Ceramiche tardo antiche da Pompei
p. 651-671
Résumé
I risultati di scavi recenti mostrano la relativa vitalità dell’area vesuviana dopo la disastrosa eruzione del 79 d.C. In particolare, i materiali ceramici provenienti dallo scavo di via Lepanto possono offrire una esemplificazione dei prodotti circolanti in quest’area tra lo scorcio del IV e gli inizi del V secolo. Essi provengono da una serie di scarichi che almeno in un’area dello scavo risultavano sigillati da un piano di battuto a sua volta coperto dal materiale piroclastico dell’eruzione cd. di «Pollena» (473 d.C.) Sulla base della sigillata chiara D, questi materiali possono essere datati al più tardi ai primi decenni del V secolo. Le analisi archeometriche eseguite su un ampio campione di materiali suggeriscono per larga parte delle ceramiche comuni e da fuoco una produzione locale, pur non mancando prodotti di importazione
Texte intégral
1. I materiali ceramici di via Lepanto (GS, EDC)
1I materiali presentati provengono dal sito di via Lepanto a Pompei, un insediamento che nasce al più tardi intorno alla metà del II secolo d.C., nel quadro del più generale recupero dell’area vesuviana dopo l’eruzione del 79 d.C. L’area dista circa 1 km dalle mura sud-orientali di Pompeii, a ridosso della via che collegava quest’ultima con Nuceria prima dell’eruzione, e riattivata al suo indomani1. I limitati saggi a suo tempo condotti non consentono di farsi un’idea precisa dello sviluppo planimetrico dell’impianto né, tanto meno, della sua destinazione produttiva. Hanno invece restituito alcuni grossi scarichi ceramici che possono offrire un primo quadro della circolazione delle merci soprattutto per la fase che immediatamente precede la fine del sito, determinata dall’eruzione cd. di «Pollena» (473 d.C.).2
2Il sito di via Lepanto, con il suo precoce impianto, non costituisce un fenomeno isolato nell’area investita dall’eruzione pliniana. Per limitarsi all’area più prossima a Pompeii, sono da segnalare l’ampia necropoli rinvenuta all’esterno di Porta Vesuvio, due tombe della quale hanno restituito monete di Antonino Pio e Lucio Vero ed il precoce riutilizzo del complesso di Moregine, ove un nuovo impianto si adatta alle strutture ancora parzialmente emergenti di un edificio termale in via di completamento al momento dell’eruzione3. Nei decenni successivi la rete degli insediamenti sembra crescere; per limitarsi, ancora, all’area più prossima a Pompeii, tra IV e V secolo ai siti già citati di via Lepanto e di Moregine, che perdurano fino a questa età, si possono aggiungere una serie di sepolture, isolate o a gruppi, che documentano la presenza di altri nuclei di abitato più o meno diffusi4, collocati a ridosso della via che conduceva a Nuceria, arteria che evidentemente, in questo settore, deve aver costituito un importante polo attrattivo (fig. 1).
3Gli scarichi ceramici di via Lepanto risultavano sigillati dal materiale piroclastico dell’eruzione di «Pollena» e, in un’area almeno dello scavo, da un piano di battuto a sua volta coperto dai livelli eruttivi. Sulla base della sigillata chiara D5, la formazione di questi scarichi può collocarsi nei primi decenni del V secolo: sono infatti presenti le forme caratteristiche della fine del IV/prima metà del V secolo d.C. mentre paiono assenti quelle forme che caratterizzano i contesti della metà/seconda metà del secolo. Le scodelle Hayes 596 e 61 (nelle versioni A e A/B)7 costituiscono i tipi maggiormente attestati, seguiti dalla coppa a listello Hayes 918. Almeno due esemplari sono attribuibili ad una scodella con largo orlo a tesa9 documentata anche a Napoli (scavo dei Girolamini) in un contesto della fine del IV d.C. Il panorama tipologico si completa con esemplari delle scodelle Hayes 60 e 67 e della coppa Hayes 7310.
