Discussioni
p. 395-419
Texte intégral
1channel. Most cults associated with named heroes also had some transcendent meaning beyond the locality. This is especially true of Homeric heroes, such as Odysseus in Ithaca or Menelaos in Lakonia. It is that transcendence which was at the heart of the focus on Odysseus at Polis Bay, both in relations to the local community and to its Greek visitors. The Euboian-Corinthian issue: before the 730’s I do not think there was a “division of the seas” in the modernist sense, hence I am not particularly keen on finding political implications in the relatively high Corinthian (or Corinthianizing) contents at Otranto. According to my interpretation, what happened after Euboians and Corinthians established settlements (in contrast to trade contacts), the picture and interests of both underwent a significant transformation. Hence the expulsion of the Euboians from Corcyra and the other issues I have discussed. The Leukas channel: this is not a question of maritime impossibilities but of preferences. Before the channel was navigable (either because it was finally “cut” in the seventh century or simply because Corinth had taken political control over a pre-existing natural channel which must have been extremely unsafe, being open to boarding from the land) navigation must have been preferred through the Ithaca-Kephallonia channel. It is unhelpful to discuss routes and colonization sites in terms of choice between naturally favorable sites, disregarding the human aspect. If the native populations were ferocious (note the examples of Thrace) even marvelous sites remained inaccessible. Once the Leukas channel was taken over and used the dedications at Polis Bay decline significantly. The correlation is rather striking.
2K. Soueref: Due brevi domande al Prof. Mele. Vorrei la sua opinione per quanto riguarda una località che si trova nella parte alta dell’Haliacmon e che si chiama Aiané. Abbiamo un sito archeologico con rinvenimenti dall’età del Bronzo, e tombe che comprendono ceramiche micenee. Il sito è molto noto per la ceramica matt-painted, e lo sviluppo nel periodo storico.
3La seconda domanda è se possiamo fare rientrare nel suo discorso, per quanto riguarda queste tradizioni di Enea, quello che Erodoto pensava circa i Tyrsenoi-Tyrrhenoi, i quali attraverso lo Haliacmon passarono il Pindo, attraversarono l’Epiro e arrivarono in Adriatico e quindi se anche questo punto delle fonti possa essere integrato al discorso che lei faceva per la situazione contemporanea ο successiva alla guerra di Troia, ma anteriore alle colonizzazioni. Grazie.
4B. d’Agostino: Ho ascoltato con vivo interesse le relazioni di A. Mele e di I. Lemos: mi è sembrato che il primo tendesse a valorizzare elementi di discontinuità nei modelli insediativi della Calcidica1, con una contrapposizione tra mondo dei polichnia e quello delle fondazioni coloniali; mi sembra che la Lemos privilegi invece l’aspetto della continuità, con una koiné che si instaura nel periodo sub-miceneo e si conserva nel corso del Dark Age. Spero che questa mia domanda serva a stimolare la discussione su questi aspetti del problema.
5M. Lombardo: Intendevo intervenire anch’io, e queste considerazioni di Bruno d’Agostino mi sollecitano a farlo adesso. A differenza che a lui, a me sembra che vi sia una sostanziale coerenza, ο almeno convergenza, fra la prospettiva indicata da Alfonso Melee quella che oggi ci ha presentato Irene Lemos. Il discorso di Mele era – e questo lo rende a mio parere particolarmente interessante nella prospettiva che d’Agostino indicava all’inizio del Convegno – rigorosamente centrato sulla Calcidica, dove egli ha individuato delle discontinuità, che sono discontinuità innanzitutto di tradizioni greche, di rappresentazioni greche della vicenda insediativa di quella regione, le quali trovano base in contesti storici che, com’egli ha mostrato molto bene, sono quelli dei movimenti coloniali di epoca storicae dei conflitti, dei contrasti, delle contrapposizioni di epoca storica che si sviluppano nella regione dell’Egeo settentrionale, direi su tutto l’arco di quella regione, dall’Asia Minore nord-occidentale fino al Golfo Termaico. In questo quadro il discorso di Mele, come tu, Bruno, giustamente sottolinei, approda ad una lettura delle esperienze insediative nella Calcidica centrata sul ‘modello’ dell’insediamento per piccole comunità, fondamentalmente miste. Se ho capito bene quanto esposto nella relazione di Irene Lemos, mi pare che, per quanto riguarda la Calcidica, anche lei, fondamentalmente, abbia presentato ο fatto intravedere un quadro di piccoli insediamenti di carattere misto. Credo quindi che dal punto di vista della ricostruzione delle realtà insediativo-culturali di quella regione, le due prospettive di lettura, storica e archeologica, si incontrino in maniera abbastanza chiara. Il discorso della koiné sviluppato da Irene Lemos, e che è molto importante da altri punti di vista, riguarda però, se ho capito bene, una koiné che comprende l’Eubea, parte della Tessaglia, della Beozia e della Locride, ma che non mi pare lei abbia esteso fino all’Egeo settentrionale. È, cioè, e resta una koiné euboica e delle aree adiacenti l’Eubea. Quanto alle ‘proiezioni’ di questa koiné verso l’Egeo settentrionale, esse si sarebbero svoluppate, a quanto mi è sembrato di intendere, in forme abbastanza particolari che non parrebbero riflettere quelle notevoli forme di continuità riscontrabili invece nella Grecia propria.
6Ma su questo sarebbe forse bene sentire ancora Irene Lemos: Is it correct to say that you do not include directly the North-Aegean area in your Euboean koiné, with its pattern of long-lived continuity?
7I. Malkin: To recall my comments in the AION volume dedicated to Giorgio Buchner, when discussing the “act of foundation” one should keep in mind not just the creation of the colony but also the refoundation of the social and political order at the mother city itself. The foundation of a colony is an act of homogenization of the society of the mother city. Perhaps in Eretria, where Claude Bérard has so persuasively shown the role of the Aristocratic families, this homogenization was particularly significant. Thucydides’ information about the colonization of Mende: we should also note the possibility that, as sometimes happened in the world of Greek colonization, colonies were founded on top of pre-existing Greek foundations (e.g., Abdera), a point which may reconcile some conflicting archaeological and textual information. This aspect of colonization needs further research and duscussion, I think.
8W. Johannowsky: Un problema che mi è parso particolarmente interessante è quello della distribuzione delle perle di pasta vitrea a forma di uccello, di cui mi sono occupato anche nella pubblicazione di alcuni corredi di Capua. Esse appartengono, nell’Italia meridionale, ad un orizzonte chiaramente precoloniale insieme con le coppe a calotta.
9Qua s’inserisce un altro problema: dove sono state fatte le coppe a calotta? A quell’epoca ancora venivano fatte a Cipro oppure – dato che il più grosso quantitativo di fine IX, prima metà VIII, proviene dall’Attica – possono essere state fatte in Attica stessa? Tanto per dire, anche a Capua, nella tomba 200, che è esposta qui, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli una coppa a calotta è associata con dei vaghi di pasta vitrea a forma di uccello. Vorrei sapere se dall’Eubea conosciamo coppe a calotta di epoca così recente, in contesti del Tardo-Geometrico ο quanto meno del Geometrico Medio.
10A. Mazarakis Ainian: I have a lot to ask Claude Bérard and I have one remark for Irene Lemos.
11Professor Bérard noted that the sanctuary of Apollo Daphnephoros was the only urban sanctuary of Geometric Eretria. I think that this is slightly misleading, for, despite the fact that it represents the only urban sanctuary with architectural remains of the Geometric period, there existed also other smaller cult places within the inhabited space, of which no architectural remains have survived, though in one case at least it is likely that a cult building had been in existence. Moreover, I have never claimed that there was no sacred space in the area of the sanctuary of Apollo in the Geometric period; I always maintained, and still do, that the area around the altar – bothros F – was devoted to cult practice since at least the mid 8th c. B.C., though I have challenged the excavators’ hypothesis that the “Bay hut” (Building A) was a cult building, and I suggest that it may have been the seat of an important member of the aristocracy. Another point: it is usually made out from the preliminary reports that the divinity worshipped in the northern part of the sanctuary was Artemis, but could it be that it was Demeter, especially since miniature hydriae are usually associated with her cult? A final observation: ther are still several problems concerning the architecture of Geometric Eretria, and I hope that some of them may be better understood through the new excavations at Oropos.
12A last remark for Irene Lemos. The earliest peristyle is the one surrounding the 10th c. building at Toumba (Lefkandi), which in my opinion was a ruler’s house; in the Late Geometric period we observe similar peristyles around domestic oval buildings at Eretria and Oropos. Since we are dealing with the same cultural milieu, we could argue that such peristyles were originally architectural elements with no symbolic meaning, but that from the early 7th c. onwards they became a characteristic feature of sacred architecture, a decorative and symbolic element of the Greek temple with no structural reason of existence.
13A. Mele: La risposta sarà molto breve. Anzitutto ringrazio coloro che mi hanno posto domande, a cominciare dal dr. Soueref. Il caso di Aiane mi sembra che rientri in quel discorso che avevamo fatto ieri su Enea. Vengo al discorso di Bruno d’Agostinoe Mario Lombardo.
14Quel che avevo messo in rilievo nell’analisi della tradizione era questo: noi abbiamo tre momenti. Abbiamo il momento omerico: Traci, Barbari, alleati dei Troiani e quindi genti con le quali i Greci non hanno nessun dialogo. È il livello sia dell’Iliade, sia dell’Odissea: l’episodio dei Ciconi è un episodio analogo a quelli citati nell’Iliade.
15Poi abbiamo un secondo livello, il livello Dark Age: tutte le tradizioni che – stando alle genealogie antiche – dovrebbero servire a illuminare la Dark Age, in realtà si rivelano delle tradizioni che con la Dark Age non hanno niente a che fare. Le tradizioni che noi dovremmo riferire a quest’epoca sono tradizioni che si rivelano, analizzandole, più tarde. E questo è il caso di Enea, dei Nostoi, della migrazione ionica, della migrazione eolica, ecc. Sono tradizioni di VII ο VI secolo al più presto. Sono tradizioni non utilizzabili per coprire il vacuum che noi abbiamo per la Dark Age. C’è una diversità qualitativa nella tradizione. Una cosa è la tradizione omerica, la memoria collettiva dei Greci così come recepita dagli aedi ionici, una cosa è tutto il resto.
16La tradizione omerica è il punto di partenza, ha una sua dose di verità perché è memoria collettiva, sia pure elaborata nell’VIII secolo, ma con ricordi che vengono da tutta quanta la Dark Age: e ciò per tutto quello che noi sappiamo circa la tradizione omerica, come tradizione orale, come formulario, ecc. Questa tradizione ai livelli più alti a cui essa arriva – che sono poi i livelli di fine mondo miceneo, sub-micenei ο anche proto-geometrici – dice che quel mondo è sentito come un mondo di Barbari, di Traci, e non un mondo di Greci. I Greci sono di là da venire. Poi sulla Dark Age noi non abbiamo dati validi dalla tradizione. Quelle tradizioni che abbiamo analizzato su Enea, i Nostoi ecc., sono tradizioni di VII-VI secolo, da spiegare rispetto alla realtà di VII-VI secolo.
17Dopodiché il salto qualitativo rappresentato dalle fondazioni è il terzo livello, per noi testimoniato in maniera dettagliata non prima di Aristotile. E allora troviamo i polichnia, le trenta città. In questa tradizione i polichnia sono i Chalkideis, gli Ippobotai. Il salto qualitativo si ha con la fondazione di Olinto: ma questo avviene per effetto di una minaccia esterna, è Perdicca che convince gli Olinti a fare questo contro Atene. Queste forze esterne creano una realtà nuova: l’imperialismo ateniese e poi lo stesso imperialismo macedone. I polichnia precedenti vengono illuminati proprio dalla tradizione su Olinto; lo chiarisce Senofonte, quando fa parlare l’Ambasciatore di Acanthos agli Spartanie chiarisce che cos’è Olinto: Olinto, dice, è polyanthropia e polysitίa e xyla naupegesima e molti limenes dai quali si traggono molti prosodoi: ecco, questa è la realtà nella quale prima si sono sviluppati i polichnia, poi si è avuta la concentrazione in Olinto sotto la pressione delle minacce esterne. È una realtà che dura fino a quando Filippo II non elimina gli Olinti, dopo una guerra abbastanza notevole perché un’organizzazione si era poi creata intorno ad Olinto.
18Tutto questo sembra funzionale ad una tradizione in rapporto alla terra dei Sitoni, alla terra dei Bottiei alla Sitoniae all’Athos; un po’meno sembrerebbe funzionale rispetto alla Pallenee rispetto alle colonie di Andro, che sembrerebbero invece delle realtà un po’diverse. Questo è quello che nella tradizione si vede. Quello che poi l’archeologia ci può dire è benvenuto.
19Cl. Bérard: Si j’ai bien compris, dans le processus de poléogenèse, la première manifestation du politique, au sens le plus large, la première décision politique que nous pouvons repérer, c’est celle de partir en Occident. Mais sur le terrain, en Grèce même, aucune trace archéologique ne correspond à cette émergence politique, les premiers grands temples et les premiers cultes héroïques étant certainement postérieurs aux premières apoikiai (y compris Samos, Thermos, etc.).
20En revanche, la communication de Madame I. Lemos et celle de S. Huber rélèvent l’existence d’une koiné culturelle qui serait une koiné à prédominance économique. S’il y a émergence politique, nous le devinons, dit Malkin, à travers les nouvelles fondations en Occident et nous en projetons une interprétation politique sur les cités mères.
21Tout cela éclaire, explicite nos démarches d’historiens, mais montre aussi tout le chemin qu’il nous reste à faire pour comprendre la Grèce du VIIIème siècle.
