Le anfore da allume. L’apporto di Padova
Bilancioe prospettive
p. 179-185
Texte intégral
1. Il percorso di ricerca
1A Padova i ritrovamenti di anfore romane sono statie continuano ad essere numerosi : Patavium infatti fu per alcuni secoli uno dei più importanti centri di consumoe di smistamento commerciale della Regio decima, grazie alle numerose vie di traffico che la interessarono, vie tra le quali il fiume Meduacus svolse un ruolo fondamentale di collegamento con le rotte deU’Adriatico. Le anfore inoltre, non diversamente che in altre città dell’Italia settentrionale vicine a fiumi, paludie lagune, vennero riutilizzate per consolidare il terreno, per colmare depressionie fosse, per mantenere asciutti ambienti chiusi ο aree pavimentate scoperte, per abbassare la falda nelle necropoli ο per diverse sistemazioni di bonificae drenaggio, che furono messe in opera in tutta la città, accompagnandosi in particolare alla sua espansione tra la seconda metà del I secolo a. C. e il I d. C.1. Si è potuto quindi disporre di una grande quantità di materiale praticamente integro, che consente non solo di ricostruire in generale l’andamento delle importazioni, ma soprattutto di definire in modo spesso unico la tipologia di contenitori altrove conservati parzialmente ο in frammenti.
2Alcuni scavi recenti hanno portato al recupero di un’ottantina di anfore, distribuite in tre apprestamenti di “drenaggio” poco lontani tra loro, anfore le cui caratteristiche si sono rivelate immediatamente diverse da quelle più comunemente attestate : esse hanno dimensioni piuttosto grandi (130 cm di altezza in media)e sono caratterizzate da un impasto molto grezzo, ricco di inclusi di ossidianae di pomice; sul corpo, terminante con puntale a tronco di cono allungato, sono presenti scanalature orizzontali; l’orlo è modanato con una profonda solcatura mediana; le anse flesse sono massicce, il peso è cospicuo2 (fig. 1).
3Grazie ai contatti con Philippe Borgard, che all’epoca dei primi rinvenimenti stava por-tando a termine il suo lavoro, è stato possibile riscontrare immediatamente la somiglianza con le anfore di Lipari : il tipo di lavorazione grossolana è lo stesso, come pure è comune ai due gruppi la presenza di inclusi di origine vulca-nica. Si tratta tuttavia di contenitori che presentano alcune differenze dal punto di vista formale; inoltre già le prime analisi mineralogiche avevano escluso una produzione nelle isole Eolie3. Nello stesso tempo si è potuto constatare che anfore identiche a quelle di Padova erano attestate in alcuni dei siti di ritrovamento delle anfore di Lipari, in particolare a Arlese Cavaillon (Borgard 2001, siti 30e 41).
4La ricerca è quindi proseguita, con lo scopo di verificare se ci fossero indizi validi per riconoscere anche nelle anfore di Padova contenitori destinati al trasporto dell’allumee di prodotti affinie di indivi-duarne la zona di provenienza.
2. Il contenuto delle anfore a impasto grezzo di Padova
5Diversi elementi depongono a favore deU’allume come prodotto trasportato nelle anfore arrivate a Padova. Innanzitutto va considerata la complessiva “parentela” morfologica con le anfore di Lipari, che, come in altri casi, potrebbe essere ricondotta alla volontà di segnalare un contenuto simile; l’im-pasto grossolano sembra poi poco adatto alla fab-bricazione di contenitori destinati alle derrate più comuni, quali vino, olio, conservee salse di pesce (non è elemento discriminante l’assenza di impeciatura interna, che quasi mai è conservata in anfore rimaste per molto tempo soggette a risalita di falda, come nei depositi di “drenaggio”, motivo che rende impossibile anche rilevare tracce del contenuto), derrate peraltro giunte a Padova in quantité abbondante da zone di produzione ben individuatee in contenitori ben conosciuti. La presenza di inclusi vulcanici si accorda infine con un’origine da zone produttrici di allume; inoltre l’associazione con anfore di Lipari in siti a carattere artigianale come quello di Arles ο commerciale come quello di Cavaillon depone fortemente a favore di un collegamento con il consumo di un prodotto destinato alle medesime attivité.
