Presentazione
p. 7-16
Dédicace
A Enzo
Texte intégral
1Gli atti di questo convegno segnano l’avvio della pubblicazione di una serie di ricerche sulla ceramica italiota condotte da un gruppo di specialisti da tempo impegnati nell’aggiornamento delle conoscenze disponibili su questa produzione nella fase post-Trendall1, e accomunati dalla volontà di valorizzare la ceramica figurata come documento capace di chiarire aspetti della storia della Magna Grecia di epoca classica ed ellenistica. La scomparsa, avvenuta nel 1995, dello studioso neo-zelandese ha determinato un’interruzione nel processo di classificazione coerente e sistematica delle nuove evidenze portate alla luce dalla ricerca archeologica, mentre la discussione critica suscitata dalla sua opera ha dato origine a riattribuzioni che, a causa della dispersione delle sedi di pubblicazione, tardano ad essere accettate. Un’importante contributo è costituito dai volumi pubblicati a cura di L. Todisco nel 20122, che offrono un ampio aggiornamento delle ricerche e rilevanti articoli di sintesi sull’iconografia, sui contesti di rinvenimento e sulle forme. Si sente, tuttavia, la necessità di procedere ulteriormente nel lavoro di revisione dell’opera di Trendall. La ricchezza delle scoperte degli ultimi 20 anni, le nuove esigenze metodologiche emerse nella contestualizzazione della cultura materiale e il rinnovamento degli strumenti che assicurano la diffusione delle conoscenze invitano, infatti, a proporre un nuovo approccio allo studio dei vasi figurati che affronti le problematiche che essi pongono partendo non soltanto dalle collezioni museali, ma, soprattutto, dai dati offerti dal territorio e a passare da una ricerca individuale a indagini condivise che si avvalgano anche delle possibilità offerte dalle risorse digitali. Questo è l’obiettivo che si prefigge il nostro progetto, che affronterà questioni di attualità, lo studio di gruppi di vasi inediti, problematiche legate alla storia del collezionismo e del restauro, esposizioni, ricerche archeometriche o, ancora, bilanci metodologici, consentendo così di sfruttare tutte le potenzialità informative della ceramica italiota.
2Questo programma è stato inaugurato da una giornata di studi tenutasi il 10 dicembre 2012 al Centre Jean Bérard di Napoli (USR 3133, CNRS/EFR) dove si sono ritrovati, dodici anni dopo, molti dei partecipanti al colloquio sulla ceramica apula pubblicato nel 20053. Il convegno, organizzato intorno al caso di studio della tomba 100 di Torre di Mare (allora da poco scoperta) e presentata in questa sede da Antonio De Siena, aveva come tema conduttore la mobilità dei pittori e il ruolo da essa giocato nella costituzione dell’identità delle singole produzioni. Scopo dell’incontro era quello di mettere a confronto esperienze che permettessero di superare i confini, talvolta troppo rigidi, della classificazione regionale per meglio comprendere i processi di diffusione delle tecniche e degli stili. Si trattava, dunque, di tornare ad interrogare la documentazione ponendo domande certo non originali negli studi sulla ceramica italiota, ma che trovavano, alla luce del rinnovato interesse per i fenomeni di mobilità nel mondo antico4, una nuova dimensione storica.
3La mobilità degli artigiani, non è, infatti, un tratto esclusivo della ceramica italiota, e l’attenzione riservata dagli studi più recenti alle problematiche legate alla produzione ha permesso di meglio comprendere alcuni dei fenomeni che presiedono alla diffusione di tecniche e di stili e che contribuiscono alla nascita o alla fine delle produzioni nelle differenti regioni del mondo greco, soprattutto in relazione agli spostamenti dei pittori e dei vasai5. Resta, tuttavia, da definire quali siano gli elementi che permettono di riconoscere questi spostamenti. Nel caso della ceramica della Magna Grecia, la mobilità umana rappresenta una chiave di lettura essenziale a causa dell’unità geografica del territorio, dell’interazione tra le colonie greche che si qualificano come centri produttori e tra queste e la loro clientela (situata in prossimità o in centri posti a limitata distanza), della molteplicità dei centri di produzione e, infine, del fenomeno dello spostamento delle officine presso nuove committenze.
