Le regole del gioco, anche in Etruria
p. 111-122
Texte intégral
1Il senso del mio contributo in questo colloquio non può consistere in una testimonianza sulla vita e le opere di Vernant e Vidal-Naquet: mi manca la conoscenza che deriva da un’effettiva consuetudine intellettuale che altri, in maniera ben più efficace e profonda, hanno sperimentato e descritto nel corso di queste giornate.
2La mia parte consiste, invece, nel riflettere sull’influenza che il loro insegnamento ha impresso, nell’ambito di una più ampia riflessione dedicata all’immaginario visuale degli Antichi, in un segmento specifico, e al tempo stesso periferico, come quello dell’iconografia etrusca: un’influenza che attiene essenzialmente alla definizione delle “regole del gioco”, attraverso le quali lo studio delle immagini diviene uno strumento per delineare il processo di costruzione e comunicazione di identità da parte delle società antiche.
3Quali sono le linee fondamentali del metodo?
- L’applicazione nella lettura delle immagini di una prospettiva di carattere strutturale, ma depurata da ogni tentazione idealistica di riconoscere dietro alle categorie dell’immaginario un’universale “architettura dello spirito”.
- L’insistenza sul valore sociale dell’immaginario, inteso come manifestazione di una produzione psicologica che si attua nella dimensione di un tempo e di un contesto storico.
- La valorizzazione dell’interazione che lega le strutture sociali a quelle mentali: queste assolvono una funzione di rappresentazione, vale a dire, di attuazione di significati che incide attivamente sulla forma dei comportamenti sociali.
4Da questi principi deriva:
- che è necessario studiare l’immaginario nella sua autonomia, come un linguaggio di cui decodificare le regole specifiche e, al tempo stesso, descrivere le relazioni con il più ampio sistema significativo sotteso alle altre forme dell’esperienza sociale.
- che l’immaginario non costituisce una riproduzione trasparente della realtà. In quanto componente attiva del processo di costruzione dell’identità collettiva, esso seleziona dei contenuti ed esprime un “arbitrario sociale”.
- che per “leggere” le immagini degli antichi non è sufficiente applicare il principio di verosimiglianza: non bastano il “buon senso” o l’intuito. Come scrive Vernant a proposito dell’universo figurato della ceramica attica, occorre piuttosto «l’essersi poco a poco formato il modo di pensare simile a quello di un Greco, nell’ambito delle categorie intellettuali e del quadro mentale che gli erano propri».
5Come è noto, una sistematica riflessione sui metodi e le problematiche sottese allo studio dell’immaginario visuale applicato al mondo greco si sviluppa nel corso degli anni ’70 nell’ambito del Centre L. Gernet de Recherches Comparées sur les Sociétés Anciennes.
6Ad esso, sul versante italiano, si affianca il Centro per l’Ideologia Funeraria nel Mondo Antico, fondato a Napoli da B. d’Agostino presso l’Università “L’Orientale”.
7A partire dal tema nodale della rappresentazione della morte, il centro si propone di aprire un confronto con apporti multidisciplinari e ambiti culturali diversi: di spingere, attraverso un approccio di carattere antropologico, verso un comparativismo che – come scrive B. d’Agostino – è «concepito non per omologare il diverso, ma – al contrario – per valorizzare le specificità delle diverse culture».
8Il primo banco di prova è costituito dal Colloquio sull’Ideologia funeraria del Mondo antico, svoltosi a Ischia nel 1977: in quella occasione, al tema dell’iconografia è riservato ancora uno spazio circoscritto, ad esso essendo dedicati solo i contributi precursori di Cl. Barocas sulle “cappelle” funerarie dell’antico Egitto e di A. Pontrandolfo e A. Rouveret sulle tombe dipinte di Paestum1.
9E, tuttavia, lo studio dell’immaginario visuale acquista, anche grazie ai fermenti innescati in quel convegno, uno slancio che lo porta ben presto a divenire uno dei temi centrali di una archeologia che aspirava a rinnovarsi in senso antropologico: è il momento della vera e propria rivoluzione nel campo degli studi classici culminante nella fondazione della Cité des Images, solo per citare il titolo emblematico della celebre mostra del 1984, il cui catalogo si apre con la prefazione dello stesso Vernant.