6Ma è un dato storico-economico quello che mag-giormente sembra awalorare l’ipotesi : la ricchezza di Padova in epoca romana si basava soprattutto sulla lavorazione della lana. Ne è testimone Stra-bone (V, 1, 7), il quale, dopo aver affermato che la citté superava per importanza tutte le altre della regionee che ne erano stati recensiti ben 500 mem-bri di ordine equestre (in ciò prima in Italia, cfr. Strab. III, 5, 3), ricorda che la quantité di merci inviata a Roma a scopo di mercato, specialmente vestiario di ogni tipo, era un chiaro indizio dell’industriosité (eutechnia) della sua popolazione; altro-ve (V, 1, 12) lo stesso autore, soffermandosi sulle risorse della Cisalpina, menziona la lana di Modena, molto morbida, quella ligure, ruvida, e, intermedia tra le due, la lana di Padova, con la quale si faceva-no tappeti preziosie gausapie inoltre tutti gli articoli di questo genere con entrambe le superfici villose ο con una sola. Qualche cenno sull’argomento si trova anche in Marziale (XIV, 143e 152), che cita le tuniche patavine, così spesse da poter essere tagliate solo da una sega,e il gausapum quadratum del paese di Elicaone (padre di Antenore, il mitico fondatore di Patavium).
7Un ampio progetto di ricerca, attualmente in corso, sta analizzando i diversi aspetti relativi alla produzione della lana nel quadro dell’intera regione nordorientale, attraverso lo studio delle modalitée dei luoghi deH’allevamento del bestiamee l’esame delle testimonianze letterarie, epigrafiche ed archeologiche relative alle varie fasi dei processi di trasformazione della materia prima4 : le notizie degli autori antichi in merito sono numerosee le attestazioni epigrafiche relative alle diverse attivité laniere nella Venetia superano quelle di tutte le altre regioni d’ltalia, con esclusione dei casi eccezionali di Romae Pompei. Molti dati tuttavia concorrono a distin-guere i ruoli dei diversi centri nella regione : la citté di Altinum ad esempio, pur rinomata per l’allevamentoe la raccolta della lana, appare dedita solo marginalmente alla lavorazionee alla tessitura del prodotto, che doveva essere largamente esportato grezzo; Patavium invece, oltre all’abbondante disponibilité di materia prima, garantita da un’affermata tradizione allevatoria, sviluppatasi in un territorio caratterizzato da grandi risorse di pascoli, distribui-ti tra Lagunae Prealpi,e da una solida organizza-zione infrastrutturale di transumanza, doveva dedi-carsi anche alla lavorazione, se i suoi prodotti finiti, come sottolinea appunto Strabone, venivano espor-tati a Romae avevano raggiunto una certa notorietà. Padova cioè poteva vantare una produzione tessile di portata eccezionale nel contesto della regione, al punto da presentarsi come il polo manu-fatturiero prevalente nell’intera area5.
8Non credo sia necessario ribadire in questa sede l’associazione tra l’allumee la lavorazione della lana : può essere solo curioso ricordare un indizio della continuità di tale utilizzo, in quanto negli Statuti del Comune di Padova compare per l’anno 1276 la prescrizione « similmente che nessuna lana paonazza possa essere tinta senza allume, ruzae guado. E chi contrawerrà sia condannato a 20 soldi per volta »6.
9Dati significativi circa la cronologia dell’arrivo delle anfore a impasto grezzo a Padova derivano dall’analisi dei tre contesti di rinvenimento. Come si è detto, si traita di apprestamenti che comportano sempre la presenza di un numero cospicuo di anfore, svuotate del loro contenutoe sepolte in antico, con soluzioni tecnichee con funzionalità diversifi-cate; la datazione che si puô proporre, ricavabile generalmente dall’associazione delle anfore stessee dalla cronologia delle più tarde (quando determi- nabile), poiché spesso sono assenti altri materiali, è quella del momento di composizione dell’insiemee di interramento dei contenitori, che possono essere rimasti inutilizzati per un numero imprecisabile (anche se probabilmente non alto) di anni.