4La classificazione proposta da A.D. Trendall, basata sull’identificazione stilistica di singoli pittori e di gruppi di pittori, è costruita per raggruppamenti regionali di officine attive in centri di produzione specifici; egli ha, tuttavia, tenuto conto delle diverse manifestazioni della mobilità degli stili e delle persone (ipotizzabili grazie alle variazioni riscontrabili nel programma decorativo, nel repertorio morfologico e nel mutamento delle aree di distribuzione) utilizzando in numerose occasioni lo spostamento degli artigiani come chiave di lettura fondamentale. Questo approccio, presente in modo sistematico nell’insieme del suo lavoro e che lo ha portato, nel corso del tempo, a modificare il corpus o la localizzazione di alcuni pittori, contribuisce a spiegare la struttura aperta e l’evoluzione che la sua classificazione ha conosciuto fino alle ultime pubblicazioni; le successive ricerche condotte sugli ateliers italioti hanno confermato come i fenomeni di mobilità siano alla base dei differenti periodi della storia della produzione.
5La nascita della ceramica a figure rosse in Magna Grecia, nel terzo quarto del V secolo a.C., pone subito la questione della mobilità al centro della discussione. Riprendendo l’ipotesi formulata da Furtwängler nel 1893, Trendall aveva iniziato il volume dedicato alle officine lucane nel 1967 con la proposta di riconoscere nel Pittore di Pisticci un greco formatosi ad Atene e giunto in Italia meridionale in occasione della fondazione di Thurioi nel 443 a.C., indicando Eraclea quale plausibile primo centro di produzione della ceramica a figure rosse italiota6. Nel terzo supplemento a Lucanian Red-figure Vases, pubblicato nel 1983, dando notizia delle scoperte avvenute nel kerameikos e nella chora di Metaponto identifica la colonia achea come il primo centro di produzione di vasi a figure rosse dell’Italia meridionale7. È dunque a Metaponto (già interessata dalla produzione di ceramiche fini, come messo in evidenza da ricerche recenti8) che il Pittore di Pisticci ha introdotto forme e schemi figurativi mutuati dal repertorio attico in uso nel periodo compreso tra il 460 e il 440 a.C. A Taranto, dove la produzione ha inizio poco dopo9, il Pittore della Danzatrice di Berlino, pur offrendo un profilo produttivo più eterogeneo, mostra tuttavia, analogamente a quanto accade nel caso del Pittore di Pisticci, influenze eclettiche della ceramica attica (Pittore dei Niobidi, Pittore di Codros)10.
6Nel corso dell’ultimo quarto del V secolo a.C., il Pittore di Amykos è a capo di un importante atelier nel quale si formano non solo i pittori metapontini della generazione seguente, come il Pittore di Dolone e quello di Brooklyn-Budapest, ma anche artigiani successivamente spostatisi in altri centri o in altre regioni; è il caso, ad esempio, del Pittore di Arnò, identificabile con il Pittore di Perugia, uno dei primi rappresentanti della tecnica a figure rosse in Etruria11. La persistenza dello stile anatomico iniziale, che ha le sue radici nel periodo di formazione trascorso nell’officina metapontina, costituisce, in questo caso, un filo rosso che può essere seguito nel corso di tutta la sua attività, caratterizzata da trasformazioni dovute al diverso ambiente di produzione e alle richieste della nuova clientela.
