La cultura euboica e lo sviluppo dell’epica greca
p. 11-22
Texte intégral
11. A partire dagli anni’70 alcuni studiosi hanno cominciato a prendere in seria considerazione la possibilità di un influsso più ο meno profondoe più ο meno antico della culturae del dialetto dell’Eubea sull’epica greca. Il primo che si è mosso in questa direzione è stato P. Wathelet1, ma si deve all’articolo di West2 se il problema è arrivato all’attenzione di specialisti di campi diversi (filologi, linguisti, archeologi):e questo perché l’autore di quel lavoro (uno dei massimi conoscitori di letteratura greca della nostra epoca) ha dato al dialetto euboico un ruolo fondamentale, e a partire da un’epoca notevolmente antica, all’interno di un quadro dello sviluppo dell’epica che utilizza tutti i dati (archeologici, storici, mitologici, linguistici, metrici) a nostra disposizione, e che quindi ha suscitato l’interesse di specialisti di discipline diverse.
2Sempre in anni recenti vari studiosi hanno sostenuto che l’alfabeto greco è stato creato in un contesto condizionato dalle attività commerciali euboi-che3: secondo Marek l’Eubea sarebbe la regione della Grecia più accreditata «als Vermittlerin der Alpha-betschrift an die griechische Welt»4. Se consideriamo che già attorno al 725 a. C. dei versi epici sono stati messi per iscritto a Pitecusa, colonia euboica che è stata anche la prima colonia greca in Occidente5, e che la collocazione occidentale dei viaggi di Ulisse, cosi familiare agli antichi, fu attribuita alla colonizzazione euboica già da Wilamowitz-Moellen-dorff6, non possiamo non rimanere con l’impressione che l’Eubea abbia avuto un ruolo fondamentale in parecchie fasi dell’epica.
3Che atteggiamento dobbiamo prendere di fronte a queste tesi, e in particolare di fronte a quelle che invocano un coinvolgimento profondoe antico dell’Eubea nell’evoluzione dell’epica? Dobbiamo ammettere di essere stati fuorviati per secoli dalle fonti antiche, che dànno a Omero tutte le patrie possibili, anche le più inverosimili quali Roma ο l’Egitto7 ma non l’Eubea? Oppure stiamo esagerando sull’onda dell’entusiasmo causato da scoperte archeologiche spettacolari? In questo lavoro vorrei prendere in esame le argomentazioni linguistiche portate dai vari studiosi per provare l’influsso del dialetto euboico sull’epicae vedere fino a che punto esse reggono l’esame critico, e per quali livelli cronologici.
42. Un quadro complessivo dello sviluppo dell’epica che mi sembra abbastanza equilibrato è stato fornito qualche anno fa da Sherratt8, che ha isolato tre periodi “formative” per l’epica greca: 1) il periodo miceneo pre-palazialee palaziale antico, in un arco cronologico che va dal 16. alla prima parte del 14. secolo, in cui sarebbe stata creata la tradizione poetica sviluppatasi successivamente9; 2) l’epoca post-palaziale dal 12. al 9. secolo, «probably responsible for the greatest contribution to the epics as we know them»10; 3) il tardo 8. secolo, cui si attribuisce in genere la versione definitiva dell’epica quale noi l’abbiamo11. Tra 1) e 2) c’è stato, secondo la Sherratt, un periodo meno attivo, di «palatial maintenance» (com’è noto, ben poco della cultura materiale attestata nei poemi omerici può essere collegato al periodo LH III A2-B cioè dal tardo XIV al XIII sec. a. C.)12.
5Sulla situazione linguistica dell’epica in fase molto antica si può dire ben poco che riesca convincente ed accettabile per tutti. Molti credono fermamente all’esistenza di un’epica esametrica in epoca micenea13 mentre altri la negano14; in Omero ci sono comunque, a parere mioe non solo mio, indicazioni linguistiche significative per postulare in età micenea l’esistenza, se non di epica esametrica, almeno di poesia che è poi confluita nell’epica come noi la conosciamo15. È interessante che sia gli indicatori linguistici che quelli archeologici vanno nella direzione di un’epoca anteriore a quella cui si riferiscono le tavolette in lineare B.
6Paradossalmente proprio il periodo centrale per la formazione dell’epica, quello delle “età buie” oggi fortunatamente rischiarate dalle scoperte archeologiche16, rimane per noi assai oscuro dal punto di vista linguistico, per la mancanza di documenti scritti. Tutto deve essere dedotto partendo da quanto è attestato per epoche anteriori (lineare Β) ο posteriori (a partire dall’8. secolo, quando abbiamo le prime testimonianze alfabetiche). Anche su Omero siamo costretti a fare deduzioni partendo dal testo così come lo abbiamo, che è certo molto modernizzato rispetto alla situazione linguistica delle “età buie”.
73. Ci sono due cose che possiamo dire con certezza a proposito della facies dialettale del nostro testo di Omero.
8Una è che la redazione definitiva dell’epica che noi abbiamo è in un dialetto ionico: questo risulta evidente dalla “metatesi di quantità”, fenomeno tipico del gruppo dialettale ionico-attico in seguito al quale si creano (più di rado quando siano coinvolti antichi /w/ intervocalici) forme normalmente in sinizesie quindi ad es. dei genitivi con una sillaba in meno delle forme arcaiche (ad es. Il. 13. 624 Ζηνòς ἐπιβρε-μέτεω χαλεπὴν ἐδδείσατε μῆνιν, in cui l’antico ἐριβρε-μέτᾱο sarebbe metricamente impossibile17). Data la presenza costante di forme del tipo βίη πυγμαχίη χώρη, etc. (attico βίᾱ πυγμαχίᾱ χώρᾱ) e dato che certe contrazioni attiche (tipo ὀρχηστῶν < ὀρχηστέων18) sono assenti (o presenti molto sporadicamente) nel testo così come noi lo abbiamo, la forma dialettale in cui Omero ci è pervenuto rimanda non all’attico ma allo ionico veroe proprio.
9L’altra cosa sicura è che accanto alle forme ioniche appaiono in grande quantità forme tipiche di dialetti eolici; inoltre molti elementi miticie narrativi rimandano al mondo eolico19. Va rilevato però che su questi elementi si contrappongono due tesi: una che af-
10ferma l’esistenza di una verae propria fase eolica (cioè il passaggio dell’epica ad un certo punto del suo sviluppo in zone in cui si parlavano dialetti eolici), l’altra che la nega, e interpreta quindi gli eolismi di Omero come forme assunte da aedi ionici per più di una ragione (prestigio di una eventuale tradizione poetica eolica distinta da quella ionica, maggiore facilità per gli aedi di pronunziare forme eoliche reali piuttosto che forme ioniche obsolete ecc.).