4La maggior parte del materiale ceramico rinvenuto è costituito da ceramiche da fuoco e comuni, cui si aggiungono ceramiche fini dipinte e una serie di forme chiuse accuratamente «steccate». Su queste classi ceramiche, nel quadro di un’indagine tesa a definire forme e modalità della produzione e circolazione dei prodotti ceramici nell’area vesuviana in età tardoantica, sono state eseguite una serie di analisi archeometriche di cui si presentano i risultati (tab. 1).
5Tra i materiali sottoposti ad analisi sono da segnalare, innanzitutto, una serie di forme da mensa prodotte in un’argilla ben depurata, dura, di colore rosso-arancio (Mus 2.5 YR 4/6–4/8, 5/8–6/8) e ricoperte da un ingobbio rosso/rosso-arancio (Mus 2.5 YR 4/8–5/8), che riveste interamente il vaso all’interno e per una breve fascia sull’orlo all’esterno (fig. 2, 1-2, 6-11; fig. 3, 1). Talora è presente anche una leggera rifinitura a stecca (ad esse ci si riferirà, nella sezione archeometrica, come ceramica «a vernice rossa»). Le stesse forme (fig. 2, 2-5, 11) risultano prodotte anche con un’argilla meno depurata, più tenera, di colore tendente al beige (Mus 5 YR 4/6–5/6) e rivestite da una vernice di tonalità più scura (Mus 2.5 YR 5/6). Per entrambe queste serie di prodotti le analisi indicano un’origine locale. Le differenze morfologiche e tecnologiche (i prodotti di questa seconda serie, oltre ad avere un’argilla con una più alta percentuale di smagranti sono stati anche cotti ad una temperatura inferiore) fanno credere all’esistenza di più officine in area vesuviana dedicate alla produzione di questa ceramica. Il piatto fig. 2, 1-5 ne costituisce la forma maggiormente diffusa11: alcuni esemplari di questa serie sono documentati in livelli datati alla fine del IV–inizi V secolo a Somma Vesuviana, sul versante nord del Vesuvio12 e a Mercato S. Severino13; esemplari di forma analoga sono documentati in Campania (a Napoli, in contesti di fine V–inizi VI sec., e a Pratola Serra14), in Puglia (Ordona)15, in Lucania16; comuni tra i materiali di via Lepanto si rivelano anche le scodelle fig. 2, 7-1017, anch’esse presenti a Somma Vesuviana e a Mercato S. Severino18, le scodelle fig. 2, 11–3, 1 (simili alle precedenti nell’articolazione morfologica fatta eccezione per l’orlo semplicemente arrotondato all’interno), che possono confrontarsi con esemplari da Napoli, Pratola Serra (AV) e Calle (MT)19, e infine la scodella fig. 3, 2. L’esemplare fig. 2, 620 può, invece, accostarsi a tipi della sigillata africana21. Queste stesse officine potrebbero aver prodotto le scodelle fig. 3, 3-4, che sembrano costituire una versione del tipo fig. 2, 7-10 priva dell’ingobbio; forme simili sono presenti a Napoli22, in contesti di fine V–inizi VI secolo, e a Cartagine23.
6La ceramica comune dipinta è presente con un numero ridotto di frammenti; presentano un’argilla dura, con inclusi scuri (frequenti), di colore grigiastro nel nucleo (Mus 5YR 6/3), più giallastro sulla superficie (Mus 10YR 8/3). Sulla superficie è disteso un ingobbio di colore rosso-marrone più o meno scuro, applicato con un pennello o uno straccio. I tipi documentati trovano ampi confronti nel panorama regionale di questa classe: l’orlo fig. 3, 5 è relativo ad un tipo di brocca documentata sia a Napoli che in area caudina24; la coppa a listello fig. 3, 6 (presente con almeno due diversi esemplari25), è largamente diffusa in Campania a partire almeno dalla metà del V secolo26; l’orlo fig. 3, 7 sembra costituire una versione di dimensioni ridotte di un tipo ben documentato, a partire dalla metà del V e fino al VII secolo, a Napoli e nell’area flegrea, nell’area caudina e nella Campania interna27. La scodella fig. 3, 8 (presente con almeno due esemplari)28 può essere ugualmente accostata ad esemplari da Somma Vesuviana e da Napoli29, ma puntuali confronti sussistono anche con materiali dall’area caudina30.
