistici ed espressivi della musica capace di ispirare anche nell’antagonista-Musa, un sentimento di abbandono e rapimento. L’atmosfera descritta, documentata, ad esempio, sul noto cratere a volute di Polion o, in maniera più semplice, sulla lekythos attica BS 462 dell’Antikenmuseum di Basilea41, sembra condivisa dalla scena sul cratere del Gruppo di Locri. Non solo. Sul lato secondario del vaso siciliano è rappresentata una quadriga in corsa che, a meno di non essere attribuita ad una scelta non ragionata del ceramografo, richiede una qualche spiegazione. Immaginare, come fa Monica De Cesare, che il “tema carico di valori eroizzanti” sia legato alla destinazione funeraria del vaso è senza dubbio corretto; tuttavia è lecito anche riflettere sulla scelta di questo e non di un altro “tema eroizzante”, considerando che nei modelli attici (innanzitutto il ricordato cratere di Polion con la rappresentazione sul collo di una lampadedromia) il binomio Tamiri-agonismo, come visto, sembra essere stato funzionale al valore simbolico che il mito del cantore sembra incarnare sullo scorcio del V sec. a.C.42.
I “vasi siciliani” del Gruppo di Locri e l’origine delle figure rosse nell’isola
25Non c’è dubbio che le brevi osservazioni avanzate in questa sede su stile, decorazioni, iconografie, non possono concludere né chiarire in modo sufficiente la questione della formazione dei primi artigiani del Gruppo di Locri. Risposte potranno, forse, venire, come detto, da uno studio di ben altro impegno e spessore. Oltre ad aver suggerito alcune linee di interpretazione utili ad una prima lettura dei “vasi siciliani” del Gruppo, è, comunque, importante aver indicato la necessità di non sottovalutare la “dimensione attica” di questa tradizione ceramografica degradandola a risultato di una trasmissione di consuetudini, per così dire, di seconda o terza mano che, peraltro, i dati oggi disponibili non sembrano, a mio giudizio, indicare. Il rischio che si corre, infatti, non riguarda tanto, o perlomeno non solo, la più o meno attendibile ricostruzione delle vicende del Gruppo di Locri, ma coinvolge, soprattutto, il problema della definizione della nascita della produzione di ceramica a figure rosse in Sicilia43.
26È ormai, infatti, evidente come la ricostruzione di Trendall, incentrata sul Pittore della Scacchiera quale protos euretes, non sia sufficiente a spiegare un fenomeno che appare complesso e variegato nei protagonisti, nei modi e nei tempi. Che nell’ultimo decennio del V sec. a.C. questo artigiano di stretta formazione attica, abbia dato vita in Sicilia ad un produzione di ceramica a figure rosse ancora fortemente debitrice nei confronti del modello ateniese è un fatto non confutabile. Ma che, in un modo o in un altro, a questa esperienza vadano collegate anche le altre produzioni già collocate alle origini della ceramografia dell’isola ormai non appare credibile. La cronologia, ricavata dai contesti e, anche in questa sede, confermata dalle analisi stilistiche e iconografiche, dei “vasi siciliani” del Gruppo di Locri è segno, infatti, di un’attività che probabilmente precede, seppur di qualche anno, l’officina del Pittore della Scacchiera. Analoghe indicazioni cronologiche vengono, d’altronde, dal recente studio sul Pittore di Himera di Marco Serino, attento a ricavare elementi per una nuova datazione dell’officina tanto dall’analisi dello stile e delle iconografie vascolari quanto dalla revisione cronologica dei contesti imeresi in cui sono state rinvenute le ceramiche del pittore44. Differente, ma forse almeno in parte contemporanea, dall’opera del Pittore della Scacchiera, è la produzione del Pittore di Santapaola, mentre i vasi ad oggi assegnati al Pittore di Siracusa 24 000, seppur pochi, sono comunque indizio di una produzione che per stile e forme vascolari sembra potersi collocare agli inizi dell’ultimo venticinquennio del V sec. a.C. e comunque al di fuori dell’ambito dell’officina della Scacchiera45. Se, infine, a queste produzioni “canoniche” si aggiungono quei vasi a figure rosse rinvenuti in Sicilia, datati nella seconda metà del V sec. a.C., ma “mai inseriti negli elenchi di Beazley e Trendall, perché troppo provinciali per essere attici o troppo vicini alla maniera attica per essere sicelioti”46, la