Tempi degli uomini, tempo degli dei
p. 53-76
Texte intégral
D’or fut tout d’abord la famille des hommes mortels que créèrent les immortels qui ont leur demeure sur l’Olympe. Ils vivaient au temps de Cronos quand il régnait dans le ciel. Ils vivaient comme des dieux, le cœur libéré de soucis…
(Hes., Travaux, 109-112, Trad. P. Mazon)
Pierre Vidal-Naquet e Jean-Pierre Vernant: l’avanguardia francese di un’antichistica “antropologica”
1In un volume dedicato allo spazio e al tempo nella Grecia antica Pierre Vidal-Naquet e Jean-Pierre Vernant presentarono, attraverso i sette articoli riuniti in esso, il frutto di un dialogo di ricerche trentennale1. Commenta Vidal-Naquet:
Il n’était pas écrit dans les astres que nous nous rencontrerions, Jean-Pierre Vernant et moi, et qu’une part de notre œuvre deviendrait commune. … Pour que la rencontre se fasse... il fallait que le philosophe (lui) rompe avec l’idée qu’il existe des catégories abstraites: l’espace, le temps… il fallait que l’historien (moi) recherche les chemins d’une auto nomie de l’histoire intellectuelle.
2Alleati nell’indagare le corrispondenze tra forme di pensiero e forme d’articolazione sociale, hanno restituito al mondo greco uno spessore antropologico che lo riconsegna alla modernità, al nostro interesse presente2.
3Mi è parso che proprio nei contributi che entrambi hanno dedicato al tempo – il cui carattere culturale, sociale nonché polisemantico ne rende complesso lo studio3 – si riveli la traccia di un formidabile paradigma indiziario della storia del mondo greco dal periodo arcaico a quello classico, che tale è sostanzialmente l’ambito cronologico di riferimento. Si tratta peraltro di un campo fondamentale per la contestualizzazione (parola chiave che apre scenari solo operativamente delimitabili) di ogni genere di ricerca, un campo che attrae il mio interesse di archeologa, in costante esercizio di riconoscimento di un prima e di un poi, quale che sia l’oggetto studiato e il punto di vista da cui lo si osserva. Ripercorrere le grandi linee del pensiero sul tempo disseminato nell’opera di questi studiosi, interrogandomi sull’apporto che tale indagine può dare alla decodificazione di contesti altri dai testi che la hanno generata: è questo il mio obiettivo, o meglio porre il problema.
4Agli aspetti mitici della memoria e del tempo Vernant dedica una sezione di Mythe et pensée chez les Grecs. Études de psychologie historique (1965): vi confluiscono «Aspects mythiques de la memoire en Grèce», del 1959, e «Le fleuve Amélès et la Mélétè thanatos», dell’anno successivo, in seguito compresi nella raccolta La Grece ancienne4, nella quale compare «Temps des dieux et temps des hommes: essai sur quelques aspects de l’expérience temporelle des Grecs» di Vidal-Naquet, pubblicato in altra sede nel 1960, poi in Le chasseur noir. Formes de pensée et formes de société dans le monde grec (1981)5. Questi studi, insieme ai diversi saggi che Vernant ha dedicato al mito di Prometeo, alle “razze” esiodee e alle concezioni astronomiche e politiche dello spazio, in parte confluiti anch’essi in Mythe et pensée, nonché alle riflessioni di Vidal Naquet su «Plato’s myth of the statesman, the ambiguities of the Golden Age and of history» (1978) costituiscono la base della mia riflessione6.
5Nel pensiero moderno il tempo appare come elemento omogeneo, analogo allo spazio vuoto, in linea con una concezione propria della fisica classica, dominante almeno fino alla metà del’9007; attualmente tuttavia esso appare piuttosto come una costellazione di tempi dipendenti dalla posizione nello spazio ovvero uno spaziotempo/cronòtopo in cui si situano gli eventi, come in un continuo quadridimensionale8. Inoltre la categoria tempo assume connotazioni differenti, variando gli ambiti di riferimento: abbiamo così un vocabolario temporale specifico della fisica, della biologia, della psicologia, della linguistica, ecc. In generale “l’architettura del tempo” si è affacciata prepotentemente alla ribalta delle scienze contemporanee, umane e non, in un periodo di entusiasmo diffuso per ogni approccio sistemico e strutturale9.
6D’altro canto la scuola sociologica francese aveva definito, agli inizi del’900, la genesi collettiva e sociale della nozione di tempo, segnando una svolta fondamentale per un rinnovamento complessivo delle ricerche in tutti i campi delle scienze umane. A partire dagli anni’50, F. Braudel elabora un paradigma rivoluzionario del divenire e della temporalità in termini di “durata”10. Toccherà allo storico J. Le Goff dare centralità ai temi della memoria collettiva e dell’immaginario sociale, promuovendo una visione del medioevo ispirata all’idea di una “storia globale”; lo stesso Le Goff pubblica, negli Annales ESC, un celebre saggio dedicato al «tempo della Chiesa e tempo del mercante», nello stesso anno in cui Vidal-Naquet pubblica il suo «tempo degli dei e tempo degli uomini», con un parallelismo che esemplifica l’adesione ad un paradigma di ricerca ispirato a principi comuni11. Alleati, Vernant e Vidal-Naquet rivestono un ruolo di avanguardia nella decolonizzazione dell’antichità classica, fenomeno in cui la scuola francese nel suo complesso appare fondamentale e trainante12. In Italia questo approccio non sembra suscitare – non fino agli anni’60 inoltrati ed in misura comunque limitata – l’interesse degli antichisti, inclini a resistere agli assalti della nuova era13.
7Tornando ai Greci, il tentativo di ricollegare il latino tempus con il greco τέμνω, accolto con entusiasmo dalla scuola fenomenologica, fu respinto senza appello da E. Benveniste, come sottolinea Vidal-Naquet, il quale critica l’approccio etimologico al problema14: uno scacco che contribuisce a minare la visione a-storica di un’ideale e artificiale “antichità classica” e di una continuità del pensiero occidentale a partire dal “mondo greco-romano”, premessa del massiccio e distorto riuso del “classico” da parte dei regimi totalitari in Germania e in Italia15.
8Vidal-Naquet e Vernant contribuiranno in modo determinante alla definizione delle diverse “forme mentali” che il tempo assume nell’ambito della polis, dal momento che «la cité, par le moyen de ses écrits, affirme sa maîtrise sur le temps»16. Essi respingono una visione primitivista e irrazionalista che descriveva l’esperienza temporale dei Greci nei limiti del tempo ciclico o circolare, negando l’esperienza della dimensione storica del tempo: contro tale semplificazione entrambi gli studiosi reagiscono con forza, storicizzando le fonti e definendone di volta in volta i contesti17. Vidal-Naquet, in particolare, rintraccia nella lirica corale – che canta il male del vivere nel tempo18 – e negli storici, a partire da Erodoto, le testimonianze di una concezione della temporalità delle società umane orientata in senso lineare, indipendente dalla ciclicità delle dottrine cosmologiche elaborate nell’ambito della scuola di Mileto19.
Contare per generazioni: genealogie, razze, memoria
9Contare per generazioni è il modo naturale di misurare il tempo per i greci20. Il paradigma della conoscenza è genealogico: conoscere il padre e la madre di un essere divino, di un eroe o di un mortale equivale a spiegarne la natura21. Esemplare è a questo proposito il dramma di Edipo: «i tuoi genitori non erano i tuoi genitori»22. Il tempo è, per così dire, incluso nei rapporti di filiazione e i figli sono la via umana all’immortalità23. Anche il celebre calcolatore astronomico di Antikythera (fig. 1), appare predisposto per calcolare le eclissi e i movimenti relativi dei pianeti per un arco di 30 anni, ovvero un intervallo accostabile a quello di una generazione24. Nel linguaggio della biologia contemporanea, ciascun essere vivente potrebbe essere descritto come l’incarnazione di un orologio, ovvero la combinazione di un oscillatore ciclico e di un contatore, infatti gli organismi sono indicatori del tempo lineare, irreversibile, ma nello stesso tempo sono sede di eventi ciclici; la vita si è perpetuata attraverso l’enormità della scala dei tempi che ci hanno preceduto (4 mld di anni) attraverso organismi discendenti e la duplice scala dei tempi che genotipo e fenotipo rappresentano costituisce l’elemento necessario alla vita sul nostro pianeta25.