22S. Huber: Pour la présence de coupes en bronze à omphalos en Eubée, je ne peux répondre. A propos de l’identification de la divinité à laquelle est dédiée l’Aire sacrificielle Nord, en réponse à Alexandre Mazarakis Ainian, je précise simplement ici quelques points. Cl. Bérard a proposé dans son intervention d’identifier l’édifice Β situé au Nord du temple d’Apollon Daphnéphoros à Artémis. Personnellement, je préfère placer le lieu de culte d’Artémis dans l’Aire sacrificielle située au Nord du Sanctuaire d’Apollon Daphnéphoros, de l’autre côté du lit du cours d’eau saisonnier à l’époque géométrique. Certains ont tenté, suite aux rapports préliminaires de fouilles relatifs à l’Aire sacrificielle, de l’attribuer à Déméter. La rareté des figurines en terre cuite (une dizaine d’exemplaires) en regard des autres ex-voto constitue un des indices en défaveur de Déméter. Le propylée situé au Sud de l’Aire sacrificielle, aussi évoqué par Claude Bérard, est orienté vers l’Est et plus particulièrement en direction d’un des accès probables de la cité, conduisant à Amarinthos où se situe le sanctuaire extra-muros d’Artémis Amarysia. D. Knoepfler a démontré, par les inscriptions, que le sanctuaire urbain d’Artémis à Erétrie devait se trouver au sein du Sanctuaire d’Apollon Daphnéphoros; cette donnée ne contredit pas l’hypothèse avancée par Cl. Bérard pour l’édifice B, mais ne vas pas non plus à l’encontre de l’attribution à l’Aire sacrificielle Nord, puisque aucune limite de sanctuaire n’est attestée entre le Sanctuaire d’Apollon et l’Aire sacrificielle Nord, si ce n’est ce muret qui borde la rive occidentale du cours d’eau saisonnier, dont la fonction d’analemma est attestée, mais pas celle de péribole.
2315 novembre 1996
24(Relazioni di A. Andreiomenou, A. Mazarakis Ainian, Κ. Soueref, S. Moschonissioti, C. Morgan, N. Kourou, J.-P. Morel)
25M. Bonghi Jovino: Il mio intervento si colloca nel quadro dei rapporti Tarquinia-Eubea, visto che A. Andreiomenou ha citato più volte Tarquinia. Si tratta di un problema molto specifico concernente i frammenti di un’olla biconica tardo-geometrica decorata da metope con uccello.
26Il contesto generale del rinvenimento tarquiniese, di cui ho già dato notizia nel convegno volterrano del 1995 dell’Istituto di Studi Etruschie Italici, è particolarmente intrigante. I frammenti sono stati rinvenuti sul torace di un defunto deposto in una cunetta scavata nella roccia nelle immediate vicinanze del “complesso sacro-istituzionale” dell’abitato etrusco. Senza entrare nei dettagli della testimonianza archeologica che mi hanno portato ad ipotizzare che possa trattarsi di individuo sacrificato anche sulla base della lettura dello scheletro effettuata dagli specialisti2, vorrei mostrarvi questi frammenti per chiedere agli specialisti presenti se si tratti, come mi è parso, di un vaso di importazione euboica.
27Difatti abbiamo osservato nei nostri studi sulla ceramica locale tarquiniese, condotti su migliaia di frammenti, che il corpo ceramicoe la stessa vernice dei frammenti in esame sono completamente assenti a Tarquinia. L’attribuzione non è poco significante per la comprensione generale della documentazione archeologica. Nel contempo ho avuto modo di mostrare i reperti al prof. N. Coldstream che mi ha detto di nutrire qualche dubbioe alle colleghe A. Andreiomenou, I. Lemose N. Kourou, che ringrazio per la loro disponibilità, che ritengono il vaso importatoe di produzione euboica.
28A. Mele: Volevo sottolineare l’importanza del quadro che Soueref ci ha molto chiaramente fattoe volevo aggiungere qualche osservazione. A proposito della transizione dalla emporta all’apoikia, questa formula la possiamo anche usare, visto che fenomeni emporici nella Calcidica ci sono stati fin dall’inizioe sono continuati anche dopo. Quando ho analizzato la tradizione, richiamavo la testimonianza omerica. E, a questo punto, per renderla più chiara, vorrei fare un momento il confronto con quello che avviene, nella testimonianza omerica, per la Ioniae per l’Eolide. Quando l’epos conclude la sua storia, esistono colonie ioniche ed esistono colonie eoliche. Ma a Mileto, per Omero, ci sono i kares barbarophonoi e Lesboe la Troade sono alleati. Quindi questi luoghi sono presi in considerazione da Omero per dire che la presenza greca è un fatto posteriore. Prima, in quelle aree, non ci sono i Greci. L’età micenea in Grecia si poteva valutare come greca, per cui si poteva parlare di Tebe, di Atene, di Sparta, come realtà continue dall’età eroica all’età storica, ma questo non si poteva fare in Anatolia. E questo ha un risvolto molto importante. Mileto aveva avuto una presenza micenea molto fortee si pensa a una colonia achea di Mileto; in Anatolia c’erano stati gli Achei. Questa realtà, per la Ionia di VIII secolo che organizza l’epos, è una realtà nella quale non vengono riconosciuti i Greci. Non c’è continuità tra l’età micenea e l’età greca coloniale. Evidentemente, per la Calcidica, il ragionamento è lo stesso: cioè la presenza greca è qualche cosa che va disgiunta dalle fasi miceneee sub-micenee. È qualcosa che è venuta dopo. Questo mi sembra un primo dato. Così la memoria collettiva dei Greci di età arcaica guarda alla Calcidica come realtà del tutto estranea alla Grecia attuale.
29Ricordiamo un secondo dato. È molto importante il richiamo che Soueref ha fatto, ad un certo momento, agli Abanti. Chi sono gli Abanti? Sono, nel Catalogo delle Navi, gli abitanti dell’Eubea: a livello miceneo e/o sub-miceneo. Questi Abanti partecipano alla guerra di Troia dalla parte dei Greci quindi vengono considerati parte dell’orizzonte acheo in quanto orizzonte greco. Ma questo è soltanto un aspetto del problema. Perché, se noi passiamo alla Ionia, abbiamo due fatti significativi. Il primo: l’isola di Chio non può entrare nella Lega Ionica fino a che Ettore – il quale viene dall’Eubea, tra l’altro – non viene a portare i suoi coloni cacciando gli Abanti e i Carii. Quindi gli Abanti non sono sentiti come Greci dagli Ioni. Erodoto: gli Ioni non sono puri, perché nella Ionia ci sono anche gli Abanti. Quindi gli Abanti, nella tradizione della Dodecapoli ionica, non sono considerati Ioni. Aggiungiamo, e questo è più grave, la testimonianza di Aristotele. Aristotele, stagirita, calcidico, che valorizza la presenza dei Calcidesi di Tracia: gli Abanti sono Traci. Vengono da Abai nella Focide e sono Traci che sono venuti a epoikesai l’Eubea. Allora ecco che gli Abanti, cioé la realtà dell’Eubea più antica, hanno due facce: una faccia achea e quindi greca, una faccia trace. L’Eubea degli Abanti è vista come un momento di mediazione tra mondo acheo e mondo trace. Per cui da un lato può essere vista in rapporto ai Greci, ma dall’altro deve essere messa in rapporto con i Traci. E questo per gli Ioni, ma questo anche per gli stessi Calcidesi di Tracia (Aristotele). Ecco, questo altro tipo di considerazione forse ci può aiutare a trovare lo scarto tra il prima e il dopo. Il prima, cioè, è barbaro ο semibarbaro sia se considerato in sé sia se messo in rapporto agli Abanti: questo diceva la memoria collettiva degli Ioni.
30K. Soueref: I dati che abbiamo da Torone non sono ancora molto noti. Tutto quello che si sa ci viene dal gruppo australiano che pubblica la rivista Mediterranean Archaeology. In base a questi elementi noi abbiamo analogie anche con Mende, che è la più vicina, per quanto riguarda gli strati con il materiale cosiddetto sub-miceneo, abbiamo cioè dei dati che ci riportano a Lefkandi e ad Eretria. In secondo luogo abbiamo già un abitato che va dal Bronzo antico, fa tutta la strada fino al periodo della colonizzazione e continua ad essere una fortezza piuttosto importante, quindi è un punto strategico, e poi noi abbiamo notizie anche dalle fonti posteriori che indicano Torone a contatto con l’Eubea e con la realtà storica greca. Quello che a me sembra è che, fino ad Acanthos almeno, quindi comprese tutte le parti della Tracia, gli Eubei fossero presenti già dopo la fine dell’età micenea. È un fatto logico, perché il mare li porta sempre lì. Non è soltanto questo, è anche un fatto piuttosto di carattere storico e archeologico, perché le presenze euboiche sono ben definite, limitate e organizzate sul luogo. Altre presenze non sono così bene individuabili. Poi, dal momento che non troviamo solo a Torone, ma anche a Mende, cioè in siti che presentano analogie, le stesse presenze negli stessi strati inferiori alle cosiddette apoikiai di dopo, credo che è un fatto a favore di questa tesi.
31Per quanto riguarda Mende, noi abbiamo delle strutture di città che adesso sentiremo dalla dott.ssa Moschonissioti e anche lì le fasi anteriori sono legate più che altro con Lefkandi ed Eretria. I confronti sono anche diretti, cioè abbiamo delle importazioni. Abbiamo anche un secondo elemento, che è molto importante: delle imitazioni locali, per quanto riguarda la ceramica. Lo stesso accade anche per quanto riguarda le strutture: ci sono delle strutture che sono ben definitee mostrano una sequenza cronologica abitativa. Non si tratta di una dominazione euboica, ma di una coesistenza, un’associazione di elementi, con elementi euboici.
32Quindi a me sembra che le fonti quando parlano di apoikiai che riguardano Mendee Torone sono valide. Per me, nel VII secolo, nel momento in cui le apoikiai sono un’altra realtà, una realtà nuova, questi Eubei si formalizzano, creano una istituzione nuova.
33Ringrazio il Prof. Mele per le sue notee credo che per quanto riguarda gli Abantes ο Abanti il discorso comincia ad essere un po’più chiaro anche perché ormai tutti i dati che abbiamo sono piuttosto vicini a popolazioni, ο se vogliamo a genti, che qualche volta non hanno un nome. Io credo che appunto questa situazione va chiarita. Quello che devo dire è che ho fiducia nelle fonti, solo che non abbiamo sempre la chiave per leggerle bene. Grazie.
34M. Lombardo: Innanzitutto i miei più vivi complimenti a S. Moschonissioti per la sua relazione, che ha posto molti problemi nella giusta prospettiva e che sollecita alcune considerazioni di carattere generale.
35In primo luogo sulle nozioni di “precoloniale”, “protocoloniale” e “coloniale”, che noi impieghiamo – e che sono state impiegate anche in questi giorni – in riferimento alle esperienze coloniali greche in senso lato, nei loro diversi aspetti e ‘momenti’ sia dal punto di vista cronologico che soprattutto’ ‘ipologico’, e in primo luogo nella lettura delle documentazioni archeologiche riferibili alle diverse forme assunte dalla presenza greca in aree non greche. Nozioni che, anche al fine di evitare possibili fraintendimenti ed equivoci, sarebbe bene venissero impiegate in maniera quanto più possibile univoca, pur se mi rendo conto che diversi orizzonti di riferimento e diverse tradizioni di studi spesso non contribuiscono in tal senso.
36Ciò vale anche all’interno del panorama degli studi sulla colonizzazione occidentale, dove tuttavia si è venuta affermando negli ultimi anni una tendenziale omogeneità nell’impiego di tali nozioni per definire e qualificare differenti tipi di esperienze a partire dai relativi quadri di documentazione. Detto in termini assai schematici, si tende a qualificare, e distinguere, come precoloniali le ‘presenze’ inquadrabili in un orizzonte anteriore allo sviluppo, in una determinata area, di fenomeni di insediamento stabile di elementi e gruppi di provenienza greca, e collegabili alle attività e ‘frequentazioni’ di ‘commercianti’ e prospectors tali da lasciar traccia di sé solo nella presenza di materiali importati – spesso oggetti di pregio – nei locali contesti epicori. Con “protocoloniali” si tende a definire le esperienze che – in una fase più ο meno circoscritta, precedente alla fondazione, in una determinata area, di vere e proprie colonie – danno luogo al crearsi di insediamenti ‘misti’, con nuclei stanziali greci, per lo più di carattere artigianale e/o commerciale, in qualche modo integrati con le realtà epicorie: penso qui, non tanto a Pitecusa, che rappresenta un caso problematico e per molti versi a sé stante, quanto piuttosto alle situazioni riscontrabili nella prima metà del VII secolo nella Siritide e nel Meta-pontino, e in particolare sulla collina del Castello del Barone di Policoro e sul sito dell’Incoronata greca nell’immediato entroterra di Metaponto, dove troviamo nuclei stanziali greci che importano e ‘imitano’ceramiche provenienti da un’area assai vasta del mondo greco metropolitano – da Corinto al mondo egeo insulare, all’Asia Minore – ma anche coloniale. Rispetto a questi, il ‘momento’coloniale vero e proprio appare normalmente segnato da indizi documentari rinvianti a forme più ο meno marcate di stabile presa di possesso ‘politico-territoriale’ da parte dei Greci nei confronti degli indigeni.