7Il ruolo di Metaponto come luogo di formazione prosegue anche nel periodo seguente. È, infatti, nell’ambito dell’officina del Pittore di Dolone e di Creusa che lavora, nella fase iniziale della sua attività, il Pittore delle Coefore, la cui presenza nell’atelier è confermata, oltre che da elementi stilistici e dalla trasmissione di schemi ed iconografie, anche da vasi decorati in collaborazione con gli altri membri dell’officina. I mutamenti osservabili nel repertorio morfologico e nella sintassi decorativa di questo pittore e la distribuzione che, nella fase posteriore al periodo metapontino, interessa quasi esclusivamente i centri della Lucania interna gravitanti sulla Val d’Agri suggeriscono la possibilità di un suo spostamento. Ultimo dei metapontini finora identificati, il Pittore delle Coefore anticipa quella migrazione che darà origine ad una nuova fase, che possiamo definire più propriamente lucana, i cui centri di produzione, non ancora identificati con certezza, potrebbero essere ricercati negli insediamenti della Val d’Agri12. Un percorso diverso, ma di esito analogo, è quello ricostruibile per il Pittore del Primato13; stile, iconografie e forme indicano per questo artigiano una formazione in ambito apulo e un probabile trasferimento nelle stesse zone in cui gravita anche il Pittore delle Coefore. A differenza di quest’ultimo egli crea, tuttavia, un atelier di una certa importanza, segno di una maggiore capacità di radicamento presso la clientela lucana, ormai saldamente presente sul territorio14.
8Recenti rinvenimenti mostrano, inoltre, come nella fase iniziale del IV secolo a.C. Metaponto e il suo territorio restituiscano vasi attribuibili al Gruppo del Pittore di Tarporley. La presenza di pittori considerati tarantini nei contesti metapontini si configura come un fenomeno del tutto nuovo, che trova corrispondenza nel progressivo aumento dell’influenza apula sulla produzione della città achea, forse esito della cooperazione tra il Pittore di Tarporley e quello di Dolone15, che non ha necessariamente Taranto come solo possibile teatro.
9Le migrazioni di artigiani sono state chiamate in causa anche per spiegare la nascita delle officine in Sicilia (come nel caso del Pittore della Scacchiera), a Paestum e in Campania, in area tirrenica. Il caso del Gruppo di Locri, particolarmente ben studiato16, illustra un modello di trasferimento di ateliers, in questo caso dalla Sicilia verso Locri, già intuito da Trendall, che può ora essere letto all’interno di un quadro storico ed economico definito. Al contrario, le dinamiche all’interno delle quali matura lo spostamento dei gruppi sicelioti in direzione dell’area campana, rivelato essenzialmente da particolarità rilevabili nella distribuzione dei vasi e da elementi legati alla tradizione stilistica, risultano meno chiare. Nonostante ciò, le prime manifestazioni della produzione di ceramica figurata a Paestum (certamente legata, come anche il fenomeno delle tombe dipinte figurate, allo sviluppo lucano della città), mostrano come l’ascesa di una nuova comunità possa creare le condizioni adatte all’arrivo di alcuni artigiani precedentemente attivi in altri ambiti culturali. Nel corso del primo quarto del IV secolo a.C., infatti, alcuni corredi funerari delle necropoli del Gaudo e di Arcioni restituiscono vasi riconducibili a tre pittori di diversa origine: quelli del Pittore del Tirso, da considerare probabilmente importazioni (le forme attestate a Paestum, sono, infatti, le stesse rinvenute nell’area di distribuzione della ceramica figurata tarantina); quelli del Pittore di Sydney, caratterizzati dalle figure sovraddipinte che rivelano l’influenza di una tradizione locale presente in Campania nel V secolo a.C.; e, infine, non ancora ben identificati, quelli del Pittore dell’Oreste di Ginevra, il cui stile ha profonde connessioni con quello di ateliers sicelioti, quali soprattutto il Gruppo Prado-Fienga17. I vasi di quest’ultimo pittore ricorrono, inoltre, in tombe in associazione con quelli della fase iniziale di Asteas, di cui può essere considerato il maestro, o, in alternativa, il compagno più anziano; è proprio Asteas che, nel prosieguo della sua attività, sistematizzerà gli elementi destinati a caratterizzare lo stile pestano (palmette di inquadramento, motivo ad onde correnti, l’uso del colore per le lumeggiature). Questa compresenza potrebbe essere letta come il riflesso di un mercato in formazione, in cui importazioni tarantine, vasi di artigiani campani attivi nella stessa Paestum e la presenza di un gruppo di pittori sicelioti innescano un processo destinato a conferire alla produzione pestana la sua identità.