10Tornando ai Greci, essi rappresentano il cosmo in una forma genealogica soggetta ad innumerevoli variazioni a seconda dei narratori e dei contesti26. Le potenze che calcano la scena anteriormente al ciclo di Zeus e degli Olimpici, costituiscono una specie di archeologia del mondo e non compaiono (o compaiono in forma assai sporadica) nel repertorio iconografico della ceramica figurata; insomma se le si cercano nel LIMC, si trovano solo i riferimenti letterari27; per un romanista invece, la ricerca si rivelerebbe molto più proficua: un’assenza che rivela un tratto culturale importante e contribuisce a dare forma al sistema. Non sono infatti Aion e Chronos le figure intorno alle quali i Greci “mitologizzano” nelle immagini che producono, ed esse sono assenti nel racconto figurato della cité des images, dove compaiono invece le Muse, figlie e “agenti segreti” della Memoria, dea Titana28.
11Posseduto dalle Muse, il poeta è l’interprete di Memoria, come il profeta, ispirato dal dio, è l’interprete di Apollo. Aedo e indovino hanno in comune uno stesso dono di veggenza, che hanno pagato a prezzo dei loro occhi, come il mito della cecità di Omero esemplifica29. Il dio che li ispira scopre loro, in una specie di rivelazione, le realtà che sfuggono allo sguardo umano: doppia vista che ha per oggetto, in particolare, le parti del tempo inaccessibili ai mortali per visione personale diretta. Ricordare, vedere, sapere sono termini equivalenti30. Documento esemplare di questa concezione della veggenza è, nel frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia, la figura del vecchio indovino (fig. 2), che esprime un gesto di spavento per ciò che pre-vede, e più in generale la messa in scena del terribile evento, con i partecipanti ancora intenti alla preparazione delle quadrighe e i regnanti in attesa dell’evento che l’indovino ha già visto. La facoltà di rimemorazione attraverso l’anamnesi ed il contatto con l’aiòn divino può condurre a ripercorrere il tempo delle vite precedenti, fino a 20-30 vite31.
12Si profila dunque il primato assoluto di Mnemosyne, sulla cui scienza occorre poter contare in tutte le situazioni in cui la parola e il giudizio svolgano un ruolo, tanto più importante quanto più esso è vincolato ad un’esperienza descrivibile in termini di visione32. Anche i re, alunni di Zeus, sono ispirati dalle Muse, sue figlie, soprattutto nell’esercizio delle loro funzioni arbitrali, come ben sottolinea Giovanni Cerri a proposito del proemio della Teogonia esiodea (79-97)33. Già nella piana di Mekone, esse celebravano la vita degli dei della seconda generazione, gli Olimpici, mescolata con quella degli uomini dell’età dell’oro34.
13Zeus effettua lui stesso, in qualità di sovrano, la divisione delle province e la ripartizione delle stagioni: a ciascuna divinità il suo geras35. Questo spiega la natura dei calendari greci «come registrazione di sistemi di obbligazione», secondo la felice espressione di Di Donato, e naturalmente costituisce il fondamento del diritto arcaico, illuminando la natura del conflitto sui temi giuridici che la tragedia porta in primo piano davanti al pubblico della città36.
14Il “mito” esiodeo delle “razze” costituisce un caposaldo del pensiero di Vernant: la sua lettura strutturalista è messa a punto in tre contributi successivi (1960, 1966 ed infine 1985), difesa di volta in volta dalle critiche ricevute37. Vernant riconosce in esso lo schema tripartito (religione, guerra, lavoro) dell’organizzazione sociale indo-europea formulata da Dumézil, il quale aveva suggerito un’interpretazione simile nel 1941 (lasciata cadere in seguito e poi ripresa a partire dalla proposta di Vernant), e al quale Vernant fa più volte riferimento nei suoi contributi38. «Questa struttura tripartita», osserva Vernant, «costituisce la cornice entro cui Esiodo ha reinterpretato il mito delle razze metalliche, e che gli ha consentito di integrare in questo, con piena coerenza, l’episodio degli eroi. Per il fatto di riflettere un sistema classificatorio di valore generale, la storia delle razze si carica di molteplici significati: mentre racconta la successione delle età dell’umanità, essa simboleggia nello stesso tempo una serie di aspetti fondamentali del reale»: «la succession des races dans le temps reproduit un ordre hiérarchique permanent de l’univers»39.
15Per il pensiero mitico, ogni genealogia è anche esplicitazione di una struttura, ogni “razza” possiede la sua età e temporalità propria40 (Tabella 1). Le età si succedono in un ciclo completo, per poi ricominciare nell’ordine inverso; perciò Esiodo, che appartiene alla razza del ferro, si augura di essere «morto prima o nato dopo» (Op. 175). La tensione tra Dike e Hybris – che costituisce la logica che articola i diversi piani del mito dandogli il suo significato generale – si ritrova tra le razze che si susseguono; sarebbe scorretto, ribadisce Vidal-Naquet, commentando a sua volta il mito esiodeo, cercare il segno di una progressiva decadenza; d’altro canto, lo studioso sottolinea come, estinguendosi completamente le razze, non si possa a rigore considerare l’umanità storica discendente dalle razze precedenti, inclusa quella dell’età dell’oro41.
16Il mito delle razze ha suscitato una lunga e complessa sequenza di interpretazioni, in quanto l’inserimento degli Eroi interrompe il tema della decadenza come anche la serie dei metalli; in generale la critica attribuiva tale stranezza alla sua presunta derivazione da un mito più antico42. L’analisi di Most ha dimostrato che le versioni post-esiodee del mito dipendono tutte da Esiodo e ne trasformano lo schema a quattro o tre parti43, a seconda che si consideri la successione Bronzo-Eroi-Ferro come un’unica sequenza o che si distingua la razza di Bronzo da un lato e quella degli Eroi e del Ferro dall’altro, dato che gli Eroi non si estinguono (parte di essi continua a vivere nelle Isole dei Beati) e gli uomini di Ferro non vengono creati (non vi è traccia di una loro genesi ad opera degli Olimpi, come invece per le altre razze; questo significa dunque che essi appartengono ad un’unica razza)44.
17Recentemente Calame è tornato sul tema, contestando radicalmente la validità della lettura vernantiana: un semplice récit, un logos, non un mito, secondo lo studioso, che propone di definirlo non più «mythe des races» bensì «récit des cinq familles» o «récit des cinq âges» o «récit des cinq clans» o infine «récit des cinq espèces humaines»45. Lo studioso, introducendo questa distinzione terminologica, invita a considerarlo un “semplice” racconto (ma non sarà una manipolazione modernista?), come proverebbe il riferimento che il poeta fa a se stesso, parlando dell’età del ferro ed entrando così in prima persona nel racconto. Nello stesso tempo, Calame critica la cornice indoeuropea in cui Vernant, sulla scia di Dumézil, ha inserito il “récit” delle razze, dal momento che la lettura strutturalista presupporrebbe una sincronia delle razze, sincronismo che di fatto non c’è. Inoltre (come aveva intravisto a suo tempo Vidal-Naquet) i gene sono creati da un dio onnipotente che non li inscrive in uno schema genealogico (in cui una terza entità dovrebbe essere gene rata dall’unione di due entità prime). «C’est dire que les géne ne correspondent pas à des “races”, mais elles représentent des ensembles de génerations d’hommes, des “espèces humaines” ou plus exactement des groupes d’ancêtres. C’est pourquoi à race, il est préferable de substituer... les termes de famille, de clan, d’espèce, voir d’âge si l’on tient compte de l’essentiel aspect chronologique de la succession des cinq groupes d’hommes»46.
18Pur comprendendo le riserve di Calame verso l’approccio strutturalista al mito esiodeo, mi chiedo se la lunga e dotta analisi dello studioso offra una spiegazione definitiva e chiarificatrice.
19Ad una rilettura complessiva del poema risalta infatti la centralità assoluta del tema mitologico della potenza di Zeus (come recita l’incipit: «Muses de Piérie, dont les chants glorifient, venez et dites Zeus, célébrez votre père, par qui tous les mortels sont obscurs ou illustres», Erga, v. 1-3), creatore degli uomini (il verbo è poiein per tutte le razze, inclusa quella in cui si inscrive Esiodo) e dominatore del mondo; da Zeus discende il destino umano e i miti di Prometeo, di Pandora e delle razze ne spiegano le caratteristiche, mentre Zeus è continuamente evocato nella seconda parte del poema come fonte e garante della ciclicità (e delle qualità) del tempo naturale da un lato, dell’ordine sociale dall’altro (donde l’ossessione della scelta giusta di comportamento, dal lato di Dike e della Eris positiva).