prima fase della ceramografia siceliota apparirà come un fenomeno fortemente dinamico e caleidoscopico che non trova riflesso, a mio modesto avviso, nell’immagine di una produzione originata da un’unica officina di chiara derivazione attica (quella del Pittore della Scacchiera) e da alcune “officine secondarie”, peraltro cronologicamente precedenti, nate dalla migrazione nell’isola di artigiani italioti. Che un movimento di tal genere, poi, si sia potuto verificare non è certo da escludere ed anzi è di grande importanza aver indicato un ulteriore modello interpretativo correttamente finalizzato a superare la visione di una realtà occidentale quale statico recettore della tradizione attica. Tutto ciò, ovviamente, a patto che lo stesso rimanga “un modello”, comunque subordinato ai dati, e non diventi invece “il modello”.
27Ripercorrendo le ipotesi più recenti sulla nascita della ceramografia in Occidente, Enzo Lippolis, pochi anni fa, ha di fatto evidenziato l’impossibilità di ricondurre un fenomeno così complesso ad un’unica o, comunque, prevalente linea di interpretazione47. Due dati di fondo indicati dall’archeologo non possono tuttavia che trovare concordi gli studiosi. Il primo riguarda il fatto che la nascita delle figure rosse in Italia meridionale ed in Sicilia vada inquadrata in un “sistema di contatti […] mai gestito a senso unico” tra Attica ed Occidente che, vivo sin dall’età arcaica, a partire dalla seconda metà del V sec. a.C. si intensifica per quantità e qualità, declinandosi, tra l’altro, in un flusso di persone, costante e bidirezionale, in cui alla centralità esercitata sul piano culturale da Atene corrisponde un Occidente (da riconoscere, secondo Lippolis, nelle nuove classi dirigenti locali) in grado di condizionare, in qualche misura, le produzioni di artigianato artistico. A questa realtà è connessa la seconda costante del sistema produttivo occidentale: la tendenza al “decentramento produttivo” che vede realizzarsi “le condizioni per un trasferimento delle tecnologie produttive presso le diverse aree di consumo” in sostituzione “di un unico centro artigianale che può cercare di adattare la propria manifattura alle esigenze diverse del mercato interno ed esterno”48.
28La Sicilia della seconda metà, costellata di città che con Atene intessono non solo rapporti commerciali, ma anche alleanze e rapporti di natura politica, spesso sponsorizzati da ceti dirigenti emergenti, non fa eccezione49. A produzioni ceramografiche attive, come visto, in tempi non necessariamente coincidenti, sembra, infatti, corrispondere anche una differenziata dislocazione delle stesse nell’isola. Pur con tutti i limiti del caso, le indicazioni provenienti dai luoghi di rinvenimento dei vasi dell’officina della Scacchiera hanno sempre suggerito, ad esempio, una collocazione dell’atelier nella Sicilia orientale, con Siracusa, per ovvi motivi, da sempre indicata come probabile centro propulsore50. L’esclusiva concentrazione di vasi ad Himera rende più che giustificata l’idea che qui sia stata attiva la bottega del Pittore di Himera, mentre solo il numero ridotto di ceramiche fino ad oggi rinvenuto impedisce di assegnare con identica dose di probabilità la produzione del Pittore di Siracusa 24 000 a Camarina51. Per quanto riguarda il Gruppo di Locri i “vasi siciliani” più antichi, come detto, sono stati rinvenuti in gran parte nell’area compresa tra i fiumi Belice e Salso. L’ipotesi che qui abbia avuto origine questa tradizione ceramografica non solo è interessante, ma sarebbe anche giustificata dalle vicende successive del Gruppo. La situazione di instabilità ed insicurezza causata dalle invasioni cartaginesi succedutesi nell’area nel corso dell’ultimo decennio del V sec. a.C. potrebbe, infatti, spiegare il trasferimento dell’officina a Locri52, dove, per tutta la prima metà del secolo successivo, la ceramica del Gruppo non solo sarà ampiamente documentata, ma si direbbe radicata (non a caso nell’ambito dell’atelier del Gruppo di Locri nasce la produzione locrese del Pittore dell’eros inginocchiato) e, a giudicare dalle forme vascolari prodotte, dai soggetti rappresentati, dai contesti di rinvenimento degli stessi vasi evidentemente orientata sulle esigenze, anche di tipo cultuale, della città ionica53.