10L’ipotesi della mobilità dei pittori tarantini potrebbe confermare anche il ruolo ricoperto da Taranto come centro di formazione di singoli pittori e di officine il cui spostamento può spiegare due distinti processi di diffusione che hanno luogo a partire della seconda metà del IV secolo a.C. Già J. Beazley aveva formulato l’ipotesi che la comparsa di uno stile apulizzante nei centri dell’area tirrenica di Paestum, Cuma e Capua fosse dovuta alla migrazione di pittori18. Particolare rilevanza assume, in questo contesto, il caso del Pittore di Lucera19. Come suggerito dalla presenza, al di sotto dell’ansa di un cratere conservato a Madrid, di un’iscrizione dipinta in osco, con praenomen stenis e gentilizio pupdiis, probabile firma del pittore20, egli è un artigiano campano formatosi negli ateliers tarantini e in seguito attivo nel Sannio. Una tomba di Montesarchio ha, infatti, restituito un cratere a campana realizzato con un’argilla di colore arancio più vicina a quella campana che a quella apula (come già sottolineato da A.D. Trendall21). La delocalizzazione di officine tarantine è stata chiamata in causa anche per spiegare la crescita, la concentrazione e la specificità della produzione ceramica in Peucezia e in Daunia22. La strutturazione, in centri quali Canosa o Arpi, di una classe politica che necessitava di nuovi linguaggi per la propria autorappresentazione ha incentivato lo sviluppo di nuove produzioni. A questa esigenza risponderanno pittori colti come il Pittore di Dario, il Pittore degli Inferi, il Pittore di Baltimora o il Pittore del Saccos Bianco dando inizio all’attività di grandi officine23 in parte itineranti, in parte (come nel caso del Pittore di Arpi) destinate a stabilirsi in questi centri. Solo lo studio d’insieme e la revisione dei molti vasi tardo apuli inediti conservati nei musei della Puglia, unito a sistematici progetti di analisi archeometriche24 consentirà di approfondire questi percorsi di ricerca.
11Prima di presentare i singoli contributi che compongono gli atti di questo convegno, vogliamo rendere omaggio al ruolo insostituibile ricoperto, nell’ambito del nostro gruppo, da Enzo Lippolis, infaticabile compagno di tutti i nostri incontri napoletani. L’articolo da lui consegnato (come molti dei testi qui pubblicati) nel 2014 disegnava, a partire dal caso di studio della ceramica figurata apula di fase tarda e del Pittore di Dario, un’ampia riflessione su “La mobilità del ceramografo dalla formazione alla produzione”, che egli collegava al “problema più generale dell’organizzazione artigianale e della ricostruzione del fenomeno produttivo”. Il ritardo nella pubblicazione di questi atti l’aveva spinto a inserire il suo contributo nella rivista Archeologia classica; Enzo aveva, tuttavia, accettato di scrivere, per questo volume, una nuova introduzione sul tema della mobilità, a lui particolarmente caro e sul quale aveva continuato a lavorare. Il nostro incontro a Parigi, il 16 febbraio 2018, in occasione del seminario da lui tenuto all’École normale supérieure della rue d’Ulm, per discutere della struttura di questo volume e della sua introduzione, è stato l’ultimo. Tra gli spunti, tutti stimolanti, del suo contributo noi abbiamo sviluppato l’invito a seguire un doppio percorso : da una parte “una verifica ‘interna’ al sistema ricostruito, controllandone la coerenza attraverso un esame dei contesti”, dall’altra “un’analisi ‘esterna’”, da condurre “studiando le tendenze organizzative affermatesi nell’artigianato greco, tra IV e I sec. a.C., anche al di fuori dell’area italiota, la quale non presenta purtroppo una documentazione sufficiente in settori importanti come quello epigrafico”. Questa è la ragione degli esempi tratti dalla mobilità egea25 legata alla committenza dei santuari da lui presentati in apertura del suo testo per mettere in luce non soltanto “la diffusione delle innovazioni durante l’Ellenismo”, ma anche l’avvio della produzione della ceramica italiota nelle colonie magnogreche legata allo spostamento dei ceramisti. Le basi poste in questo articolo, di cui i lettori potranno trovare la versione integrale con una bibliografia aggiornata nel numero 69 di Archeologia classica, offrono spunti di ricerca innovatori per lo studio dei processi di mobilità che altri contributi hanno già cominciato ad esplorare confrontando le esperienze tirreniche, ioniche ed adriatiche26.