20Non si può rinunciare, mi sembra, alla cifra mitologica per la lettura dei diversi “racconti” in quanto sono tutti collegati appunto a Zeus e alla sua divina potenza.
21In conclusione, nonostante le debolezze rilevate nel corso di una quarantina di anni di studio, la lettura che Vernant ha proposto del mito delle razze resta esemplare per la potenza evocatrice delle figure che il poeta mette in scena47, per l’analisi sistematica degli aspetti delle diverse razze che hanno popolato la terra attraverso un gioco di opposizioni che realmente esiste nel poema48 (cf. Tabella 1), aldilà della sua interpretazione rigidamente strutturalista e funzionale alla visione tripartita delle società di matrice “indoeuropea”. Lo studioso, ripercorrendo le immagini vivi damente create da Esiodo, dà un contributo culturalmente rilevante alla ricerca sulla temporalità arcaica e sulla mentalità che sta dietro il mito messo in versi dal poeta, ovvero la sua “visione” del mondo; per questo è possibile rileggere oggi le pagine di Mito e pensiero dedicate alle razze con immutato interesse.
Tempo eterno, tempo lineare, tempo circolare o a zig-zag
22In un saggio del 1952, Vernant parte dal mito di Prometeo per raccontare “lo scorrere del tempo”: Costretto da Zeus fra cielo e terra, imprigionato su una montagna e incatenato saldamente a una colonna, colui che aveva consegnato agli uomini il loro cibo mortale, la carne, diventa ora il nutrimento dell’aquila di Zeus, l’uccello che porta il fulmine del dio ed è messaggero della sua forza invincibile. Tutti i giorni l’aquila divora il suo fegato, che tutte le notti ricresce. è come se il fuoco che Prometeo ha rubato facesse ritorno per il tramite dell’aquila divina sul suo fegato, così da ritagliarvi uno scampolo di banchetto senza fine49.
23La storia del fegato, osserva Vernant, «mostra infatti che ci sono almeno tre tipi di tempo e di vitalità. C’è il tempo degli dèi, l’eternità in cui nulla accade, tutto è già presente, nulla scompare. C’è poi il tempo degli uomini, un tempo lineare che scorre sempre nella stessa direzione, si nasce si cresce, si diventa adulti, si invecchia e si muore». Questa visione tripartita della vita umana è presente nei poemi omerici e si consolida in seguito50. L’uomo si trasforma, come illustra in modo esemplare l’enigma di Edipo. Tutti gli esseri viventi sono sottoposti a questo secondo tempo che, nel pensiero di Platone, procede in linea retta51.
«C’è, infine, un terzo tempo, suggerito dal fegato di Prometeo, è un tempo circolare o che va a zig-zag. Scandisce un’esistenza simile, per esempio, a quella della luna che cresce, cala fino a scomparire e poi rinasce, e lo fa all’infinito. Il tempo di Prometeo è simile ai movimenti degli astri, a quei movimenti circolari che si iscrivono nel tempo e permettono, attraverso loro, di misurarlo… Il fegato di Prometeo è, come gli astri, simile a ciò che dà ritmo e misura all’eternità divina e che svolge così un ruolo di mediazione fra il mondo divino e quello umano»52.
24Nella cultura greca pre-classica ci si imbatte in uno schema di rovesciamento o scorporamento delle età biologiche per noi davvero conturbante: uomini dell’età dell’argento che nascono e vivono nell’infanzia, morendo appena varcata la soglia dell’adolescenza, Giganti immutabilmente giovani e forti, uomini dell’età del ferro che nasceranno vecchi e moriranno giovani, mentre all’astuto Odisseo Atena regalerà una conversione istantanea giovinezza / vecchiaia e viceversa, arma prodigiosa per affrontare il destino dopo l’approdo alla sua Itaca53. La spiegazione, commenta Vidal-Naquet, sta nel fatto che sono gli dei a imporre il loro ordine del tempo agli umani: «En ce monde, dis-moi qu’ont les hommes dans l’âme? Ce que chaque matin le Père des humains et des dieux veut y mettre» (Od. XVIII, 136 s.). Su questo sfondo concettuale va proiettato anche l’attributo ideale della giovinezza che caratterizza i kouroi che popolano necropoli e santuari in età arcaica, inscindibile dalla nudità eroica, sintagma che rinvia ad un orizzonte semantico di andreia militare ed eccellenza sociale (fig. 3)54.
25La teoria tradizionale voleva che la cultura ellenica avesse conosciuto solo il tempo con svolgimento ciclico, ma Vidal-Naquet reagisce a questa semplificazione, rilevando come nel corso del V e poi nel IV sec. a.C. si assista ad una modificazione sostanziale dell’idea della temporalità55. Il tempo viene scandito in modo esplicito dalla nuova articolazione sociale, dal calendario e dai rituali della città, negli spazi dentro e fuori la città e con le regole della città, come l’autore ha mostrato con chiarezza insuperata nel saggio dedicato all’efebia ateniese56: sono i tempi degli uomini, appunto, e a ciascuno il suo. In età classica, insieme alla critica di Omero ed Esiodo, avanza infatti l’idea che il mondo umano abbia una storia sua propria. Nel V secolo a.C. le tecniche non sono più un dono degli dei o il frutto del furto di Prometeo bensì «conquiste dell’umanità progressive e datate»57. Tuttavia anche nel mondo “evoluto” della città58 il tempo conserva con modalità di volta in volta diverse dimensioni pre-politiche: il tempo sacro delle feste religiose e la sacralità del tempo ciclico legato alla coltivazione, alla navigazione e ad ogni attività umana.
26Come si è potuti arrivare alla nuova articolazione del tempo? Una crisi si coglie verso il VII secolo con l’abbandono dell’ideale eroico e l’affermarsi di valori legati alla vita affettiva e sottoposti a tutte le vicissitudini della vita umana, riflessi nella poesia lirica59. L’idea di «un tempo umano fuggente senza ritorno lungo una linea irreversibile, scalza l’idea di un ordine interamente ciclico, di un rinnovamento periodico e regolare dell’universo»60. Questa consapevolezza non elimina la percezione dei fenomeni di ciclicità cui è soggetto, comunque, il tempo umano, definito dal coro delle Trachinie, 129 s. : «Joies et peines pour tous se succèdent en cercle (kyklousin): on croirait voir la ronde des étoiles de l’ourse»61. I conflitti che entrano in gioco nella trasformazione epocale della società greca con il manifestarsi del fenomeno politico generano la tragedia, tema ampiamente trattato da Vernant e Vidal-Naquet62. Sullo sfondo, come sottolinea Vidal-Naquet, si consuma la scissione tra “scienza” e “storia”, con lo svolgimento parallelo e indipendente delle cosmogonie, che rendono conto dei cambiamenti, e della storia umana, con i suoi molteplici paradgmi.
27Come si riflette questa mutata sostanza del tempo nella vita delle persone? Le migliaia di stele classiche rinvenute ad Atene ed in larga parte del mondo greco producono un sistema iconografico articolato in classi di età le cui premesse si erano avvertite intorno alla fine del VI secolo a.C.63: esse vanno lette, come ha dimostrato J. Bergemann, nel contesto dello spazio funerario in cui si collocano – il peribolo – valorizzando le relazioni che si creano tra i monumenti stessi e in funzione del gruppo familiare che ne fruisce64. L’obiettivo principale sembra rappresentare, nello spazio sepolcrale della famiglia o direttamente sulle singole stele, le diverse generazioni; le stele a più personaggi, come quella di Hierokles di Ramnunte (fig. 4), sono utili per esplorare questo modo nuovo di celebrare il gruppo familiare in cui bambini e vecchi trovano un posto di rilievo, a differenza del passato aristocratico65. Una serie di epitaffidi IV sec. a.C., di IV sec. a.C., inoltre, celebra la longevità del defunto, fatto assolutamente senza precedenti, che ben si accorda con il moltiplicarsi di figure di anziani e la cura posta nella loro resa iconografica66 (fig. 5-6). è proprio questo nuovo modo di organizzare la temporalità (e di includere la vecchiaia) che rende possibile la nascita del modello del buon cittadino come filosofo, che Zanker ci ha insegnato a riconoscere67.
