Il pendente-wadj della tomba 28bis di Mangosa
p. 217-218
Texte intégral
1Lo scavo della tomba 28bis1 dell’area di Mangosa, databile alla metà circa del sec. VII a.C., portò al rinvenimento, all’interno del corredo appartenuto ad una bambina (?), d’un pendente di faïence (l. 3,3; spess. 0,7 cm.) d’aspetto molto corroso.
2Si tratta d’un manufatto egizio, presumibilmente prodotto in epoca coeva rispetto alla tomba in cui fu incluso. Esso raffigura l’amuleto (o meglio il talismano) della colonnetta di papiro wadj (eg. wḏ; M 13), usualmente rappresentata con il fusto appuntito in basso e rastremato al centro, che si apre superiormente nell’ombrella e termina con un anello per la sospensione dell’oggetto in collana2. Delle due varianti tipologiche3 conosciute, delle quali l’una decorata e più raffinata, mentre l’altra priva di dettagli e rozza, l’esemplare di Amendolara appartiene alla seconda. Quest’ultima risulta il tipo prevalente fra gli esemplari, tutti autentici ed in faïence, trovati fuori della Valle del Nilo.
3Nell’Egitto faraonico il significato primario del papiro wadj era quello di «verde», come conferma l’uso della faïence o di pietra di tale colore nella preparazione degli amuleti; e quindi, per traslato, anche quello di «gioventù» e di «vigoria». Tale funzione protettiva riguardava in primo luogo la divinità, ma venne estesa all’uomo, del quale tutelava tanto la vita quotidiana quanto quella oltretombale4. Pertanto, benché l’emblema del papiro costituisse un attributo per la divinità sin dall’epoca protodinastica, tuttavia solo a partire dalla XVIII dinastia se ne conosce un suo impiego come piccolo manufatto plastico. In origine utilizzato solo dal sovrano e dalla classe dominante, grazie alla “democratizzazione” della cultura religiosa e magica, iniziata nel III Periodo intermedio (1070-712 a.C.), esso divenne accessibile a tutti i livelli sociali. Lo attesta l’intensificarsi della produzione di questi amuleti in Età saitica (XXVI dinastia; 664-525 a.C.), che perdurò nella successiva Età persiana fino al periodo tolemaico.
4In merito alla sua conoscenza fuori dell’Egitto, l’amuleto wadj venne accolto a Cipro già al termine dell’Età del bronzo5. Tuttavia solo dalla fine dell’Età libica (XXII-XXIII dinastia; 945-712 a.C.) il commercio fenicio dové avviare un’ampia esportazione di tali oggetti magico-religiosi. Lo conferma il loro rinvenimento essenzialmente in contesti templari e funerari di cultura fenicia e punica; sebbene talvolta gli studiosi ne abbiano fraintesa l’identità ravvisandovi altra immagine (fallo, loto)6.
5Il wadj è attestato in buon numero di esemplari sulla costa palestinese, peraltro di tradizione filistea nonché aperta agli apporti fenici, ma soprattutto finitima all’Egitto: ossia in contesti, in prevalenza sepolcrali, relativi ai siti di Tell Jemmeh, Ascalona, Dor, Atlit, Achzib7. Più povera sino ad oggi resta la Fenicia: dai vecchi scavi del Renan nella necropoli di Sidone8 proviene un solo esemplare, appartenente ad una sepoltura femminile. In merito a Cipro, l’amuleto-wadj è attestato tanto nel tempio di Astarte a Kition quanto in quello di Anat/Atena ad Idalion9. Una consistente presenza è pure nei contesti funerari di Cartagine10. Per l’area iberica il tipo è concentrato in Ibiza11. Pure la Sardegna ne possiede un buon numero, rinvenuti nelle necropoli di Cagliari, Nora, Sulcis e Tharros12.
6Infine il protagonismo del commercio semitico, nella distribuzione degli Ægyptiaca in area ellenica ed in quella ellenizzata d’epoca arcaica, viene confermato, quanto alla prima, dalla solitaria presenza di tale amuleto a Lindo13, ossia in un’isola di ben nota frequentazione fenicia; ed, in merito alla seconda, dal wadj di Amendolara, un unicum per la Penisola italiana14, importato con ogni probabilità dai mercanti ciprioti attivi a Siris15.