29Va tuttavia osservato che se, come scritto da Diego Elia, i vasi dell’officina rinvenuti a Locri non possono essere datati “in un momento anteriore alla prima metà del IV secolo e forse, più precisamente, al decennio 380-370”, tra la “fase siciliana” del Gruppo e quella propriamente locrese esisterebbe un intervallo di tempo comunque significativo54. Lo skyphos con Eracle ed Apollo e alcuni frammenti del Gruppo di Locri rinvenuti a Gela, in corso di studio, come detto, da parte di Antonella Santostefano, insieme ai ricordati vasi del Gruppo di provenienza siciliana, ma già databili nei primi decenni del IV sec. a.C., potrebbero, forse, suggerire in questo senso una nuova linea di ricerca. Certe corrispondenze con le ceramiche realizzate nell’officina del Pittore della Scacchiera, così come alcune analogie, al momento, è vero, episodiche, con le produzioni siceliote dei cosiddetti “forerunners”55, sembrerebbero infatti – il condizionale è più che d’obbligo – far ritenere possibile anche uno stadio produttivo, per così dire, di transizione, una fase in cui gli artigiani del Gruppo di Locri sembrerebbero, cioè, misurarsi con la tradizione ceramografica dei “pittori dionigiani”56. Se, poi, questo possa anche essere il segno di una mobilità, quella del Gruppo di Locri, che conosce anche una tappa intermedia nella Sicilia orientale è assai difficile dirlo o comunque oggi non può che essere soltanto un’ipotesi di lavoro, suggestiva sì, ma che necessita di essere verificata in futuro57.
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Notes de bas de page
1 Trendall 1953, p. 124. Cfr. Trendall 1967, p. 74-76, nn. 374, 386 (Orsi 1917, p. 108-110, fig. 11-12; Elia 2010, CK2-CK3).
2 In attesa di una più puntuale definizione delle personalità attive all’interno del Gruppo di Locri, nel contributo, tranne nei casi in cui si è riportato il pensiero altrui, ho preferito utilizzare il termine generico di “Gruppo di Locri” per indicare l’intera produzione vascolare ad oggi ad esso associata.
3 Trendall 1967, p. 74-76. Sul Gruppo Intermedio, il noto gruppo di vasi collocati a metà strada tra la “scuola apula” e quella “lucana” e, nell’ambito di quest’ultima, tra l’attività del Pittore di Amico e l’opera del Pittore di Creusa, oltre Trendall 1967, p. 62 sqq., cfr. Barresi 2005, p. 143-153 con bibliografia precedente.
4 Ritengo che “tradizione produttiva” renda, in maniera più adeguata di altri termini, la complessa evoluzione del Gruppo di Locri, la varietà di soluzioni produttive in esso riscontrate nonché il suo ampio sviluppo cronologico che sembra coinvolgere ben più di una generazione di artigiani.