37Un secondo, e in parte collegato, ordine di considerazioni riguarda i modi in cui è possibile individuare e definire l’identità dei protagonisti dei diversi tipi di esperienze ‘coloniali’. Nella tradizione letteraria, le esperienze coloniali vere e proprie appaiono di regola collegate con entità poleiche, attraverso l’impiego di etnici civici – la tale colonia è attribuita ai Calcidesi, la talaltra ai Corinzi, ο ai Nassii, agli Eretriesi, ai Focei, ai Milesii, e così via; al più una certa colonia viene attribuita all’azione congiunta, e più ο meno ‘paritetica’, di due comunità, Calcidesi ed Eretriesi, ο Calcidesi e Cumani –, ma anche, in qualche caso, con entità etniche, come per le colonie fondate dagli Achei ο dai Locresi in Magna Grecia. Troviamo d’altra parte esperienze di tipo coloniale in senso lato collegate privilegiatamente con entità e identità etniche ο etnico-culturali-come è emerso nella brillante analisi di Alfonso Mele –, quali Abanti, Ioni, Eoli, Driopi ecc. In relazione a questo quadro, e alla ‘forbice’ tra questi due tipi di nozioni, mi chiedo quale possa essere, ai fini della qualificazione dell’identità dei protagonisti delle relative esperienze ‘coloniali’, in Calcidica e nel Mediterraneo Orientale come in Occidente, lo statuto della nozione, di cui si è fatto e si fa così largo uso, di “Eubei”, con quelle collegate di “presenze (o frequentazioni) euboiche”, “colonizzazione euboica” e così via. È ovvio che la matrice di tali nozioni è essenzialmente archeologica, e che dunque esse definiscono fenomeni e ‘identità’ di ordine culturale; alla luce, tuttavia, di quanto ci è stato detto in questi giorni su una ‘koiné euboica’ comprendente non solo l’Eubea, ma anche parte dell’Attica, della Beozia e della Tessaglia, credo che ne andrebbero ulteriormente precisati, ο articolati, i contenuti definitori.
38S. Moschonissioti: The use of the term pre-colonisation in the case of Mende indicates that there has been a Euboean presence in Mende centuries before the documented Eretrian colonisation. It is not easy to clarify the character of this early settlement and also whether it was a mixed or a strictly Euboean one. It is certain, though, that a settlement characterised by continous habitation and unchanged cult practices has been developed in the area of Mende since the Late Helladic III C. This is something unusual for the Macedonian area. The way of its development within centuries is still unknown and we can not with certainty specify the exact dating of its form as an apoikia. However, there is no evidence of any change in its process of development nor any evidence of a later colonisation of the same area.
39I. Malkin: I appreciate the fact that Dr. Morgan’s original talk was re-arranged in order to address one of the aspects of my own talk. I am also grateful to Dr. Morgan for willing help she had given me throughout my research toward the book The Returns of Odysseus: colonization and ethnicity (Berkeley 1998).
40The Eretrians were expelled from Corcyra twice: first by the Corinthians in 733 and again, on November the 15th 1996 by Catherine Morgan. Thus we are diametrically opposed on the issue of the Eretrian presence in that Island. To claim, as Dr. Morgan does, that the story of the expulsion of the Eretrian in Plutarch’s Greek questions is dubious, one should assess the entire work comparatively, analysing whether and if such things happen, and only then to accuse the source of falsification. The Greek Questions is a mine of quotations, references and allusions (think, for example, of the numerous fragments of Aristotle’s Constitutions). Plutarch’s interpretations may be questioned but can we so easily dismiss information which he gathered? As it is, all we have heard in Dr. Morgan’s paper is an un-argued suspicion.
41Blaming a text for propagandistic elements and claiming that Eretrian presence on Corcyra was a late Euboian invention, seems a dubious proposition. One would need to point out at least a probable context for this and I find it difficult to think of one in the later Archaic and Classical periods when Eretria was somewhat insignificant in terms of influential propagandistic claims it might have been inventing, claims sufficiently convincing or influential to have filtered down to Plutarch.
42Could it have been a Corcyrean invention? Here we touch upon a “general pattern” which concerns the question of how people might “invent” origins. They could do this based on nomima (the diacritics of social and political organization, such as magistracies, social divisions, calendars, rites, etc.), as Ephoros discusses the relationship of a mother-city to a colony between Lyktos and Sparta, for example. But here, why would Corcyreans of Corinthian (“Dorian”) origins turn to Euboian (“Ionian”) nomima? This is an issue that Greeks were keenly aware of, as Thucydides, for example, illustrates.
43The crux of Dr. Morgan argument was ex silentio: since we did not find archaeological corroboration of Euboian in Corcyra this means they were not there. This is not just a question of the difference between the way his- torians and archaeologists look at evidence, but of how one interprets positivistic evidence or the lack of it. Dr. Morgan’s own example of Ithaca is illuminating: there we find plenty of Corinthian material but we both agree that it was not a Corinthian colony. On the other hand the alphabet at Ithaca is Euboian. The subject of presence and influence can be very elusive, especially, as we are told by our source, since the Euboian settlement on Corcyra was short lived. “Presence” is not an answer but a question. An explicit text, such as Plutarch’s, cannot be rejected out of hand (without even analyzing its elements) in favor of an argumentum ex silentio. As we see in Ithaca, pottery evidence can be misleading with regard to cultural or visitation presence.
44There are indeed various categories of presence, beyond possession of sites or trade contacts. Think, for examples of “colonization by stages”: the Theran colonists to Libya first settled Platea island for two years, then Aziris on the mainland for seven, then Cyrene itself. If we do not find early archaeological evidence for Platea and Aziris, does this mean that Herodotus is wrong? The Eretrians in Corfu may have been a bridgehead which could have been there for a few years only. Moreover, since we have some evidence for Otranto to its north (as well as literary evidence for colonization at Orikos), this cointextualizes Corcyra in a maritime route and strengthens the report of Euboian presence there.
45Dr. Morgan emphasizes, correctly, the importance of “general patterns”. However, there is too much emphasis here on pottery. Maritime routes, anchorage places, wind and current patterns, are very important. Taking maritime criteria into consideration it is clear that Corcyra could not have been discovered only ca 750. Thus, within a maritime context, we need to assess not just Orikos, but also Sicily. To sail to Sicily from Greece, it makes excellent sense to go up to Corcyra and then sail with the north-easterlies to Sicily where one would naturally land in Naxos (the first colony there, a Euboian one). Thus, if one argues back along the maritime route to Sicily, Corcyra becomes understandable in terms of maritime routes and in terms of the Corinthian rush to colonize it (Syracuse) immediately following the Euboians at Naxos (and expelling them from Corcyra, as I have suggested).
46We should free ourselves from the tyranny of pottery and assess our text in relations to the varying patterns we have observed. Absence of evidence is not evidence for absence, as Dr. Morgan correctly observes in another context. If we weigh the probabilities the presence of Euboians in the Ionian and Adriatic seas should be taken seriously.
47L. Breglia: Sarò rapidissima. Mi sembra difficile sostenere che la tradizione presente in QG 11 di Plutarco sia propaganda filo-euboica: in questo passo gli Eretriesi sono sconfitti, tornano ad Eretria e dai loro connazionali sono cacciati con lanci di pietre, così che devono emigrare in Calcidica. Cioè, è difficile che questa tradizione che è così contraria agli Eretriesi sia di origine euboica. D’altra parte non ha neppure molto senso considerarla tradizione corinzia, dal momento che se Corinto avesse propagandato una tradizione simile, avrebbe negato la legittimità della sua presenza a Corcira. Se colleghiamo queste osservazioni col ricordo della presenza di tradizioni euboiche in Apollonio Rodio (IV vv. 1130 e ss.), lì dove si parla dell’unione di Giasone e Medea nella grotta chiamata Macris (un evidente richiamo all’antico nome dell’Eubea), ο dove, nello stesso contesto, si ricorda che l’isola doveva la sua fertilità ad Aristeo, vien da pensare che sia esistita a Corcira una tradizione originariamente euboica, ma profondamente rielaborata a Corcira stessa, forse anche in funzione anti-corinzia: le QG potrebbero risalire a fonti di questo tipo.
48Vorrei anche ricordare che la presenza di Medea a Corcira era probabilmente negata dal poeta corinzio Eumelo (f. 5 Bernabè), che faceva arrivare Giasone e Medea a Corinto, ed affermata invece dai Naupaktia Epe (f. 9 Bernabè), che fanno arrivare Giasone a Corcira e morire un suo figlio sulla terraferma; i discendenti di Giasone in Tesprozia sono noti anche all’Odissea (I 255).
49C. Morgan: It is unfortunate that my answer must be very brief, but I would emphasize two points. First, while we are agreed that absence of evidence need not mean evidence of absence, there surely comes a point when it is necessary to take stock of the full range of available information, to assess what there is, how it came to be, and whether it fits together as a pattern. And I would stress the necessity of considering Corfu as part of a broad pattern and not in isolation.
50My second point concerns historiography. While I do not disagree about the Quaestiones Graecae, I would also distinguish two tiers of archaeological information; on one level, raw pottery on the ground, and on another, the ideological statements made with alphabets, calendars and monumental public art which generally appear later. I must emphasize the absolute necessity to be precise about dating, since this region changes so rapidly. Equally, rather than speaking of direct routes from east to west, I believe that there are two geographically distinct patterns of contact which do not come together until well into the seventh century. So I would put an integrated system of contacts comparatively late. But clearly this is a complex problem which requires fuller discussion.
51J. N. Coldstream: There is one serious problem in locating the Cesnola Painter in Eastern Attica. Let us get away from fabric, since we do not have the privilege of examining the Cesnola krater in sherds. Instead, let us spare a thought for the patrons who commissioned such monstrous, figured vases, and dictated their iconography. The scenes are not art for art’s sake, or the self-expression of the vase-painters. The Dipylon Master was working for Athenian aristocrats who wanted the references to death: the prothesis, the ekphora, the wonderful processions of chariots, and the battles by land and sea. His minor contemporary, the panter of the Kition kantharos, evolved the theme of the goats flanking the Tree; on the other side he placed the double axe, but flanked by birds, not horses. No Attic painter of monumental vases, during the Cesnola Painter’s prime, ever developed his themes of hippotrophia: horses grazing at the manger, or in the field. For whom, then, was the Cesnola Painter working? On his monumental vases he made no reference to death, but rather to life: to the fertility of the soil (in the Tree of Life), and to the interests of a Euboean land-owning aristocracy who rejoiced in the pasturage of horses. Now if he had operated in Eastern Attica, surely there should be some reflections of such an influential painter’s repertoire in the local LG pottery there; but we find none. Instead, the monumental figured kraters produced in the Attic countryside, at Myrrhinous and Thorikos, merely repeat the funerary themes of the Attic Dipylon Workshop.
52Such, then, is the iconographic case against an East Attic location for the Cesnola Painter. There remains, however, the possibility that he may have worked in the extreme North of Attica, where Alexander Mazarakis’s excavations have demonstrated that Oropos during the LG period was virtually a peraea of Eretria.
53N. Kourou: I must confess that I am very pleased that I had to test my scenario for the Painter of the Cesnola crater in such a scholarly audience and in the presence of Professor Coldstream and Dr Buchner who have magisterially analysed the Cesnola style on so many occasions. Admittedly this crater is an exceptional vase that finds no close parallels in any of his contemporary workshops, whether Attic, Cycladic or Euboean. The shape remains unique for this period and only later, in fact much later in the seventh century, it is reflected on some Euboean, Cycladic and Boeotian workshops. For the moment this very efficient potter seems to escape identification, although the size of the crater suggests that he was well aquainted with the making of large vases best known in the eighth century from the cemeteries of Attica. Regarding his iconography we can agree with Prof. Coldstream that as it appears on the crater it has nothing to do with Attica, but the iconography of all the other vases made by the same hand, for example the oenochoe and the jug from Kourion in New York, can be compared with Attic vases without much effort. On the other hand the fabric of the Cesnola crater and of its companions in New York, seems very similar to that of some Attic vases from Merenda, ancient Myrrhinous, now in Vravron Museum. New finds from Oropos may be proven important for the identification of the workshop, but for the moment the closest parallels to the Cesnola vases in New York in terms of fabric are some large craters from Myrrhinous and there is a very similar fabric among the Late Geometric vases from the Anavyssos cemetery, too. Fabric remains a decisive factor for the identification of workshops and much of the controversy for the origin of the Cesnola Painter was centred on the results of a chemical analysis of his clay. Since that analysis had a very restricted character, particularly in terms of its comparanda, further analysis of its clay and fabric tested against Attic and Euboean Late Geometric vases seems now an almost integral feature in any treatment of the origin problem.
54W. Johannowsky: Pratiquement parmi les coupes du début du Géométrique Tardif que j’ai trouvées en contexte à Capoue, il y en a deux à engobe blanc qui, selon la description de Coldstream, pourraient être naxiennes. Il s’agit de deux coupes à oiseaux dont l’une provient de la tombe 248, et que j’ai publiées dans Materiali di età arcaica dalla Campania (Napoli 1983). Il y a aussi d’autres skyphoi qui pourraient avoir été fabriqués dans les Cyclades et non en Eubée, et je voudrais demander si à Naxos on a aussi trouvé des fragments de coupes à chevrons.
55N. Kourou: Yes, there are some chevron skyphoi among the material from Naxos, but none of them can be claimed unquestionably as of local, naxian origin. In the very good study of this class of vases by Descoeudres and Kearsly Paros has been claimed as the main Cycladic centre of the chevron skyphoi, but Parian fabrics are very similar to the Naxian ones as they both contain a lot of mica. However, mica at Naxos appears in large specks of a golden colour, while the mica of Parian clays has a silver tint and a very small size. On these terms the chevron skyphoi from Naxos can be claimed as Parian.