10Il primo nucleo (venticin-que esemplari) fu rinvenuto al limite sud ovest del centro urbano romano (fig. 2, A), durante uno scavo di emergenza eseguito tra il 1996e il 1997 : nel sito erano stati posti in opera alcuni “drenaggi” molto vicini (composti in totale da una settantina di contenitori), dei quali non è stato possibile indagare la relazione con even-tuali strutture ο piani di calpe-stio; le anfore ad impasto grezzo rappresentavano quasi la totalità in uno di essi, senza possibilità di datazione dell’interramento, mentre l’associazione con due esemplari bollati nel secondo riconduce generi-camente al periodo tra il 15e il 50 d. C.7. Le anfore a impasto grezzo erano frammentatee di nessuna ë ricostruibile la forma completa.
11Il secondo nucleo (sessantasette esemplari) pro-viene da una zona del suburbio meridionale della città romana (fig. 2, Β), interessata secondo notizie di archivio da sepolture, ma mai oggetto di scavi sistematici nel passato. Nell’area, sottoposta a indagine tra il 1999e il 2000, la fase romana era carat-terizzata da cave di sedimenti sabbiosi, separate da gruppi di tombe a incinerazione mediante una fossa quadrata riempita con circa duecento anfore, collocate verticalmente con la finalità di contenere le oscillazioni della falda; altri “drenaggi” minori si trovavano vicini. Le anfore ad impasto grezzo si trovavano per la quasi totalità nel “drenaggio” maggiore, la cui composizione è databile non oltre il primo decennio del I sec. d. C.8.
12Il terzo nucleo di contenitori, molto più esiguo (due esemplari integrie un collo) proviene da uno scavo urbano lungo il corso fluviale a ovest della città romana (fig. 2, C) : qui le stratificazioni preromane hanno evidenziato, a partire dal VI sec. a. C., impianti produttivi sia ceramici che metallurgici; nel corso del II sec. a. C. l’organizzazione dell’isolato, incentrata sulla lavorazione dell’argilla cruda, assunse caratteri quasi industriali, mentre nel I sec. a. C. un settore, occupato da un grande cortile, venne adibito all’installazione di forge-focolari per la martellatura del ferroe la lavorazione del bronzo; tra la fine del I sec. a. C. e i primi trent’anni del I d. C. l’area divenne ad esclusiva destinazione residenzia-le, con piani pavimentali in argilla compattata, bonificati talvolta da vespai di anfore; in questi le anfore da allume erano associate ad una decina di anfore diverse, la tipologiae i bolli di alcune delle quali depongono per una datazione all’età augustea, come appariva anche dalla sequenza stratigrafica9.
13È significativo dunque che la cronologia del massiccio arrivo di anfore a impasto grezzo a Padova coïncida prevalentemente con l’epoca in cui scriveva Strabone, l’età augustea, epoca in cui il ruolo di Padova nella manifattura delle lane doveva compor-tare la necessità di allume in notevole quantité.
14Un’altra possibile conferma viene dalle caratteri-stiche dei siti di ritrovamento. Se resta incerta la relazione tra la presenza di anfore da allumee le attività metallurgiche individuate nel terzo di questi (come è stato suggerito in questa sede per alcuni rinvenimenti della Gallia), mancano nei primi due casi conferme archeologiche ο indizi di strutture pertinenti a impianti artigianali nei pressi : d’altra parte Padova è una citté a lunga continuité di vitae molto è stato obliterato dalle costruzioni successive ο è stato cancellato da scavi non scientifici. La loca-lizzazione, ai margini dell’abitatoe lungo il corso fluviale maggioree nelle vicinanze di probabili diramazioni minori10, ben si accorda tuttavia con la possibile presenza di tali impianti, dove poteva essere agevole l’arrivo delle materie prime necessarie, tra cui appunto l’allume, e comodo lo smistamento dei prodotti finiti verso i mercati che si aprivano una volta raggiunte le rotte dell’Adriatico. E l’esistenza su questo versante urbano di un quartiere artigianale a vocazione specifica può essere provata anche dall’assenza di anfore dello stesso tipo nei pur molti depositi rinvenuti altrove nella citté, dove evidentemente furono riutilizzati contenitori più facilmente accessibili ο meno difficoltosi da trasportare per il loro peso.