5 Cfr. Trendall 1983, p. 29-31 e Trendall 1989, p. 30 con la definitiva affermazione dell’origine siceliota del Gruppo.
6 Tra i numerosi lavori di Umberto Spigo sul Gruppo di Locri vanno ricordati, almeno, Spigo 1977, p. 128 sqq.; 1980, p. 583-586; 1987, p. 3-5; 1991, p. 54-55; 2002, passim. Di Diego Elia si veda almeno Elia 2004, passim; 2005, p. 155 sqq.; 2009; 2010, passim; 2012, p. 101-112. Cfr. Barresi 1999, p. 101-271; 2002; 2012; Magro, Barresi 2012, p. 105-109. Per quanto non incentrati in modo specifico sul Gruppo di Locri cfr. ancora De Cesare 2009b e Denoyelle, Iozzo 2009, p. 166-168.
7 Il vaso, già appartenuto alla collezione settecentesca del Principe di Biscari di Catania, è da tempo perduto e non ne sono note né la specifica forma (si sa solo che era un cratere) né la scena “bacchische” ricordata in una breve scheda redatta da Benndorf 1867, p. 118. La prima edizione si deve comunque a Engelmann 1871, p. 37-41, tav. 30, da cui è tratto il disegno qui riprodotto (fig. 2) a cura di Mariella Puglisi che ringrazio. Il fatto che il vaso appartenesse alla collezione Biscari di Catania, per quanto interessante, non rimanda in automatico ad una provenienza siciliana del cratere vista la consuetudine del Principe di acquistare vasi anche sul mercato antiquario di Napoli (cfr. Pafumi 2006, p. 54-55, nota 58).
8 Il cratere (per l’attribuzione cfr. Trendall 1983, p. 31 e Spigo 1987, p. 3, fig. 1) e l’hydria (Trendall 1967, p. 379, n. 75) sono pubblicati rispettivamente in CVA Italia 17, Siracusa, IV E, tav. 10, fig. 3, foglio 852 e tav. 11, foglio 853.
9 Cfr., ad esempio, Denoyelle, Iozzo 2009, p. 167.
10 Concordo con i confronti, segnalati in Elia 2010, p. 151, tra alcuni vasi di provenienza locrese del Gruppo ed il cratere di Gela e l’hydria di Siracusa (vedi in questa stessa sede il contributo di Antonella Santostefano). Analogo discorso potrebbe essere fatto anche per un altro prodotto del Gruppo rinvenuto in Sicilia, a Camarina: il frammento di skyphos, con probabile rappresentazione di Eracle e l’idra di Lerna, pubblicato in Di Vita 1983, p. 43, fig. 36d (ivi il soggetto è interpretato come “Nereide e pesci”) e assegnato correttamente al Gruppo in Spigo 2002, p. 284. Sui vasi “locresi” del Gruppo vedi il contributo di Diego Elia in questo stesso volume.
11 Sulla datazione dei contesti del dinos e del cratere a campana vedi bibliografia in tabella. Per la cronologia e composizione della necropoli della Gaggera cfr. Kustermann Graf 2002, passim.
12 La collezione, come è noto, comprende soprattutto vasi rinvenuti nel corso degli scavi compiuti a Selinunte dalla Fondazione Mormino del Banco di Sicilia in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Sicilia Occidentale: sulla formazione della collezione cfr. comunque Tusa 1992.
13 Per la necropoli meridionale di Vassallaggi: Orlandini 1971, p. 7 sqq. nonché Pizzo 1998-1999, p. 207 sqq. La necropoli di Monte Adranone e la relativa t. 35 sono ancora inedite: una breve considerazione sulla cronologia della sepoltura in Spigo 2002, p. 287.
14 Barresi 2012.
15 Sulla necropoli di Sant’Anastasia a Randazzo cfr. da ultimo Magro, Barresi 2012, p. 98 sqq. con bibliografia precedente. È interessante notare che dalla stessa necropoli, contemporanei o di poco successivi agli skyphoi del Gruppo di Locri, provengono la nota oinochoe con il mito dei Boreadi, un vero enigma della ceramografia proto-siceliota (cfr. in proposito Spigo 1991, p. 60-61 e Giudice 2002, p. 188-195), e due crateri dell’officina del Pittore della Scacchiera: Trendall 1967, p. 197, n. 3 e p. 200, n. 22.