56F. de Polignac: Je voudrais revenir un instant sur ce que Mario Lombardo vient de dire et qui me paraît important car c’est un peu le cœur de notre débat ici. Il se trouve que jusqu’à présent nous avons pensé tout ce qui concerne les Eubéens et l’expansion eubéenne en termes issus de l’expérience historique de la fin de l’époque géométrique, c’est-à-dire en posant la question classique de l’emporion et de l’apoikia. Mais ce que nous voyons maintenant, en particulier en Chalcidique, fait penser à l’ensemble des phénomènes qui ont été étudiés, au moins en français et en italien, en termes de “migrations”. La notion de colonisation implique une succession précise des évènements: un groupe part d’une société constituée, stabilisée, et va s’installer ailleurs. Alors qu’un site comme Mendé, en supposant qu’il y a effectivement là une présence “culturelle” eubéenne forte à l’Helladique récent III C, appartient à un horizon historique bien connu qui est celui des changements généraux de la fin de l’époque mycénienne, d’une recomposition générale des formes d’occupation de l’espace et des sites d’habitat dans le monde grec, y compris en Eubée. Ces sites que l’on découvre en Egée du Nord appartiennent donc à cet ensemble de changements et de déplacements qui affectent aussi bien et simultanément la Grèce continentale et l’espace égéen et qu’on peut donc difficilement faire entrer dans le cadre du concept classique de colonisation. Irad Malkin a bien montré que Sparte, cité résultant d’une “migration”, s’est pensée ensuite comme une fondation, une apoikia; le problème n’est-il pas à considérer sous le même angle pour les cités qualifiées de “fondations érétriennes”, alors que les cités d’Eubée et les présences eubéennes en Egée septentrionale pourraient en fait résulter d’un seul et même mouvement ayant peut-être un point de départ commun. Le terme “présence”, dans sa neutralité, permet de recouvrir toute une série de phénomènes différents qui vont de la création effective d’un site par migration d’une communauté entière à l’implantation de groupes réduits dans des sociétés déjà existantes, jusqu’au phénomène beaucoup plus déterminé de la colonisation: il me semble, à la suite de Mario Lombardo, que les éléments présentés ici devraient permettre de mieux distinguer ces différentes réalités.
57Cl. Bérard: Concernant les mythes et les cultes, je signale l’existence au musée d’Erétrie d’une amphore à figures noires inédite de la première moitié du Vlème siècle. Sur une face l’on voit une centauromachie avec Héraclès et sur l’autre, Aristée, ce qui est exceptionnel. Ce document mériterait une étude approfondie. Il entre parfaitement dans la démonstration de l’orateur. (Voir E. Sapouna-Sakellaraki, Erettici, Site and Museum, Athens 1995, p. 81, fig. 61, no. ME 16618).
58W. Johannowsky: C’è un problema relativo a Velia sul quale volevo in qualche modo sentire l’opinione di Morel. È vero che non sono specialista in cose di Magna Grecia, né di terrecotte architettoniche; ma comunque c’è innanzitutto il fatto che, secondo me almeno, improvvisamente nell’area campana, nell’area di colonizzazione euboica, c’è un momento –che più ο meno tende a coincidere con la data della fondazione di Elea, intorno al 540 – in cui appare, in sostituzione di tipi più antichi, di origine in parte corinzia provinciale, una tipologia che è tipicamente greco-orientale, cosa che per me non deve essere un fatto del tutto casuale.
59D’altra parte, per quel che riguarda le terrecotte architettoniche di Elea, occorre una seria analisi dell’argilla, che non è stata ancora fatta: una semplice autopsia per me non risolve molto. Può anche darsi che possano essere stati utilizzati in qualche caso degli inerti provenienti dall’area flegrea, ma in realtà nel territorio eleate di argilla ce n’è a iosa, contrariamente a quanto avviene in parte del golfo di Napoli.
60Per quel che riguarda poi altri problemi connessi, vorrei anche dire che mi pare molto difficile che delle antefisse di tipo sub-dedalico possano essere state fatte ancora intorno al 540, anche se molto trasformate. D’altra parte credo che ricordiate tutti lo studio di Bianchi Bandinelli sulla graduale trasformazione in senso provinciale di questi prodotti di cultura artistica3. E quindi non sarei molto d’accordo con quanto è stato sostenuto in un articolo recente di C. Rescigno circa il fatto che nel santuario di Marica sul Garigliano delle antefisse di questo tipo si alternassero a quelle a palmetta con nimbo soltanto dipinto. Piuttosto penserei – dato che c’è una caratteristica tecnica che è stata giustamente rilevata, cioè il fatto che sotto c’è un listello che evidentemente pendeva – che queste antefisse più recenti fossero sostitutive di altre che s’erano già rotte.
61A. C. Cassio: Je voudrais dire seulement qu’un intéressant témoignage linguistique vient maintenant confirmer l’existence de liens entre colonies phocéennes et colonies chalcidiennes en Italie méridionale: sur un petit skyphos trouvé dans l’aire de Leontinoi, on lit une inscription, publiée par Manganaro, en alphabet chalcidien où l’on trouve l’infinitif du verbe klepto dans la forme kleptenai, au lieu de la forme qui nous est familière, kleptein. Il s’agit très probablement d’une innovation eubéenne et il est très intéressant que la seule forme parallèle attestée dans toute la littérature grecque se trouve dans le poème de Parménide d’Elée (v. maintenant mon article dans ZPE 113, 1996, pp. 14-20). C’est une forme qui est arrivée des colonies eubéennes et qui est entrée dans le dialecte éléate.
62Encore une observation à propos de Stésichore qui, d’après certaines sources anciennes, était né à Himère. Il y a d’autres sources qui disent qu’il était né à Matauros, c’est-à-dire à Gioia Tauro. Dans tous les manuels d’histoire de la littérature grecque on lit que Matauros est une colonie de Locres; mais on sait maintenant, apres les études de Sabbione, que Matauros était une sub-colonie de Zankle qui a eté ‘locrisée’ secondairement. La veut dire qu’il est pratiquement sûr que Stésichore est un auteur eubéen par sa naissance, soit qu’il fût né a Matauros soit qu’il fût né à Himère (cité dans laquelle l’élément eubéen était prédominant à l’âge archaïque, comme le prouve l’inscription en dialecte eubéen, récemment découverte, concernant la propriété). Si nous admettons une riche circulation d’Homère dans l’aire eubéenne nous pouvons bien expliquer la raison de l’énorme présence d’Homère dans Stésichore, qui avait déja frappé les anciens.
63A. Mele: Di questa relazione Morel non si può che dire bene: egli ha coperto un po’tutto quanto l’arco dei problemi di un possibile rapporto tra il mondo velino ed il mondo euboico. Volevo soltanto segnalare qualche cosa che forse gli è sfuggita a proposito di Aphrodite Euploia. Aphrodite Euploia viene fuori da un apografo di un’iscrizione perduta e questo apografo, che è stato studiato da Elena Miranda, non dà Euploia, dà Eunoia·. Euploia è una correzione, ed è una correzione che in realtà – sulla base appunto dei confronti epigrafici – non è assolutamente necessaria. Quindi prima di continuare a parlare di Aphrodite Euploia, occorrerebbe per lo meno dire “resto fedele alla correzione e non, invece, al testo tradito”.
64J.-P. Morel: Ringrazio i colleghi intervenuti sulla mia relazione. A Johannowsky dirò che ovviamente non ho nessun interesse personale a difendere ο Velia ο Cuma a proposito delle antefisse a nimbo (semmai difenderei Capua in memoria del mio maestro Jacques Heurgon, ma francamente non penso che sia molto possibile). Due cose. Sono sempre stato colpito dall’imbarazzo che ho percepito sia nel libro di Lucia Scatozza sulle terrecotte cumane, sia in due articoli di Johannowsky (in Les céramiques de la Grèce de l’Est, 1978, e ne I Focei dall’Anatolia all’Oceano, 1982), imbarazzo che fa sì che si dice che quelle antefisse sono delle terrecotte eleati, ma che probabilmente sono passate dapprima per Cuma, poi sono state filtrate dall’influenza eleate, etc. Mi pareva una situazione poco chiara. La seconda cosa è che i due articoli di Giovanna Greco in Velia, studi e ricerche mi sembrano veramente convincenti. Va bene, è vero che c’è dell’argilla a Velia, ma Giovanna Greco insiste sull’argilla cosiddetta “flegrea”, un’argilla molto vulcanica che caratterizza anche alcune terrecotte architettoniche trovate a Velia, e che non penso si possa confondere facilmente con quella propria di Velia. Ella, mi sembra, ha buoni argomenti a favore di una precedenza cumana, anche se di pochi anni, perché comunque queste terrecotte compaiono nel momento della nascita di Velia. Il discorso, del resto, si ribalterebbe alcuni decenni dopo, se fosse vero che l’antefissa di via Duomo a Napoli, come propone Giovanna Greco, è stata fatta a Velia con una matrice eleate. Lasciamo poi (e qui concordo con Johannowsky) che delle analisi di laboratorio risolvano questa faccenda prima ο poi.
65Ringrazio il prof. Cassio di avermi segnalato, a proposito di un’iscrizione di Lentini, un ulteriore caso di affinità linguistica tra Eubei e Focei; e della sua precisazione su Matauros. Anch’io sono convinto che Matauros è euboica dopo il bell’articolo di Sabbione su quella città negli ‘Atti di Taranto’ del 1986: tant’è vero che nell’elencare undici colonie euboiche anteriori a Neapolis vi ho inserito Matauros. Il fatto che Stesicoro sia nato a Matauros è dunque una conferma dell’euboicità della tradizione riguardante la Gerioneide: è veramente un poeta euboico ad averci dato le prime notizie che abbiamo riguardanti quella leggenda.
66Grazie pure a Mele per le sue informazioni su quella Aphrodite Euploia che era da molto tempo un’must’napoletano, anche con il Monte Echia il cui nome sarebbe venuto da quella divinità. Colgo la sua rettifica con vivo interesse.
67Volevo, infine, se il Presidente Claude Bérard mi concede un minuto ancora, ringraziarlo della sua segnalazione del vaso con Aristeo del Museo di Eretria, e ricordare anche che nella sua relazione il prof. Knoepfler, accennava all’associazione ad Eretria tra Narkissose il nome Amarintos, e al fatto che Amarintos era il nome del cane di Atteone, il quale, appunto, era figlio di Aristeo. Troviamo qui ancora un’altra pista verso il culto di Aristeo e le tradizioni legate ad Aristeo in Eubea.
6816 novembre 1996
69(Relazioni di D. Ridgway, M.C. Lentini, J. N. Coldstream, S. De Caro - C. Gialanella, B. d’Agostino - A. Soteriou, A.C. Cassio, L. Breglia)
70A. Mele: Vorrei innanzitutto complimentarmi con Ridgway. Anticipo qui le cose che volevo dire nelle conclusioni sul problema della grattugia. Io credo che l’interpretazione che ci ha dato David Ridgway sia quella corretta e sia in qualche modo obbligatoria se noi interpretiamo – così come sembra si debba interpretare – l’iscrizione della coppa di Nestore. Su questa coppa ho, di recente, ascoltato una lunga messa a punto, molto precisa, di Marcello Gigante a Ischia, con la quale è stato ribadito, con una dovizia di argomenti filologici, come l’iscrizione della coppa di Nestore si debba mettere in rapporto necessariamente col passo famoso dell’Iliade relativo alla coppa del Nestore eroe. Ora, proprio in quell’occasione, riprendendo anche delle osservazioni che erano state fatte nel volume dedicato a Buchner, osservavo che l’iscrizione della coppa si pone, rispetto al modello iliadico, in una posizione dialettica. Dialettica perché, se essa è la coppa di Nestore, è una piccola coppa di argilla, molto piccola, che si contrappone ad un vaso di metallo, molto pesante “δέπας”, che solo Nestore riesce a reggere. Quindi c’è una dialettica tra la coppa di Ischia e la coppa dell’eroe. Ma c’è qualcosa anche di più, perché a Ischia nella coppa si deve bere del vino. In quell’altra coppa, invece, si deve bere il vino di Pramno mescolato col formaggio grattugiato, la farina, le cipolle: un grosso beverone energetico, che bevono dei guerrieri, dei quali uno è ferito, l’altro è sudato e stanco. Riposano per poi tornare in battaglia. Quindi è una bevanda energetica per andare in battaglia. Il nostro uomo, invece, anzi il nostro ragazzo della coppa di Nestore, beve il vino e da questo vino nasce eros. Abbiamo quindi coppetta d’argilla contro coppa metallica, vino contro kykeon, eros contro mache. Abbiamo tutta una serie di valori, antitetici rispetto al modello, che naturalmente presuppongono con forza il modello stesso. Siamo in una società arcaica e quindi questa dialettica non può essere una dialettica con un modello letterario. In età ellenistica mi spiegherei un fatto del genere. La dialettica arcaica c’è perché c’è una prassi. D’altra parte, noi sappiamo che il mondo euboico ha l’abitudine di fare proprie le abitudini omeriche: gli eroi si seppelliscono alla maniera in cui si seppellisce Achille, i navigatori euboici ripercorrono le tappe di Odisseo. Allora, il problema è che se c’è la coppa di Nestore ci dev’essere anche la grattugia e il kykeon. Diversamente non si capisce l’iscrizione della coppa di Nestore. Insomma, la pratica del ciceone non deveva essere ignota a Pitecusa e quindi neanche la grattugia che serviva alla bisogna.
71D. Ridgway: Al prof. Mele vorrei dire innanzitutto che sono molto lusingato dalle sue parole gentilissime. Quanto alla “contrapposizione”, mi fa una certa impressione che Nestore beva dalla stessa coppa nella quale Ecamede aveva mischiato la pozione (Il. XI, 628-643). Quindi la “coppa” ha un che non solo di poterion (kotyle ο skyphos) ma anche di cratere.
72A. Mele: Ho detto che era una coppa così pesante che solo un eroe poteva reggerla. È detta da Omero δέπας (Il. XI,632).
73D. Ridgway: Poi, la stessa miscela è propinata da Circe agli uomini di Odisseo per ingannarli (Od. X, 229-243).
74A. Mele: Od. X, 235: vino di Pramnos (cf. Il. XI, 639) con formaggio, farina d’orzo e miele, come sollecita preparazione di una bevanda ristoratrice per stranieri appena arrivati. Bevanda τροφòν ἅμα καì ποτόν ἔχων (schol. ba Il. XI, 637): e φλεγματώδης per Platone, Resp. 405E se propinata a un ferito bisognoso di cure.
