Chapitre V. Étrusques et Phocéens en Occident
p. 307-310
Texte intégral
1Recensire Michel storico di Marsiglia. Ho già ricordato, parlando della frequentazione napoletana con Michel Bats, come la nostra amicizia sia cominciata proprio a Marsiglia, nel 1990, al convegno su Marseille grecque, Marseille et la Gaule, con scambi di opinioni (ma anche grandi risate, per un condiviso senso di humour che non risparmia nessuno, nemmeno noi stessi) poco tempo dopo la pubblicazione di una mia rassegna critica al I volume delle Études massaliètes sulla città ed il suo territorio, nella quale avevo scritto con piglio da ipercritico, consumato recensore che scrive quattro nugae come se fosse il massimo esperto del problema, ricorrendo ai soliti (allora) argomenti che oggi diremmo più ideologici che altro. A quel convegno, Michel con cui legare in amicizia è più facile che bere un bicchiere d’acqua, mi raccomandò ad una funzionaria di un Museo locale di cui non mi sovviene il nome, ricordo solo che somigliava molto a Papagena del Flauto mozartiano, perché mi regalasse delle pubblicazioni recenti (piccoli cataloghi) in quanto ne avrei fatto una puntuale recensione. Papagena mi dette i cataloghi con molta riluttanza e con sguardo arcigno, borbottando che avrebbe poi amato leggerla la recensione: visto che venivo da Napoli, dovevo esser per forza un furbo. Ed io per non deludere le sue aspettative non recensii mai quegli opuscoli (niente di grave, anzi.., non credo che se ne sia nemmeno accorta).
2Qui, poi, devo parlare del contributo di Michel alla definizione delle origini di Massalia. E ne devo parlare benissimo, qualche maligno penserà, per piaggeria o per omaggio dovuto al senso dell’ospitalità. E invece no! I contributi di Michel Bats allo studio delle origini di Massalia sono quanto di più avanzato e di ben strutturato si possa leggere su questo argomento, per quella chiarezza espositiva con cui egli ci aiuta a capire, mettendo ordine in una materia per niente facile e spesso confusa, e per il rigore metodologico impiegato. Dico subito che, per l’avvenire, ogni accrescimento quantitativo dovrà fare i conti con quel quadro. Comincerei dal sottotitolo per me illuminante del contributo al Convegno di Studi Etruschi del 2002, pubblicato nel 2006: les rythmes de l’archéologie et de l’histoire. Un vero e proprio manifesto programmatico che racchiude le aspirazioni ed il modo di intendere il mestiere dell’archeologo (antropologo-storico, e Michel lo è alla grande – chi non ricorda i vasi di Olbia e la cucina?) di tutta una generazione, o almeno di una parte di essa (io mi ostino a ritenerla la migliore) che dagli anni’70 in poi ha contribuito in misura assai rilevante non solo al rinnovamento degli studi di archeologia ed in genere dell’antichità classica, ma anche a dare a questa attività ‘bizzarra’ dimensione di utilità e spessore culturale. È passato del tempo e certo le vie alla storia, tramite l’archeologia, la storia archeologica intesa ovviamente come storia culturale (non si sa mai, è bene precisarlo, perché c’è sempre chi fa la storia politica con i cocci) si sono moltiplicate e diversificate. Domina quella impegnata nella definizione dello statuto delle immagini, tema bellissimo, che ha avuto proprio nell’ambiente francofono il suo centro propulsore, mentre a noi terrazzieri (mi ci metto anch’io) resta sempre il doloroso compito di fare i conti, non con le immagini misteriose ed intriganti che studia Ludi, per esempio, ma con i cocci, eterni, immortali, che aumentano si moltiplicano ad ogni campagna, in attesa di qualche buon samaritano che li prenda in esame e ne tragga insegnamento. Ma vediamo cosa ne ha ricavato Michel Bats studiando la ktisis di Massalia. Con la semplicità che ad altri costa fatica, come direbbe Tacito, ma che non va confusa con faciloneria perché a monte c’è il lavoro di catalogazione (suo e di altri) di una quantità immensa di materiale, Michel espone i punti essenziali del ragionamento storico. Una breve parentesi: la scuola di Lattes ha introdotto su basi scientifiche, sicuramente serie, la pratica dei conteggi e delle percentuali che noi non abbiamo ancora adottato, non so se per pigrizia intellettuale o per un piccolo fondo di scetticismo nei confronti di dati a volte forse un po’ troppo perentori, se rapportati a quanto sappiamo (almeno da noi) di tante le classi di materiale che restano spesso largamente sconosciute. Ma si tratta di un problema a parte rispetto a quello cui voglio fare qui brevemente cenno.