16 Trendall 1983, p. 29-30.
17 Spigo 1991, p. 56-57.
18 Gli esempi presentati nascono da un lavoro di analisi e studio ben più complesso condotto sul Gruppo di Locri da chi scrive in occasione della tesi di dottorato (Barresi 1999).
19 Può essere interessante notare che lo stesso motivo è adoperato per disegnare le penne di nikai ed eroti sui “vasi siciliani” del Gruppo come il dinos di Selinunte, il cratere di New York, uno degli skyphoi della collezione Mormino. Tranne che per un’unica eccezione (Elia 2010, p. 151), lo stilema è invece assente sui vasi più tardi del Gruppo rinvenuti a Locri o anche in Sicilia.
20 Oltre ai generici “richiami allo stile più corrente della ceramica attica sullo scorcio del V secolo ed all’inizio del successivo” segnalati in Spigo 1991, p. 56, vanno ricordate anche le osservazioni (benché non sempre condivisibili) avanzate da G. Franciosi al Convegno di Taranto del 1976 (Atti del XVI Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, Napoli, 1980, p. 589). Cfr., più recentemente, Elia 2012, p. 102 sqq. (v. anche bibliografia ivi citata) con confronto tra lo stile del Pittore di Locri e i “models which come from the Polygnotos Group, such as the Kleophon Painter and the Dinos Painter”.
21 Denoyelle, Iozzo 2009, p. 166. Cfr. Denoyelle 2008, p. 347 e Denoyelle 2014. Una posizione intermedia si rinviene in Serino 2013 per il quale nel Gruppo di Locri sono evidenti tanto un “rapporto preferenziale con la tradizione disegnativa proto-italiota” (p. 62), quanto, riferendosi alla matrice attica, “i legami con l’artigianato della madrepatria” (p. 83).
22 Un elenco in Madella 2002. Sul dato cfr. anche Barresi, Giudice 2011, p. 59-60, con particolare riferimento alla presenza dei vasi del Pittore di Mesagne in Sicilia.
23 Serino 2013, p. 386, con particolare riferimento al Pittore di Himera. Vedi anche il contributo di Serino in questo volume.
24 Spigo 1991, p. 65.
25 Lullies 1940, p. 18, n. 1, taf. 18. Sul Pittore del Grande Kantharos di Atene cfr. Sabetai 2012, passim. Ringrazio Victoria Sabetai per le informazioni fornitemi sul vaso e per aver condiviso con me le sue impressioni sul confronto tra le due nikai qui proposto.
26 Si tratta, in particolare, di due skyphoi del Pittore di Argo pubblicati in Pelagatti 1995, p. 37-38, cat. n. 11, fig. 9-12, e p. 38-39, cat. n. 16, fig. 16-18. Il primo vaso, inv. 752 del Museo Archeologico Regionale di Palermo, fu recuperato a Selinunte nel corso degli scavi del 1864; il secondo, vista l’appartenenza alla Collezione Mormino del Banco di Sicilia (inv. 187), con buone probabilità sarà stato rinvenuto in Sicilia, se non addirittura nella stessa Selinunte (per la formazione della collezione Mormino cfr. nota 12).
27 De Cesare 2009a, p. 39, per la quale “è lecito chiedersi dunque se tali cifre iconografiche siano state assorbite nella Sicilia greca e dunque anche dal nostro pittore [di Locri] tramite la ceramica tebana ed in particolare il Pittore di Argos (430-420 a.C.) che esportò i suoi vasi a Selinunte”. Per le rappresentazioni di Scilla sulla ceramica beota: Pelagatti 1995, p. 41 e Sabetai 2012, p. 126, 129, nota 49. Tra i “vasi siciliani” del Gruppo di Locri con rappresentazioni di Scilla, l’anfora di Palermo, il cratere a volute della collezione svizzera, il cratere a volute già sul mercato antiquario di Basilea; il soggetto, comunque, compare anche su alcune ceramiche della “fase locrese”.