75D. Ridgway: Quindi è una cosa piacevole, e non solo una medicina. Ma, visto che non è attestato un toponimo “Pramnos”, che cos’è il vino pramnio? Ateneo racconta, fra le altre cose, che viene da Ikaros, a metà strada fra Mykonose Samos (Deipn. I, 30b-e); Plinio lo attribuisce a Smirna (ΗΝ XIV, 6.54): mi sembra doveroso ricordare che tutti e due questi posti si troverebbero molto bene sulla carta di distribuzione degli skyphoi a semicerchi penduli!
76M. Lombardo: A proposito della relazione di S. De Caro, io volevo innanzitutto complimentarmi con l’équipe che ha fatto queste scoperte, sia per il modo in cui è stato condotto il lavoro, sia per il modo in cui ce lo hanno presentato. Scoperte che pongono indubbiamente moltissimi problemi e offrono molti spunti per la discussione. Il tempo è poco e mi limiterò quindi ad osservare, a proposito delle ipotesi interpretative che ha prospettato Stefano De Caro nella parte finale della relazione, che la seconda di esse mi sembra suscettibile di trovare dei modelli di riferimento anche nell’ideologia sociale greca, così come emerge nelle fonti letterarie. Poiché, detto molto schematicamente, si ha la netta impressione che in fondo i modelli ideologici che informano e orientano il modo di vita e le relative pratiche non siano molto diversi fra il ceto aristocratico e quello dei contadini-proprietari, più ο meno benestanti. Naturalmente cambiano i modi in cui determinati valori trovano realizzazione nella concretezza delle pratiche e degli oggetti che vengono usati. Per fare un esempio ‘estremo’, quando Eumeo nell’Odissea (14, 75 sgg.) invita Ulisse, il rituale sociale che egli mette in scena è esattamente quello ‘aristocratico’ del banchetto ospitale, anche se naturalmente lo ‘realizza’ come lo può fare un umile servo-pastore, ad esempio servendo il vino in tazze di legno. Il rituale però è quello, compresa la separazione fra momento del mangiare e momento del bere, al quale è riservata anche la conversazione ospitale. Con maggior pertinenza, sia dal punto di vista sociale che cronologico, in rapporto alla situazione di Punta Chiarito, possiamo richiamare i passi di Solone (fr. 18 G -P.)e di Teognide (vv. 719-728) in cui, marcando la distanza dall’aristocrazia dei più ricchi, caratterizzata dal possesso e dall’uso di grandi tenute, cavalli e muli, oro e argento, un ceto di medi proprietari si riconosce in un ideale di vita centrato sugli habrà, i lussi e le comodità legati in primo luogo al contesto del banchetto-simposio. Quanto agli unguenti e profumi muliebri, si può citare Semonide, il quale, in una prospettiva extra-aristocratica, contempla la possibilità che qualcuno si trovi a sposare una donna che passi il tempo a pensare ai belletti e ai profumi invece che a spazzare la casa. Non era quindi al di fuori della prospettiva di un contadino-proprietario il fatto di poter sposare una donna che si interessasse soprattutto a queste cose invece che ai suoi doveri domestici. Ricordo infine come Diceopoli, il tipico contadino-proprietario della commedia aristofanea, quando si mette in proprio e fa la pace da solo con tutto il resto del mondo greco, si preoccupa tra l’altro di procurarsi le anguille del Lago Copaide, note come costosa prelibatezza gastronomica. Il ceto degli agricoltori benestanti appare dunque condividere con l’aristocrazia un modello di vita che richiede anche la disponibilità di vasellame da mensa e quant’altro potesse permettere di ‘realizzare’– ad un certo ‘livello’: non voglio qui evocare se non en passant le recenti tesi di Michael Vickerse altri sui vasi in ceramica come ‘copie’ per i ceti meno elevati dei vasi in oro, argento e bronzo usati dall’aristocrazia – le pratiche di socialità proprie di quel modello. L’ideologia e la prassi dei ceti medi proprietari nel mondo greco arcaico e classico, quanto allo stile di vita, mi sembra dunque che siano perfettamente compatibili con quello che Stefano De Caro e i suoi collaboratori ci hanno mostrato sulla ‘fattoria’ di Punta Chiarito, e con le relative ipotesi di lettura dei livelli sociali che vi trovano espressione.
77A. Mele: Ho già detto anche in altre occasioni il mio compiacimento per queste scoperte. Sono significative da tanti punti di vista e proseguono quel lavoro che Giorgio Buchner ha così bene iniziato e portato avanti in tutta quanta la sua carriera. Ora quali sono i punti in questo momento significativi? Il primo punto è questo: abbiamo per la prima volta, credo, in Italia, un dato antico, dell’VIII-VII secolo, relativo alle tecniche di coltivazione della vite, coltivata appoggiata al palo. Si era già immaginato che questa fosse un’importazione in Italia dei Greci. Lo si era immaginato nella misura in cui si era visto che questa tecnica è legata all’Italia meridionale, da un lato, e all’entroterra di Marsiglia, dall’altro. Quindi a tutte e due le aree in cui c’è stata la colonizzazione greca, mentre invece per esempio non è nell’area etrusca, dove c’era la vite appoggiata all’albero. Ora c’è la conferma che questo tipo di tecnica di coltivazione della vite viene importata dai Greci anche a livelli molto alti. Del resto sapevamo benissimo che, proprio dopo l’arrivo dei Greci a Pithecussai e in Campania, si è sviluppata la viticoltura organizzata nell’Italia antica e nella stessa Etruria. Il secondo dato, che mi sembra molto importante, riguarda e Punta Chiarito e gli altri reperti relativi a Villa Arbusto, ed è ancora una volta la prova di un fatto già segnalato e da Buchnere da David Ridgway, per quanto riguarda l’insediamento arcaico di Pithecussai, e cioè l’estensione dell’insediamento già ai livelli più antichi. Il che naturalmente pone poi il problema della cronologia di questo arrivo dei Greci, che evidentemente deve essere visto in rapporto ad un tempo in cui tutto questo si è potuto fare, arretrato rispetto alla data che noi possiamo ricavare dalla necropoli. Questo è un dato sul quale credo che bisogna insistere. Questo ‘quartiere’, lo diceva prima pure Stefano De Caro, dovrebbe essere in parallelo con quello artigianale. Resta rafforzato il dato, e da questa scoperta, e da quella di Punta Chiarito, di un’occupazione estensiva dell’isola, che naturalmente implica un livello di organizzazione e incide nella valutazione del tipo di insediamento realizzato nell’isola.
78Veniamo all’ultimo punto, toccato prima anche da Mario Lombardo. La mia impressione è che è abbastanza difficile cercare, di fronte ad un mondo complesso come il mondo euboico, di arrivare ad una soluzione. Noi siamo su questa società euboica arcaica, dell’VIII-VII secolo, abbastanza informati al livello ideologico: a questa società sappiamo che si rifanno tre modelli diversi. Vi si rifà il modello dell’Iliade, e prima ho ricordato l’episodio delle sepolture, che prendono a modello la sepoltura di Achille e di Patroclo: quindi il modello dell’Iliade, che funziona al livello di aristocrazia militare. Lo ritroveremo anche a Cuma. Secondo modello, c’è il modello odissaico, perché sappiamo che certamente gli Euboici sono coloro che hanno localizzato, ambientato e utilizzato in Occidente i miti odissaici, nel senso che li hanno localizzati e radicati in territorio occidentale. Dunque condividevano accanto al modello iliadico anche il modello odissaico. Essi hanno anche apprezzato Esiodo. Esiodo è andato a Calcide. Primo propagandista di questo radicamento dei miti odissaici in Occidente è stato proprio un poeta esiodeo (se non vogliamo proprio dire Esiodo); penso a quei versi famosi relativi ai figli di Circe e di Ulisse. Ancora a Calcide, veniva ambientata la famosa contesa tra Omero ed Esiodo, con l’accusa, la critica ai Calcidesi e al loro re, di avere preferito Esiodo ad Omero. Quindi, accanto al modello odissaico, accanto al modello della guerra, c’era anche il modello dell’agricoltura. Dell’agricoltura fatta dall’autourgos, che a sua volta può presentarsi in diversi modi. Esiodo presenta tutta una gamma di possibilità: si può andare dall’agricoltore più povero a quello che invece ha gli schiavi, da quello che lavora con tutti i suoi fratelli a quello invece che apprezza la famiglia monogamica (e un solo figlio è l’ideale). Dunque c’è uno spettro di possibilità dietro questa agricoltura arcaica che si rappresenta in Esiodo.
79Questi dati ideologici a questi modelli concreti rispondono fino a un certo punto. Il modello odissaico potrebbe funzionare per la coesistenza di varie attivita nella stessa persona, ma fino a un certo punto: per esempio, la pesca è considerata una cosa non degna di un eroe; la fanno i compagni di Odisseo quando proprio non possono più vincere la fame. D’altra parte l’artigianato: il falegname Ulisse non lo fa. Fa i lavori agricoli. Fa la guerra. Il modello esiodeo è un modello contadino e non c’è nessun rapporto fra il contadino esiodeo e gli artigiani, che restano un mondo a parte, specifico. Questi sono dunque modelli ideali che la prassi arcaica è chiamata a combinare.
80W. Johannowsky: Nella casa di Punta Chiarito è stato trovato il bacino con orlo perlinato che, all’epoca in cui la casa è andata distrutta – anche se alzerei un po’la data, intorno al 570-560: la ceramica più tarda databile è ancora del corinzio medio – era già un oggetto vecchio in quell’epoca, in quanto i bacini con orlo perlinato hanno cessato grosso modo di essere fabbricati in Etruria – non so se sono stati fatti anche in Campania, non ne abbiamo le prove – più ο meno verso il 590, quando sono stati sostituiti dai bacini con orlo a treccia. D’altra parte, soprattutto nelle zone più interne, dei bacini di bronzo di questo tipo sono stati conservati in qualche caso, prima di essere messi in tomba, addirittura più di un secolo. Io penso che più che come parte abitativa della casa – non so se per motivi statici poteva essere solo di questa altezza ο poteva esserci anche un piano superiore, cosa di cui dubito – evidentemente l’ambiente trovato doveva servire come laboratorio, come deposito, e così via; probabilmente la parte dove si abitava era un’altra. D’altra parte, se è giusta l’ipotesi che si tratta di un contadino-pescatore, pescatore che faceva anche il contadino per motivi di sussistenza, semplicemente, intorno poteva esserci lo spazio per un secondo edificio, magari con peribolo, tanto più che era una località facilmente difendibile anche contro pirati.
81E. Greco: Innanzitutto voglio anch’io esprimere la mia ammirazione per lo scavo di Punta Chiarito di cui abbiamo potuto leggere di recente la bella relazione preliminare di C. Gialanella. A Stefano De Caro vorrei porre una domanda più per fugare qualche dubbio dovuto a mia ignoranza che altro: si tratta della seconda fase della capanna che, a circa 70 anni di distanza, sarebbe stata ripresa nella stessa forma che aveva nella fase precedente. Il fatto di per sé non sembra incredibile, ma osta la ipotesi da voi avanzata circa l’esistenza di un piano superiore che sarebbe stato realizzato, dunque, senza toccare i livelli (che sarebbero di giacitura primaria) relativi all’eruzione. Per tenere poi il tutto nell’ambito strettamente ellenico siete obbligati a citare Asine ο Nichoria (cioè realtà di epoca molto più antica) mentre a livello sincronico non solo nella Siritide, ma ora anche a Taranto (l’Amastuola, presso Crispiano) troviamo già ampiamente attestate le strutture rettangolari (per non parlare di Megara Hyblaea e della stessa Pithekoussai). Il problema della pianta non mi sembra perciò irrilevante, tanto più se, una volta acclarata la coincidenza geometrica tra le due fasi, si finisca con l’attribuire alla struttura del secolo VIII le caratteristiche che vengono suggerite dal contesto (molto più ricco) del VI secolo. Così l’uso di chora, di fattoria che ne consegue, deve invece essere correlato all’assetto del territorio volta per volta. Ora, tornando alla capanna, e prescindendo sia dall’eventuale piano superiore che da una struttura accanto, solo giudicando (ed ancora nel VI secolo a.C.) sulla base dell’esistente, l’impressione che ne ricavo è quella di una struttura di ‘paysannerie’ che è ‘periferica’ rispetto ad un ‘centro’, un villaggio agrario, insomma, con uno statuto dipendente (e forse addirittura non completamente ellenizzato) piuttosto che di forme di aristocrazia e di emergenza sociale.
82N. Lubtchansky: À propos de l’origine sociale du propriétaire de la maison de Punta Chiarito, je voudrais attirer l’attention sur la valeur particulière que peuvent prendre les activités halieutiques en Italie à l’époque préromaine. Alors que les pêcheurs qui apparaissent dans les poèmes homériques sont privés de toute considération sociale, on trouve en Italie entre le début du VIIe siècle et la fin du VIe siècle plusieurs exemples de pêche aristocratique, en tout point comparable à la chasse aristocratique: il ne s’agit alors pas d’une pêche de subsistance, mais d’une pratique pouvant même se charger de valeurs rituelles. Je pense en particulier au programme iconographique de la Tombe de la Chasse et de la Pêche de Tarquinia, où les représentations halieutiques me semblent concerner une classe sociale et une classe d’âge particulière, la jeunesse aristocratique (voir mon article ‘La pêche et la métis’, à paraître dans MEFRA, 1998, 1). Dans la mesure où à Ischia même a été retrouvée une tombe qui contenait tout un attirail de pêche et qui par ailleurs ne désigne nullement le défunt comme un ‘pauvre pêcheur’, la signification des instruments de pêche conservés dans la maison de Punta Chiarito ne doit pas trop rapidement être envisagée comme une trace d’une activité précaire.