28Mi soffermo sulla stele che rappresenta una nonna, Ampharete, con il nipotino (fig. 7), e che, proprio a causa della discordanza tra l’iconografia – nello schema classificabile come “madre con bambino” – e la persona di età matura cui è destinata, è stata interpretata come frutto di un rapido acquisto in magazzino, tra stele già pronte68, non tenendo conto proprio del sofisticato rinvio ad un modello che incarna la continuità delle generazioni. Il tema viene ripreso con grande efficacia dalla celebre stele dell’Ilisso (fig. 8), che racchiude nella sua iconografia l’allusione alle tre età dell’uomo, evocando l’immagine che emerge dall’enigma che la sfinge pone ad Edipo (Soph., Oed. tyr., 396-98)69.
La città e la sua “preistoria”
29Nel passaggio ad un tempo lineare, un ruolo fondamentale sembrano averlo avuto i filosofi ionici, avvezzi a confrontarsi con le culture orientali e le loro grandi e antiche competenze astronomiche. Dalla metà del terzo millennio la documentazione sumerica indica infatti una conoscenza appropriata del movimento del Sole e della Terra e del suo riflesso nella vita pratica70, e all’incirca dalla stessa epoca si identifica, grazie agli scavi di Ebla, un calendario luni-solare di dodici mesi che compongono un anno71. Questi Greci di frontiera hanno avuto ampia esperienza di un sentire diverso e hanno contribuito ad innescare una reazione, che ha portato al nuovo approccio logico all’essere, adatto alle nuove situazioni72.
30Eraclito avrebbe fornito una stima del grande anno o anno cosmico, fissando i tratti essenziali della concezione “ellenica” del tempo. La visione relativista di Anassimandro viene messa in rapporto da Vernant con l’ideale del “middling man” e l’ideologia della polis73: un fattore certamente fondamentale, quello politico, ma probabilmente un approfondimento parallelo del campo del pensiero scientifico, da sempre relegato sullo sfondo, tornerebbe utile74.
31Cerri, commentando il poema di Parmenide sulla natura, riscontra un «parmenidismo inconsapevole di Hawking»75; lo studioso è colpito dal fatto che «la fisica contemporanea possa giungere a proiezioni epistemologico-cosmologiche del tutto affini a quelle dell’eleatismo, sulla base di identificazioni scientifiche, quali spazio = tempo, materia = energia, infinito = finito, secondo il modello della superficie sferica, ecc., non meno conturbanti per la nostra sensibilità comune di quanto lo furono per la sensibilità corrente dei Greci del VI-V sec. a.C. le identificazioni proposte dalla sciena ionica”76. Spazzato il campo, grazie a Gernet, dal «miracle grec» a suo tempo evocato da Burnet, dovremmo di nuovo riconsiderare la “questione ionica” nel suo complesso77.
32Un gruppo di grecisti dell’équipe E.R.A.S.M.E. ha recentemente riesaminato con risultati di grande interesse il complesso delle fonti greche relative all’antropogenesi e la tradizione critica di studi sull’argomento, osservando come l’approccio scientifico corrente all’ominazione riproponga modelli derivati dalle più antiche tradizioni elleniche78. I miti in questione drammatizzano infatti il passaggio da un ambiente facile e condizioni di vita quasi animale agli affanni del presente, dove lo sforzo rappresenta il principio dell’antropogenesi. Penuria, lavoro, mortalità: dal modello severo della Torah e dell’evoluzionismo agli universi di abbondanza dei cacciatori-raccoglitori evocati da Marshall Sahlins79. La convergenza delle rappresentazioni contemporanee dell’ominazione e dei modelli antichi del “grado zero dell’umanità” ruota intorno alla natura fondamentalmente antropologica della questione della preistoria e della definizione stessa dell’umano80.
33Il mito dell’età dell’oro, d’altronde, conosce molte versioni diverse e molti usi, che Vidal-Naquet ha esaminato soprattutto in relazione a Platone, partendo da Dicearco, discepolo diretto di Aristotele, che cerca di conciliare una visione pessimistica della storia e le difficili condizioni di vita dei primi uomini, che mal si accordavano con il mito di una età dell’oro; lo fa sostituendo ad un’abbondanza senza limiti la frugalità, la semplicità del regime di vita. «La scarsità (spanis) di prodotti naturali della terra conferma il privilegio di un regime conforme ai dettami della scienza medica più avanzata. L’invenzione dell’economia pastorale (e con essa della guerra e della caccia) e, più tardi, quella dell’agricoltura (e con essa di tutti i regimi politici noti agli uomini del IV sec.) segnano una radicale rottura rispetto a questo modo di vita». Si potrebbe osservare, ritornando ad Esiodo, che il poeta descrive gli uomini di Bronzo come esseri che «non mangiano pane» (Op. 146 s.), mentre nella razza degli eroi, che si avvicenda ad essi sulla terra, quelli di loro cui Zeus concede di continuare ad esistere nelle Isole dei Beati, godono tre volte l’anno di una fiorente e dolce raccolta (Op. 171-73). La descrizione teofrastea dell’umanità primitiva intreccia strettamente ai tratti vegetariani e idilliaci l’evocazione cruenta dell’allelofagia, del cannibalismo. Per Vidal-Naquet, «Dicearco e Teofrasto storicizzano miti molto antichi e interpretano nella forma di una evoluzione storica progressiva il cammino dal tempo delle querce e delle ghiande, che per Dicearco è anche quello di Crono, sino al tempo delle città e degli imperi, che è quello di Atene e di Alessandro». Quanto a Platone, nelle Leggi identificherà il regno di Crono con l’età dell’oro81, caratterizzato non solo dall’abbondanza, ma anche dalle istituzioni e da un lessico politico. Il primitivismo come soluzione di ripiego82. D’altro canto Prota gora indica nelle virtù culturali degli esseri umani (Aidos e Dike), lo strumento principale della loro forza, spostando dalle technai alla struttura il requisito fondamentale per comprenderne l’evoluzione.
Per concludere: un passato al quadrato
34Per concludere, il passato, anche remoto, non può essere affrontato se non in relazione con il presente. Esiste in funzione del presente, ovvero di chi lo legge. Ogni lettura del passato si colloca in una dimensione temporale e culturale che produce (di base) un duplice processo di decodificazione. Vernant ripercorrendo le fasi iniziali della sua ricerca evoca la febbre della mitologia degli anni’70, suscitata da Dumézil e Lévi-Strauss e trasmessa a un gruppetto di ellenisti pronti ad addentrarsi nel comparativismo e nello strutturalismo83, approdando ad un metodo antropologico, attraverso il passaggio delle categorie psicologiche di I. Meyerson.
35Il fatto che nel pensiero moderno il tempo fosse concepito come elemento omogeneo, analogo allo spazio vuoto – secondo una concezione propria della fisica classica messa in discussione solo a partire dalla seconda metà del’900 – influenza anche la lettura “classica” delle concezioni del passato. Boncinelli, biologo molecolare, nota come tra il 1860 e il 1960 lo studio della fenomenologia del tempo psicologico sia stata condotta «attraverso una psicofisica della durata» (come se la mente non esistesse) mentre negli ultimi quaranta anni si è affermato un approccio cognitivista che introduce nuovi elementi di definizione del presente dinamico e della sua complessità. E oggi? Da un lato la ricerca di una perfezione di misurazione del tempo lineare attraverso congegni atomici (UTC ovvero il tempo universale), dall’altro la nascita del crono-spazio e di un’interpretazione del tempo in cui ciclicità e linearità sono definiti i due volti, inseparabili, del tempo: un moto elicoidale del Tempo (misurabilità e irreversibilità), che fa tornare alla mente l’immagine evocata da Vernant del fegato di Prometeo. La frattura è netta rispetto alla concezione della fisica classica cui ancora la cultura umanistica del’900 è legata.