28 Cfr., per esempio, la nike (con busto di tre quarti, ma viso di profilo) sull’hydria inv. 41.162.186 del Metropolitan Museum di New York (CVA USA 1, Hoppin and Gallatin Collections, tav. 25, 1, foglio 45) o ancora le nikai del Pittore di Talos sul cratere a calice inv. 2365 di Palermo (Beazley 1963, p. 1339, n. 3) e sul cratere a campana inv. 2382 di Roma, Museo di Villa Giulia (Beazley 1963, p. 1339, n. 4; CVA Italia 2, Roma 2, III.I.d, tav. 1, foglio 79).
29 Per l’immagine di Scilla in Sicilia cfr. almeno Belvedere 1972, p. 53 sqq. e Calderone 2002, p. 351 sqq. Si veda anche De Cesare 2009b, p. 279.
30 Denoyelle, Iozzo 2009, p. 167.
31 Senza, per questo, voler suggerire un rapporto diretto di filiazione tra il Gruppo di Locri e le citate botteghe ateniesi, comunque interessante mi sembra, ad esempio, il confronto con alcuni vasi delle botteghe di Aison e del Pittore del Dinos decorati con figure di giovani appoggiati ad un pilastrino (Beazley, p. 1175, n. 17; p. 1177, n. 1) o con atleti massicci, ma dalle pose sinuose (Beazley 1963, p. 1175, n. 17; p. 1156, nn. 20, 24); vedi anche la nota 33. Ringrazio Giada Giudice per aver discusso con me sull’argomento. Non priva di significato, infine, è anche l’originaria attribuzione a fabbrica attica della pelike del Gruppo di Locri da Vassallaggi da parte dello stesso Trendall (Trendall 1983, p. 29).
32 Cfr., ad esempio, i rinvenimenti di ceramica a figure rossa nella necropoli di Vassallaggi (Orlandini 1971 e Pizzo 1998-1999). Per la distribuzione dei vasi di Aison e del gruppo del Pittore del Dinos in Sicilia cfr. Giudice 2007, p. 287-288, 547, 553.
33 Cfr. le figure femminili sulla pelike di Vassallaggi e sui vasi da Selinunte con le figure femminili presenti, ad esempio sull’hydria inv. 27 di Castle Ashby assegnata al Pittore di Chrysis, scuola del Pittore del Dinos (Beazley 1963, p. 1159, n. 7; CVA Great Britain 15, Castle Ashby, tav. 45, 4-5). Dello stesso ceramografo cfr. la donna con mano destra al fianco e benda nella sinistra sull’hydria inv. 54.03 del Nicholson Museum di Sydney (Beazley 1963, p. 1159, n. 6).
34 Cfr. Barresi 2002, nonché Barresi 2012.
35 Per la rappresentazione di Sileno portato al cospetto di Mida cfr. lo stamnos inv. 51.4 del British Museum assegnato al Pittore di Mida (ARV2, p. 1035, n. 3; Miller 1997, p. 849, n. 38) ed il cratere a campana attico inv. 4322 B del Museo Archeologico Regionale di Siracusa da Lentini (Miller 1997, p. 849, n. 39). Per la scena della consegna del piccolo Dioniso alle ninfe di Nysa cfr. Gottschall 1992, con bibliografia precedente.