3. La provenienza delle anfore a impasto grezzo di Padova
15Molti elementi dunque hanno indotto a far ipotizzare nel contenuto delle anfore a impasto grezzo di Padova l’allume, mentre restava aperto il proble-ma della zona di provenienza, poiché le analisi del corpo ceramicoe le caratteristiche tipologiche esclu-devano una origine liparense dei contenitori.
16Un primo suggerimento è venuto dalla ricostruzione delle direttrici commerciali di approwigionamento di Padovae in generale della regione, ricostruzione che si sta progressivamente meglio definendo alla luce delle anfore : essa infatti dimostra una decisa apertura verso il Mediterraneo orientale, pur se la quantité maggiore delle derrate più comu-ni quali vinoe olio arrivava da zone poste lungo il litorale dell’Adriatico (rispettivamente Picenoe Istria) ο era di produzione locale; d’altra parte, se mancano quasi completamente i vini di pregio del litorale tirrenicoe le importazioni dalle province occidentali sono limitate a un numero abbastanza esiguo di anfore da garum e salsamenta ispanici, sempre più abbondanti si stanno rivelando invece i contenitori provenienti da Creta, Rodie altre isole dell’Egeo, oltre che, in una fase più tarda, quelli di origine anatolica ο pontica11.
17Immediatamente quindi si è pensato come zona di provenienza dell’allume al secondo dei siti maggiormente ricchi di tale sostanza ricordati da Plinio (Nat. Hist, XXXV, 184), Milo, basandosi anche sulle notizie relative alle intense attività di sfruttamento delle risorse dell’isola (Pittinger 1975; Photos-Jones 1999). L’ipotesi, rafforzata da analisi eseguite sul corpo ceramico12, sembra adesso confermata dal confronto con i materiali presentati in questo convegno da Sotiris Raptopoulos, anche se rimangono aperti tutti i problemi relativi all’individuazione delle fornaci nell’isolae al più preciso riconoscimento della natura del prodotto al quale ci si riferisce con il termine generico di allume. Ma tutto questo comporta auspicabili ulteriori indagini in loco.
18Per ora paiono potersi stabilire alcuni punti fermi : Padova in epoca romana, in particolare nel-l’età augustea, poteva necessitare, grazie al suo ruolo manufatturiero, di prodotti idonei alla lavorazione della lanae del cuoio; nello stesso periodo è attestata una notevole quantità di contenitori che, per caratteristiche morfologichee presenze in altri siti dediti ad attività artigianali nello stesso ambito, possono essere riconosciuti come destinati al trasporto dell’allume ο di materiali analoghi; l’ipotesi di una provenienza di tali contenitori dal Mediterraneo orientale ben si accorda con l’apertura delle rotte dell’Adriatico verso l’Oriente; confronti tipologicie archeometrici depongono a favore di una fabbricazione nell’isola di Milo, il cui allume è appunto ricordato dalle fonti.
19Questo dunque è il punto cui è giunta la ricerca riguardante le anfore ad impasto grezzo rinvenute a Padova : è sperabile che la precisazione delle loro caratteristiche tipologiche, la possibilité di visualizzarle nella loro completezzae la definizione analiti-ca del corpo ceramico consentiranno, come è acca-duto nel caso delle anfore di Lipari, di identificarle d’ora in poi anche in altri siti, pur in presenza di soli frammenti. Per ora si è potuto evidenziare la loro presenza –non certo numericamente sostanziosa come a Padova, ma limitata a pochi esemplarinella Venetia anche a Ateste, Opitergium, Iulia Concordia e Aquileia13, luoghi dove spesso sono attestate anche anfore di Lipari. Si è già fatta circolare la richiesta di informazioni, corredata dai dati tipologici, tra i colleghi delle Universitée delle Soprin-tendenze dell’Italia settentrionale : rimaniamo in attesa di risposte.