83Cl. Bérard: D’après l’école de Paris, le thon est un animal sacrificiel, ça va dans votre sens.
84A. Mazarakis Ainian: A note on the typology of oval buildings in relation to their function. The type of building unearthed at Punta Chiarito, with entrance in the long side and internal division into two compartments, is quite rare in Greece. Oval buildings in which the entrance is located on the long side have been unearthed in Attica (Areopagus, Tourkovounia), and at Mytilene. Moreover, at Antissa and Mytilene, both located on the island of Lesbos, the interior was segmented into two compartments, which is rather rare occurrence in oval buildings. Indeed, oval structures were as a rule of modest dimensions (rarely exceeding 7 metres in lenght) and consisted of one single compartment. The two oval buildings of Lesbos are among the largest oval buildings and this enabled the architects to create internal divisions. This remark is also valid for Building Q at Oropos, which, however, has the entrance in the short side. All these large oval buildings with internal compartments appear to have been dwellings of the elite, or perhaps cult buildings. The difference between the above mentioned cases and Punta Chiarito is that the latter is rather humble in size, it is ca. 7 metres long, and therefore it is difficult to view it as the house of a rich person. Moreover, the internal partition was apparently made of timber and would have been of flimsy construction, unlike the more solid cross walls of the similar buildings in the Aegean.
85S. De Caro: Sì, non è facile rispondere, nel senso che non ci sono in realtà molte domande, quanto piuttosto delle osservazioni. Una cosa che vorrei sottolineare è che i due modelli che ho prospettato (o tre, nell’ipotesi di aggiungere il modello “Eumeo”) rappresentano delle ipotesi estreme, degli schemi teorici, sono cioè dei punti di base per la discussione. La realtà poteva e doveva essere infinitamente più varia e articolata. Il fatto che qualcuno possedesse della terra e praticasse l’agricoltura non significa che non potesse praticare anche lo scambio: ma non per questo assumeva il profilo del mercante. Quindi è chiaro che stiamo parlando di schemi, di modelli ο “pattern”, non di realtà storicizzate e concrete. Devo rispondere poi alla domanda di E. Greco sulla sicurezza della stratigrafia. Sì, noi siamo sicuri che quella struttura esistesse già nell’VIII secolo a.C., perché abbiamo verificato che l’eruzione che ha sigillato la prima fase poggiava, con i suoi materiali, contro una parte di questa struttura, che dunque preesisteva. Quanto al fatto che si sia trattato veramente di un’eruzione, vi è l’evidenza della pomice pura che poggia contro la struttura, fissando in qualche modo una situazione indiscutibile, come Pompei del 79 d.C… Quanto al problema della debolezza eventuale di questa struttura direi che può essere superato in questo senso: un’eruzione che deposita, diciamo, 40 cm. di lapillo, non è un’eruzione solo per questo catastrofica se non è accompagnata da altri fenomeni collaterali (surges ο altro). In questo senso non lo fu ad esempio l’eruzione del 1944 nella zona vesuviana. Come raccontava mia madre, la gente ο è rimasta in casa ο si è allontanata dai tetti e dai campi, poi ha spalato il lapillo e la vita è ricominciata. Quindi di per sé non ogni eruzione causa sempre e dovunque una distruzione.
86Quanto alla ristrutturazione di questo edificio, il più importante momento di passaggio è stato la sostituzione del tetto vegetale, che è quello dell’VIII secolo, con un tetto fittile; come è del tutto chiaro, dato che nell’VIII secolo non esistevano ancora le tegole e nella nuova fase cronologica, invece, esistevano e si sono in parte recuperate. Questo tipo di casa va benissimo nell’VIII secolo; è sicuramente antiquato ed arcaico nel VI, e su questo non c’è dubbio; questi contadini certamente non sembrano dunque particolarmente benestanti; non hanno cioè speso molti soldi per farsi una nuova casa, secondo il modello ormai corrente della casa a pastàs, rettangolare, ma hanno preferito restaurare una vecchia struttura. E questo, se da un lato può essere nello specifico considerato un segno di’paysannerie’periferica, dall’altro è un fenomeno frequente nelle zone vulcaniche. Nell’agro pompeiano, a Boscoreale, dopo l’eruzione vesuviana del 79 d.C., una grande villa, forse la più grande nota dopo il 79 d.C., che aveva una terma enorme con calidario, si è impiantata utilizzando i muri di una villa pre-79 che stava 4 metri più sotto. E in questo caso non si può considerare questo un sintomo di povertà. Non sappiamo che cosa sia successo in questi settant’anni che intercorrono tra il primo e il secondo insediamento; io non giurerei che si tratti della stessa famiglia; potrebbero essere stati perfino dei nuovi coloni venuti da Cuma.
87Un altro elemento che contribuisce alla solidità della casa era il fatto che essa era poggiata contro la collina; anche per questa ragione poteva avere resistito meglio all’eruzione. D’altra parte ricordo che non dobbiamo vedere nelle strutture di VIII secolo che non sono state restaurate una prova di una loro maggiore fragilità, perché esse erano già state abbandonate, erano già dei ruderi quelli su cui si è deposta la cenere vulcanica. Il vero problema è allora: perché quelle strutture erano state abbandonate? Forse in questo caso veramente si può vedere un riflesso della crisi che sembra colpire Pithecusa nel VII secolo. Abbiamo infatti un insediamento che sembra essere stata una realtà di un certo livello, se stiamo alla ceramica fine; ebbene, una parte di questo è stato ad un certo punto abbandonato, e quando l’eruzione è arrivata queste strutture abbandonate erano dei ruderi, con frammenti di ceramica non in uso, e questo sembra alludere ad una situazione non prospera. Siamo dunque davanti a una situazione che nella prima fase ha conosciuto nel suo corso una crisi. Del resto, anche nella seconda fase, come dicevamo, ci si è limitati a recuperare una struttura prècedente. Però proprio questi e gli altri segni, se volete, di povertà, di perifericità, rendono poi nella seconda fase impressionante l’apparire di segni, diciamo, di ricchezza, come il bacino di bronzo.
88Riflettiamo allo stesso problema della pesca che sollevava la collega: l’attività della pesca, certo, ha in sé, in questo periodo, un’ambiguità. Essa è un’attività da aristocratici, se viene praticata come passatempo, così come la caccia (e un segno simile potrebbe essere il corno di cervo, se l’avesse ammazzato andando a caccia il nobile proprietario; ovviamente se era stato acquistato come materiale bruto per farci manici di corno, ha tutt’altro senso) è attività umile se è l’unica, ο la principale, fonte di sussistenza. A me sembra che questo secondo sia il caso che ricorre per gli abitanti di queste case. Quella serie di grossi ami legati a una lenza l’uno dietro l’altro servono a prendere grossi pesci, diecine di chili di carne. Questo pesce non può essere mangiato tutto insieme in una volta sola; chi pesca molti pesci grandi anche come tonni, normalmente lo fa per venderli: magari a fette, come su di una scena di un vaso famoso. Il problema è venderli a chi: forse nell’ambito dello stesso villaggio, ο forse alla città lontana, alle ciurme delle navi. In ogni caso a me sembra chiaro che chi pescava in questo modo, ο tagliava il corno, ο zappava la terra, era in ogni caso qualcuno che lavorava con le mani, non uno che lavorava, ο pescava, per diletto, nel tempo libero, perché la sua ricchezza non dipendeva dal suo concreto impegno manuale (come Eumeo).
89Quanto al modello della villa, esso potrebbe anche funzionare, ma bisogna capire che cosa è una villa di questo periodo: cosa sono le oikonomiai kata ten choran in cui Tucidide dice che ai tempi della guerra del Peloponneso viveva l’aristocrazia ateniese? Ma in che modo viveva? Per villaggi? Ne sappiamo poco, in realtà. Comunque, speriamo che scavando la prossima casa, la situazione si chiarisca. Se la prossima casa ha la stessa suppellettile della prima, avrà fatto un passo in avanti il modello “villaggio”; se la suppellettile è differenziata, allora prevarrà il modello “villa”.
90Cl. Bérard: Concernant la céramique: j’ai peur que, dans ce Colloque, nous n’ayons fait un mauvais usage de la céramique. Il me semble que l’on surinterprète la céramique, qu’on lui fait dire ce qu’elle ne peut pas dire. Ce n’est pas parce qu’on trouve de la céramique eubéenne ici ou là que l’on peut envisager l’existence de réseaux économiques, encore moins la présence d’Eubéens. Toutes ces hypothèses devraient être vérifiées par d’autres sources, l’onomastique, la numismatique, les calendriers héorthologiques, etc. Je plaide pour qu’on se penche une fois, d’un point de vue théorique et critique, sur la manière dont on rend compte de la circulation de la céramique. Les trouvailles d’autres objets, notamment dans les sanctuaires, permettent souvent d’offrir des types d’explications tout à fait différents.
91Concernant l’organisation de l’espace: je ne vois pas beaucoup plus d’organisation à Oropos qu’à Erétrie, en tout cas pas une conception urbanistique qui permettrait d’expliquer l’installation des colons à Mégara Hyblaea par exemple. Qu’est-ce que Corinthe durant tout le VIIIème siècle : une organisation “par villages” sans aucun plan d’urbanisme. Il en résulte que notre discours sur le politique qui présiderait aux expéditions en Occident n’est basé sur aucune trace archéologique. C’est un discours qui est élaboré à partir des fouilles de Sicile ou d’Italie puis projeté sur les cités mères; la démarche est peu scientifique. Elle peut à la rigueur s’appuyer sur des sources historiques (orientées!), mais pas sur l’archéologie. De surcroît, comme nous l’avons vu, on fait dire à la céramique n’importe quoi ! Il faut donc repenser les institutions des époques géométriques et archaïques
92Concernant les données archéologiques en Grèce et en Occident: en Occident, même s’il y a des tombes riches, on est obligé de planifier l’urbanisme. On ne peut pas éviter des lotissements réguliers, voire des plans orthogonaux, voire des agoras (Mégara Hyblaea), des zones religieuses (Sélinonte), des nécropoles largement rejetées à l’extérieur (de quelles limites?)! En Grèce on met l’accent sur l’architecture. Ainsi la marque par excellence de la poléogenèse n’est pas l’organisation de l’espace mais la transformation de l’architecture laïque en architecture religieuse. Quand le “palais” devient temple, alors émerge la ville ! C’est une transformation fonctionnelle dans un processus non de laïcisation mais de “cléricalisation”. Si on découvre un jour en Eubée un espace structuré par des stoai entourant un espace sacrificiel, par exemple, ce sera à Amarynthos, le sanctuaire d’Artémis.
93M. Bats: Juste un mot à propos de l’utilisation de la céramique par les archéologues. Comme l’a déjà souligné Cl. Bérard, il est important de connaître la provenance de la céramique (remblais ou sols d’occupation ou ensembles clos) mais aussi de faire la différence entre habitats, sanctuaires ou nécropoles. J’ajouterai une autre nécessité: celle d’une présentation statistique des trouvailles par classes, catégories et formes. C’est la seule façon d’aller au-delà de la seule information chronologique et d’appréhender des fonctions culturelles et économiques.
94B. d’Agostino: Mi si permetta una scherzosa battuta con Michel Bats, che giustamente criticava un modo disinvolto di usare la ceramica, deducendo dalla presenza di un frammento l’arrivo di genti dall’area di origine del frammento medesimo. Gli sarà piaciuta allora la mia affermazione, circa la scomparsa della ceramica euboica nelle necropoli “proto-etrusche” della costa tirrenica, da mettere paradossalmente in rapporto proprio con il consolidarsi della presenza euboica sulle coste campane.
95Una domanda per Cl. Bérard: mi era sembrata molto efficace la sua visione, secondo la quale verso la metà dell’VIII sec. Eretria mostra di possedere tutti gli elementi essenziali che definiscono la città: il grande santuario urbano, lo heroon presso la porta occidentale, il grande santuario extra-urbano di Artemide Amarintia. Ora egli tende a presentare il tempio primitivo del santuario di Apollo come un inserto quasi forzoso in un contesto abitativo. Senza accettare la posizione di Mazarakis Ainian, mi sembra che egli abbia così modificato sensibilmente la sua; tra l’altro mi sembra che proprio lo scavo di Oropos, che Mazarakis Ainian ci ha così bene illustrato, mostri l’esistenza di un edificio che, per le caratteristiche architettoniche e per la delimitazione dello spazio che esso occupa, ha caratteristiche diverse da quelle della “edilizia privata”. Questo dato sembra concordare piuttosto con la precedente interpretazione di Bérard, che prevedeva l’esistenza di uno spazio riservato al santuario già nell’ambito della città più antica. Nella sua nuova lettura, il parallelismo con Oropos invece viene a cadere. Vorrei che si riuscisse ad approfondire il problema.
96A. Mazarakis Ainian: The criteria for identifying the Eubeans or other Greeks abroad are varied. One cannot rely exclusively on pottery and other movable finds, or architecture; conclusions should be drawn through a number of such criteria evaluated together, not separately. Concerning the urbanization of South Italy by the Greeks I would like to remark that we observe a similar trend towards urbanization in the Aegean World shortly before 700 B.C. The main difference between the two areas is that the application of a regular town plan in the former area was a much more difficult task, since the cities in question had already a long history of development by that date. A typical example is the city of Athens which never acquired an orderly town planning, as the Peiraeus which was founded later on free land and using the Hippodameian town planning. Even in places such as Eretria, Oropos, Miletos and one suspects Xeropolis-Lefkandi too, there was a rudimentary town planning as early as the beginning of the 8th c. At Eretria, in the northern and central part of the plain, which I believe was the quarters of the welthier classes, we observe a rather orderly planning along N-S axis, despite the fact that houses were as a rule curvilinear in form (apsidal, oval). On the contrary, the planning in the southern sea-side area, where dwellings appear to have been built with less care, is practically nonexistent. At Oropos and Miletus, oval and apsidal dwellings are oriented either N-S or E-W. In some cases, the centre of the town, with its agora, sanctuary of the poliad divinity and civic buildings are already in place by 700 B.C. as at Dreros. What I want to stress through these few examples, is that the planning of the cities in the West appears to have had its counterpart in the mother-cities. The impulse for urban planning both in Greece and in the West was in my opinion a parallel phenomenon related to the rise of the polis, only the conditions in the West were more favourable for a more rapid and regular development, since Greek colonies were as a rule founded on land free from earlier constructions.