12La prima sezione degli atti di questo convegno ha come tema la formazione di una tradizione nell’area tirrenica e in quella ionica. Marco Serino riprende la documentazione relativa all’atelier del Pittore di Himera mettendone in luce la componente attica e quella protoapula, portando nuove evidenze che consentono di chiarire il ruolo da lui ricoperto nella nascita della ceramica a figure rosse in Sicilia. Sebastiano Barresi, Antonella Santostefano e Diego Elia si soffermano su uno degli esempi meglio attestati di mobilità artigianale, quello del Pittore di Locri, la cui formazione e produzione inizia in Sicilia nel penultimo decennio del V secolo a.C. per proseguire, all’inizio del secolo successivo, a Locri, dove l’officina lavorerà per circa trent’anni. Questo processo è documentato grazie all’analisi integrata delle caratteristiche stilistiche, dei motivi decorativi, del repertorio figurativo, delle associazioni con vasi coevi di produzione attica e italiota e delle analisi archeometriche, che permettono di mettere in luce forme di trasmissione diretta di saperi e conoscenze rese possibili dallo spostamento dei pittori. Sebastiano Barresi precisa il quadro della fase siciliana, che si arricchisce anche grazie ad un nuovo skyphos ritrovato a Gela presentato da Antonella Santostefano, mentre Diego Elia si concentra, invece, sulla fase locrese dell’officina, evidenziando le trasformazioni che hanno luogo nel nuovo ambito di produzione in risposta alle differenti esigenze manifestate dalla nuova clientela.
13Nella seconda sezione, che ha come tema il trasferimento dei repertori morfologici e figurati a Metaponto, Antonio De Siena presenta un nucleo di 8 sepolture databili tra la metà del V e la fine del IV secolo a.C. rinvenute nella necropoli di Torre di Mare. Particolare rilievo assumono, per la ricchezza del loro corredo, le tombe 98 e 100, entrambe appartenenti a giovani donne. I vasi figurati risultano di particolare importanza sia per le scene rappresentate – relative a temi legati al ciclo troiano – sia per gli ateliers cui essi possono essere ascritti. Se la lekythos e il lebes gamikos della tomba 100 sono, infatti, attribuibili all’officina dei Pittori di Dolone e di Creusa, le due pelikai delle tombe 98 e 94 rimandano, piuttosto, al Pittore di Bendis e ad un artigiano legato al Gruppo delle Lunghe Falde.