4. Le prospettive della ricerca
20Se si riconosce che i rinvenimenti di Padova documentino una produzionee una circolazione commerciale di anfore destinate al trasporto dell’allume diverse da quelle di Liparie che esse possano essere riconosciute come provenienti da Milo, si aprono dunque nuove prospettive in questo settore. Si tratta di prospettive al momento formulabili solamente a livello di interrogativi, che qui si propongono, sen-za per ora riuscire a dar loro una risposta esauriente.
21Una prima serie di problematiche riguarda le anforee in generale i trasporti : premesso che alcu-ne delle caratteristiche morfologiche comuni alle anfore di Liparie a quelle di Milo (la fattura molto rozza, il corpo costolato) sono state probabilmente determinate dal corpo ceramico ricco di inclusi, che non permetteva una lavorazione accurata (d’altron-de non richiesta dal tipo di contenuto), vanno comunque cercati degli antecedenti comuni ? Esistevano cioè contenitori che trasportavano l’allume in epoche precedenti a quelle documentate dalle anfore di Liparie da quelle di Milo ? Ma è solo l’allume naturale che necessitava di un trasporto in anforee quindi è inutile cercare i contenitori ad esempio dell’allume di Lesbo ο di altre zone dove l’allume si ricavava dall’alunite ?
22Altri interrogativi riguardano la cronologia dei due circuiti commerciali. Come si è visto infatti le anfore di Lipari sono documentate dalla fine del I sec. a. C. al III d. C. ; le anfore di Milo a Padova sono prevalentemente concentrate in étà augustea (e l’uniformité tipologica depone a favore di una produzione in un arco di tempo molto ristretto); altre anfore di Milo nella Venetia provengono da contesti contemporanei ο che superano di poco la metà del I sec. d. C., come contemporanei sono i siti di Arlese Cavaillon, dove le anfore di Milo sono presenti assieme a quelle di Lipari. Puo questo essere un indizio di uno sfruttamento delle risorse di Milo che si esaurisce prima (e non si possono non ricordare le parole di Diodoro Siculo, V, 10, 2-3, a proposito dei depositi di allume di Milo più piccoli di quelli di Liparie che non bastavano per moite città) ο è solo una nostra carenza di informazioni su contesti posteriori ? Ο la forma del contenitore cambiae ancora non si è stati in grado di individuarlo ?
23L’ultimo problema riguarda nello specifico le anfore di Padova : lo si présenta in questa sede in via preliminare, pur se meritevole di un approfondimento ben superiore a quanto abbiano consentito le limitate indagini finora svolte, con la speranza che possa stimolare suggerimentie consigli.
24In dodici esemplari (provenienti da due diversi contesti, cfr. fig. 2, Βe C) sono presenti dei tituli picti, dato abbastanza eccezionale, poiché in genere nei ritrovamenti dell’Italia settentrionale sono quasi totalmente assenti le scritte su anfore diverse, corne su quelle che trasportavano le salsee le conserve di pesce dalla penisola iberica, nelle quali resta al massimo l’“etichetta” preparatoria. Per essi non si sono trovati confrontie rimangono di difficile interpretazione14.
25In una prima serie (esemplificata nella fig. 3) le lettere sono molto grandi (tra i 10e i 12 cm), in colore rosso, tracciate apparentemente dalla stessa mano con pennellata molto grossa (circa 1,5 cm)e irregolare, data anche l’irregolarità della superficie, pur se con una certa precisione. Nella prima riga, che talvolta rimane Tunica, ci sono lettere in nesso : è possibile che si tratti di L, V, E, R, da ricondursi alTindicazione onomastica di un L. Ver(ius ?)15, ma non è del tutto escluso che si tratti solo di V, E, R, interpretabile allora come verum, riferito al contenuto16 ; la seconda riga, quando compare, è spesso inter-rotta dallo stato fram-mentario dell’anforae quindi illeggibile.