11Se fosse vera la tesi di una fase eolica-che è stata peraltro spesso messa in discussione20, ma anche difesa con forza21 – l’epica sarebbe stata recitata, a partire dallo stadio 2) della Sherratt, quello postpala-ziale, da aedi eolici del continente (sostanzialmente la Tessaglia) in un dialetto eolico; ad un certo punto sarebbe passata dal continente all’Asia Minore (Eoli-de d’Asia, cioè Lesboe il continente antistante)e da lì nel repertorio di aedi ionici d’Asia che avrebbero tradotto in ionico l’antica dizione eolica là dove era metricamente possibile, e naturalmente da un certo punto in poi avrebbero creato ex novo esametri ο parti di esametro nel loro dialetto.
12Ad ogni modo lo stadio 3) è linguisticamente ionico, e normalmente si accetta, nell’ambito del quadro appena disegnato, una redazione in ionico d’Asia22. Ma lo ionico ha avuto anche altre due varianti: lo ionico insulare (Cicladi)e lo ionico occidentale (sostanzialmente Euboico più la zona di Oro-po23). È possibile che il quadro sia diverso da quello tradizionalmente accettato, che Omero sia stato un euboico, ο addirittura che sia sostanzialmente euboica la tradizione dell’epica ionica anteriore ad Omero?
13In effetti uno dei suggerimenti più rivoluzionari di West24 è stato quello di eliminare la fase ionico-orientale: l’epica eolica sarebbe passata dall’Eolide d’Asia non nella Ionia d’Asia, ma direttamente in Eubea, e questo già all’epoca del “re” di Lefkandi (prima metà del 10. sec. a. C.)25, quindi molto prima della redazione definitiva dei poemi. Questa affermazione è stata sostanziata da argomenti linguistici che esaminerò al § 7.
14Penso però che sia utile dare prima di tutto in breve un’occhiata ai luoghi dei due poemi in cui l’Eu-bea è menzionata esplicitamente. Sono pochi, ma non insignificanti.
154. L’Eubea ha un posto di tutto rispetto nel Catalogo delle Navi del secondo libro dell’Iliade, una composizione che fortunatamente ormai ben pochi pensano risalga all’età micenea (non ho mai capito come si possa riportare a quell’epoca un testo che non menziona Tebe ma solo ʽYποθῆβαι, «Tebe di sotto», in cui il sinecismo attico è un dato scontatoe in cui gli Arcadi non hanno navi26); tra l’altro da un punto di vista linguistico il testo del Catalogo presenta forti innovazioni27. Innanzitutto gli Euboici (Abanti), si trovano nel gruppo iniziale –e, come si è capito da tempo, “privilegiato” – dei contingenti, che comprende la Beozia (senza Orcomenoe Aspledone)e continua con Orcomeno, la Focide, la Locride, l’Eu-bea l’Attica. Sono menzionate molte città euboiche: Calcide, Eretria, Istiea, Cerinto, Dion, Caristoe Stira. Gli Euboici, condotti da Elephenor, dispongono di 40 navi: contingente notevole, di molto superiore ad es. a quello dei “Cefalleni” guidati da Odisseo, che hanno solo dodici navi (Il. 2. 637).
16La descrizione del Catalogo è interessante perché c’è una notevole caratterizzazione degli Abanti sia come apparenza esteriore (sono ὄπιθεν ϰομόωντες, «chiomati dietro»), sia perché sono l’unico contingente per i quali viene data una descrizione dettagliata28 del comportamento in battaglia: essi combattono ỏρεκτῇσιν μελίῃσι, cioè non scagliano lontano le lance, ma le usano in un “corpo a corpo” ravvicinato. Questo passo è stato giustamente messo in rapporto con quanto ci dice Strabone (10. 448) a proposito di un accordo tra le due parti della guerra lelan-tina, consacrato da una stele iscritta posta nel santuario di Artemide Amarintia, per cui non si dovevano usare armi da lancio nel conflitto (μὴ χρῆσθαι τηλεβόλοις)29. Ovviamente questo accostamento di per sé non basta a provare che il passo del Catalogo sia stato composto all’epoca della guerra lelantina, ma è evidente che una descrizione così puntuale ha un senso solo in un’epoca in cui non si combatteva più corpo a corpo con lance pesantissime, come in epoca micenea30: cioè, a parte qualsiasi altra considerazione, una caratterizzazione del genere ha senso solo a partire dalle “età buie” in poi.
17A questa presenza importante degli Euboici nel Catalogo corrisponde però un vuoto quasi assoluto nel poema. Il loro condottiero, Elephenor, fa un tentativo di combattere a un certo punto del 4. libro, ma viene ucciso dopo pochi versi (463 ss.), e qui si conclude il contributo degli Euboici alla guerra di Troia31. D’altronde l’Eubea è assente in maniera vistosa dai grandi cicli di leggende presupposti da molte narrazioni dell’Iliade, che sono legate invece notoriamente soprattutto alla Tessagliae al Peloponneso.
185. Νell᾿Odissea le menzioni esplicite dell’Eubea sono due. Nel primo caso l’isola viene nominata all’interno del racconto del ritorno degli Achei che Nestore fa a Telemaco (3. 173 ss.); il secondo è più significativo. A 7. 321 ss. il re Alcinoo afferma che i Feaci accompagneranno Ulisse a casa:
εἴ περ ϰαὶ μάλα πολλὸν ἑκαστέρω ἔστ’Εὐβοίης τήν περ τηλοτάτω φάσ’ἔμμεναι οἵ μιν ἴδοντο λαῶν ἡμετέρων, ὅτε τε ξανθὸν ‘Ραδάμανθυν ἦγον ἐποψόμενον Τιτυόν, Γαιήιον υἱόν.
19«anche se dovesse essere molto più distante della divina Eubea, che è lontanissima, a quanto dicono quelli di noi che l’hanno vista quando condussero il biondo Rhadamanthys a visitare Tityos, figlio della Terra».