7Particolarmente diffuso in Campania risulta il bacino fig. 3, 9: a Napoli, assente nei contesti della fine del IV secolo, è documentato a partire dalla metà del secolo successivo31; il tipo è presente, in area vesuviana, a Somma Vesuviana e a Torre del Greco, in un contesto anteriore all’eruzione del 472 d.C.32; la stessa forma risulta diffusa in area caudina (ove era anche prodotta)33, a Benevento34, a Cimitile, a Calatia e Suessula35.
8Frequenti si rivelano anche alcune piccole forme chiuse caratterizzate da un ingobbio rosso accuratamente steccato e lucidato sulla superficie esterna36. Ben diffuse in area vesuviana37, trovano confronti puntuali nel Nolano, a Napoli e nell’area flegrea, ove appaiono già intorno alla metà del V secolo per poi risultare assai frequenti nei contesti di fine V – inizi VI38. A via Lepanto questi prodotti sono documentati in due diversi impasti: il primo è duro, rosso, (Mus 2.5 YR 5/8), con inclusi neri e bianchi sparsi, molto vicino all’impasto degli esemplari documentati a Napoli; il secondo (fig. 3, 10) risulta più tenero, di colore più scuro (Mus 5 YR 4/6–5/6), con inclusi neri; le analisi archeometriche suggeriscono per entrambi una medesima origine.
9Per la ceramica da fuoco sono da segnalare alcune forme caratterizzate da una steccatura, più o meno diffusa, della superficie esterna. Il tegame fig. 3, 11-12 sembra costituire un’imitazione del tipo africano Hayes 2339. Il tipo, largamente diffuso in Campania, è bene attestato a Napoli nei contesti di fine IV e di metà–seconda metà V secolo, in percentuali ridotte in quelli di fine V – inizi VI40; gli esemplari di Via Lepanto presentano un’argilla di colore rossiccio (Mus 5YR 6/6), con inclusi che, almeno macroscopicamente, rimandano all’area vesuviana.
10A questa serie steccata è attribuibile anche la casseruola fig. 4, 1-2; essa sembra costituire la versione da fuoco del bacino in ceramica dipinta tipo fig. 3, 9; la forma è comunque documentata nella baia di Napoli e in area caudina41. La steccatura esterna sembra caratterizzare (sia pure non sistematicamente) anche la casseruola fig. 4, 3-5, presente sia nell’ambito più strettamente locale (a Somma Vesuviana in contesto di fine IV-inizi V)42 che in quello regionale: a Napoli, in particolare, è documentata nei contesti di metà V – inizi VI secolo43, ma forme analoghe sono presenti anche in area caudina e a Benevento44.
11E’invece priva di steccatura la casseruola fig. 4, 6; la forma, presente con più esemplari45 è largamente documentata in Campania, costituendo a Napoli il tipo più diffuso nei contesti di metà V – VII secolo46. Il tipo 4, 7-8, relativamente frequente tra i materiali di via Lepanto, trova confronti nella Campania interna47 e può essere accostato ad esemplari da Cartagine48; ciò vale anche per le casseruole fig. 4, 9-1149, e la casseruola fig. 5, 150, pure confrontabile con un tipo ben documentato a Napoli nei livelli di seconda metà V – VII secolo51. Un generico accostamento a forme diffuse a Napoli in contesti di VI-VII è forse possibile per il tipo fig. 5, 2 che trova confronti puntuali con materiali da livelli tardo antichi in area flegrea e nel Beneventano52.
12Alla ceramica di Pantelleria è invece riferibile l’esemplare fig. 5, 353; tale produzione ceramica, presente anche a Somma Vesuviana54, si rivela in questo periodo relativamente frequente sulle coste campane come mostrano gli esemplari da Napoli e dall’area flegrea55.
13Il tegame fig. 5, 4-7 costituisce una delle forme maggiormente attestate. Un esemplare in argilla vesuviana, come mostrano le analisi archeometriche, è documentato in area flegrea, tra i materiali tardo-antichi del Sacello degli Augustali a Misero56. Il tipo, oltre che in area vesuviana57, è presente anche a Napoli, già in contesti della fine del IV secolo58; forme analoghe sono largamente diffuse in Campania59 e in Puglia60. Frequente è anche l’olla fig. 5, 8 che trova confronti a Napoli in contesti di fine V – inizi VI d.C.61; al medesimo tipo potrebbe appartenere l’orlo fig. 5, 9.