26Una seconda serie (fig. 4) presenta lettere, pure in rosso, di altezza variabile tra i 3e i 7 cm, tracciate con una pennellata più sottile (0,2-0,4 cm). La prima riga nei tre casi illustrati (e forse anche in un quarto di minor leggi-bilità) propone la stessa scrit-ta : è indubbio che in essa sia riconoscibile la parola BIOS in caratteri latini, che non può non riferirsi al contenuto dellanfora. Plinio (Nat. Hist., XIV, 77e XXIII, 53) ricorda il vino chiamato dai Greci bios, ottenuto dalla raccolta prematura dell’uvae adatto ad usi medicinali : che in tutte le anfore ad impasto grezzo di Padova vadano identificate delle anfore vinarie appare tuttavia fortemente improba-bile, sia per la qualità del corpo ceramico, sia per la quantité di un’eventuale importazione contemporanea di un vino non altrimenti noto per la sua diffusione; è piuttosto ipotizzabile, anche se non si sono trovati riscontri negli autori, che si tratti di un modo di definire una qualité particolare del contenuto, ο per il suo uso in campo medico, ο meglio perché vivo, naturale, attivo17. Non si può del tutto escludere però la possibilité che le iscrizioni siano state apposte proprio per indicare un contenuto anomalo rispetto al con-suetoe che le poche anfore su cui compaiono, pur avendo la stessa originee avendo fatto parte dello stesso carico, trasportassero del vino prodotto nella medesima area geograficae per il quale si erano uti-lizzati dei contenitori fabbricati per altri scopi.
27La seconda riga presenta in un caso (fig. 4, n. 1) una indicazione onomastica al genitivo, C. BASILI18, probabilmente da riferirsi al destinatario della merce; negli altri due casi (fig. 4, n. 2e n. 3) sembra sia da leggere GAVLOS, in cui, piuttosto che un personaggio di rango servile, non altrimenti attestato, potrebbe forse riconoscersi un termine generico per indicare il contenitore stesso19. Più interessante appare la terza riga, nell’unico caso in cui essa è presente (fig. 4, n. 3) : la lettura che si propone è infatti SEPVL (con Ee Ρ in nesso), che riconduce alla famiglia dei Sepulli, ben nota a Padova proprio per il suo coinvolgimento in attività produttive20.
28Nel complesso dunque le iscrizioni dipinte sulle anfore di Padova, anche se probabilmente ricondu-cibili al momento della circolazione commercialee interpretabili, pur con i molti dubbi suscitati dalle difficoltà di comprensione, quali indicazioni del contenuto e/o del destinatario, non sono certo standardizzate come quelle delle anfore prodotte nella penisola iberica, denotando una mano abituata più all’uso del graffito, come appare in particolare dal modo di tracciare le lettere nella seconda serie. La mancanza di confronti, anche con tituli picti su anfore non precisamente identificate nel passato, d’altronde va in questa stessa direzione : sembrereb-be che il lotto ο i lotti inviati a Patavium in età augustea rappresentino un caso eccezionale. Altro elemento significativo, perché ulteriore conferma di una provenienza dal Mediterraneo orientale, è l’uti-lizzo di termini greci (se è corretta la lettura bios e gaulos) con grafia latina. Ma, come si è detto, lo studio continua, con la speranza di ricavarne ulteriori dati per ampliare da un lato il quadro econo-mico della città, dall’altro per definire sempre meglio le problematiche relative all’usoe alla diffu-sione dell’allume.
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Notes de bas de page
1 Per il quadro com-plessivo dei ritrovamenti di Padova si ri-manda a Anfore romane 1992 e per gli aspetti tecnici del riutilizzo delle anfore a Bonifiche e drenaggi 1998 : pur essendo le soluzioni tecniche diversificate nella realizzazione e nella funzionalità, si usa il termine generico di “drenaggi” ο “vespai” (“vides sanitaires” in francese).