10La novità è precocemente recepita nel panorama scientifico italiano grazie a due riviste che assumono un ruolo di avanguardia nel processo di rinnovamento: nel 1979 la nuova serie di Dialoghi di Archeologia apre con un fascicolo, emblematico sin dall’immagine di copertina, dedicato alle categorie del “figurativo e del processo rituale” nella Grecia antica, accogliendo – tra l’altro – uno studio di A. Schnapp sul sistema iconografico della caccia e la versione italiana di contributi di M. Detienne, J.-L. Durand e S. Georgoudi, poi raccolti in La cuisine du sacrifice en pays grec; nello stesso anno il numero primo degli Annali di Archeologia e Storia antica dell’Università “L’Orientale” ospita l’articolo di Vidal-Naquet su «Les boucliers des héros» dedicato ad un’analisi dei Sette contro Tebe di Eschilo ed, in particolare, alle relazioni significative istituibili tra le immagini degli episemata degli eroi argivi e tebani2 (fig. 1).
11È, dunque, nell’ambito di tali fermenti che matura la ricerca sull’iconografia etrusca.
12Il primo esperimento è rappresentato dal mio studio del 1980 dedicato alla scena dell’agguato di Achille a Troilo nella tarquiniese Tomba dei Tori3: l’immagine dell’eroe che impugna la machaira dietro l’altare-fontana, rinvia alla conclusione cruenta dell’episodio in cui il giovane principe troiano è catturato come una preda di caccia per essere sgozzato nel santuario di Apollo Timbreo come la vittima di un sacrificio umano (fig. 2).
13Nella tomba etrusca un episodio della mitologia greca è valorizzato attraverso un’immagine costruita con un uso pertinente dei segni iconici, secondo una logica non dissimile da quella riscontrabile nella coeva ceramica attica a figure nere: anche in questa, infatti, l’inseguimento e l’uccisione di Troilo sono rappresentati sotto le modalità della caccia e del sacrificio, sfere la cui cruciale contiguità era stata gia delineata da Vidal-Naquet nel saggio su «Chasse et sacrifice dans l’Orestie d’Eschyle» in Mythe et tragédie en Grèce ancienne.
14Il pittore etrusco condivide i codici del linguaggio iconografico greco così come il suo committente Arath Spurianas condivide i valori simbolici del mito di Troilo, selezionato in ambito etrusco per appropriarsi del paradigma di Achille in quanto eroe del sacrificio umano.
15La rappresentazione del mito diviene un luogo privilegiato di comunicazione tra Greci ed Etruschi: un terreno dove è possibile approfondire il processo di interazione culturale sulla scia dei saggi innovativi, entrambi del 1976, dedicati al tema dell’acculturazione nelle società antiche da A. Rouveret e S. Gruzinski sui Mélanges4 e, per quanto riguarda lo specifico etrusco, da M. Cristofani su Prospettiva5.
16Sempre su Prospettiva B. d’Agostino pubblica nel 1983 lo studio su «L’immagine, la pittura e la tomba» in cui il corpus delle pitture tombali tarquiniesi di età arcaica e classica è, per la prima volta, trattato come un sistema semantico strutturato6.
17Lo studioso delinea la strategia sociale sottesa alla costruzione del repertorio iconografico delle tombe, rivolto a celebrare lo statuto di un nuovo ceto aristocratico di carattere urbano.
18Questo obiettivo non si attua mediante il richiamo diretto al cerimoniale funebre o l’allusione alla condizione oltremondana del morto, ma attraverso la valorizzazione del defunto in quanto signore dell’oikos familiare che, rispetto ai più antichi ed estesi assetti gentilizi, diviene il nucleo del processo di autoriproduzione sociale.
19Di qui, il rilievo conferito ai temi del simposio e del komos, rifunzionalizzati attraverso la relazione, inconcepibile nel mondo greco, con la sfera dell’oikos e lo spazio della tomba: la rivendicazione del consumo sociale del vino serve ad esaltare la potenza vitale del dominus, raffigurato con la propria compagna e i figli legittimi, nelle «attività più degne per rispondere alla morte, reintegrando il signore nella sua dignità sociale e familiare» (fig. 3).
20Ma l’allusione al simposio e al komos contamina anche un’immagine che costituisce una marca specifica della rappresentazione pittorica dello spazio tombale: la porta chiusa che, a partire dalla Tomba degli Auguri, «rappresenta il morto sotto la specie dell’assenza, dell’essere separato dal mondo dei viventi» (fig. 4).
21In alcune tombe intorno alla porta prende forma una messa in scena complessa: danzano i comasti, si fanno i giochi, si pratica l’eros e, soprattutto, suonano i musici del simposio, un flautista e un citaredo, a volte accompagnati da un’anfora e un cratere; gli stessi musici circondano nella Tomba delle Leonesse il gigantesco cratere dipinto sulla parete di fondo, rivelando la pregnanza di una permutazione che a livello dell’immaginario unisce il vaso emblema del simposio alla porta chiusa (fig. 5).