20La storia raccontata è unica per noi ma abbastanza istruttiva. Nell᾽ Odissea ci viene detto che Rhadamanthys abita nei campi Elisi, ai confini del mondo (4. 563 ss.): i Feaci, perfetto Randvolk, abitano, per dirla con Wilamowitz-Moellendorff32, «mindestens in der Nähe». Partendo da questa regione ai confini del mondo il punto più lontano che si può immaginare è l’Eubea. Perché proprio l’Eubeae non ad es. Chio ο magari Cipro? È difficile sottrarsi all’impressione che in questo passo l’Eubea sia concepita come un punto di riferimento centrale nel mondo abitato, e in questo senso si esprime West33 in uno dei passi più citati del suo articolo: «the Odyssey might well be a Euboean poem (where else would a poet be likely to imagine Euboea as the Phaeacians’furthest horizon, VII 321 - 6?)».
21Un’altra cosa interessante è che Rhadamanthys è ben collegato con la Beozia, oltre che con Creta, e che l’altro personaggio della storia, il gigante Tityos, ha forti legami con la Beoziae l’Eubea: sappiamo da Strab. 9. 423 che esisteva una grotta in Eubea che si chiamava Elarion a ricordo di Elara, figlia di Orco-menoe madre di Tityos34, e che esisteva, sempre in Eubea, un heroon di Tityose delle τιμαί per lui. Va notato che da un punto di vista strettamente formale nulla in Od. 7. 323 ss. fa pensare a versi risalenti a fasi antiche dell’epica: in particolare una sicura innovazione è costituita dall’espressione Γαιήιον υἱόν, dato che in Omero gli aggettivi in -ήιος sono usati quasi esclusivamente per sostantivi in -εύς (ad es. Καπανεύς); l’uso del “ Suffixkonglomerat ” -ήιος per nomi della declinazione in -a ο di quella tematica, del tipo Γαῖα ο παρθένος, è sicuramente innovazione recente35.
22Chi ha composto quei versi sembra conoscere molto bene delle tradizioni locali beotico-euboichee dare una certa centralità all’Eubea. Ovviamente è difficile resistere alla tentazione di mettere questo passo in rapporto con i vari accenni alla precolonizzazione, se non alla colonizzazione, che si trovano nell᾿Odissea e di cui altri hanno parlato in questo convegno con molto maggiore competenza di me.
23In conclusione sia i versi del Catalogo nell’Iliade, sia questi dell’Odissea, fanno pensare ad un poeta per cui la zona euboico-beotica ha una notevole importanza, un cantore che per così dire scopre le carte in un poema epico in cui il mondo contemporaneo esiste ma deve rimanere “coperto”. Dal punto di vista cronologico però questo coinvolgimento dà l’impressione di non risalire molto più indietro delle fasi più recenti della composizione: VIII (o forse al massimo fine IX) secolo a. C.
246. A questo punto si devono far entrare in gioco i dati linguistici. Quale spazio dànno a un coinvolgimento diretto ed esclusivo degli Euboici?e a quali livelli cronologici?
25Nel suo articolo del 1988 West procede in questo modo. A p. 166 comincia con l’affermare che lo ionico dell’epica non è, come normalmente si ritiene, quello dell’Asia Minore, ma è ionico centrale (= insulare) ο ionico occidentale. A parere di West un criterio chiaro per differenziare lo ionico orientale dalle altre varietà sarebbe il diverso trattamento delle labiovelari originarie in ποῦ πῶς πότε ποῖος (forme che derivano tutte da kw o-). In poeti arcaici sicuramente riconducibili ad aree ionico-orientali appaiono come ϰοῦ κῶς κότε ϰοῖος, mentre in poeti provenienti dalla Ionia insulare ο occidentale, come Archiloco ed Eveno (o autori non ionici come Tirteo), le stesse forme appaiono come ποῦ πῶς πότε ποῖος. Dato che in Omero si leggono queste ultime West ne conclude che lo ionico di Omero non è orientale.
26Altri due fenomeni sostengono, secondo West, questa conclusione. Uno sarebbe l’assenza di allungamento di compenso seguita alla perdita di /w/ postconsonantico in forme ad es. del tipo μονωθείς < μονF- (Il. 11. 470) invece di μουνωθείς, l’altro sarebbe la cosiddetta “correptio attica”, da lui caratterizzata come «more of a western than an eastern licence». West conclude che questi indizi messi insieme «point in the direction of Euboea as the area in which the epic language acquired its definitive and normative form. I know of no counter-indications that would favour Asia Minor». In una nota36 West dice inoltre che nulla si può argomentare contro la sua tesi sulla base del fatto che in epoca classica in euboico c’erano «ρρ and ττ for ρσ and σσ», perché queste a suo parere sono innovazioni non necessariamente già presenti in quel dialetto nel Χ ο IX secolo a. C.
27A questo punto West comincia a parlare dei rapporti molto antichi tra la Tessagliae Lesbo da una partee l’Eubea dall’altra. Ci sarebbero quindi le condizioni storiche favorevoli a un passaggio di poesia eroica dalla Tessaglia, Sciroe Lesbo in Eubea; il “re” di Lefkandi, la cui tomba risale al più tardi al 950 a. C. 37 avrebbe favorito la presenza di cantori «who could entertain him and his companions with the epic tales of Meleager or Achilles, of the sack of Pylos or Troy». È evidente che all’Eubea viene attribuita un’importanza assolutamente centrale nello sviluppo della fase ionica dell’epica: ci sarebbe stato in fase antica un passaggio diretto dall’epica eolica direttamente all’Eubeae lì la lingua epica avrebbe preso la sua forma normativa.
28Da un punto di vista culturale generale la tesi della presenza di cantori epici in Eubea all’epoca del “re di Lefkandi” può essere sostenuta tranquillamente: nell’Eubea di quell’epoca c’erano sicuramente tutti i presupposti economicie culturali che rendevano possibile la presenza di cantori vaganti, che provenissero da aree eoliche ο no (è comunque sicuro che, da qualsiasi zona provenissero, avevano ben presenti storie mitiche eolichee dialetto eolico). Si tratta insomma di una tesi perfettamente compatibile con i dati a nostra disposizione38.
29Le cose si complicano quando si cercano in Omero prove linguistiche che sostengano la tesi di un passaggio a data alta dell’epica in Eubea, vista come zona in cui la lingua dell’epica avrebbe acquistato «its definitive and normative form». A parere mio (e non solo mio) queste prove non esistono, per le ragioni che seguono.