7Per quanto concerne il significato del wadj fuori della Valle del Nilo, anch’esso, così come si verificò per tutti gli altri tipi amuletici egizi esportati nell’area mediterranea, venne certamente inteso dai Semiti nella sua primaria accezione di oggetto protettore del vivo, ed in particolare delle donne e dei bambini16. Pertanto dai suoi fruitori non-egizi fu considerato un amuleto da portare sul corpo o da donare alla divinità come sostituto del donatore, nonché svolgente la sua funzione benefica pure nella vita del defunto nella tomba17.
8Tuttavia si trattò sempre d’un oggetto raro18, se confrontato con altri tipi di amuleti egizi (come lo scarabeo o l’occhio wḏt) ampiamente esportati ed imitati. Significativa è l’assenza di imitazioni del wadj da parte degli artigiani semitici, il che indurrebbe a postulare una limitata richiesta di mercato a riguardo. A ciò, forse, dové contribuire una difficoltà di comprensione, da parte delle genti non-egizie, dell’immagine del papiro; costituendo quest’ultimo una pianta tipicamente nilotica e pertanto non riferibile ad alcuna credenza magica locale di matrice botanica19.
Notes de bas de page
1 Cfr. p. 220, nota 18.
2 Sul wadj cfr. Bonnet 1952, p. 582 s., fig. 10.7; C. Müller-Winkler in: LÄ, VI, 1986, col. 1127 s., s.v. «Wadj-Amulett». Sulla tipologia del manufatto si vedano G. A. Reisner, Cat. Gén. Caire. Amulets, Le Caire, 1907, tav. II/5394-5422; Petrie 1914, p. 12 s., n. 20/c-h, tav. II; Hölbl 1986, p. 105/55, 154; C. Müller-Winkler, Die ägyptischen Objekt-Amulette etc., Freiburg-Göttingen, 1987, (OBO-S.A. 5), p. 252 s., tav. XXIII s.; Liebieghaus-Museum Alter Plastik. Ägypt. Bildw. B.I, Skarabäen, Amulette und Schmuck, bearb. von B. Schlick-Nolte-V. v. Droste zu Hülshoff, Melsungen, 1990, p. 331-333/329-332; Herrmann 1994, (OBO 138), p. 784 s.
3 Cfr. Hölbl 1986, p. 154: «sie ihre Funktion innerhalb der weiblichen Sphäre bekunden».
4 Il capitolo CLIX del Libro dei Morti è quello dell’amuleto wadj: esso prevede la sua trascrizione e recitazione su un manufatto in smeraldo che lo raffigura, il quale va posto al collo del defunto. Cfr. E. A. W. Budge, The Book of the Dead, III, London, 1899 (1969), p. 526 s.
5 Cfr. nota 8.
6 Cfr. note 9, 11 e 12.
7 Tell Jemmeh: un esemplare, città, 720/700-600 a.C.; W. M. F. Petrie, Gerar, London, 1928, tav. XLV. 57; Herrmann 1994, p. 784 s./1281, Bildt. 76. Ascalona: un esemplare, 720/700-600 a.C.; Herrmann 1994, p. 785/1283, Bildt. 76, Photot. LXVII. Dor: sette esemplari, 1-4 = 600/587-Età persiana/5-6 = 600/587-Età ellenistica/Età tardo-persiana; Herrmann 1994, p. 787/1292-1295, 788/1296-1297, 789/1300, Bildt. 76, Photot. LXVIII. 1298. Atlit: cinque esemplari, tomba L/23c-VI, sec. V a.C./sec. VI-Età persiana, Johns 1933, p. 87, tav. XXVIII/721-Rowe 1936, p. 280/A 55, tav. XXXI-Herrmann 1994, p. 785 s./1284-1288, Bildt. 76, Photot. LXVII. 1284-1285 e LXVIII. 1286; tre esemplari, tomba L/23d-II, sec. V a.C./sec. VI-Età persiana, Johns 1933, p. 89 e 91, tav. XXX/797-Herrmann 1994, p. 786 s./1289-1291, Bildt. 76; due esemplari, tombe L/21b-I e L/35b-I, sec. V-IV a.C./Età persiana, Johns 1933, p. 74 e 102-Herrmann 1994, p. 788 s./1298-1299, Bildt. 76, Photot. LXVIII. 1298; due esemplari, tomba L/24b, Età ellenistica, Johns 1933, p. 98-Herrmann 1994, p. 789/1301-1302, Bildt. 76. Achzib: un esemplare, tomba ZR XIII, 720/700-600 a.C.; Herrmann 1994, p. 785/1282.