14Anche i coperchi trovano paralleli tra i materiali tardoantichi napoletani e, più in generale, della Campania. Il tipo fig. 6, 1 è presente a Napoli già in contesti della fine del IV secolo e risulta comune nei livelli di metà V – VII secolo62; il tipo fig. 6, 2, oltre che a Napoli, ove è molto comune nei livelli di metà V - VII63, trova confronti puntuali nella Campania interna64. Anche per i due altri coperchi, fig. 6, 3-4, i confronti sono con materiali da Napoli65.
2. Le analisi archeometriche (CG, AL, VM)
2.1. Le analisi
15Dal sito di Via Lepanto sono stati selezionati 52 frammenti (tabella 1) appartenenti alla ceramica Steccata, Dipinta, da cucina e «a vernice rossa». Le caratteristiche macroscopiche rilevate sui frammenti sono riportate in tabella 2, qui si elencano le principali proprietà fisiche ricavate attraverso l’analisi autoptica dei campioni (Williams 1990).
16I campioni di ceramica steccata mostrano un impasto colore rosso uniforme (2.5YR 5/8), una tessitura fine con inclusi di quarzo, feldspati e materiale vulcanico. La superficie di questi campioni è accuratamente lisciata.
17I frammenti di ceramica dipinta hanno un impasto di colore grigio-verde con inclusi di quarzo, feldspati e rare miche di piccole dimensioni; presentano una decorazione dipinta a straccio.
18Gli impasti della ceramica «a vernice rossa» si distinguono per il colore rosso-arancio dell’impasto (2.5YR 5/8) e per la tipica decorazione a vernice rossa che ricopre la parete interna della forma aperta fino all’attacco dell’orlo sulla parete esterna. Strutture a sandwich, cioè variazioni del colore dell’impasto dovute a cambi dell’atmosfera di cottura della fornace, sono osservate per alcuni campioni. All’interno della stessa classe ceramica, nonostante le identiche caratteristiche stilistiche, è possibile distinguere due impasti, uno più grossolano con frequenti inclusi di natura vulcanica ed uno più depurato. I frammenti di ceramica « a vernice rossa» presentano un impasto molto duro. Tutti i frammenti sono stati realizzati al tornio veloce.
19Le ceramiche da fuoco, presentano un impasto grossolano con inclusi vulcanici, feldspati, pirosseni e talvolta quarzo. Il colore della matrice è generalmente di colore rosso (5YR 5/6-6/6), ma alcuni campioni presentano delle evidenti zonature nette o sfumate (strutture a sandwich).
20Le caratteristiche ottiche dei componenti dell’impasto, matrice argillosa ed inclusi non plastici, sono state osservate in microscopia ottica (in luce polarizzata, Leitz Laborlux 12 POL) su sezioni sottili di ogni frammento ceramico; tali caratteristiche (tessitura, rapporto matrice/inclusi, isotropia della matrice argillosa) rispecchiano precise scelte tecnologiche attuate dagli antichi vasai nella manifattura dei prodotti ceramici.
21Nella descrizione degli impasti ceramici in sezioni sottile si è fa riferimento per le tessiture alla nomenclatura secondo (Maggetti 1992) e al grado di addensamento degli inclusi non plastici alle tavole di comparazione di Terry 1979.
22I campioni di ceramica steccata presentano una matrice isotropa di colore marrone chiaro, una composizione prevalentemente quarzoso-feldspatica dello scheletro e la presenza di inclusi vulcanici (clinopirosseni, scorie, pomici ed ossidiane) come degrassante. Inoltre sono caratterizzati da un sottile rivestimento di colore rosso intenso dello spessore pari a 0,2 mm (fig. 7 a). Il campione PVL1 si distingue dai due successivi (PVL2 e 3) per una tessitura seriale, un addensamento del 10% e per la presenza delle miche (biotite e muscovite). I frammenti PVL2 e PVL3 mostrano una tessitura bimodale (iatale) con grossi inclusi vulcanici come smagrante ed un addensamento pari al 20%; nel campione PVL2 è stata osservata la presenza di chamotte.