3Riepilogando la ricostruzione batsiana delle origini di Massalia, abbiamo:
- la cronologia e la stessa ‘storicità’ del cosiddetto commercio etrusco precoloniale (argomento per il quale Bats dichiara il suo debito nei confronti di Michel Py)
- la fondazione di Massalia I fase, verso il 600 a. C. (argomento ben fissato, già dal 1960 in poi, con il celebre libro di F. Villard)
- il dopo Alalia e la II fase
- il ruolo di Aristarche, l’Artemide di Efeso e gli hierà focei in occidente.
4La sintesi di Michel prende dunque le mosse da una serie di studi e di ricerche fondamentali, ma tutto suo è il merito della proposizione chiara dei problemi e del più avanzato tentativo di interpretazione storica. Sul punto 1 non si può che concordare: lo stato della documentazione in tutti i siti della Gallia meridionale non permette di definire una fase archeologica anteriore al 600 a. C. tale da meritare autonomia e relativa valutazione sul piano storico (ed in questo Bats si allontana da alcune conclusioni di Py che, almeno per la Liquière, era possibilista). Ben più pregnante è la discussione sull’emporía focea, argomento di straordinario interesse per la stagione di studi animata specialmente da Lepore e Mele (bello l’incitamento di Michel ‘à les lire et les redire’ à vérifier). Per il nostro autore non è corretto appiattire tutto alla data del 600 a. C., ma è necessario distinguere due tempi nella fondazione di Massalia, argomento che domina ancora, grazie a lui, nel nostro modo di recepire la storia antica dell’apoikia focea nel Midi. E i tekmeria? Qui il discorso si complica perché la ricostruzione non può fare a meno di leggere insieme dati archeologici e fonti letterarie, ciò che egli fa con encomiabile garbo e con grande finezza, senza mai indulgere alle combinazioni.
5L’archeologia garantisce che: nella prima fase (600-540 a.C.) Massalia mostra di avere legami con il commercio etrusco e con la Grecia dell’Est, mentre è ancora molto limitato il raggio d’azione della città nel suo entroterra; nella II fase, invece, esplode la produzione di anfore da vino (dalla chora che Strabone chiama katampelos) e non si conta il numero di nuovi abitati del sud della Gallia ai quali arriva la produzione di anfore e ceramica fine prodotta a Massalia. La I fase non si può comprendere senza mettere la città in relazione con il ben noto réseau foceo, sia in termini di relazioni con il mondo etrusco che con le altre frequentazioni (e fondazioni) focee nella penisola iberica e in Corsica. Ma è la II fase quella più densa di ricadute per la ovvia constatazione che il suo incipit deve fare a fortiori i conti con la battaglia di Alalia del 540 a.C. È la fine, come brillantemente argomenta Mele, dell’emporía tradizionale che ora deve sottomettersi al politico delle synthekai. A parte ciò, qual è l’apporto dei testi? Per Michel un primo elemento su cui riflettere è il silenzio di Erodoto su Massalia: per lo storico i rifugiati di Focea (quando arrivano le milizie di Ciro) non vanno a Massalia, mentre Antioco (e Strabone non a caso sceglie la versione antiochea) la recupera (polemicamente?) indicandola come la destinazione di parte dei profughi (inutile e deleterio l’emendamento di Casaubon che corregge Massalía in Alalía). La disamina della letteratura induce Bats, in modo convincente, a ritenere assai probabile che gli esuli di Focea cacciati da Arpago abbiano raggiunto Massalia oltre che Alalia. Tralascio qui tutte le speculazioni che si trovano più o meno esplicitate in letteratura sul ruolo (ambiguo?) di Massalia al momento dello scontro con Etruschi e Cartaginesi, in parte viziato da moderno cinismo da uomini di affari da anteporre ai legami di sangue, alla philadelphía (ma tornerebbe utile approfondire la ricaduta che l’evento può aver avuto sull’assetto urbano di Massalia, sull’allargamento