22Grazie all’individuazione del sistema, B. d’Agostino suggerisce che il nesso unificante «sia un’esaltazione delle funzioni vitalistiche; se la porta chiusa va intesa come la rappresentazione ex absentia del morto, le scene… non possono che misurare la distanza tra il mondo dei vivi e quello in cui il morto viene relegato, riaffermando la loro inseparabile relazione».
23È significativo sottolineare come questo studio segni l’avvio di una riflessione dedicata alla costruzione pittorica dello spazio tombale che porta a approfondire la relazione, non immediata e non meccanica, intercorrente tra l’immaginario figurato e la dimensione rituale in cui, comunque, la realizzazione di una tomba dipinta doveva integrarsi: a tale proposito si possono ricordare l’intervento di A. Rouveret nel II convegno sull’Ideologia funeraria tenuto a Capri nel 1988, ormai interamente dedicato a «La parola, l’immagine e la tomba»7 e, soprattutto, gli studi di F. Roncalli, cui si devono le riflessioni più sistematiche sull’argomento8.
24Se ci si è soffermati sul lavoro di B. d’Agostino e su quello della Tomba dei Tori è perché in essi è già presente il duplice asse metodologico su cui si sviluppano i successivi studi di iconologia etrusca: quello sintagmatico connesso all’esame del singolo documento figurato, inteso come un testo compiuto di cui è possibile descrivere la logica significativa, e quello sistematico applicato a corpora strutturati di immagini, alla ricerca di dispositivi di lettura unitari, all’interno dei quali le variazioni delle relazioni sintagmatiche svelano dialettiche e trasformazioni di significato anche in una prospettiva diacronica.
25Dietro questa ricerca che, sotto forme diverse, accomuna una produzione scientifica ormai articolata, c’è comunque la consapevolezza che l’immaginario figurato degli Etruschi si struttura attraverso l’appropriazione attiva dell’imagerie greca e dell’universo di significati da essa veicolato, secondo una prospettiva, del resto, già anticipata nel magnifico studio del 1964 di R. Hampe e E. Simon su Griechische Sagen in der frühen Etruskischen Kunst.
26Ciò significa confrontarsi, dall’ottica della “periferia” etrusca, con una delle questioni centrali della ricerca di J.-P. Vernant: secondo la magnifica definizione di Fr. Zeitlin, con la dimensione de «les catégories de Soi et de l’Autre… en tant que questionnement de l’hellénisme lui-même dans un monde polyglotte, dont la Grèce n’est plus désormais le centre, ni le grec la seule langue, ce qui conduit pour finir à remettre en cause les hiérarchies naguère établies fondées sur la couleur, la race, la famille»9.
27In questa complessiva rimessa in gioco della dialettica culturale la ricerca sugli Etruschi ha inevitabilmente privilegiato l’esplorazione di alcuni filoni dove le dinamiche di interazione rivestono un ruolo centrale.
28Tale è, in primo luogo, il tema dell’approccio all’universo di Dioniso10: l’accostamento al dio itinerante che attraverso le sue epifanie mette in contatto mondi diversi, acquista per le aristocrazie etrusche il senso dell’appropriazione di un’identità condivisa con i Greci e, in una contingente prospettiva di propaganda, si oppone all’accusa tendenziosa che ai pirati etruschi ascrive la responsabilità del rapimento del dio.
29Ma ciò non esaurisce la portata del processo di appropriazione culturale: l’esperienza dionisiaca assume, come detto, un ruolo cruciale nell’immaginario delle tombe dipinte di età arcaica e classica, nelle quali è evocata nella sua carica significativa attraverso la ricezione consapevole dei codici iconici elaborati in ambito greco.
30L’adesione a Dioniso traduce l’ideologia di una ristretta aristocrazia urbana che, mediante la celebrazione del simposio e del komos, sottolinea la sperimentazione di un’identità più alta che, nel segno della comunione con il dio, unisce una élite di privilegiati: in questa prospettiva, l’esperienza religiosa non traduce la proiezione verso una dimensione trascendente, ma serve a garantire la condizione di supremazia di un ceto dominante (fig. 6).
31Un secondo tema, su cui da tempo si stanno confrontando gli studiosi, è costituito dal ruolo giocato dalla committenza etrusca nelle dinamiche di ricezione della ceramica attica figurata, non solo rispetto all’acquisizione delle forme, ma anche per quanto riguarda la selezione dell’immaginario: un problema che investe l’Etruria fin dall’inizio, come prova l’esempio emblematico del Cratere François rinvenuto nella necropoli chiusina di Fonte Rotella11 (fig. 7).