23I campioni di ceramica dipinta (da PVL4 a PVL8, fig. 7 b) sono caratterizzati dalla presenza di uno scheletro prevalente composto da quarzo e feldspati, un addensamento compreso tra il 10 ed il 20% e la presenza di scarso smagrante di origine vulcanica (clinopirosseni, scorie, pomici ed ossidiane). Lo smagrante è assente nei campioni PVL4 e PVL5 in cui oltre a minerali residuali sono riconoscibili sottili lamelle di mica bianca (muscovite). Si riscontra una tessitura seriata per i campioni PVL4 e PVL8, e bimodale per i campioni PVL5, 6 e 7. Il colore della matrice, sempre otticamente isotropa, varia dal grigio chiaro al marrone scuro.
24Il folto gruppo di campioni appartenenti alla classe delle ceramiche da fuoco mostrano ancora una mineralogia dello scheletro prevalentemente quarzosa, ma sono caratterizzati dalla presenza di abbondante smagrante di natura vulcanica (fig. 7, c, d). Si osservano litici vulcanici a prevalente composizione trachitica (assemblaggi di feldspati, clinopirosseni e biotite) più raramente leucititica (con cristalli di leucite in una pasta di fondo amorfa) e cristalli di sanidino, clinopirosseno diopsidico e salitico. Subordinate risultano pomici ossidiane e chamotte a tessitura fine con minuti cristalli di quarzo e feldspati. La tessitura degli impasti è prevalentemente bimodale con cristalli residuali (scheletro) di piccole dimensioni (mediamente 0,10 mm) e grossi grani di smagrante (fino a 2 mm). In alcuni campioni si riscontra anche una tessitura in cui gli inclusi non plastici variano in granulometria da 0,05 a 1,00 mm. Il campione di ceramica da fuoco PVL52 mostra delle fasi mineralogiche nello smagrante differenti dai restanti campioni. Si osserva ancora un degrassante di origine vulcanica ma le fasi principali sono rappresentate da anortoclasio (fig. 7 e, f), quarzo, egirina (clinopirosseno sodico) e rari cristalli di aenigmatite; si evidenzia ancora la presenza di scorie a tessitura trachitica. L’addensamento è estremamente variabile dal 5 al 30%. Il colore della matrice varia dall’arancio, al rosso, al marrone, ad eccezione del campione PVL29 che mostra un colore nero; alcuni campioni risultano zonati (sandwich).
25Gli impasti della ceramica « a vernice rossa» presentano una matrice argillosa di colore arancio, si notano per alcuni campioni delle strutture zonate (sandwich) e la matrice è generalmente isotropa. Per i frammenti appartenenti a questa classe ceramica, tutti molto simili dal punto di vista stilistico e tipologico, è possibile distinguere due tipi di impasti. Una prima serie di campioni (PVL32, 34, 35, 38, 41, 44, 47, 48 e 49, fig. 7 g) mostra una tessitura bimodale con una bassa percentuale di inclusi non plastici (dal 3 al 10%), rari sono gli inclusi vulcanici ancora di clinopisrosseni (diopside e salite), sanidino, scorie, pomici ed ossidiane. Lo scheletro è ancora rappresentato da quarzo e feldspati. Una seconda serie di campioni (PVL33, 50 e 51, fig. 7 h) presenta una maggiore quantità di inclusi (dal 10 al 20%) con più abbondante componente vulcanica. I campioni PVL32, 43, 44 e 51 mostrano la presenza di chamotte nello smagrante.
26La composizione chimica dei campioni è stata ricavata tramite analisi in fluorescenza di raggi X (spettrometro Philips PW1400); sono stati dosati 10 ossidi di elementi maggiori (Si, Ti, Al, Fe, Mn, Mg, Ca, Na, K, P in% peso) e 11 elementi in tracce (Zn, Ni, Rb, Sr, Zr, Nb, Sc, V, Cr, Cu, Ba in ppm). I dati chimici sulle ceramiche archeologiche possono dare utili informazioni sulle materie prime utilizzate nella loro produzione e sulla provenienza dei manufatti ceramici attraverso il confronto con appositi reference group (Maggetti 2001). Infatti, è possibile individuare le materie prime utilizzate per una produzione se la composizione dei reperti ceramici e quella delle argille è chimicamente confrontabile, assumendo la cottura come un processo che non cambia la composizione chimica della materia prima argillosa. I risultati delle analisi chimiche espresse attraverso la media e la deviazione standard (σ) di ciascun elemento sono riportati in tabella 3.