307. 1. Il dialetto euboico presenta «ρρ and ττ for ρσ and σσ in the classical period»39: cioè mentre Omero ha ἄρσην l’euboico ha ἄρρην, e nel nostro testo di Omero si legge sempre ad es. πρήσσω mentre l’euboico di età classica ha πρήττω40. West41 sostiene che queste differenze non provano nulla contro la sua tesi, dato che «the first is an innovation shared with Attic, the second is shared with Attic and Boeotian; neither need have been tenth- or ninth-century Euboean». In altre parole, sembra di capire, secondo West il fatto che ad es. nel dialetto euboico di età classica si trovi πρήττω non significa che nel 10. ο 9. sec. a. C. questa forma esistesse già. West non ci dice qual’era a suo parere la forma antica, ma dato che Omero ha πρήσσω si ha l’impressione che questa sia la forma che egli immagina come antica in euboico42.
31Stranamente fino a Ruijgh43 nessuno ha contestato l’affermazione di West; eppure essa è facilmente contestabile, perché i due fenomeni non sono assolutamente comparabili. Mentre un passaggio ἄρσην > ἄρρην c’è effettivamente statoe può essere benissimo avvenuto dopo il 9. secolo a. C., un passaggio πρήσσω > πρήττω in Euboico non c’è mai stato, perché si tratta di due esiti distintie indipendenti della palatalizzazione di un antico *πρᾱϰ-γω. Le modalità del cambiamento da *πρᾱϰ-γω alle forme attestate sono naturalmente discusse44: comunque per il πρήσσω omerico non c’è spazio in euboico, a nessun livello cronologico; come esito di depalatalizzazione «-σσ-n’a jamais existé en eubéen»45.
32Va aggiunto, per precisare meglio il quadro, che forme realmente euboiche del tipo πρήττω non possono mai essere state usate nell’epica46. L’attico, che ha lo stesso comportamento dell’euboicoe del beo- fico per quanto riguarda gli esiti di queste forme palatalizzate, cioè -ττ-, conosce solo άνάσσω, non *ἀνάττω, cosa che è normalmente spiegata47 con il fatto che è parola presa in prestito dall’epos; se forme come *ἀνάττω avessero avuto una loro “consacrazione” nell’epos, l’attico non avrebbe avuto problemi ad usarle; uguale ragionamento vale per χαρίεσσα in attico (sarebbe atteso χαρίεττα come forma dialettale autentica).
33Anche per quanto riguarda le forme omeriche ποῦ πῶς πότε ποίος non è possibile sostenere una loro origine euboica (o ionico-insulare) prendendo argomento dal fatto che Callino ο Ipponatte (e più tardi Erodoto), provenienti da un’area ionico-orientale, presentano ϰοῦ ϰῶς ϰότε ϰοῖος. Queste forme non possono attestare un trattamento generalizzato della labiovelare tipico dello ionico-orientale, altrimenti, come nota sempre Ruijgh48, in questa area dialettale ci aspetteremmo ad es. *ἄνθρωϰος, mentre c’è esclusivamente ἄνθρωπος. Si tratta di uno sviluppo particolare delle labiovelari che ha riguardato queste formee solo queste, probabilmente come esito regolare a partire da ou kw o-, poi esteso anche alle forme prive della negazione; è possibile che si sia trattato di un fenomeno troppo “laterale” nello ionico orientale per essere accolto nella forma definitiva dell’epos anche se essa fosse stata proprio in ionico orientale49.
34La “mancanza del terzo allungamento di compenso” è un altro dei punti su cui si basa West per sostenere la sua tesi. Com’è noto si trova in Omero un numero limitato di innovazioni, quali ad es. ξένιος (invece di ξείνιος; < ξενF-) e μονωθείς (invece di μουνωθείς; < μονF-) che hanno sempre creato problemi agli studiosi, dato che sono caratteristici non dell’ambito ionico-orientale (quello cui viene solitamente attribuito lo stadio finale della lingua di Omero), ma dell’ambito ionico-occidentale (euboico ed attico)50. Dato che in alcuni casi la critica analitica permetteva di interpretare i versi contenenti le forme del tipo ξένιος come interpolazioni attiche risalenti all’epoca di Pisistrato, Wackernagel51 poté liberarsi di un certo numero di queste innovazioni considerandole come atticismi secondari; in molti casi però quelle innovazioni erano talmente radicate nel testo che lo stesso Wackernagel52 era costretto a lasciare aperto il problema della loro attribuzione a questo ο a quel dialetto53.
35A quanto ne so il primo a proporre un’interpretazione euboica di quelle forme fu Wathelet54. Partendo dal quadro di prosperità offerto dall’Eubea dell’8. sec. a. C. e da quanto ci dice Esiodo (op. 654 ss.) sulla sua vittoria nel concorso di Calcide, Wathelet55 afferma che non si può escludere l’ipotesi che alcuni aedi abbiano introdotto delle forme euboiche nella lingua epica; a suo giudizio tuttavia l’influenza dell’euboico «reste. . . sporadique; elle ne porte que sur quelques formes, isolées le plus souvent».
367. 2. Radicalmente diversa è invece la posizione di West, che sembra adoperare i casi di mancanza di terzo allungamento di compensoe i trattamenti di muta cum liquida del tipo πα. τρός (per molti aspetti affini al primo fenomeno, cfr. più avanti) come supporto della sua teoria di un passaggio a data alta (l’epoca del “re di Lefkandi”) dell’epica da aree di dialetto eolico all’Eubea, con conseguente stabilirsi a data alta del dialetto euboico come dialetto formativo dell’epica.
37Non c’è dubbio che l’atticoe l’euboico, così come li conosciamo da iscrizionie testi letterari, presentino in epoca classica la “mancanza del terzo allungamento di compenso” (cioè ad es. ξένιος < ξενϝ-invece di ξείνιος normale in ionico orientale). Normalmente si ritiene che il diverso trattamento sia dovuto a una diversa sillabazione: i dialetti che parti- vano da una sillabazione ξέν. ϝιος (che chiamerò per comodità sillabazione A), come ad es. lo ionico orientale (e tra quelli dorici ad es. il cirenaico) dopo la perdita di /w/ (graficamente il digamma) hanno creato una vocale lunga (ξείνιος56 ο ξῆνιος) per compensare la perdita dell’antica sillaba lunga ξέν. ϝ-; invece i dialetti che partivano da una sillabazione ξέ. vϝ- (come appunto l’attico, l’euboico, il beotico ecc.) avendo già la prima sillaba breve non dovevano “compensare” nulla, e quindi una volta perduto /w/, presentavano semplicemente ξένιος.