della città, se gli esuli vi si sono recati, oltre che andare in buona parte a fondare Velia, dopo la scoperta, ormai di qualche decennio fa, della Butte des Carmes) e concludo con uno dei pilastri della vicenda apecistica massaliota, la figura di Aristarche. Anche qui Erodoto tace (Bats non mostra simpatia per lo storico che considera apertamente misomassaliota). Aristarche è nota grazie al solito Strabone, da cui apprendiamo la vicenda di questa donna alla quale l’Artemide di Efeso ordina di partire con i Focei, portando la copia di una statua tra gli oggetti sacri (il concetto si intreccia con l’aphidryma dei sacra, sia ad Alalia che a Velia). A lei si deve la fortuna del culto artemideo in tutte le fondazioni focee. In che epoca va collocato questo episodio? Alla partenza della prima vague coloniale nel 600 a.C. o dopo la chute di Focea nel 545 a.C.? Personalmente preferisco seguire Gras (un altro Michel) e legare Aristarche alla ktisis del 600 a.C. Bats preferisce ritenerla collocabile nel 545 a.C.
6Le argomentazioni sono degne di attenzione, ma avrebbero bisogno di un discorso lungo. Direi, rispetto alla data di pubblicazione dei lavori di Michel Bats, che oggi questo argomento andrebbe ristudiato alla luce dello sviluppo che l’indagine storica sta avendo in anni recenti, grazie allo studio delle saghe mitiche e religiose con l’approccio della memoria culturale ed ancora di più con quello della ‘storia intenzionale’. A parte ciò, il nostro debito di riconoscenza nei confronti di Michel resta grandissimo. Noi ci auguriamo di continuare ancora a lungo a beneficiare della sua scienza, della sua intelligenza e della sua contagiosa simpatia.
7Emanuele Greco a présenté les principaux éléments du dossier concernant les recherches autour des Phocéens, qu’en est-il de celles concernant les Étrusques, les autres acteurs des échanges en Méditerranée occidentale. Ce que l’on pourrait appeler « la question étrusque » divise les archéologues – essentiellement ceux de Gaule méridionale – depuis longtemps, et ce thème a fait l’objet de débats extrêmement vifs au cours des dix dernières années, opposant principalement les deux Michel de la Protohistoire méditerranéenne : Py et Bats.
8L’article des MEFRA de 1998 a en quelque sorte mis en place les éléments de la discussion, mais il s’inscrit dans la droite ligne de celui de 1992 sur les relais indigènes du littoral gaulois, aux colloques de Marseille (1990) (supra, p. 255-272), et de celui de 1994 sur « les silences d’Hérodote » publié dans les mélanges offerts à G. Buchner, puisque traiter des Phocéens en Occident et de la bataille d’Alalia impliquait nécessairement d’aborder les Étrusques. La volonté de Michel Bats est justement de souligner le fait que ces deux acteurs des échanges en Méditerranée occidentale sont indissociables. Il approfondira son argumentation en 1997 au colloque de Carcassonne (Mailhac et le Premier Âge du fer, 1999), soulignant toujours les relations existant, tout au long du VIe siècle avant J.-C., entre Marseille et les cités étrusques, à l’inverse de la position de Michel Py opposant Marseille et les Étrusques comme deux adversaires commerciaux dominant successivement les échanges. Ainsi en 1995, dans les Hommages à André Nickels (Études Massaliètes 4), Michel Py développe – déjà – ses arguments en faveur d’une présence étrusque à l’origine de la création du comptoir de Lattara : matériel étrusque présent dans tous les niveaux de fondation, originalité de ce faciès, etc, avant même la découverte, entre 1999 et 2002, de la maison étrusque de la zone 27, qui sera présentée lors du colloque de l’Institut d’Études Étrusques tenu en 2002 à Marseille et à Lattes (paru en 2006). Michel Bats reprendra au moment de ce même colloque son argumentation en y intégrant les dernières découvertes archéologiques.