36Entrando in qualunque libreria ben fornita, curiosando a zig-zag tra i settori scienza, filosofia, psicologia e forse altri che non ho identificato (rappresento il pubblico generalista, quando non scelgo da archeologa), ci si può imbattere in una serie di opere più o meno divulgative e più o meno scientifiche che indirizzano il nostro orizzonte verso un cognitivismo globale (tra fisica e mente: Hawkings, Boncinelli, Prigo gine e molti altri). Ci viene incontro un’antropologia che non è più solo culturale e non è tuttavia solo fisica e le archeologie storiche non sembrano, al momento, interessate al dialogo; l’archeologia “globale” sembra un progetto vago. Eppure per fare nostra l’opera di attualizzazione dell’antichità greca seguendo l’esempio di Vernant e Vidal-Naquet, dovremmo, mi sembra, ancora una volta ricalibrare le indagini sul passato sulle questioni del presente.
37Présentifier: Vernant lo usava molto, soprattutto nel parlato (io lo ricordo nei seminari) esprimendo il transito da un piano simbolico al piano sociale84. Tale “presentificazione” avviene attraverso il mito, che lo studioso amava ri-raccontare sempre con grande partecipazione e coinvolgimento: un racconto venuto dalla notte dei tempi, che non dipende dall’invenzione personale né dalla fantasia creatrice, ma dalla trasmissione e dalla memoria.
38Memoria, oralità e tradizione rappresentano le condizioni di esistenza e di sopravvivenza del mito; lo storico e l’antropologo ricostruiscono «lo sfondo intellettuale di cui il filo della narrazione è la testimonianza, il telaio, anche attraverso la comparazione con i racconti tradizionali di altri popoli»85. L’azione di trasmissione del mito ricade dunque tanto nel campo delle società che li hanno creati e usati, tanto in quello dei moderni che, studiandoli e riconsegnandoli all’immaginario collettivo, contribuiscono a conservarli in un altrove di tempo e di spazio. La “trasmissione” come conoscenza: l’informazione siamo noi, dentro, attraverso, oltre il tempo.
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Abbreviazioni bibliografiche
Bergemann 1997: J. Bergemann, Demos und Thanatos. Untersuchungen zum Wertsystem der Polis im Spiegel der attischen Grabreliefs des 4. Jhs. v. Chr. und zur Funktion der gleichzeitigen Grabbauten. München, 1997.
Boncinelli 2006: E. Boncinelli, Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima, Roma-Bari, 2006.
Cacciatore nero: P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero. Forme di pensiero e forme d’articolazione sociale nel mondo greco antico. Ed. it. Torino, 1988 (Le chasseur noir. Formes de pensée et formes de société dans le monde grec. Paris, 1981).
10.3917/dec.calam.2006.01 :Calame 2006: C. Calame, Pratiques poétiques de la mémoire: représentations de l’espace-temps en Grèce ancienne. Paris, 2006.
Cerri 1999: G. Cerri, Parmenide di Elea. Poema sulla natura. Introduzione, testo, traduzione e note. Milano, 1999.
Clairmont 1970: C. W. Clairmont, Gravestone and Epigram. Greek Memorials from the Archaic and Classical Period. Mainz, 1970.
D’Onofrio 1998: A. M. D’Onofrio, Oikoi, généalogies et monuments: réflexions sur le système de dédicaces dans l’Attique archaïque, in: P. Schmitt Pantel, F. de Polignac éd., Entre public et privé en Grèce ancienne: lieux, objets, pratiques, Actes du colloque international, Paris, 15-17 mars 1995, (Ktema 23, 1998), p. 103-123.
EUREKA: E. Lo Sardo (ed.), EUREKA, il genio degli antichi. Napoli, 2005.
L’espace et le temps: J.-P. Vernant et P. Vidal-Naquet, La Grèce ancienne, 2. L’espace et le temps. Paris, 1965.
La Grèce ancienne: J.-P. Vernant et P. Vidal-Naquet, La Grèce ancienne, Paris, 1965-1972, 3 vol. (1. Du mythe à la raison, 1965; 2. L’espace et le temps, 1965; 3. Rites de passage et transgressions, 1972).
La préhistoire des Anciens: Archéologie des savoirs, La préhistoire des Anciens, Anabases 3, 2006, p. 101-212.
Mazon 1996: P. Mazon, Hésiode. Théogonie – Les travaux et les jours–Le bouclier, Téxte établi et traduit par P. Mazon, 5e éd., Paris, 1966 (1ère éd. 1928).
Mazzarino 1966: S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 2. Roma-Bari, 1966.
10.2307/2504249 :Momigliano 1966: A. Momigliano, Time in Ancient Historiography, History and Theory, Beiheft 6, p. 1-23 (ripreso in Quarto contributo alla storia degli studi classici nel mondo antico, Roma, 1969, p. 13-41).
Most 1997: G. W. Most, Hesiod’s myth ofthe five (or three or four) races, Proceedings of the Cambridge Philological Association, 43, 1997, p. 104-127.
MP: J.-P. Vernant, Mythe et pensée chez les Grecs. Études de psychologie historique. Paris, 1965 (trad. it. Mito e pensiero presso i Greci: Studi di psicologia storica, Torino, 2a ed., 1978).
Onians 1998: R. B. Onians: Le origini del pensiero europeo intorno al corpo, la mente, l’anima, il mondo, il tempo e il destino, ed. it. Milano, 1998.
Pettinato 2005: G. Pettinato, La scienza del cielo presso gli Assiri e i Babilonesi, in: EUREKA, p. 40-47.
TDTH: P. Vidal-Naquet, Temps des dieux et temps des hommes, in: L’espace et le temps, p. 135-163.
UDU: J.-P. Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini. ed. it. Torino 2000 (Paris, 1999).
Vernant 1952: J.-P. Vernant, Prométhée et la fonction technique, JdPs 45, 1952, p. 419-429 (trad. it. : Prometeo e la funzione tecnica, in: MP, p. 273-84).
Vernant 1957: J.-P. Vernant, Du mythe à la raison. Recherches sur la formation de la pensée positive en Grèce archaïque, Annales ESC, 1957, p. 183-206 (trad. it.: MP, p. 383-415).
Vernant 1959: J.-P. Vernant, Aspects mythiques de la memoire en Grèce, JdPs 56, 1-29 (trad. it.: Aspetti mitici della memoria, in: MP, p. 93-124).
Vernant 1960a: J.-P. Vernant, Le fleuve Amélès et la Mélétè thanatou, Revue philosophique, 1960, p. 163-179 (trad. it. : MP, p. 125-143).
Vernant 1960b: J.-P. Vernant, Le mythe hésiodique des races. Essai d’analyse structurale, Revue de l’Histoire des Religions, 1960, p. 21-54 (trad it.: MP, p. 15-47).
Vernant 1963: J.-P. Vernant, Géométrie et astronomie sphérique dans la première cosmologie grecque, La Pensée, 109, 1963, p. 82-92, (trad. it. : MP, p. 201-217).
Vernant 1965: J.-P. Vernant, Espace et organi sation politique en Grèce ancienne, Annales E. S. C., p. 576-595 (trad. it. : Spazio e organizzazione politica nella Grecia antica, in: MP, p. 243-69).
Vernant 1966: J.-P. Vernant, Le mythe hésiodique des races. Sur un essai de mise à point, Revue de Philologie, 40, 1966, p. 247-276 (trad it. : Il mito esiodeo delle razze. Su un tentativo di messa a punto, in: MP, p. 48-99).
Vernant 1968: J.-P. Vernant, Structures géométriques et notions politiques dans la cosmologie d’Anaximandre, Eirène 7, 1968, p. 5-23 (trad. it. : Struttura geometrica e nozioni politiche nella cosmologia di Anassimandro, in: MP, p. 218-242).
Vidal-Naquet 1978: P. Vidal-Naquet, Plato’s myth of the statesman, the ambiguities of the Golden Age and of history, JHS, XCVIII, 1978, p. 132-141 (trad. it. : Il mito platonico del «Politico»: le ambiguità dell’età dell’oro e della storia, in: Cacciatore nero, p. 257-275).
Zaccaria Ruggiu 2006: A. Zaccaria Ruggiu, Le forme del tempo. Aion, Chronos, Kairos, Padova, 2006.
Notes de bas de page
1 Il percorso comune si snoda nei tre volumi La Grèce ancienne che riuniscono, nel 1965 e nel 1972, contributi già classici. Essenziale mi sembra la ricostruzione delle tappe di questo percorso, a partire dal 1957, tracciata da Vidal-Naquet nella presentazione al vol. 2, L’espace et le temps, p. 9-10, in cui riconosce nel livello della politica il terreno d’incontro. D’altro canto Vidal-Naquet sottolinea come Vernant 1965 «est d’abord un compte rendu critique du livre que Pierre Lévêque et moi avions publié en 1965: Clisthène l’Athénien» (L’espace et le temps, p. 10).