38Il punto fondamentale però è che, per quanto se ne può capire, non è affatto sicuro che il tipo di sillabazione Ae quello Β coesistessero ab antiquo; anzi, normalmente si ritiene che il tipo A sia precedentee quello Β successivo57. È stato infatti osservato che l’attico, dialetto che ha ξένος, ξένιοςe quindi parte dal tipo Β in epoca classica, presenta però comparativi come στενότεροςe κενότερος, trattati non come σοφώτερος, ma come πιστότερος: essi devono essere stati creati quando in attico si diceva ancora στενρότερος e ϰενρότεροςe si sillabava στεν. ρότεροςe κεν. ϝότερος58. Sembra quindi lecito dedurne che c’è stata una fase antica dell’attico in cui si sillabava ξέν. ϝος, ξέν. ϝιος: esattamente la sillabazione presupposta dalle forme dello ionico d’Asia.
39Se è giusto questo quadro di anteriorità della sillabazione A su quella B, e se si tiene presente che lo ionico d’Asia presenta il tipo A, sembra lecito formulare il quadro che segue: all’epoca in cui avvenne la migrazione ionica (normalmente posta attorno al 1050 a. C.59) tutti i dialetti ionici, (comprese quindi le forme antiche dell’atticoe dell’euboico) avevano ancora la sillabazione A, ad es. ξέν. ϝος. Essa si è mantenuta nello ionico d’Asia (e forse nello ionico insulare, la cui situazione è incerta da questo punto di vista in fase antica) ed è stata la base della forma ξεῖνος, mentre nello ionico di area occidentale (euboicoe attico) è subentrata ad un certo punto la sillabazione Β (ξέ. νϝος) che ha poi portato a ξένος.
40Ora se ammettiamo, come ho ammesso in questo quadro, che sillabazione antica nei dialetti ionici sia stata A, tanto più ci proiettiamo all’indietro nel tempo tanto meno è probabile l’esistenza di una sillabazione innovativa B. È probabile a mio avviso che nella prima metà del 10. secolo, all’epoca del “re di Lefkandi”, l’euboico avesse ancora intatto ξένϝος e lo sillabasse ξέν. ρος, il che automaticamente escluderebbe ξένιος ο forme simili come prova di di euboi-cità a data alta. In questa direzione va anche l’osservazione di Ruijgh60: il tipo ξένος (e μόνος) non figura in formule61.
41Un discorso molto simile vale per la cosiddetta correptio attica, alla base della quale ci sono problemi di sillabazione strettamente connessi con quelli appena discussi62. West63 ci assicura che si tratta «more of a western than an eastern licence», e non c’è motivo di dubitarne; ma per la maggior frequenza della «western licence» West cita autori come Teognidee Solone. Per gli stessi motivi che ho sopra esposti ritengo estremamente improbabile che un poeta eu-boico del 10 sec. a. C. potesse sillabare ad es. ά. γρός come Theogn. 1200.
428. Insomma, la parte più innovativa del discorso di West (innalzamento della cronologia del passaggio dell’epica in Eubeae concezione del dialetto euboico come “normativo” per l’epica) non è sostenibile con prove linguistiche. Una componente euboica è a mio parere ammissibile, come penetrazione in una dizione già sostanzialmente fissata, esclusivamente nelle ultime fasi dell’epica (diciamo per comodità dalla fine del IX secolo in poi); a questa componente potrebbe essere dovuta la forma βόλομαι attestata tre volte in tutto Omeroe difficilimente riconducibile a una fase “achea”64.
43Questo concorda con alcune recenti prese di posizione di specialisti di questi problemi: ad es. Janko65 parla di «some Euboean influence» sulla lingua omerica, particolarmente nell’Odissea, mentre Ruijgh66 intitola un suo capitolo’Les éléments eubéens isolés du langage homérique’: a suo parere Omero, aedo ionico orientale, avrebbe dato dei recitals nell’Eubea e lì avrebbe preso forme metricamente comode. Sempre secondo Ruijgh67 le forme con aspirazione iniziale che si leggono nel nostro testo di Omero sono dovute a una redazione euboica68. Un Omero “we-stionisch”, anche se più di Oropo che dell’Eubea verae propria, è stato proposto da M. Peters. A suo parere Oropo sarebbe stata la patria di un Omero poeta sia dell’Iliade che dell’Odissea, il quale, «als oral poet im Medium der traditionellen ostionischen Epik ausgebildet», avrebbe però usato elementi del suo proprio dialetto ionico-occidentale, oltre che di una tradizione epica beotica69.
449. Ed in effetti c’è da chiedersi se un discorso limitato alle innovazioni euboiche non sia troppo restrittivo; in altre parole, una volta chiarito che certe innovazioni non possono essere antiche più di tantoe che sono comuni a più aree dialettali, è opportuno vedere se non si possano collegare a un contesto culturale più ampio. Uno dei meriti di West70 è stato quello di riportare l’attenzione su forme come τύνη, τεῗν, ᾱμος, ῡμός, ben attestate nel testo omerico ma poco frequenti, non ioniche (e quindi automaticamente non euboiche), che potrebbero essere degli arrivi recenti nella dizione, da una zona dorica ο influenzata dal dorico come la Beozia. In particolare τεί’ν, forma probabilmente antica71 (per noi comunque quasi esclusivamente beotica72), potrebbe essere un ingresso recente nella dizione; tra l’altro su cinque attestazioni73 quattro sono nell’Odissea (che ha in genere una dizione più innovativa dell’Iliade). Anche ᾱμός, ῡμός sono con ogni probabilità arrivi recenti nella dizione omericae vengono da area dorica ο influenzata da dialetti dorici74; si notino fini di verso come νέας άμάς / (Il. 13. 96) e χείρας ές άμάς / (Il. 10. 448), in cui άμός è strettamente legato nel primo caso a una forma sicuramente ionicae recente (νέας < νῆας), nel secondo a un trattamento recente ές di un antico ένς davanti a vocale75. Se si tiene conto della presenza sicura nel testo omerico di altre innovazioni importanti, come i dativi cosiddetti “brevi” in -οις, - ῃς (-αις), che per quanto ne sappiamo possono essere ο euboici76 ο attici ο beotici, viene da chiedersi se per l’ 8. sec. a. C. – ο forse già la fine del 9. – non abbia avuto una certa importanza per l’epica tutta un’area continentale che comprendeva grosso modo Beozia, Focide, Eubeae Attica: esattamente le regioni con cui comincia trionfalmente il Catalogo delle Navi. Certe innovazioni come ad es. ξένιος potrebbero aver avuto la forza di penetrare in una dizione tradizionale – e comunque già fissata in una forma probabilmente ionicomuniorientale – proprio perché comuni a più dialetti dell’area ionica occidentalee alla Beozia77.