8 Renan 1864, p. 487 (t. XV, Camera 1, Fossa b, n. 8), inserito in collana con altri amuleti egizi.
9 Kition: un esemplare, tempio di Astarte/sito I, Z-5, inizi sec. XIII a.C., Clerc 1976, p. 147 s./Kit. 845, tav. XI; un esemplare, tempio di Astarte/sito II, bothros 6, 600-450 a.C., Clerc 1976, p. 156/Kit. 1119, tav. XI; cfr. p. 119, 135 e nota 22. Idalion: un esemplare, tempio di Anat/Atena, livello tardo-arcaico; Gjerstad 1935, I, p. 534/79, 587, II, tav. CLXXXIII. 8, «phallos-shaped».
10 Un esemplare, tomba 61, Gauckler 1915, p. 20, tav. CXXVIII; un esemplare, tomba 160, Gauckler 1915, p. 58, tomba 160, tav. CXLI; un esemplare, tomba 186, Gauckler 1915, p. 76, tav. LV; quattro esemplari, tomba 228, Gauckler 1915, p. 102, tav. LXXII. Tipologia della XXVI-XXX dinastia. Cfr. Vercoutter 1945, p. 267, 274 e 286; Cintas 1946, p. 88 e tav. XIX/129, 113.
11 Due esemplari, Gamer-Wallert 1978, p. 147, 275/B 112-113, tav. 45i-j; un esemplare, A. Vives y Escudero, Estudio etc. La necrópoli de Ibiza, Madrid, 1917, p. 106/646, tav. XXXVIII. 23, « lotos»-Gamer-Wallert 1978, p. 147, 296/M 100, fig. 65a.
12 Cagliari: tomba 121/predio Ibba, “fallo stileggiato”; A. Taramelli, La necropoli punica di predio Ibba a S. Avendrace, Cagliari, MonAnt, 21, 1912, col. 153 e nota 1, 207 s., fig. 54. Inoltre cfr. Hölbl 1986, II, tav. 90.3-4, al Museo di Cagliari. Nora: tomba VIII, “amuleto fallico”; G. Patroni, Nora, colonia fenicia in Sardegna, MonAnt, 14, 1904, col. 218, tav. XVI. 1. Sulcis: tomba 22/“degli Anelli crinali”, n. 1566-1567; tomba 4/don Armeni, n. 2648-2649; tomba 8/don Armeni, n. 2702; “Tombe profanate della Piazzetta Azuni”, n. 2701; cfr. Hölbl 1986, I, p. 56-8, II, tav. 90.6; inoltre tav. 90.5,7, al Museo di S. Antioco. Tharros: 6 esemplari, IV-III sec. a.C.; E. Acquaro, Amuleti egiziani ed egittizzanti del Museo Nazionale di Cagliari, Roma, 1977, p. 46 s./86-91.
13 Blinkenberg 1931, col. 368/1360. Sui Fenici e sui Ciprioti a Rodi cfr. p. 227, note 76 s.
14 Si consideri l’unicità, per l’Italia continentale, dell’amuleto di faïence in forma di quadruplice udjat rinvenuto nella necropoli pithecusana (cfr. De Salvia 1993, p. 810/272*, fig. 10; invero sporadico, ma plausibilmente del 725-700 a.C.).
15 Cfr. p. 231, nota 116.
16 Cfr. nota 3.
17 Cfr. p. 232, nota 128.
18 L’Herrmann (1994, p. 784), invece, postula un’ampia presenza del tipo fuori dell’Egitto: «Der Papyrusstengel (…) gehört ähnlich dem Udjat-Auge zu den stark verbreiteten Amuletten Ägyptens».
19 La fortuna di alcuni tipi amuletici egizi in area mediterranea dové essere determinata da una pre-esistenza, locale e d’ambito popolare, di credenze analoghe. Come fu presumibilmente il caso dello scarabeo (cfr. p. 233, nota 137), oppure dell’udjat (connesso al potere benefico/malefico dell’occhio), nonché della ciprea (imitante un diffuso amuleto malacologico, ben noto sin dalla Preistoria).
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