9Dans tous ses articles, transparaît, en effet, de façon éclatante la double formation de Michel Bats : historien et archéologue, ainsi que ses compétences philologiques : une parfaite maîtrise des sources littéraires antiques, alliée à une connaissance pointue et complète des données archéologiques, tant celles de Gaule méditerranéenne que celles de l’Italie méridionale, de l’Espagne et du monde étrusque. La référence aux travaux des Italiens est de fait une autre constante de ces articles : Alfonso Mele en particulier, dont les travaux sont en grande partie à la base du travail de Michel Bats sur les échanges en Méditerranée occidentale, et bien sûr Ettore Lepore, le maître des études phocéennes, mais aussi beaucoup d’autres chercheurs, qui lui permettent de donner une ampleur véritablement méditerranéenne à ses réflexions et de replacer la situation de la Gaule dans un contexte plus large.
10Dès 1994, avec comme point de départ l’absence de Marseille de l’œuvre du grand historien grec, Michel Bats développe une réflexion sur le crédit accordé aux différents auteurs de l’Antiquité ayant laissé des témoignages – toujours succincts et parfois contradictoires – sur les Phocéens et les Étrusques, qui lui permet de reconstruire de façon cohérente une histoire connue par bribes. Parallèlement il expose clairement toutes les découvertes archéologiques liées à la question de ces échanges : tant celles de Marseille que celles des sites indigènes.
11La présence majoritaire des amphores et de la vaisselle – étrusques – à Marseille même dans les premiers temps de son existence est plus particulièrement soulignée et pousse Michel Bats à relativiser l’importance accordée aux importations étrusques présentes sur les sites de Gaule méridionale : Saint-Blaise, Tamaris, La Liquière. La question de la présence étrusque remonte quasiment au début des recherches sur la colonisation grecque, à travers d’une part la question aujourd’hui obsolète de la “précolonisation”, à travers aussi l’étude du matériel étrusque découvert sur les sites de Gaule méridionale, daté d’une période antérieure à la fondation de la cité phocéenne. Cette chronologie, et en particulier la datation des mobiliers archéologiques à laquelle elle est liée, est l’un des pivots de la réflexion de Michel Bats puisqu’il argumente pied à pied en faveur d’une révision de cette chronologie, en démontrant la faiblesse des constructions donnant une chronologie haute aux mobiliers étrusques et en argumentant donc pour une datation plus basse de ces importations pouvant toutes être postérieures à la date de 600 avant notre ère, donc à la fondation de Marseille, ce qui implique que les Phocéens doivent être pris en compte comme (re) distributeurs actifs possibles de ces productions, au même titre que les Étrusques eux-mêmes. Cette proposition illustre les pratiques de la prexis et de l’emporia qui caractérisent justement les débuts du VIe siècle avant notre ère comme l’ont souligné les recherches menées sur cette période en Méditerranée, et permet de ne pas opposer de façon artificielle deux acteurs des échanges archaïques, mais de proposer une vision plus nuancée.
12Nuance est en effet l’autre maître mot des travaux de Michel Bats : nuance et précision, précision du vocabulaire surtout, pour souligner que parler de “commerce” étrusque au VIe siècle est impropre, anachronique en fait ; nuance pour redonner la profondeur historique nécessaire à la compréhension de ces décennies de contacts entre Gaule, Étrurie et Grèce. À travers l’étude, en fait la remise en question, du rôle et de la place des Étrusques dans ces échanges, Michel Bats s’interroge également sur le statut de Marseille et sur son histoire tout au long des six siècles de la colonie grecque, comme le chapitre suivant de cet ouvrage le souligne. En refusant une vision trop tranchée des modalités de ces échanges et en tentant d’en déceler toutes les évolutions, les articles portant sur les Phocéens et les Étrusques, tout en réunissant des données souvent éclatées, incitent à approfondir et affiner constamment sa réflexion.
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