45Tra quei dialetti l’attico potrebbe aver avuto un ruolo non secondario. La nostra rappresentazione dei fatti è profondamente condizionata dalle notizie antiche riguardanti la cosiddetta recensione Pisistra-tea78: ξένιος per noi è soprattutto atticoe siamo tentati quindi di attribuirne la presenza in Omero all’opera di Pisistratoe della sua “commissione”; ma dato che è assolutamente improbabile che i versi che contengono quelle forme innovate siano interpolazioni attiche della fine del 6. sec. a. C. ci sentiamo in dovere di cercarne l’origine in altre aree dialettali per le quali sia possibile postulare un influsso sul testo omerico a epoche più antiche.
46Questo è perfettamente lecitoe l’euboico è una soluzione, ma forse non è l’unica: è errato pensare che a data più alta l’attico sia stato completamente fuori gioco, se si considera che Atene «from about 900 was the most prosperous and advanced community in Greece»79. Non mi sembra affatto escluso che la stessa temperie culturale alla quale si devono i grandiosi vasi del “maestro del Dipylon” abbia anche dato il suo contributo alle fasi più recenti dell’epica; tra l’altro l’esametro graffito sull’oinochoe del Dipylon, che è insieme alla “Coppa di Nestore” una delle due più antiche attestazioni epigrafiche di esametri in nostro possesso, risale a circa il 740 a. C.80. Va anche ricordato che attorno alla metà dell’VIII sec. a. C. «Attic vases travel far, and beyond Greece»81. Non mi sento quindi di sottoscrivere l’affermazione di Ruijgh82 «ce n’est que vers 600 qu’Athènes commence a jouer un rôle important à l’intérieur du monde grec». D’altra parte i ritrovamenti archeologici relativi alla Beozia di età geometrica mostrano la grande vitalità di quell’area, in cui sono anche evidenti una serie di scambi con l’Atticae l’Eubea83.
47Ad ogni modo le innovazioni, sia che si debbano ai soli Euboici, sia, come credo, ad una pressione culturale più vasta della Grecia centrale, sono andate ad impiantarsi, per quanto ne possiamo capire, su un organismo già formato, che aveva già trovato la sua “cristallizzazione” definitiva probabilmente nella Ionia d’Asia, anche se le prove positive in favore di questa localizzazione non sono molte84.
4810. Fino a che punto quindi possiamo credere all’affascinante ipotesi prospettata da West sulla presenza di cantori epici in Eubea all’epoca del “re di Lefkandi”? Come ho già detto (§ 6) quell’ipotesi è perfettamente compatibile con i dati a nostra disposizione sul piano della cultura materiale; ma sul piano linguistico non si può provare che eventuali recitazioni dell’epica in Eubea nella prima metà del 10 sec. a. C. siano state influenzate dal dialetto ionico parlato all’epoca in quell’isola, né che quel dialetto sia poi diventato normativo per l’epica; d’altronde nel- l’Iliade e nell᾿Odissea l’Eubea non ha un ruolo di rilievo né sul piano narrativo né su quello dei miti. La cosa più probabile è che all’epoca del “re di Lefkandi” circolasse in Eubea dell’epica importata (eolica ο ionico-orientale con elementi eolici, a seconda di come ricostruiamo i fatti): personaggie tratti linguistici legati all’Eubea sembrano essere entrati più tardi nei due poemi.
49Ad ogni modo non troppo tempo dopo l’adozione dell’alfabeto l’epica deve aver circolato abbastanza nel mondo euboico in forma scritta. Saranno gli epigrafisti a decidere se gli Euboici hanno introdotto in Grecia la scrittura, come ha sostenuto ad es. Mareke adesso sostiene anche Ruijgh85; certo potrebbero essere stati benissimo tra i primi, se non i primi in assoluto, a mettere per iscritto dei testi epici86. È interessante che a giudizio di uno specialista come Immerwahr il tipo di scritturae l’intera mise en page della coppa di Nestore sarebbe “influenced by eighth century book script”; dello stesso avviso è Burkert87. Oltre alla coppa di Nestore va anche ricordata la kotyle rodia trovata a Eretriae pubblicata da Johnstone Andriomenou88 in cui si legge alla seconda riga]hεδαντο[che potrebbe essere un inizio di esametro da interpretare come ή δ’ἂν το[, una “versione al femminile” dell’inizio del secondo verso della Coppa di Nestore. Se coglie nel segno la mia interpretazione della lekythos di Cuma89 il τίννυσθαι che si legge in numerosi manoscritti omerici come variante (normalmente non accettata nelle edizioni moderne) di τίνυσθαι potrebbero dipendere da edizioni euboiche.
50Può darsi che si tratti di un puro caso: ma il primo che secondo gli antichi si occupò di Omero da filologo, come diremmo oggi, si chiamava Teagene ed era di Reggio, colonia euboica90.
Annexe
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Notes de bas de page
1 Wathelet 1970, pp. 154 ss.
2 West 1988.
3 D. Ridgway, recensione di Powell 1991, in CR 42 (N. S.), 1992 (pp. 350-3), p. 352. La tesi centrale di Powell (l’invenzione dell’alfabeto messa in moto dalla necessità di registrare l’epica omerica) è parsa improbabile a Ridgway e pare tale anche a me.
4 Marek 1993, p. 42.
5 La cosiddetta Coppa di Nestore, Hansen 1983: nr. 454; cfr. § 10.
6 Wilamowitz-Moellendorff 1916, pp. 497 ss. Questa opinione è ampiamente condivisa ancor oggi, cfr. ad es. L. Braccesi, ‘Gli Eubei e la geografia dell’Odissea’, in Hesperìa 3, 1993, pp. 11-23.