27Gli elementiche mostranouna maggiore variabilità sono: SiO2 (valore medio= 61,6%); Al2O3 (valore medio= 19,1%,), MnO (valore medio= 0,29%,). Il contenuto in CaO evidenzia per buona parte dei frammenti ceramici analizzati l’utilizzo di argille non calcaree (CaO<5-6%), sia per la produzione di ceramica da fuoco che per la produzione di ceramica da mensa. Le uniche eccezioni sono rappresentate da quattro campioni (su cinque) di ceramica Dipinta (PVL4, 6, 7 e 8) ed un campione «a vernice rossa» (PVL40). Tutti gli altri elementi maggiori mostrano una buona omogeneità con σ sempre minore all’unità.
28I bassi contenuti di P2O5 rilevati non evidenziano fenomeni di alterazione post-seppellimento (Fabbri 1994).
29I diagrammi binari in fig. 2 permettono di visualizzare meglio il comportamento chimico dei reperti analizzati; buona parte dei campioni vanno a formare un gruppo omogeneo da cui si discostano sensibilmente i campioni PVL4, 6, 7, 8 e 40. Si allontanano dal gruppo principale nei diagrammi mostrati anche il campione PVL52 (per gli elevati contenuti di Na 2 O ed i bassi contenuti di MgO) e PVL43.
30Gli elementi in tracce variano tutti all’interno dello stesso ordine di grandezza. Da notare gli elevati contenuti in Ba (valore medio= 594 ppm) e i bassi contenuti (al di sotto dei limiti di rilevabilità) in Ni e Cr nel campione PVL52.
31Nei diagrammi tra gli elementi in tracce, i campioni si addensano ancora a formare un gruppo principale da cui si differenziano i quattro campioni di ceramica Dipinta (PVL4, 6, 7 e 8) e i campioni PVL43 e 52.
2.2 Discussione
32I campioni analizzati, databili tra la fine del IV e la metà almeno del V secolo d.C., sono rappresentati da ceramiche da fuoco e da mensa («a vernice rossa »). E’stato, inoltre, analizzato un minor numero di frammenti di ceramica Steccata e ceramica Dipinta coevi con le due produzioni principali.
33Le analisi macroscopiche hanno permesso di distinguere per le ceramiche da fuoco un impasto grossolano, caratterizzato da un’abbondante contenuto di temper di origine vulcanica, ed un impasto più depurato per le altre classi ceramiche. In particolare, per i campioni «a vernice rossa», molto simili dal punto di vista stilistico, si individuano (già alla scala macroscopica) due tipologie di impasto distinguibili in base alla quantità di degrassante; questa distinzione è stata successivamente confer-mata dalle osservazioni in microscopia ottica.
34Il colore rosso, predominante nella quasi totalità dei campioni, indica generalmente una cottura di tipo ossidante. Le strutture zonate (sandwich), che si osservano in alcuni impasti, prevalentemente con margini di colore rosso e cuore di colore grigio, sono imputabili a variazioni delle condizioni atmosferiche all’interno della fornace (Letsch 1983).
35Per quanto riguarda le proprietà ottiche (isotropia della matrice, tessitura, addensamento e mineralogia) i campioni di ceramica da fuoco sono caratterizzati da una matrice generalmente isotropa, di colore rosso, una distribuzione bimodale degli inclusi non plastici ed un addensamento variabile dal 5 al 30%. La granulometria dello scheletro residuale ha un valore medio di 0,005 mm, composto essenzialmente da quarzo e feldspati. L’abbondante degrassante di natura vulcanica è composto da sanidino, clinopirosseno (diopside e salite), pomici, scorie vulcaniche a composizione modale trachitica e leucititica e rare ossidiane. La granulometria dello smagrante ha un valore medio di 1 mm.