2 Con un vero e proprio lavoro di scavo, cf. Vernant, UDU, p. 7, nella prospettiva antropologica aperta da L. Gernet, cf. J.-P. Vernant, De la psychologie historique à l’anthropologie de la Grèce ancienne, Métis, 4, 1989, p. 305-314.
3 Zaccaria Ruggiu 2006, p. 8, 21-23; cf. Ph. Wolff, Le temps et sa mesure au Moyen Âge, Annales ESC, 17/6, 1960, p. 1141-1145. Per gli aspetti linguistici della modellizzazione del tempo, cf. G. R. Cardona, I sei lati del mondo. Bari, 19882, p. 67-78.
4 Vernant 1959; Vernant 1960a; per i riferimenti a tali contributi utilizzo l’edizione it. di Mito e pensiero del 1978 (MP). Il saggio di I. Meyerson, Le temps, la memoire et l’histoire, JdPs, 1956, p. 333-357 precede e ispira, com’è noto, le riflessioni di Vernant sulla memoria.
5 TDTH. Momigliano 1966 segue e si ricollega alla ricerca di Vidal-Naquet (cf. TDTH, p. 135, n. 2), mentre S. Mazzarino la riformula come «teoria dell’interferenza tra “temps des dieux et temps des hommes” nell’intuizione greca della storia», esprimendo riserve sulla sua utilità nella «concreta ricerca sulla storia del pensiero storico classico» (Mazzarino 1966, p. 457 s.).
6 Vernant 1952; Vernant 1960a; Vernant 1960b; Vernant 1963; Vernant 1965; Vernant 1966; Vernant 1968; Vidal-Naquet 1978.
7 La teorizzazione del tempo matematico (senza relazione ad alcunché di esterno) risale a Isaac Newton (cf. Boncinelli 2006, p. 10 s.). Tale concezione del tempo «unitaria, lineare e obiettiva, matematicamente divisibile del tempo» ha dominato anche il pensiero storico, grosso modo fino agli anni ’50, come osserva J. Le Goff, L’Occidente medievale e il tempo, in: Le Goff, I riti, il tempo, il riso, p. 115. Onians 1998, p. 493, ne attribuisce il rovesciamento, da angolazioni diverse, ad Einstein e Bergson. Cf. infra, p. 74.
8 Blocktime, Boncinelli 2006, p. 29-43. Per il dibattito sull’argomento intercorso tra Einstein e Popper e per la posizione di Hawking, cf. Cerri 1999, p. 67-69 e la trattazione più particolareggiata dello stesso autore, Parmenide fisico, Seminari romani, 8, 1 2005, p. 101-112.
9 Cf. A. Manco (ed.), G. Guillaume, Tempo e verbo. Teoria degli aspetti, dei modi e dei tempi. Napoli, 2006, p. 23 s.; cf. dello stesso autore, L’architectonique du temps dans les langues classiques, 1945.
10 F. Braudel, Histoire et sciences sociales: La longue durée, Annales ESC, 13, 4, 1958, p. 725-753.
11 La formulazione del titolo in TDTH deriva evidentemente da Erodoto, III, 122, in cui Policrate è descritto come il primo del «tempo degli uomini» («τῆς δὲ ἀνθρωπηίης λεγομένης γενεῆς»), ad aspirare ad un impero marittimo; Minosse e i suoi predecessori si collocano infatti in un tempo mitico (cf. TDTH, p. 148 s.). J. Le Goff, Au Moyen Âge: temps de l’église et temps du marchand, Annales ESC, 1960/3, p. 417-433 (confluito in Id., Pour un autre Moyen Âge. Temps, travail et culture en Occident, Paris, 1977; trad. it. Torino 1977).
12 Sul processo di decolonizzazione degli studi di storia greca cf. A. Momigliano, Prospettiva 1967 della storia greca, in: Quarto Contributo alla storia degli studi Classici. Roma, 1969, p. 43-58; a p. 52 lo studioso osserva come «linee interpretative come quella di Vernant sono più agevoli a raggiungersi in paesi come la Francia, dove l’associazione tra sociologi, antropologi e storici antichi è di lunga data e dove ci si aspetta che gli storici antichi parlino a un pubblico che non sia di filologi classici». Momigliano si attribuisce, a p. 54, il merito di aver liberato la nozione del Tempo tra i Greci «della mitologia moderna che gli studiosi erano riusciti a creare sulla cosiddetta intuizione circolare del tempo tra i Greci», riservando a Vidal-Naquet solo una rapida citazione (Momigliano 1966, p. 13, n. 1).
13 A. Momigliano, Sullo stato presente degli studi di storia antica (1955), in: Secondo Contributo alla storia degli studi Classici. Roma, 1960, p. 350: «A un giovane amico che insisteva per adottare, per il VI secolo d. C., i metodi di storia tripartita del Braudel, io che pure del Braudel sono ammiratore mi sono permesso di consigliare – come più sicuro – lo studio della storia tripartita di Cassiodoro, di cui abbiamo, finalmente, una edizione critica».
14 Per il campo semantico del termine latino, prossimo a weather più che a time e fortemente connesso con i lavori agricoli e con il contesto rurale in genere, Vernant rinvia a E. Benveniste, Latin Tempus, in: Mélanges de philologie, de littérature et d’histoire anciennes offerts à Alfred Ernout. Paris 1940, p. 11-6. L’approccio etimologico in generale è criticato sia da Vernant sia da Vidal-Naquet (TDTH, p. 137, n. 14, con ulteriore bibliografia; cf. le recensioni di Vernant a Onians, in JdPs, 46, 1953, p. 244-245; JdPs, 52, 1955, p. 314).
15 Cf. S. Settis, Futuro del classico. Torino, 2004, p. 92 s. Il metodo retrospettivo si fonda sull’idea di una sostanziale chiusura e autonomia dei gruppi etnici e prospera nell’ambito dell’archeologia storico-culturale. Puntuale e corrosiva la critica all’ideologia dell’autoctonia elaborata, tra passato e presente e a partire dal paradigma ateniese, da M. Detienne, Comment être autoctone. Du pur Athénien au Français raciné. Paris, 2003.
16 TDTH, p. 137. Fondamentale appare il riferimento alla scrittura (sull’analogia tra la mente e un blocco di cera, o un libro e sul tema dell’anima come un supporto da modellare e iscrivere, cf. M. M. Sassi (ed.), Tracce nella mente. Teorie della memoria da Platone ai moderni. Pisa, 2007).
17 Vernant 1966: «Il tempo ciclico non è meno tempora le del tempo lineare: lo è solo in modo diverso» (MP, p. 51); cf. Mazzarino 1966.
18 Pindaro, Pyth., VIII, 95-97: «Être liés au temps («Ἐπάμεροι τί δὲ τις»); qu’est-il et que n’est-il pas? L’homme est le songe d’une ombre», cf. TDTH, p. 142, n. 35.
19 TDTH, p. 142-153. Cf. infra, p. 73.
20 Vernant 1959 (MP, p. 100).
21 Vernant, MP, p. 8, sottolinea la relatività storica della categoria psicologica della persona e le sue molteplici dimensioni, rifiutando l’idea di una persona modello, estranea al corso della storia umana.
22 UDU, p. 170-171. Cf. J.-P. Vernant, Œdipe sans complexe, Raison Présente, 4, 1967, p. 3-21 (confluito in Vernant e Vidal-Naquet, Mythe et tragédie en Grèce ancienne. Paris, 1972).
23 TDTH, p. 57. Cf. Elisa Avezzù e Oddone Longo (a cura di), Koinon Aima. Antropologia e lessico della parentela greca. Bari, 1991; cf. D’Onofrio 1998.
24 M. T. Wright, Il meccanismo di Anticitera: l’antica tradizione dei meccanismi ad ingranaggio, in: EUREKA, 240-244. Per la ricostruzione di Gleave, cf. S. Settis, Archeologia delle macchine, ibid., p. 34 s. Si tratta di «un calcolatore astronomico a ingranaggio, con ruote dentate, congegnato in modo da porre in relazione reciproca i moti del sole e della luna secondo il rapporto fisso di 254 rivoluzioni della luna ogni 19 anni solari, mediante l’uso di un differenziale», con una data astronomica – c. 87 a.C. – ricavabile dallo stesso congegno. Per la durata di una generazione, cf. Mazzarino 1966, p. 433.