32Di fronte ad un atteggiamento di aprioristica svalutazione dell’incidenza della clientela tirrenica, una più sistematica attenzione ai contesti di ricezione, alla complessità dei loro livelli di sviluppo e alla ricchezza delle loro tradizioni sta facendo emergere la tendenza a riconoscere nell’arrivo e nella circolazione della ceramica attica in Occidente un apporto attivo della componente locale, in grado di comprendere il linguaggio delle immagini veicolato dalla ceramica nella complessità dei suoi codici e delle relazioni significative (fig. 8).
33In questa prospettiva, la Cité des Images acquista un carattere aperto e non discriminante: la diffusione dell’iconografia vascolare immette in circolazione un linguaggio condiviso che unisce comunità culturalmente distinte, proprio perché consente a ciascuna di esprimere il proprio “arbitrario sociale”.
34Non è questa la sede per ripercorrere le articolate posizioni critiche di un dibattito ancora in piena evoluzione: basti richiamare i chiari enunciati di metodo delineati da C. Isler-Kerényi nel convegno su Céramiques et peintures grecques tenuto a Parigi nel 199512 e da A. Pontrandolfo nel convegno su Atene e l’Occidente organizzato nel 2007 dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene13.
35La prima, a proposito della ricezione dell’iconografia vascolare in Etruria, propone una doppia prospettiva di lettura nella interpretazione delle immagini, invitando a prendere in considerazione «l’histoire et la culture non seulement d’Athènes mais aussi du site de découverte étrusque».
36La seconda, in un serrato bilancio critico, ha evidenziato la necessità di includere anche l’immaginario figurato nei fattori messi in gioco per comprendere logiche e modalità del processo di mediazione sotteso alla circolazione della ceramica attica.
37Infine, un’ultima osservazione: se gli Etruschi sono in grado di condividere la Cité des Images, è perché, da tempo, sono a loro volta produttori di un immaginario che, come scrive B. d’Agostino, «ha sempre la Grecia al suo orizzonte».
38Questa capacità culturale è stata valorizzata da M. Martelli in un saggio su Prospettiva del 198114, dedicato alla presenza di ceramografi nord-ionici nell’Etruria arcaica: la studiosa ha esemplarmente sottolineato come solo con il loro arrivo in Occidente essi comincino a raccontare “per immagini”, mettendo in scena un complesso universo di temi mitologici, non documentato nella produzione della madrepatria.
39In questa prospettiva vanno considerati recenti esperimenti di lettura dedicati all’esame di corpora vascolari di produzione locale come le Idrie Ceretane, studiate da R. Bonaudo in un lavoro del 200415, o la ceramica campana a figure nere, analizzata da V. Ibelli nell’ambito di uno studio complessivo della classe ceramica pubblicato nel 2007 sotto la direzione di F. Roncalli16.
40Aldilà dei risultati conseguiti, conta sottolineare il metodo applicato in entrambi: le produzioni figurate sono analizzate alla luce dei contesti, per essere poi “de-costruite” isolando le unità formali minimali al fine di stabilire un lessico che riguarda sia il singolo esemplare che la serie nel suo insieme; il significato dei programmi iconografici scaturisce dai rapporti tra gli elementi costitutivi ed è messo in relazione ai concreti contesti sociali di committenza.
41Ne scaturisce un tipo di analisi in cui il linguaggio delle immagini serve ad approfondire l’ideologia della comunità o del segmento sociale cui è destinata la produzione vascolare: l’adozione di un immaginario figurato di matrice greca si rivela nelle comunità tirreniche il risultato di una precisa strategia comunicativa, volta a condividere e rifunzionalizzare le categorie, i significati e i valori elaborati all’interno di un universo culturale che, da ultimo, affonda le radici nel sistema della polis.
42L’immaginario, dunque, come risorsa essenziale, anche nelle società dei barbaroi, del processo di rappresentazione sociale: espressione di una mentalità che si struttura nelle dinamiche di interazione e, a sua volta, diviene un formidabile strumento di identità che influisce sui molteplici livelli dei rapporti sociali.
43Proprio in questo consiste la lezione che l’insegnamento di Vernant e Vidal-Naquet può continuare ad arrecare ad un settore degli studi antichistici come quello dell’Etruscologia, evidentemente estraneo alle loro ricerche: nell’esigenza di metodo che spinge ad esplorare “le regole del gioco” che informano la complessità della costruzione sociale; nell’impulso a trattare le dinamiche di relazione con gli “altri da noi” nei termini di un confronto che alla fine non può non riplasmare l’identità di ciascuno.