2 Descrizione più puntuale nel contribute di S. Cipriano e S. Mazzocchin in questa sede.
3 Le analisi sono state eseguite grazie alla collaborazione con G. P. De Vecchi del Dipartimento di Mineralogia dell’Università di Padova, cfr. Cipriano 2000a.
4 Bonetto 1997; Basso 2004; Bonetto 2004 : a tali lavori si rin-via per una più ampia trattazione dell’argomento e per una esaustiva bibliografia.
5 Aspetto già sottolineato in Sartori 1981, p. 169-171.
6 Statuti del Comune di Padova, traduzione di G. Beltrame, G. Citton, D. Mazzon, Cittadella 2000, p. 327.
7 Scavo (in via Boito) e materiali sono inediti. La datazione per il secondo “drenaggio” si basa sulla presenza di una Dressel 6B con bolli LAEK e L (Bezeczkv 1998, 25) e di una Dressel 6B con bollo SBPVLLIVM (Cipriano 2000 b, p. 175-176).
8 Breve notizia dello scavo (in via P. Paoli), tuttora inedito, come i materiali, in Ruta 1999. Le anfore associate a quelle ad impasto grezzo erano per la maggior parte Dressel 6A e Dressel 6B (ma non mancano anche anfore più antiche, come due Lamboglia 2 e cinque ovoidali); la datazione si basa sulla presenza di bolli come DAMA EBIDIE e PRIMI GAVI su Dressel 6A (Pesavento Mattioli 2000, p. 109; Pesavento Mattioli 2002, p. 393) e VARIPACCI e AP. PVLCRI su Dressel 6B (Cipriano 2000b, p. 150-160; Cipriano 2002, p. 307-311).
9 Per una descrizione dettagliata dello scavo (in via Patriar-cato), effettuato nel 1999-115,2000, si rimanda a Balista 2001, p. 99-115, in particolare 104-107; notizie anche in Ruta 2002, p. 62-63. Le anfore presenti non sono state ancora oggetto di analisi approfondita, ma si segnalano, assieme a Dressel 6A, due Dressel 6B bollate VARIPACCI e AP. PVLCRI, per la cui datazione cfr. nota precedente.
10 Per l’idrografia di Padova romana, cfr. da ultimo Rosada 1993, p. 66-68.
11 Una sintesi sui commerci di derrate alimentari che inte-ressarono il litorale adriatico è in Carre 2003. Per le presenze orientali, cfr. Cipriano 1997 e Mazzocchin 2003.
12 Picon 2001. Per ulteriori analisi, si veda ora il contributo di S. Cipriano, S. Mazzocchin, G. Ρ De Vecchi e E. Zanco in questa sede, p. 187-196.
13 Per la diffusione cfr. ibidem.
14 Si è fatto ricorso anche ai consigli di B. Liou, che ha con-fermato l’assenza di confronti e la difficoltà di interpretazione. Sono grata, per i tentativi che qui propongo, a Alfredo Buonopane e Antonio Ciaralli del – l’Università di Verona.
15 Per il gentilizio Verius, cfr. Schulze 1966, 278 e OPEL, IV, p. 159. Anche Verus, più comunemente usato quale cognomen, è attestato come gentilizio (OPEL, IV, p. 160-161).
16 Cfr. l’alethenés stupterίas di Aristotele (Fragm., VI, p. 266).
17 TGL, II, 255.
18 Schulze 1966, p. 440; OPEL, I, p. 273.
19 Gaulos in greco (TGL, II, 533), gaulus in latino (TLL, VI, 2) sono usati genericamente per vaso, recipiente.
20 Membri della gens Sepullia bollano tra la fine del I sec. a. C. e la prima metà del I d. C. anfore olearie Dressel 6B, ampiamente diffuse in Italia settentrionale (Cipriano 2000b, p. 175-176), per le quali è stata ipotizzata un’origine patavina; Padova infatti è l’unico centro della Cisalpina dove la gens Sepullia, rara altrove, è attestata da numerose iscrizioni (CIL, V, 2948, 3036, 3037), una delle quali (CIL, V, 2885) ricorda un officinator (cfr. Buchi 1987, p. 159).
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