25 Boncinelli 2006, p. 70 s.. Genotipo: natura genetica di un organismo; fenotipo: particolare attuazione del genotipo.
26 Vernant ne ha tracciato in UDU la struttura fondamentale, con un’astrazione operativa di grande efficacia evocativa, a patto di restare consapevoli del suo valore appunto, di astrazione.
27 Mi riferisco ad Aither, Chaos, Kronos, Ouranos, Okeanos, ecc.; ad eccezione di Ge, per la quale cf. M.B. Moore, LIMC IV, 1988, 171-177: nel repertorio iconografico compare solo nel secondo quarto del VI a.C., quando essa è rappresentata come madre supplice nella Gigantomachia e nella lotta di Apollo contro Tityos.
28 Cf. Zaccaria Ruggiu 2006, in particolare p. 21: «Aion assume il significato di “eterno” in contrapposizione a “Chronos”, espressione della dimensione temporale di ciò che diviene, nasce e muore, a partire dalla filosofia di Platone… e di Aristotele. Ma Aion, a partire dall’epica, significa “midollo spinale” e rappresenta il luogo, sede e centro della forza vitale, assumendo in generale il valore di “vita”». Cf. Onians 1998, p. 243 s. Su Mnemosyne madre delle Muse, cf. M. Simondon, La mémoire et l’oubli dans la pensée grecque jusqu’à la fin du Ve siècle av. J.-C. Paris, 1982, p. 103 s.
29 La relazione del poeta con Mnemosyne è oggetto di un contributo chiarificatore di W. Rösler (Wine and Truth in the Greek Symposion, in: O. Murray-M. Tecuşan, In Vino Veritas, Oxford, 1995, p. 106-112); quanto alla funzione delle Muse in Omero, cf. TDTH, p. 137-139.
30 Cf. A. Roselli, ANAΠEMΠAΖEΣΘAI: termine tecnico del lessico della memoria, AION (filol.), XXIX, 2007, p. 111-126. Cataloghi, archivi (come in Omero il catalogo delle navi, dei migliori guerrieri e dei migliori cavalli achei): Vernant 1957, p. 183-206 (MP, p. 399); Vernant 1959 (MP, p. 95-97).
31 Polarità Memoria / Dimenticanza esplorata da Vernant 1959 (MP, in part. p. 101-104). La rimemorazione delle vite anteriori come esercizio di ascesi (10-20 vite, allusione a Pitagora nel poema di Empedocle), cf. ibid., MP, 109 s. Notiamo che la misura coincide grosso modo con quella utilizzata per il meccanismo di Antikythera, che registra fino a trenta cicli di anni lunari, cf. supra, p. 57 e n. 23.
32 «L’idea di immagine mentale e la concezione della parola come forza in grado di produrre nel suo destinatario un tipo di esperienza descrivibile in termini di visione sono, del resto, tutt’altro che estranee alla cultura omerica»: R. Velardi, Parola e immagine nella Grecia antica (e una pagina di Italo Calvino), AION (filol.), XXVI, p. 202 (ma si veda in generale tutto l’articolo, p. 191-219).
33 «Calliope accompagna e protegge i re che la gente rispetta… da Zeus vengono i re, ma beato quello caro alle Muse» (Hes., Theog., v. 79-97); mi riferisco ad una lezione tenuta da G. Cerri presso il Dipartimento di Studi del Mondo Classico dell’Università “L’Orientale” di Napoli il 21 ottobre 2008.
34 UDU, p. 49.
35 Da un lato esiste una tripartizione del cosmo con i domini di Zeus, Posidone e Ade, figli di Crono e Rea, cf. Vernant 1968 (MP, p. 229, che rinvia a Il. XV, 189 s.), dall’altro Zeus assegna i domini nell’ambito del suo regno agli dei olimpici, cf. UDU, p. 51; (MP, p. 386: qui Vernant evoca le cerimonie babilonesi per il Nuovo Anno e l’epopea di Kummarbi). «Il mondo creato da Zeus è un mondo della ripartizione, un universo gerarchizzato, organizzato in gradi, sulla base di differenze di condizione e di onori»: UDU, p. 54.
36 R. Di Donato, Hierà. Prolegomena ad uno studio storico antropologico della religione greca. Pisa, 2001, p. 280.
37 Bibliografia sulla “linea vernantiana” in Most 1997, p. 107 e nota 21; da ultimo Calame 2006, su cui mi soffermo più oltre. è interessante notare che Vidal-Naquet sottolinea che al momento della stesura del suo TDTH non era a conoscenza del saggio di Vernant sul mito esiodeo delle razze, pubblicato nel 1960 in contemporanea con il suo contributo, cf. TDTH. p. 140 e nota 24.
38 Vernant 1960b (MP, p. 42 s., nota 3: «...Più tardi, Dumézil accettò come soddisfacente l’interpretazione proposta da Goldschmidt... Egli ci ha detto che il nostro studio gli è sembrato tale da confermare il valore della sua ipotesi originaria». Cf. l’esordio della sua risposta a J. Defradas, in Vernant 1966 (MP, p. 49, con bibliografia).
39 Vernant 1960b, Vernant 1966, Vernant 1985. Cf. Most 1997, p. 107 e nota 21; Calame 2006, p. 88.
40 Vernant 1959 (MP, p. 100). Vernant 1960b, p. 43: «Se si traduce questo gioco d’immagini e di corrispondenze simboliche nel nostro linguaggio concettuale, si può presentarlo sotto forma di tabella a parecchie entrate.... »; una tabella interpretativa che però non è stata fatta; quella che propongo invece si limita a schematizzare le polarità e le analogie delle immagini esiodee, per fornire un supporto alla riflessione, utile data la complessità del mito.
41 Cf. Cacciatore nero, p. 259. Cf. Vernant 1960b (MP, p. 18 s.).
42 Vernant 1966 (MP, p. 86).
43 Most 1997, p. 105-107. Si confermerebbe l’intuizione di Mazon e la validità della posizione di Vernant, secondo cui, indipendentemente dalle origini del tema mitico, «dobbiamo dunque prendere il racconto così come si presenta nel contesto delle Opere e i giorni e chiederci quale significato abbia sotto questa forma»: Vernant 1960b (MP, p. 18).
44 Most 1997, p. 110-111: I Oro II Argento III Bronzo-Eroi-Ferro; I Oro II Argento III Bronzo IV Eroi-Ferro (ibid., p. 114).
45 Calame 2006, p. 85-142, in part. 86-88; cf. ibid., p. 132 s. Una critica generale al «desiderio di operare in un mondo mitologico chiuso e abbastanza confortevole che ho criticato nell’opera di Dumézil e dei suoi seguaci. Essi operano in una terra dorata di società e credenze protoindoeuropee che non ha radici né nel tempo né nello spazio» (C. Renfrew, Archeologia e linguaggio, ed. it. Bari, 1999, p. 322).
46 Calame 2006, p. 91. Eppure, proprio in virtù dell’assenza di una discendenza generazionale in quanto creazioni indipendenti della divinità che le mette sulla terra a suo piacimento (e non secondo le regole della discendenza genealogica) risulta arduo qualificare le razze come «des groupes d’ancêtres».
47 Vernant ha disseminato nella sua opera la sua percezione del mito, un racconto che viene dalla notte dei tempi; «…neanche il mito è vivo se non viene ancora raccontato, di generazione in generazione, nel corso dell’esistenza quotidiana. Altrimenti, relegato in fondo alle biblioteche, fissato in forma scritta, viene trasformato in riferimento dotto per una élite di lettori specializzati in mitologia». E ancora: «ho cercato di raccontare questi miti come se la loro tradizione potesse tramandarsi ancora» e in effetti tali miti hanno fatto parte profondamente del vissuto dello studioso, che ci rende partecipi di questo intreccio vitale raccontando la sua esperienza di narratore di miti per il nipotino Julien (UDU, p. 6-8).
48 Cf. Mazon 1996, p. 90, a proposito delle razze d’oro e d’argento: «Les deux peintures se correspondent exactement, et les traits qui composent chacune d’elles ne prennent toute leur valeur que lorsqu’on les compare aux traits correspondants de l’autre».