7 Cfr. ad es. la Vita Homeri VI in Th. W. Alien, Homeri Opera vol. V, Oxonii 1912.
8 Sherratt 1992.
9 Ibidem, pp. 157 s.
10 Ibidem, p. 161.
11 Ibidem, p. 162.
12 Sherratt 1992, pp. 160 s. Cfr. anche Hood 1995.
13 M. Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica greca, 1, Roma 1971; West 1988; Ruijgh 1985; Ruijgh 1995.
14 Cfr. ad es. di recente Dickie 1995, p. 30.
15 Le indicazioni linguistiche sono due: (1) la cosiddetta ‘tmesi’, frequentissima in Omero (tipo ad es. Il. 2. 19 περί δ’ἀμβρόσιος κέχυθ᾿ ὕπνος. Si tratta di un fenomeno arcaico già superato dal greco attestato nella lineare B, che conosce esclusivamente forme univerbate, e deve quindi venire da una lingua poetica in uso prima del 13. sec. a. C. (cfr. Horrocks 1980 e soprattutto Morpurgo Davies 1985, pp. 86 ss.); questo naturalmente non significa automaticamente che esistesse prima di quella data dell’epica esametrica. (2) Parole come ad es. ἀνδρότητα in Horn. Il. 16. 857 = 22. 363 ὃν πότμον γοόωσα, λιποῦσ’ἀνδρότητα ϰαὶ ἣβην, presentano problemi di inserimento nello schema metrico dell’esametro che si risolvono se vengono scandite con la prosodia che avrebbero avuto a uno stadio molto antico del greco, quando un -r- ereditato dall’indoeuropeo non si era ancora sviluppato in -ar-/-ra- ovvero -or-/ -ro-. Questa soluzione linguistica (approvata ad es. da West 1988, p. 156 ss.; de Lamberterie 1990, p. 326 n. 7, Ruijgh 1995, pp. 88 ss. , per menzionare solo bibliografia molto recente) mi sembra nettamente preferibile a quella metrica proposta anni fa da Tichy 1981. Quest’ultima si adatta ad una sola ricostruzione di una forma arcaica di esametro, quella di N. Berg, ‘Parergon metricum: der Ursprung des griechischen Hexameters’, in MSS 37, 1978, pp. 11-36, il cui maggior difetto consiste nel dare un’importanza centrale alla cesura eftemimere a danno della pentemimere, che è di gran lunga quella più attestata in Omero (Magnelli 1996, pp. 121 ss.); la Tichy inoltre deve ricorrere spesso a complicate ricostruzioni per giustificare il suo assunto (ad es. i problemi posti da Il. 10. 65 ὶ(μ)βροτάξομεν ἀλλήλοιιν sono superati ipotizzando un più antico *ἀμβρότωμεν ἑταίρων che avrebbe avuto originariamente la stessa posizione metrica di ὀνδρότητα ϰαὶ ἥβην (Tichy 1981, p. 64).
16 Cfr. ad es. Blome 1991; per la bibliografia su Lefkandi cfr. più avanti, nota 25.
17 Cfr. l’interessante nota di Janko 1992 a Il. 13. 620-5 a proposito di Ζηνòς ἐριβρεμέτεω «trebly novel».
18 ὀρχεστõν è già nel vaso del Dipylon (circa 740 a. C. : Hansen 1989, nr. 432).
19 West 1988, pp. 159 ss.
20 K. Strunk, Die sogenannten Äolismen der homerischen Spra-che, Diss. Köln 1957; Miller 1982; Peters 1986; Peters 1989, pp. 36 ss.
21 In tempi recenti ad es. da West 1988; Janko 1992, pp. 15 ss.; Ruijgh 1995.
22 Cfr. ad es. Kirk 1985, pp. 5s. ; Blome 1984, p. 20: «Im 8. Jh. leben die Rhapsoden im ionischen Kleinasien»; Ruijgh 1995, pp. 13 ss.
23 Sulla situazione linguistica di Oropo cfr. Morpurgo Davies 1993.
24 West 1988, pp. 166 s.
25 Sul cosiddetto ʻHeroon᾿ di Lefkandi cfr. ora B. d’Agostino, ‘La necropoli e i rituali della morte’, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia, cultura, arte, società, 2. 1, 1996 (pp. 435-70) pp. 447 ss. , con bibliografia precedente; cfr. anche Antonaccio 1995; Popham 1994.
26 Cfr. ora ad es. Anderson 1995; anche West 1988, p. 168 sostiene giustamente che il Catalogo è recente. Su Ύποθῆβαι cfr. ora Burkert 1992, pp. 106 ss.
27 Cfr. ad es. Wathelet 1981, pp. 823 ss. e West 1988, pp. 168. Per tutti i problemi riguardanti il Catalogo è assai utile il commento di Kirk 1985. In Il. 2. 493 (fine dell’invocazione alle Muse che apre il Catalogo) νῆάς τε προπάσας è fortemente innovativo: correptio davanti a πρό, che è molto più rara che davanti a πρός (Janko 1982, p. 177) e poi πρόπας, che è del tutto nuovo in Omero (al quale è noto altrimenti solo πρόπαν ἦμαρ) e corrente invece nei tragici (Wackernagel 1916, p. 45 nota 1).
28 Per gli Arcadi, caratterizzati anch’essi da una tecnica di combattimento arcaica, viene usato nel Catalogo (604) solo l’epiteto ἀγχιμαχηταί.
29 Janko 1982, p. 95.
30 Sherratt 1992, p. 150.
31 Cfr. Kirk 1985 ad Il. 4. 463: «it seems surprising that such a relatively prominent contingent in the Catalogue, with seven towns listed, should lose his commander so early in the poem and without further comment».
32 Wilamowitz-Moellendorff 1916, p. 499.
33 West 1988, p. 172.
34 Elara era stata poi scagliata nelle viscere della Terra e per questo Tityos è detto da Omero figlio della Terra; cfr. Pherecyd. FGrHist 3 F 55.
35 Risch 1975, p. 226; cfr. anche Meister 1921, p. 239 nota 1.
36 West 1988, p. 166 nota 93.
37 Cfr. ad es. Popham 1994, p. 14.
38 Cfr. anche Blome 1984.
39 West 1988, p. 166, nota 93.
40 Buck 1955, § 186.
41 West 1988, p. 166, nota 93.
42 Così sembra aver capito anche Ruijgh, cfr. immediatamente qui di seguito.
43 Ruijgh 1995, p. 15.
44 E. Risch, Kleine Schriften (edd. A. Etter-M. Looser), Berlin-New York 1981, pp. 549-59. Ruijgh parla di -ττ- come «aboutissement direct de *ts (assimilation progressive)», che è un’altra rappresentazione fonetica dello sviluppo, ma la sostanza non cambia.
45 Ruijgh 1995, p. 15, nota 42.
46 Dico questo appunto per dare un quadro completo della situazione, non perché West abbia mai pensato nulla di simile: egli anzi cerca di giustificare, come si è visto, il πρήσσω omerico come antico-euboico proprio perché sa che πρήσσω è stata l’unica forma possibile nell’epica da quando hanno avuto luogo quelle depalatalizzazioni.