Notes de bas de page
1 C. Barocas, La décoration des chapelles funéraires égyptiennes, e A. Pontrandolfo, A. Rouveret, Ideologia funeraria e società a Poseidonia nel IV sec. a.C., in: G. Gnoli e J.-P. Vernant (ed.), La mort, les morts dans les sociétés anciennes. Paris-Cambridge, 1982, rispet tivamente p. 429-440 e p. 219-318. Accanto a tali lavori occorre ricordare la splendida analisi dell’imagerie dei pinakes locresi della Mannella ad opera di M. Torelli, I culti di Locri, in: Locri Epizefiri, Atti XVI Convegno di studi sulla Magna Grecia (Locri 1976). Napoli, 1977, p. 147-184.
2 P. Vidal-Naquet, Les boucliers des héros. Essai sur la scène centrale des Sept contre Thèbes, AION ArchStAnt, I, 1979, p. 95-118.
3 L. Cerchiai, La machaira di Achille. Alcune osservazioni sulla Tomba dei Tori, AION ArchStAnt, II, 1980, p. 25-39 (ripubblicato in: B. d’Agostino, L. Cerchiai, Il mare, l’amore e la morte. Gli Etruschi, i Greci e l’immagine. Roma, 1999, p. 91-106).
4 A. Rouveret, S. Gruzinski, “Ellos son como niños”. Histoire et acculturation dans le Mexique colonial et l’Italie méridionale avant la romanisation, MEFRA, 88, 1976, p. 159-219.
5 M. Cristofani, Storia dell’arte e acculturazione: le pitture tombali arcaiche di Tarquinia, Prospettiva, 7, 1976, p. 2-9.
6 B. d’Agostino, L’immagine, la pittura e la tomba, Prospettiva, 1983, p. 2 ss. (ripubblicato in Il mare, l’amore e la morte cit., p. 13-30).
7 A. Rouveret, Espace sacré / espace pictural: une hypothèse sur quelques peintures archaïques de Tarquinia, AION ArchStAnt, X, 1988, p. 203-217.
8 Per citare solo gli studi più recenti: F. Roncalli, La definizione dello spazio tombale in Etruria tra architettura e pittura, in: A. Minetti (ed.), Pittura etrusca. Problemi e prospettive (Atti convegno, Sarteano-Chiusi 2001). Siena, 2003, p. 52-62; Idem, La Tomba dei Gioco lieri di Tarquinia: una proposta di lettura, in: B. Adembri (ed.), AEIMNESTOS. Miscellanea di studi per Mauro Cristofani, I. Firenze, 2005, p. 407-423.
9 Fr. Zeitlin, Retour au pays du Soleil: en hommage à J.-P. Vernant, L’Europe. Special issue devoted to J.-P. Vernant, 2008, p. 1-21.
10 Per una messa a punto cfr. B. d’Agostino, L. Cerchiai, Il banchetto e il simposio nel mondo etrusco, in: ThesCRA, II, 2004, p. 254-267.
11 C. Isler-Kerényi, Der François-Krater zwischen Athen und Chiusi, in: O. Palagia, W. D. E. Coulson, J. H. Oakley (ed.), Athenian potters and painters. The conference proceedings (Athens 1994). Oxford. 1997, p. 523-539; M. Torelli, Le strategie di Kleitias. Composizione e programma figurativo del Vaso François. Milano, 2007. Lo stesso problema è stato sollevato, sia pure in forma aperta, per l’Olpe Chigi da J. M. Hurwit, Reading the Chigi Vase, Hesperia, 71, 2002, p. 1-22., in part. p. 5-6.
12 C. Isler-Kerényi, Il cliente del vaso etrusco: uno straniero, in: M. C. Villanueva Puig, F. Lissarague, P. Rouillard, A. Rouveret (ed.), Céramique et peinture grecques. Modes d’emploi (Actes du colloque international, école du Louvre, 1995). Paris, 1999, p. 445-448.
13 A. Pontrandolfo, Le produzioni ceramiche, in: E. Greco, M. Lombardo (ed.), Atene e l’Occidente. I grandi temi (Atti convegno internazionale, Atene 2006). Atene, 2007, p. 325-344.
14 M. Martelli, Un askos del Museo di Tarquinia e il problema delle presenze nord-ioniche in Etruria, Prospettiva 27, 1981, p. 2-14.
15 R. Bonaudo, La culla di Hermes. Roma, 2004.
16 L. Falcone, V. Ibelli, La ceramica a figure nere in Campania. Tipologia, sistema decorativo, organizzazione delle botteghe. Pisa-Roma, 2007.
Auteur
Università degli Studi di Salerno.
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