14Francesca Silvestrelli affronta il ruolo della mobilità artigianale nell’ambito del sistema economico e dell’organizzazione delle officine metapontine ricostruendo le variazioni del repertorio morfologico delle ceramiche fini qui prodotte tra l’epoca tardoarcaica e l’inizio dell’ellenismo. Prendendo spunto dall’ipotesi, ormai consolidata, di contatti diretti tra pittori e vasai per spiegare l’adozione nelle officine metapontine di tecniche, forme vascolari, iconografie e stile di matrice attica, evidenzia diversi momenti di snodo che presuppongono la trasmissione diretta di conoscenze da parte di maestranze artigianali. Il primo momento ha luogo nella prima metà del V secolo a.C. con l’introduzione della vernice nera che sostituisce le ceramiche fini arcaiche, un secondo è segnato, a partire della metà del V secolo a.C., dall’introduzione della ceramica a figure rosse e di nuove forme in vernice nera non attestate da importazioni, un terzo nella seconda metà del IV secolo a.C., che vede la formazione di una koinè comune alle colonie dell’arco ionico. Questa dinamica diacronica offre la possibilità di dimostrare come la circolazione degli artigiani sia stato un fattore più ampio, più costante e più determinante di quanto precedentemente intuibile che consente di definire Metaponto come un centro di formazione e di innovazioni per oltre un secolo.
15Attraverso lo studio della lekythos e del lebes gamikos della tomba 100 di Torre di Mare, Martine Denoyelle analizza il rapporto tra i pittori metapontini e l’atticismo. Lungi dall’essere un fenomeno limitato al momento iniziale della produzione, esso costituisce fino all’inizio del IV secolo a.C. uno degli elementi che contribuiscono a plasmare il linguaggio delle officine della città achea (come dimostrato anche da vasi rinvenuti in altri importanti corredi, quali quello della tomba 793 di Pizzica, nella chora27). Si evidenzia, inoltre, la libertà di trasposizione dei singoli elementi di matrice attica, usati per la costruzione di uno stile e di immagini sostanzialmente nuove, secondo una pratica attestata a Metaponto sin dalle origini della produzione figurata.
16La terza sezione è dedicata al trasferimento delle maestranze tra Metaponto e Taranto. Con la reinterpretazione dell’iconografia del lebes gamikos della tomba 100 (nella quale si propone di riconoscere una raffigurazione dell’episodio dell’ambasceria alle figlie di Anio), Claude Pouzadoux contribuisce a dare rilievo al ruolo rivestito dai pittori metapontini nell’elaborazione di schemi e temi destinati ad avere eco non solo nella produzione locale coeva ma anche in quella apula, e, in particolare, in quella del Pittore di Dario, un passaggio che potrebbe avere come origine la presenza di questo pittore a Metaponto. Attraverso la presentazione di frammenti di vasi monumentali rinvenuti tra 1903 e 1913 nella zona dell’Arsenale Militare di Taranto e riferibili al Pittore di Dario, dell’Oltretomba e ad altri artigiani della loro cerchia, Amelia De Amicis fornisce un ulteriore contributo alla conoscenza dell’identità della produzione tarantina della fine del IV secolo a.C., delle interrelazioni con altre aree di produzione e delle possibili forme di trasferimento delle maestranze.
17Infine, la quarta sezione ci porta verso i centri italici, ed in particolare sulle tracce del Pittore di Ascoli Satriano che, per le caratteristiche stilistiche (in cui si fondono elementi di matrice pestana ed apula), si qualifica come un caso paradigmatico di mobilità. A lui Marisa Corrente e Francesco Rossi dedicano due articoli che, prendendo le mosse dalla recente esposizione dell’ipogeo della situla di Hermes tenutasi presso il Museo di Ascoli Satriano, forniscono un’accurata ricostruzione della personalità artistica di questo singolare pittore, contribuendo a far conoscere una produzione altrimenti poco nota.
18Vorremo, infine, ringraziare tutti coloro che hanno aderito con entusiasmo al progetto. Questo è il primo di una serie di volumi di prossima pubblicazione. In corso di stampa sono gli atti della giornata di studi “Savoir faire antichi e moderni tra Ruvo di Puglia e Napoli. Il caso del cratere dell’Amazzonomachia e di una loutrophoros con il mito di Niobe” (Napoli, Palazzo Zevalos Stigliano, 13 giugno 2013), organizzata insieme a Federica Giacobello dall’Università degli Studi di Milano, dal Centre Jean Bérard e da Banca Intesa Sanpaolo, in collaborazione con la già Soprintendenza speciale per l’archeologia di Napoli e Pompei. In preparazione sono gli atti del seminario internazionale su “Le produzioni di ceramica figurata dell’Italia meridionale e della Sicilia: problemi e prospettive di ricerca” (Salerno, 13 dicembre 2017), organizzato da Eliana Mugione (Università degli Studi di Salerno) in collaborazione con il Centre Jean Bérard.