47 Ad es. Lejeune 1972, p. 103 nota 2.
48 Ruijgh 1995, p. 16.
49 Argomentazione dettagliata ibidem.
50 Rimane problematico da questo punto di vista il δορί metricamente garantito tre volte dei famosi versi di Archiloco (fr. 2 West) έν δορί μέν μοι μᾶζα μεμαγμένη, έν δορί δ’οίνος | ᾿Iσμαριϰός, πίνω δ’έν δορί κεκλιμένος, dove sarebbe atteso δουρί. Cfr. Cassio 1994, p. 66 nota 80.
51 Wackernagel 1916.
52 Ibidem, p. 159.
53 Va sottolineato che, diversamente da quanto afferma Ruijgh 1995, p. 47, non è vero che secondo Wackernagel tutti i passi che contengono queste innovazioni sono interpolazioni attiche: Wackernagel 1916, p. 159 dice espressamente che quando le innovazioni si trovano in passi in cui l’analisi esclude interventi attici le sue osservazioni saranno utili alla «mundartliche Einordnung» di quelle forme: lascia quindi il problema aperto non escludendo interpretazioni in altre direzioni. Cf. anche la sua chiara affermazione a p. 148: «dass Attizismen nur in’Interpolationen’vorkommen können, bleibt zu erweisen».
54 Wathelet 1970 e, più articolatamente, Wathelet 1981, pp. 154
55 Wathelet 1981, p. 833.
56 In ξεῖνος il dittongo è, com’è noto, un puro espediente grafico che indica una vocale /e/ lunga chiusa.
57 Va ricordato che per il greco in fasi antiche, per il vedico e per il latino predocumentario si ammette di solito l’eterosillabi-cità di qualsiasi gruppo intervocalico (quindi anche ad es. Vn. wV): cfr. ad es. Allen 1987, pp. 106 ss. e Viredaz 1983, p. 133. Secondo G. C. Horrocks (in Minos 20-22, 1987, pp. 276 ss.) la grafia micenea ke-se-ni-wi-jo /ksenwios/ indicherebbe che la prima sillaba di questa parola era breve in miceneo; tuttavia questo è tutt’altro che sicuro. Λεπτός è scritto re-po-to in miceneo e non *re-to come ci si potrebbe aspettare, ma ciò non si può considerare prova del fatto che ad es. in una eventuale produzione poetica micenea la prima sillaba di λεπτός fosse trattata come breve. Cfr. A. Morpurgo Davies, ‘Mycenean and Greek Syllabification’, in P. H. Ilievski-L. Crepajac (edd.), Tractata Mycenaea, ‘Proc. of the 8th Intern. Colloquium of Mycen. Studies, Ohrid 15-20 Sept. 1985’, Skopje 1987.
58 Hermann 1923, pp. 10 s.; Lejeune 1972, pp. 290 ss. e Méndez Dosuna 1994, p. 116.
59 Cfr. ad es. Musti 1989, pp. 82 ss.
60 Ruijgh 1995, p. 48.
61 Anche Peters 1989, pp. 67 s. non crede a una “fase euboica” antica.
62 Wathelet 1981, pp. 819 ss.; Alien 1987, pp. 6 ss.
63 West 1988, p. 166.
64 Peters 1986, pp. 310 s.
65 Janko 1992, p. 18, nota 33.
66 Ruijgh 1995, p. 47.
67 Ibidem, pp. 49 ss.
68 Il tema è troppo complesso per essere discusso in questa sede, ma l’Attica è stata talmente determinante – che si creda ο no alla “recensione Pisistratea” – nella sistemazione e diffusione del testo omerico che è difficile escludere interventi attici in questo campo.
69 Peters 1986, p. 319 e nota 49; cfr. anche p. 307 e nota 13. Altri interventi di Peters su questo punto sono elencati in Forssman 1991, p. 273 n. 62.
70 West 1988.
71 Schmidt 1978, pp. 132 ss.
72 Molti materiali in Bulloch 1985, p. 149.
73 Il. 11. 201; Od. 4. 619, 829; 11. 560; 15. 119.
74 Se fossero semplici grafie per antiche forme eoliche ἄμμος ὔμμος come sosteneva Wackernagel 1916, pp. 50 s., non si vede perché non dovrebbero essere rimaste in forma eolica come i pronomi ἄμμι ὔμμι etc. I, cioè perché non dovrebbero essere state trasmesse come ἄμμος ΰμμος con la nasale geminata e l’accentazione parossitona; ἄμμος è attestato sia in Alceo che epigraficamente nell’Eolide d’Asia (Hamm 1957, p. 107 e R. Hodot, Le dialecte éolien d’Asie, Paris 1990, p. 134). Su άμός, όμός cfr. la bibliografia citata da Meier-Brügger 1986, p. 142 nota 31.
75 Edwards 1971, p. 152.
76 Con ogni probabilità non “achei”, cfr. Peters 1986, p. 307.
77 Anche Forssman 1991, p. 273 nota 62 ritiene possibile un’origine beotica per ᾱμός e ῡμός.
78 Sulla quale cfr. ad es. Janko 1992, pp. 29ss.
79 Murray 1993, pp. 184 s.
80 Hansen 1983, n. 432.
81 J. Boardman, in The Cambridge Ancient History2, vol. 3. 1, p. 785.
82 Ruijgh 1995, p. 47.
83 Musti 1989, p. 101; Buck 1979, pp. 8 ss.
84 Ruijgh 1995, pp. 14 s. fa molto conto della mancanza di aspirazione nel termine omerico ᾖδος, ma va ricordato che nell’antichità i grammatici discutevano animatamente se attribuire ο no l’aspirazione a questa parola; i nostri manoscritti seguono semplicemente la dottrina di Erodiano. Cfr. J. La Roche, Die homerische Textkritik im Alterthum, Leipzig 1866, p. 270 s.
85 Marek 1993; Ruijgh 1995, pp. 36 ss.
86 Cfr. anche Powell 1991.
87 Immerwahr 1990, p. 19; Burkert 1992, p. 26 e nota 5, 170.
88 Johnston-Andriomenou 1989.
89 Cassio 1991-1993; cfr. Ruijgh 1995, p. 50 nota 175.
90 Frammenti in Vorsokratiker6 n. 8 (vol. 1 p. 51 s.); cfr. l’ottima trattazione di Pfeiffer 1968, pp. 9 ss. -Sono molto grato ad Anna Morpurgo Davies per aver discusso con me più volte questi temi e per aver letto una versione precedente di questo lavoro; naturalmente rimane mia la responsabilità degli errori in esso contenuti.
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