36 All’incirca coeva al vaso di Catania è l’oinochoe attica del Pergamonmuseum di Berlino in Yalouris 1986, p. 14, n. 17, fig. 11. Sull’iconografia di Io rappresentata come fanciulla seduta, ormai quasi del tutto priva della sua natura di giovenca (rimangono solo due piccole corna sulla fronte), ed Argo, quale giovane pastore armato di bastone cfr. Yalouris 1984, p. 675, con riferimento alla possibile origine dello schema dalla statua di Io realizzata da Deinomenes di Argo sull’Acropoli di Atene (cfr. Simon 1985, p. 279-280 e Dörig 1994, p. 76-77). In ambiente italiota guardano a modelli attici più antichi sia la rappresentazione di Argo barbuto ed Io con corpo di vacca sull’oinochoe inv. 00366 del Boston Museum of Fine Arts attribuita al Pittore di Pisticci (Trendall 1967, p. 16, n. 9), sia l’Argo panoptes disegnato su un’hydria da Saturo attribuita al Pittore di Palermo (Fontannaz 2008, p. 55-57, fig. 11.3). Io come donna seduta è invece rappresentata su uno skyphos del Pittore di Pisticci (Trendall 1970, p. 6, n. 84b): la rigida impostazione della figura, peraltro priva della presenza di Argo, pone alcune difficoltà al confronto con il vaso di Catania. Assolutamente diverse, anche per ragioni cronologiche, sono le rappresentazioni, ben più complesse ed articolate, di Argo ed Io su alcuni vasi apuli, lucani e campani della metà del IV sec. a.C.: cfr. Yalouris 1984, p. 669, nn. 57-60. Per l’evoluzione iconografica del mito cfr. anche Yalouris 1986.
37 De Cesare 2009a, p. 36-38, cui si rimanda per la bibliografia precedente. Della stessa opinione Serino 2013, p. 215.
38 Una donna con falcetto appare sul cratere a campana inv. 1924.97.30 del Metropolitan Museum di New York (Beazley 1963, p. 1079, n. 2; Garezou 1994, p. 85, n. 26). Donne armate di lancia e bastone compaiono, invece, sull’hydria di Parigi, musée du Petit Palais inv. 319 (Beazley 1963, p. 112, n. 4; Garezou 1994, p. 85, n. 25). Una figura femminile con lancia è dipinta anche sul cratere a calice inv. H65.482 del Pittore di Himera (Trendall 1983, p. 97, n. 38; 1989, fig. 62), presentato in questa stessa sede da Marco Serino. Lo stesso studioso (Serino 2013, p. 207-214), per via della presenza nella scena di un satiro e confortato da un’ipotesi avanzata in Isler Kerenyi 2009, p. 24, propende per una scena che “non doveva avere risvolti tragici, sulla scorta dei drammi satireschi dove l’intercessione dei satiri poteva condurre a uno svolgimento positivo”. L’idea, interessante, non sembra però ad oggi avere riscontro nella tradizione mitica e nelle fonti: la presenza delle tracie armate quale anticipazione della morte del cantore resta, a mio avviso, la lettura più convincente: cfr. Garezou 1994, p. 85 e 2009, p. 400.
39 Tra i diversi esempi cfr. le figure di Muse sui crateri a campana del Louvre inv. G516 (Beazley 1963, p. 1189, n. 20; Queyrel 1992, p. 670, n. 110) e inv. B195 dell’Università di Heidelberg (Beazley 1963, p. 1189, n. 19; Queyrel 1992, p. 669, n. 107) entrambi attribuiti al Pittore del Pothos.
40 Menichetti 2007, p. 112, con bibliografia precedente sulle rappresentazioni vascolari del mito di Tamiri.
41 Per il cratere a volute del Museo Nazionale di Ferrara firmato da Polion (Beazley 1963 , p. 1171, n. 1; Nercessian 1994, p. 903, n. 5) e per la lekythos dell’Antikenmuseum di Basilea (Nercessian 1994, p. 903, n. 8) v., da ultimo, Menichetti 2007, p. 112 sqq. con bibliografia precedente.
42 Menichetti 2007, p. 118-119.
43 Tra i contributi più recenti sul tema cfr. almeno De Cesare 2009b, p. 277 sqq.; Denoyelle, Iozzo 2009, p. 116; Barresi, Giudice 2011, p. 61-63; Elia 2012, p. 101 sqq.; Barresi 2013, p. 212 e, in questo stesso volume, l’articolo di Marco Serino. V. anche Serino 2014 e Barresi 2014. Allineata sulle posizioni di Trendall appare invece la ricostruzione delle origini della ceramografia siceliota in Todisco 2012, p. 329-332, 95-96.