19Napoli, 5 novembre 2018
Bibliographie
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Todisco 2012: L. Todisco (ed.), La ceramica a figure rosse della Magna Grecia e della Sicilia, Roma, 2012.
Notes de bas de page
1 Sulla fase post-Trendall, si vedano: Denoyelle et al. 2005; Denoyelle, Iozzo 2009; Todisco 2012; Lippolis 2018.
2 Todisco 2012.
3 Denoyelle et al. 2005.
4 La bibliografia posteriore alla comparsa, nel 2000, del volume di P. Horden e N. Purcell (Horden, Purcell 2000) è molto ricca. Tra i numerosi progetti in corso su questo tema si rimanda a programmi particolarmente significativi, quali quelli portati avanti a partire dal 2000 da C. Moatti (per il quale si veda anche la conferenza introduttiva al 58 convegno di Taranto sulla Magna Grecia nel Mediterraneo) e quello di P. Rouillard sulle migrazioni della Maison René Ginouvès: Moatti, Kaiser, Pébarthe 2009; Rouillard, Perlès, Grimaud 2007; Rouillard 2009 e 2010.
5 Papadopoulos 2009; McPhee, Kartsonaki 2010; Schierup, Sabetai 2014.
6 LCS, p. 3, 5, 9.
7 LCS III, p. 2-3.
8 Silvestrelli, in questo volume.
9 Robinson 2014, p. 218.
10 Denoyelle, Iozzo 2009, p. 121-122.
11 Denoyelle 1993; 2014.
12 Denoyelle, Silvestrelli c.d.s.
13 Attia 2018.
14 Cinquantaquattro 2018.
15 Denoyelle, Silvestrelli 2013.
16 Si vedano, in questo volume, i contributi di S. Barresi e D. Elia.
17 Denoyelle 2011, p. 32; Niola, Zuchtriegel 2017, p. 168.
18 Beazley 1943. Per esempio il Pittore CA o il Pittore APZ: RVAp II, p. 451-452, o ancora il Gruppo di Liverpool o il Gruppo dello “Chevron”: RVAp II, p. 632 e 650.
19 RVAp II, p. 577.
20 Rucco, Tagliamonte 2007, fig. 1-3.
21 Tomba 1007 di Montesarchio (Benevento 28462): RVAp II, 20/178, tav. 219, 5-6.
22 Per un bilancio sulla questione della mobilità artigianale in Puglia: Lippolis 2018, n. 14, con la bibliografia precedente, in particolare RVAp II, p. 450-453; De Juliis 1988, p. 109, 112-114; Robinson 1990; Mazzei 1996; Lippolis, Mazzei 2005.
23 Per la localizzazione dell’officina del Pittore di Dario a Canosa, senza escludere Taranto: RVAp II, p. 483-484; per il Pittore di Baltimora: RVAp II, p. 450-451.
24 In questa direzione: Mangone et al. c.d.s.
25 Prendendo spunto dagli atti dei convegni sulle forme economiche dell’ellenismo, curati da J. Davies, Z. Archibald e V. Gabrielsen: Archibald et al. 2001; Archibald, Davies, Gabrielsen 2011.
26 Per una prima analisi sulla natura della mobilità elaborata seguendo il modello interpretativo proposto nell’articolo di E. Lippolis, si veda Pouzadoux 2017.
27 Burn 2011.
Auteurs
Institut national d’histoire de l’art, Paris; martine.denoyelle@inha.fr
Centre Jean Bérard (CNRS, EFR), Napoli; claude.pouzadoux@cnrs.fr
Università del Salento; francesca.silvestrelli@unisalento.it
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986