97I. Malkin: Perhaps we should open our perspective to different “zoning” of Greek islands. The Ithaca-Kephallonia channel is rather long. The northern tip of Kephallonia and that of Ithaca are far closer to each other than the southern end of Ithaca to its northern tip. Similarly, Kephallonian Same and Ithacan Piso Aetos are quite close. “Kephallonia”, just because it is surrounded by water, does not necessarily make it a discrete entity (note the number of poleis Kephallonia had in the Classical period). Today in the Aegean, the communities of the islands Herakleia and Schinoussai move their boats to each other’s harbors depending on the winds, thus creating a kind of symbiosis. In short, sections of islands may function as “units” because of their nearness to each other. This consideration, looking at similarities and points of probable contacts between sections of coasts rather than in terms of entire islands, may explain certain patterns of similarities of vases.
98A. Mele: Sono rimasto molto interessato da quello che Bruno d’Agostino ha detto, e mi ero riservato di tornarvi in sede di conclusione. Adesso anticipo quello che avrei detto in quella sede, anche perché in questo caso posso giovarmi della replica di Bruno d’Agostino. Innanzitutto c’è una questione a monte del discorso su Itacae Kephallenia, il problema della localizzazione di Ulisse in queste isole. Questa localizzazione pone qualche problema: visto il ruolo che ha questo eroe, prima nell’Iliade, poi nell’Odissea, si nota una sproporzione fra l’importanza di questo eroe e l’importanza, invece, del regno che questo eroe ha, quelle poche isolette da cui vengono 12 navi. È un po’una situazione analoga a quella che si verifica per un altro grande eroe, cioè Aiace: Aiace è ugualmente un eroe di prima importanza, ma poi ha un regno da poco: Aiace sta a Salamina, anche se ha 40 navi (Il. II, 527-535). C’è quindi un problema. C’è da capire quando, come e perché si è avuta questa localizzazione e il problema del ruolo che queste isole hanno avuto nell’immaginario mitico dei Greci. Credo che sia un problema dal quale non possiamo prescindere. Ricordiamoci ancora che nel mondo dell’Odissea queste isole sono mal note: ogni qual volta si è cercato di definire esattamente, geograficamente, a cosa corrispodono i vari dati omerici, ci si è trovati di fronte a delle difficoltà: sappiamo tutti quanti quali difficoltà sorgono sulla Itaca omerica. Questo significa che la localizzazione del regno di Odisseo deve essere avvenuta in un momento in cui questo mondo era noto in maniera non troppo chiara a colui che localizza la tradizione odissaica in quella zona. Questo è un problema che dovrebbe essere affrontato da chi poi vuole utilizzare i dati sul ruolo di queste isole come porta verso l’Occidente, come porta verso l’Adriatico ο che altro volete.
99E veniamo più specificamente alla ricostruzione delle relazioni con l’Occidente fatta da Bruno d’Agostino. Io credo che questa ricostruzione sia plausibile. E credo che egli abbia ragione nell’individuare due momenti. Il primo momento è quello della presa di contatto, quello dello stabilimento della relazione di xenia; questo è il momento odissaico. Io sono d’accordissimo con lui perché mi sono sempre sforzato, nell’affrontare questo problema delle localizzazioni di Odisseo, di sottolineare, quando una località possiede uno statuto odissaico, che cosa questo significhi. Sappiamo che Odisseo, quando arriva in un luogo, si domanda: gli abitanti sono ospitali ο no, sono giusti ο no, temono gli dei ο no, praticano ο non praticano l’agricoltura? L’arrivo di Odisseo in un posto è la cartina di tornasole per tutte quante queste realtà. Questo, mi sembra, è l’uso che ne fa Bruno d’Agostino quando dice: questa prima fase, che è quella dello stabilimento della xenia, è la fase che si può interpretare come la fase odissaica. La seconda fase egli non l’ha egualmente etichettata. Ma io credo che è implicito in quello che lui dice che l’etichetta c’è: è la fase della Teogonia. Quando l’eroe genera dei figli, i quali restano sul posto. Quando nascono Silvio e Latino, la situazione è cambiata: Silvio e Latino che sono i signori dei Tirreni. Questo modello continua perché poi è il modello della Telegonia: quando arrivano Telegono e Telemaco, ci sono dei figli i quali si localizzano nel Lazio, danno origine a dei principi latini. E si può dire, forse, modernizzando però sempre a fronte di un modello antico, che questo è il modello Demarato, del principe il quale sposa la principessa locale e genera figli sul posto. Questa seconda fase mi sembrerebbe che possa servire a qualificare questo momento successivo che Bruno d’Agostino segnalava come il momento dello stabilimento di relazioni, egli dice, di carattere politico. Queste sono relazioni di carattere politico nella misura in cui il politico viene interpretato in un mondo arcaico, che non è il nostro mondo moderno, ma è quello delle relazioni stabili e durature fra mondo greco e mondo barbarico mediate dai rapporti personali. Modello teogonia) ο demarateo, dunque.
100B. d’Agostino: L’intervento di Mele – come spesso accade – è servito a chiarirmi le idee. Mi sembra senz’altro accettabile la sua definizione della seconda fase come “fase della Teogonia”. Quanto alla “geografia” odissaica, mi sembra suggestivo il raffronto con i racconti connessi alla navigazione spagnola del’500 lungo le coste dell’America meridionale, come ad esempio Naufragios di Alvar Nunez Cabeza de Vaca. I capitani di nave, che naufragano sovente, incontrano non sanno chi, visitano luoghi che non sanno dove siano, di cui redigono mappe sommarie che non sono relazionabili tra loro. Ciò che essi raccontano nasce da una esperienza che non si può sistematizzare; essi comunicano la percezione di un mondo diverso, sospeso tra il reale e il fantastico. Sarebbe inutile pretendere da questa tradizione, come da quella odissaica, che esse ci diano ciò che non possono dare: la descrizione attendibile del nuovo mondo; in entrambi i casi tuttavia si respira il senso più autentico dell’ “avventura” nel lontano Occidente. Sono d’accordo con Malkin quando dice che non bisogna considerare le isole come blocchi unitari, secondo la percezione della geografia moderna. Io ne sono così convinto che adotto questa precauzione anche per siti della terraferma: ad esempio per me Otranto è parte integrante di un circuito egeo, come parte della antiperaia. Allo stesso modo Cefalonia non è percepita, a livello omerico, come un’isola, bensì come centri dotati di fisionomie diverse: Sami proiettata sul canale che corre tra Cefalonia e Itaca, Dulichio (se vale l’identificazione con Pale), ultimo approdo per chi fa rotta verso Occidente.
101A. Bartonek: Secondo me negli ultimi anni il dialetto euboico è stato analizzato sufficientemente dal punto di vista descrittivo, ma ci manca sempre un’analisi storica più profonda di tutto il gruppo ionico-attico. È vero, all’inizio del V secolo si è trovato l’euboico quasi in posizione intermedia tra lo Ionico dell’Asia minore e delle isole da una parte, e tra l’Attico dall’altra parte, senza dubbio sotto l’influsso delle comuni isoglosse attico-beotico-euboiche. Nondimeno, per una valutazione abbastanza oggettiva dello sviluppo della lingua epica nell’ambito ionico-attico, solo l’analisi di una situazione molto più arcaica di tutti i dialetti ionico-atticie di tutti i dialetti greci, diciamo verso l’anno 800, può essere di qualche rilevanza per il nostro problema. E proprio perché le iscrizioni euboiche, pithecusane e cumane sono troppo brevi dal punto di vista linguistico, di rilevanza limitata, meritano gli argomenti indiretti collegati dal Prof. Cassio, la nostra attenzione nonché una futura elaborazione complessiva. Grazie.
102A. Mele: Io ho trovato anche qui molti elementi interessanti, in questa relazione dell’amico Cassio. Io credo che egli ci abbia fatto un quadro esauriente, fornendo anche gli elementi sui quali possiamo riflettere. Indubbiamente c’è questa importanza del mondo tessalico, che non è soltanto rappresentato da Achille, ma lo è anche da Protesilaos, da Filottete, ecc. Però stiamo attenti: questo significa che c’è stata un’elaborazione di leggende attinenti al mondo tessalico: quando però si va a tentare di mettere su una carta geografica – come hanno fatto i commentatori del Catalogo, prima Hope Simpsone Lazenby e adesso Kirk – i regni di questi eroi e si cerca di stabilire i rapporti fra questi personaggi, ci si trova una grossa difficoltà. Sono certamente tradizioni che, per la loro genesi, rimandano alla Tessaglia, ma l’elaborazione ultima non può essere tessala. E credo che su questo con Cassio siamo d’accordo. È giustissimo valorizzare la fase che è soprattutto del Catalogo, che privilegia popolazioni come i Beoti, ma anche i Focidesi, gli Eubei, gli Ateniesi. Questo è un dato recente che era già stato rilevato, non solo a livello linguistico e metrico come ha fatto molto bene Cassio con la bibliografia che ha citato, ma anche a livello contenutistico. Perché c’è uno squilibrio tra quello che si dice di questi popoli e quello che questi popoli poi nel poema fanno: è chiaro che si tratta di qualche cosa che si è sovrapposto ad una tradizione che era diversamente orientata. Sulla Beozia, c’è una grossa contraddizione fra l’importanza dei Beoti e quello che i Beoti fanno, ma non solo. C’è la contraddizione tra il quadro che viene dato della Beozia nel Catalogo e il quadro che invece le tradizioni beotiche danno della Beozia. Secondo le tradizioni che noi conosciamo fin da Tucidide e da Ellanico e comunque nelle tradizioni beotiche, i Beoti sono arrivati in Beozia dopo la guerra di Troia. Invece qui sono presenti in massa già all’epoca della guerra di Troia. Quindi c’era un problema, anche per gli stessi Beoti, per quello che il Catalogo diceva: il Catalogo evidentemente fermava un momento particolare della Beozia, che non coincideva né con quello che era l’insieme del racconto, né con quello che poi i Beoti stessi, più tardi, riflettendo su se stessi, dicevano. Queste stesse contraddizioni valgono per la Focide, valgono per l’Attica, e valgono anche per l’Eubea. Perché c’è nel Catalogo un quadro di tutte le città euboiche, ci sono Abanti che invece al livello arcaico non si trovano più: tutta la colonizzazione ha una caratterizzazione ο eretriese ο calcidese. E questo obbliga a pensare che si tratti di momenti particolari della tradizione arcaica, anche se’riflessi’in quella che è la parte più recente del poema, il Catalogo che anche linguisticamente, come ci ricordava prima Cassio, è una delle cose più recenti. Occorre ricordare che: è vero che noi possiamo distinguere più antico e più recente nei poemi omerici, ma è altrettanto vero che non dobbiamo mai dimenticare che c’è comunque uno sforzo di arcaizzazione, e che non si poteva tradurre immediatamente fatti moderni in fatti antichi. Bisognava farlo in una forma che li rendesse accettabili a quella che era una tradizione preesistente. Non si può quindi pensare che l’attuale Iliade ο Odissea riflettano immediatamente il mondo euboico: non lo riflettono, e non riflettono il mondo della colonizzazione. Perché questo bisognerà ancora che si armonizzi al mondo dell’Odissea; ma questo lo farà Esiodo, non lo fanno i poemi omerici.
103A. C. Cassio: Grazie a tutti gli intervenuti per le loro osservazioni. Non c’è dubbio che il mondo tessalico abbia avuto un’enorme importanza nella formazione della tradizione epica, ma non è ugualmente chiaro che la Tessaglia abbia avuto un ruolo di rilievo nelle ultime fasi di quello che è per noi Omero; sono d’accordo sostanzialmente su questo punto con Mele, quando dice “l’elaborazione ultima non può essere tessala”. Sicuramente dal punto di vista dialettologico caratteristiche quali tein, hamos etc., che secondo Weste me stesso sono entrate tardi nella dizione, rimandano a dialetti dorici ο al beotico (dialetto eolico fortemente influenzato, almeno a partire dall’epoca in cui inizia la nostra documentazione alfabetica, da dialetti dorici); non certo al tessalico. Sono molto contento di vedere che c’è con Mele un accordo su alcuni punti fondamentali. Per quanto riguarda la localizzazione occidentale dei viaggi di Odisseo, lacolonizzazione euboica ed Esiodo, penso che il numero delle variabili sia troppo alto per poter affermare qualcosa di definitivo. L’impressione mia e di altri, studiosi è che la localizzazione occidentale dei viaggi di Odisseo sia legata alla colonizzazione euboica, ma che sia secondaria; nel senso che sia stata sostituita a una più antica localizzazione, lasciata nel vago dagli aedi quanto a determinazione esatta dei luoghi in termini di geografia reale, ma sostanzialmente immaginata come orientale. Nell’isola di Eea, dove vive Circe, c’è il palazzo dell’Aurora e lì sorge il sole (antolai heelioio, Hom. Od. 12. 3 ss., cf. 10. 135-9 e commento di Heubeck a quest’ultimo passo). Vorrei ricordare quello che diceva Erwin Rohde nel suo famoso libro Psyche (trad. ital. p. 78 n. 2): “soltanto con le peggiori arti esegetiche si può fissare il luogo della “levata del sole” e della “dimora dell’aurora” nell’occidente”. Per quanto riguarda l’intervento di Bartonek, sono lieto che abbia colto e ribadito alcuni punti fondamentali, cioè che i dialetti cambiano e che non si può prendere una situazione a noi nota poniamo di V sec. a C. e riportarla di peso al Χ ο IX a. C. ; e che un tentativo di ricostruzione di una situazione antica è rischioso ma non può essere eluso.