44 Serino 2013, p. 94-96, 422-434. Vedi il contributo dello studioso in questo stesso volume.
45 L’idea che l’attività del Pittore di Siracusa 24 000 vada distinta dall’officina del Pittore della Scacchiera non è nuova (cfr. le prudenti osservazioni in Spigo 1991, p. 57, nonché la più decisa posizione in Barresi 2000, p. 126). In Serino 2013, p. 72-83, 203, 342 sqq., un primo significativo tentativo di lettura globale (iconografie, forme, stile, decorazione) della produzione assegnata al pittore in cui, secondo l’autore, la matrice attica appare filtrata attraverso le esperienze proto-italiote.
46 Barresi 2000, p. 125. Cfr. anche Trendall 1989, p. 29 per il quale “some bell-kraters, mostly fom Selinus and Vassallaggi, and therefore to be dated before the Carthaginian conquest in c. 410 B.C., which have so far been regarded as Attic imports, may be of local make”. Sull’argomento anche Spigo 1991, p. 60-62 e Denoyelle, Iozzo 2009, p. 166, con varia esemplificazione.
47 Lippolis 2008, p. 392 sqq., al quale si rimanda per la bibliografia precedente sul tema.
48 Lippolis 2008, p. 395.
49 Per i rapporti politici tra Atene e la Sicilia a partire della seconda metà del V sec. a.C. cfr. i recenti Anello 2007 e Cataldi 2007 con riferimento alle fonti e all’ampia bibliografia precedente. Per i rapporti commerciali, limitatamente alla ceramica figurata, v. Giudice 2007.
50 Cfr. almeno Spigo 1987, p. 1-2 e De Cesare 2009b, p. 279.
51 Sull’argomento, da ultimo Serino 2013, p. 83 (per il Pittore di Siracusa 24 000). Sulla dislocazione delle prime officine siceliote cfr. anche De Cesare 2009b, p. 279-280, nonché Barresi 2013, p. 212.
52 L’ipotesi di un trasferimento dalla Sicilia centro-occidentale legato agli eventi bellici è in De Cesare 2009b, p. 279. La stessa idea era stata da me avanzata in sede di tesi di dottorato (Barresi 1999, p. 269).
53 Cfr. il contributo di Diego Elia in questa stessa sede.
54 Cfr. Elia 2010, p. 152: ivi anche la nota 178 in cui, sulla base di alcuni contesti di rinvenimento locresi, non viene escluso per alcuni vasi una datazione nel primo ventennio del IV sec. a.C.
55 Cfr. le pertinenti osservazioni di Antonella Santostefano sulla forma e sui motivi decorativi dello skyphos da lei presentato in questo stesso volume. Da valutare anche la presenza sull’hydria di Siracusa (v. nota 8) di alcuni motivi decorativi tipici delle produzioni protosiceliote: così la testa sotto l’ansa dell’hydria (cfr. Trendall 1987, p. 51 e p. 50, n. 107) o, ancora, i gruppi di tre puntini, quali ricami sulle vesti femminili, frequenti sui vasi del Gruppo Prado-Fienga (Trendall 1967, p. 241).
56 Per la definizione di “pittori dionigiani” cfr. Spigo 1987, p. 2 sqq.
57 Ovviamente l’ipotesi di un trasferimento dalla Sicilia orientale, da Siracusa in particolare, a Locri nel corso del primo decennio del IV sec. a.C. troverebbe ampie giustificazioni non solo nello storico rapporto tra le due città, ma anche nei casi di mobilità forzata tra le due sponde dello stretto di Messina ordinati in quegli anni da Dionigi il Vecchio: cfr., ad esempio, Diodoro XIV, 78 a proposito del trasferimento di mille Locresi a Messana nel 396 a.C. Sull’argomento cfr. anche il contributo di Diego Elia in questo stesso volume.
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seba.barresi@tin.it
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Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
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Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
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Centre Jean Bérard (dir.)
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
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Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
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