49 Vernant 1952 (MP, p. 273-84); cf. UDU, p. 68-71.
50 Most 1997, p. 121 (con bibliografia: J.-C. Carrière, Le mythe prométhéen, le mythe des races et l’émergence de la Cité-État, in: F. Blaise, P. Judet de la Combe et P. Rousseau (éd.), Le Métier du mythe. Lectures d’Hésiode (1996), p. 393-429; W. Hartmann, De quinque aetatibus Hesiodeis, Diss. Freiburg 1915, p. 49-51, 54-56).
51 Cf. infra, p. 18 e n. 69 (UDU, p. 171 s.); per Platone, cf. TDTH, p. 154-162.
52 UDU, p. 70.
53 Odissea, XIII, 429 s. Vidal-Naquet si sofferma sull’incoerenza della cronologia omerica (Penelope non invecchia, Nestore è sempre vecchio), lasciando aperta la questione, cf. TDTH, p. 139 e n. 23 (con bibliografia).
54 Cf. A. M. D’Onofrio, Il kouros arcaico in Grecia, in: M. Landolfied., Kouroi Milani. Ritorno ad Osimo, cata logo della mostra di Osimo, Palazzo Campana, 25 novembre 2000-30 giugno 2001, Roma 2001, p. 15-22. Sul problema dell’età dei defunti onorati con questo tipo di monumento, cf. D’Onofrio 1998; una interpretazione in chiave oplitica e cittadina è offerta da D. Steuernagel, Der gute Staatsbürger: Zur Interpretation des Kouros, Hephaistos, 10, 1991, p. 35 s. ; l’ideale di kalokagathia è descritto da Vernant in modo esemplare in Corps obscur, corps éclatant, in: Ch. Malamoud et J.-P. Vernant, (éd.), Corps des dieux, Le temps de la réflexion, VII, Paris, p. 29 s.
55 TDTH p. 45, n. 1: in part. cf. H. C. Puech, Temps, Histoire et Mythe dans le christianisme des premiers siècles, in: Proceedings of the Seventh Congress for the History of Religions, Amsterdam 1951.
56 P. Vidal-Naquet, Il cacciatore nero e l’origine dell’efebia ateniese, in: Cacciatore nero, p. 99-122 (rielaborazione di un articolo del 1968).
57 Vidal-Naquet sottolinea come Gorgia faccia l’elogio di Palamede, re degli inventori; nella prospettiva platonica una “invenzione” ha senso solo nella misura in cui si ispira ad un modello divino, cf. TDTH, p. 70 n. 90.
58 Vernant et Vidal-Naquet, Mythe et tragédie Deux, Paris, 1976 (ed. it. Torino 1976), p. 92: la città greca, sottolinea Vidal-Naquet, «è un tempo fondato sul permanere delle magistrature di fronte al rinnovamento dei magistrati… è un ordine politico in cui si inserisce con maggiore o minore facilità l’ordine familiare», p. 92; cf. ibid., p. 162, sull’invenzione della politica come oggettivazione dei conflitti. Cf. inoltre L. Gernet, Le temps dans les formes archaïques du droit, JdPs LIII, 1956, p. 379-406 (riproposto in L. Gernet, Anthropologie de la Grèce antique. Paris, 1968, p. 261-287).
59 Vernant 1959 (MP, p. 115). TDTH, p. 142.
60 Vernant 1959 (MP, p. 116, con bibliografia alla n. 1). Goldschmidt valuta lineare il tempo tragico; Mugler 1953.
61 Sofocle, Trachinie, 129 s.; cf. Vidal-Naquet TDTH, p. 144 e nota 45, con bibliografia.
62 TDTH, p. 143: «Comme l’homme des poètes lyriques, le héros tragique est jeté dans un monde qu’il ne comprend pas». «Un jour suffit pour faire monter ou descendre toutes les fortunes humaines» (Aiace, 131, trad. Mazon). Cf. Vernant et Vidal-Naquet, Mythe et tragédie en Grèce ancienne, Paris, 1971.
63 Cf. A. M. D’Onofrio, Kouroi e stele: iconologia e ideologia del monumento funerario arcaico in Attica. Programma di ricerca, AION, ArchStAnt VII, 1985, p. 201-204.
64 Bergemann 1997 ed anche J. Bergemann, Gräber, Grabbauten, Grabbezirke: Nekropolen und Geschichte 10 Jahre nach «Burial and Ancient Society», AM, 114, 1999, p. 39-48.
65 L’interpretazione idealista (e sepolcrale) di N. Himmelmann cercava nei rilievi a più personaggi delle rappresentazioni che mettono in scena morti e sopravvissuti insieme; lo studio paleografico condotto dal Bergemann lo conduce alla scoperta che uno stesso incisore mette insieme sulla pietra diverse fasce generazionali (Bergemann 1997).
66 Clairmont 1970, no 26, 58, 65, 72; IGii2 11998, 3453; J. Bergemann, Das Fette Alter der Athener. Zur Darstellung der Alten in der klassischen Kunst Griechenlands, in: Praktika diethnous synhedriou klassikon spoudon Kabala 1999, Eis mneme N.A. Libadara Fédération internationale des associations d’études classiques, 2004, p. 17-30.
67 P. Zanker, La maschera di Socrate. L’immagine dell’intellettuale nell’arte antica. Torino, 1997.
68 Clairmont, 1970, no 23. In effetti Ampharete è rappresentata in uno schema di giovinezza ideale (la vecchiaia femminile non è un valore comparabile a quello maschile); lo schema iconografico della madre assume un valore archetipico.
69 Si fa riferimento all’enigma, del quale non viene però riportato il contenuto, per il quale cf. Apollodoro, Biblioteca 3, 5, 11: «Qual è l’animale che al mattino ha quattro zampe, a mezzogiorno ne ha solo due e alla sera tre?» Cf. UDU, p. 171-174.
70 Pettinato 2005, p. 41; alla fig. 46 è rappresentata la tavoletta con il Mappamondo di Babilonia: la divisione dello spazio è ancorata ai 4 punti cardinali, Babilonia è al centro del cosmo, la Terra è pensata come un globo rotondo circondato dal mare, oltre il quale sono rappresentati a raggiera altri paesi definiti “terre distanti”, in alcune delle quali il Sole non sorge mai.
71 Pettinato 2005, p. 42; la creazione del mondo avviene ad opera di Marduk, che costruisce in cielo un tempio per la triade suprema Anu, Enlil ed Ea. Le costellazioni sono immagini degli stessi dei.
72 Colofoni a Babilonia, cf. Pettinato 2005; cf. Cerri 1999, p. 26 s. Il confronto tra categorie temporali e saperi astronomici del Vicino Oriente e del mondo ellenico meriterebbe di essere ulteriormente approfondito; la contrapposizione tra Oriente teocratico e Occidente democratico, cara a Vernant e Vidal-Naquet, non può evidentemente esaurire la questione.
73 Vernant 1963 (MP, p. 208). Sul modello del “middling man” cf. I. Morris, Archaeology as cultural history: words and things in Iron Age Greece. Oxford, 2000, p. 109-154 (cf. la recensione di chi scrive in AION ArchStAnt, N.S. 9-10, 2002-2003, p. 326).
74 Cf. supra, n. 24, per il contributo di S. Settis.
75 Cerri 1999, p. 67-69.
76 Cerri denuncia il travisamento di Parmenide ad opera degli studiosi di filosofia, donde l’inconsapevolezza del precedente storico parmenideo in Hawking, a parte Popper, cf. Cerri 1999, p. 68 s.
77 Cf. Vernant 1957 (MP, p. 383 s.).
78 La préhistoire des Anciens.
79 M.D. Sahlins, Âge de pierre, âge d’abondance: l’économie des sociétés primitives. Paris, 1976 (Chicago, 1972).
80 P. Cordier, Introduction: Le passé antérieur. Pour une étude de la “Préhistoire” des Anciens, in: La préhistoire des Anciens, p. 103 s.
81 Cacciatore nero, p. 264 e 268.
82 Cacciatore nero, p. 270.
83 UDU, p. 4.
84 J.-P. Vernant, La présentification de l’invisible à l’imitation de l’apparence. Image et signification, Rencontres de l’École du Louvre, Paris, 1983, p. 25-37.
85 UDU, p. 5. Cf. supra, p. 63, n. 47.
Auteur
Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986