104L. Scatozza: Desidero ritornare brevemente sulla tesi che espressi molti anni fa nel mio lavoro di laurea (Ricerche sulle tenecotte architettoniche in Campania nei secoli VII, VI, V a.C.), rimasto inedito salvo un sintetico articolo4, circa la matrice ionica delle terrecotte architettoniche arcaiche di Cuma ed il ruolo svolto dall’elemento euboico nella trasmissione delle tipologie greco-orientali sia verso i centri della Campania interna sia verso il Lazio e l’Etruria meridionale. Infatti l’avanzamento degli studi dell’ultimo ventennio ci consente ora di riproporla per estenderla agli elementi iconografici dei sistemi di rivestimento, come accennerò, con la premessa che queste brevi osservazioni estemporanee derivano dal ricordo e dalla frequentazione occasionale dei materiali esposti nei Musei, che invece meriterebbero una ricerca sistematica. Ne sono sollecitata dalla menzione, testé fatta da Luisa Breglia, del culto di Artemide di Ariccia di provenienza cumana, per la quale è da sottolineare, piuttosto che una lontana origine beotica, come fa la Breglia, una derivazione ionica. Infatti, presso il Museo Campano di Capua, esiste una serie di tre false antefisse a testa femminile arcaica con petasos fortemente ionizzante, su un elemento a sagoma a becco di civetta, probabilmente pertinente alla trabeazione sotto il frontone5, che possono identificarsi come un’Artemide Taurica-Hecate e rimandano all’area geografica di origine del culto6, introdotto nel Lazio al più tardi agli inizi del V secolo, attraverso Cuma, non senza un qualche verosimile rapporto della colonia greca con l’elemento foceo (non estraneo al culto di Artemide, e basti pensare all’Artemide di Marsiglia7, e al difficile problema dei rapporti tra Diana Aventinensise Diana Nemorensis8, come sembrerebbe indicare, oltre all’iconografia ionica, anche la cronologia ancora tardo-arcaica delle tre false antefisse in questione. Non sono queste antefisse l’unico elemento figurativo di derivazione ionica attestato nell’ambito delle terre-cotte architettoniche capuane. Tra i non pochi esempi, particolare risalto assume un’antefissa a testa femminile con elmo ionico a collo di cigno e forse ali ribaltate e cornice a piatto circolare con foglie a profili rilevati9, la cui iconografia corrisponde a quelle della dea armata raffigurata accanto ad Eracle nelle figure acroteriali di area etrusco-laziale nella stessa epoca (540-530 a.C.), che coincide con il periodo di espansione del commercio ionico all’ombra degli emporta operanti con l’appoggio euboico lungo l’arco medio-tirrenico (penso soprattutto al gruppo acroteriale della seconda fase del tempio di S. Omobono nel Foro Boario10, in un’area che ha restituito ceramica euboica fin dall’VIII secolo, ed alle figure acroteriali del santuario di Portonaccio a Veio dedicato a Minerva11. Circa il parallelismo tra iconografie capuane ed etrusco-laziali tardo-arcaiche di origine ionica nei sistemi di rivestimento degli edifici sacri, vorrei ricordare anche tra gli altri esempi l’antefissa capuana con Eose Kephalos12, analoga all’acroterio del sistema di rivestimento di seconda fase del santuario tiberino di S. Omobono e l’antefissa capuana con busto femminile sormontato da tre rosette13, confrontabile con un esemplare pompeiano14 e soprattutto con la figura femminile dell’antefissa del tempio Β del porto cerita di Pyrgi, identificata dal Coarelli15 come un’Astarte analoga all’Aurora, che fa pensare a Mater Matuta e naturalmente a Leukotea, titolare dei santuari costieri laziali ed etrusco-meridionali, ben presente nel mondo dell’emporia focea tirrenica a Velia16 e Massalia17. È perciò evidente che l’assunzione di motivi microasiatici nei sistemi di rivestimento etrusco-campani non riguarda solo, come ha riaffermato il Morel pocanzi, gli schemi decorativi, bensì si estende alle figure acroteriali e alle antefisse, ed anche ai culti che esse sottintendono, e che la loro diffusione verso i centri della Campania da un lato, e del Lazio e dell’Etruria meridionale dall’altro è avvenuta seguendo lo stesso percorso, ed attraverso gli stessi intermediari, cioè l’ambiente delle colonie euboiche della Campania. Si ripropone una :situazione già verificata in merito alla diffusione dello schema dell’antefissa con cornice di corona di foglie a rilievo, attestato anche a Velia, che ebbe una generale diffusione su tutto il versante tirrenico, come ebbi ad evidenziare nel 1971, anche se la documentazione eleate non costituiva evidentemente l’oggetto del mio articolo, incentrato sulla circolazione delle terrecotte architettoniche in tutta la Campania arcaica, e tanto meno a maggior ragione il problema particolare delle argille eleatie della loro provenienza campana ο meno era stato da me posto (che la recente attenzione della ricerca verso gli aspetti della cultura materiale ha18, bensì veniva lasciato aperto. Iconografie riferentisi a culti ionici sono dunque attestate a Capua ed in ambiente etrusco-laziale negli stessi anni nei quali è presente l’elemento ionico nei Campi Flegrei attraverso lo stanziamento dell’epineion di Dicearchia da parte del contingente samio nel 531 in territorio cumano. D’altro canto, la figura femminile armata, con caratteri ionici, in tutte le aree di culto considerate si trova costantemente associata ad Eracle, nella seconda metà del VI sec. a.C., perloppiù nell’ambito di una Gigantomachia di evidente tradizione euboica. Pare ormai acquisito, dopo il fondamentale lavoro su Eracle a Cuma19, ripreso da studiosi successivi, che responsabili della diffusione della leggenda di Eracle :in Occidente furono gli Eubei, e basti richiamare la localizzazione della lotta tra Eracle e i Giganti nella parte della penisola calcidica detta Pallene20 e nel territorio di Cuma21. In tale ambito di riflessioni appare anche significativo che da Thasos, a sud-est della Calcidica, sede del famoso Herakleion, proviene un tipo di antefissa semicircolare raffigurante un gorgoneion, inquadrato da cornice di foglie semplicemente dipinte che, assieme a quelle di Neandria in Asia Minore, possono considerarsi le progenitrici delle antefisse cumane e pithecusane a corona di foglie semplicemente dipinte22. Un discorso più articolato meriterebbe il mito di Eracle e Gerione, che evidentemente allude alle rotte dei mercanti greco-orientali in età arcaica, con un forte coinvolgimento foceo, come indica la vistosa coincidenza sussistente tra siti colonizzati dai Focei e siti interessati da questo mito, divulgato attraverso i coloni calcidesi di Cuma e anch’esso fortemente radicato in ambito euboico, e particolarmente in territorio cumano. Ci si potrebbe chiedere se nella stessa epoca non debba porsi l’ambientazione del mito di Eracle e Gerione nei campi Flegrei e la costruzione della Via Eraclea, la strada costiera tra Miseno e Dicearchia, menzionata dalle fonti (tra cui Strabone V,4,6) portata a termine da Eracle per far passare la mandria di Gerione al ritorno da Erythia, che si è fatto risalire al VII secolo23 sulla base di un’iscrizione vascolare successivamente ritenuta più tarda e non pertinente all’eroe24. Ma un argomento tanto ampio merita, anche eventualmente portando l’indagine sul terreno dei dati futuri di scavo, ben altro approfondimento25.
Notes de bas de page
1 Nella redazione pubblicata in questo volume l’amico Mele ha reso ancora più esplicita la sua lettura della situazione in Calcidica, e pertanto questo mio intervento deve ritenersi del tutto superato.
2 Cfr. ora: M. Bonghi Jovino - F. Mallegni - L. Usai, ‘Una morte violenta. Sul rinvenimento di uno scheletro nell’area del “complesso sacro-istituzionale” della Civita di Tarquinia’, in AA. VV., Aspetti della cultura di Volterra etrusca fra l’età del ferro e l’età ellenistica e contributi della ricerca antropologica alla conoscenza del popolo etrusco, ‘Atti del XIX Convegno di Studi Etruschi ed Italici, Volterra, 15-19 ottobre 1995’, Firenze 1997, pp. 489-498.
3 Per le antefisse di tipo subdedalico, i cui precedenti più vicini sono quelle di Thermos (su cui v. recentemente N. Winter, in Deliciae fictiles (a cura di E. Rystedt, Ch. Wikander, O. Wikander), Stockholm 1993, pp. 17 s.) e le derivazioni, tra cui quelle del santuario di Marica sul Garigliano, ritengo ancora valido quanto ha scritto Ranuccio Bianchi Bandinelli, in’Palinodia’, in Critica d’Arte 6, 1942, p. 18 s., riprodotto nelle edizioni successive di Storicità dell’Arte classica). Comunque l’applicazione di queste a coppi semicircolari presuppone il “tetto misto”, diffuso prima della fine del VII sec. tra Taranto e la Sicilia, ma prevalente in età arcaica, a quanto sembra, anche nella Ionia settentrionale e in Eolide, e usato in maniera esclusiva nell’Italia centrale. D’altra parte, mentre proprio ciò rende improbabile l’ipotesi che tra i figuli al seguito di Demarato ci fossero costruttori di tetti e le terrecotte della prima fase di Acquarossa, caratterizzate da soluzioni provinciali tra cui l’impostazione delle sime sulle tegole di gronda, non possono essere anteriori al VI secolo, la sima di Pitecusa (su cui v. B. d’Agostino, in AMSMG 3 (III serie), 1994-1995, pp. 42 s.), ben datata intorno al 600 a.C., presuppone une fase già evoluta del sistema sicelioto. Pertanto anche le proposte di M. Bonghi Jovino (in’Atti secondo Congresso Internazionale Etrusco, 1985’, Firenze 1989, pp. 667 s., tav. I), che non tengono conto dell’evoluzione nel mondo greco, non sono affatto convincenti, mentre il problema dei fregi fittili e delle sime a rilievo va approfondito anche in base alle interessanti considerazioni di M. Mertens-Horn sulla sima di Palekastro (in RM 99, 1982, pp. 83 s.).
4 L. Scatozza, ‘Le terrecotte architettoniche cumane di età arcaica’, in Klearchos 49-52, 1971, pp. 45 ss.
5 G. Patroni, Catalogo dei vasi e delle terrecotte del Museo Campano. Capua, 1897-1899. Puntata II. Terrecotte architettoniche, Capua 1898-99, tav. XXIV, Capua, Museo Campano, inv. 1483; G. Colonna, ‘Le civiltà anelleniche’, in Storia e Civiltà della Campania. L’Evo antico (a cura di G. Pugliese Carratelli), Napoli, 1991, p. 61.
6 F.-H. Pairault, ‘Diana Nemorensis, déesse latine, déesse hellénisée’, in MEFRA 81, 1969, p. 458; A. Mele, ‘Aristodemo, Cuma e il Lazio’, in Etruria e Lazio arcaico, ‘Atti dell’incontro di studio (10-11 settembre 1986)’, Roma 1987, pp. 55 ss.
7 Strabone IV, 1,4-5.
8 Cfr. C. Ampolo, ‘L’Artemide di Marsiglia e la Diana dell’Aventino’, in PP 25, 1970, pp. 209 s.
9 H. Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlin 1912, tav. X,l.
10 F. Coarelli, Il Foro Boario, Roma 1988, pp. 324 ss.
11 G. Colonna, ‘Il maestro dell’Ercole e della Minerva. Nuova luce sull’attività dell’officina veiente’, in OpRom 16, 1987, pp. 7 ss.
12 Koch 1912, tav. XXVI, 11.
13 Koch 1912, tav. XIV,1.
14 C. Reusser, ‘Archaische Funde’, in RM 79, 1982, pp. 353 ss.
15 Coarelli 1988, p. 352.
16 Arist., Rhet. 2,23,1400 b 5-6.
17 IG XIV 2433,4; cfr. altresì M. Giangiulio, ‘Appunti di storia dei culti’, in Neapolis.’Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1985)’, Napoli 1986, pp. 102 ss.
18 G. Greco - M. J. Strazzulla, ‘Le terrecotte architettoniche di Elea-Velia dall’età arcaica all’età ellenistica’, in’Proceedings of the International Conference on greek Architectural Terracottas οf the Classical and Hellenistic Periods, December 12-15, 1991 ’(ed. by N. A. Winter), Hesperia, Suppl. XXVII, pp. 285 ss.
19 Ν. Valenza Mele, ‘Eracle euboico a Cuma: la Gigantomachia e la Via Heraclea’, in Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 1, Naples 1979, pp. 19 ss.
20 Erodoto VII,23,1; Stefano di Bisanzio, s. v. Phlegra.
21 Diodoro IV, 21; Strabone V,4,6; Polibio II,17.
22 Scatozza 1971, 53.
23 F. Van Wonterghem, ‘Il culto di Eracle tra i popoli osco-sabellici’, in Héraklès d’une rive à l’autre de la Méditenanée. Bilan et perspectives (éd. C. Bonnet e C. Jourdain Annequin), Bruxelles-Rome 1992, pp. 319 ss.
24 Colonna 1991, 61.
25 Assai recentemente è apparso al riguardo un articolo magistrale di B. d’Agostino, ‘Eracle e Gerione: la struttura del mito e la storia’, in AION ArchStAnt, n. s. 2, 1995, pp. 7 ss.
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