36Un campione (PVL52) mostra le stesse caratteristiche tessiturali degli altri campioni, ma presenta fasi mineralogiche dello smagrante vulcanico, tipico di rocce evolute a carattere peralcalino (anortoclasio ed egirina) insieme ad altri componenti vulcanici come pomici, scorie ed ossidiane. Questi peculiari caratteri minero-petrografici fanno assegnare questo singolo campione alla classe ceramica della Pantellerian Ware, classe ceramica prodotta sull’isola di Pantelleria ed ampiamente diffusa in tutto in Mediterraneo tra il IV ed il VI secolo d.C., di cui se ne rilevano frammenti anche in altri contesti tardoantichi delle Baia di Napoli (Grifa 2005).
37La composizione chimica dei frammenti analizzati è molto omogenea, sia per il contenuto degli elementi maggiori che per quelli in tracce, nonostante i campioni appartengono a classi ceramiche differenti. In particolare, il contenuto in CaO è inferiore al 5-6%, a testimonianza dell’utilizzo di argille non calcaree per la realizzazione degli impasti, a parte per alcuni campioni di ceramica Dipinta (PVL4, 6, 7 e 8) che mostrano contenuti di CaO molto più elevati.
38Le analisi chimiche ci permettono di affermare che le due produzioni di ceramica comune (da fuoco e da mensa), ad esclusione dei frammenti di ceramica Dipinta, sfruttavano gli stessi giacimenti di argilla caratterizzati da un basso contenuto di carbonati ed uno scheletro quarzoso-feldspatico. Questa argilla era successivamente addizionata di materiale vulcanico per migliorane la lavorabilità come del caso della ceramica « a vernice rossa» oppure l’aggiunta di degrassante in proporzioni maggiori risultava necessario per una miglior resistenza agli shock termici per le ceramiche da fuoco.
39La mineralogia del degrassante permette inoltre di affermare una provenienza locale per tutti i manufatti ceramici eccetto, ovviamente per il frammento di Pantellerian Ware.
40Vista la chiara uniformità nella composizione chimica dei frammenti e l’elevata percentuale di frammenti ritrovati dalle caratteristiche omogenee è possibile definire i gruppi di referenza relativi alla ceramica da fuoco e alla ceramica «a vernice rossa».
41Le analisi disponibili sui pochi frammenti di ceramica Dipinta ci permettono di sottolineare l’utilizzo di una materia prima argillosa differente, dal carattere calcareo, alla quale solo in pochi frammenti ed in quantità molto modeste veniva addizionato materiale piroclastico. Per questi frammenti non è possibile indicare una provenienza certa.
3. Conclusioni
42Le analisi archeometriche permettono di collocare in area vesuviana le officine che hanno prodotto la ceramica da fuoco e la ceramica fine da mensa utilizzate sul sito di via Lepanto; la variegata attività ceramica testimoniata da questi prodotti può costituire un’ulteriore indicatore della vitalità in età tardo-antica di questo comprensorio, ove proprio tra IV e V secolo la rete degli insediamenti sembra infittirsi66. La presenza di ceramica fine (sigillate africane) e da fuoco (dall’Africa, da Pantelleria), di anfore di importazione africana (prevalentemente), orientale e iberica67 documentano una certa apertura di questa area alle importazioni di manufatti e derrate, soprattutto dall’Africa, che dovevano affluire nel porto di Stabiae e da qui essere redistribuite. Ma, soprattutto, è da sottolineare la sostanziale uniformità tipologica che sussiste tra le ceramiche prodotte dalle officine vesuviane e i materiali attestati nella Baia di Napoli, nella Campania settentrionale, nella Campania interna. Tale uniformità riflette il persistere di un sistema di distribuzione e circolazione dei prodotti ancora efficiente quanto meno su scala regionale (come indica, peraltro, la ceramica da fuoco di produzione vesuviana presente tra i materiali del Sacello degli Augustali a Miseno) e, forse, anche extra-regionale68.
Notes de bas de page
1 Sull’area vesuviana dopo l’eruzione del 79 d. C. (vd. Soricelli 2001b); sul suo assetto gromatico prima e dopo l’eruzione (vd. Soricelli 2001a; 2002). Sul sito di via Lepanto e l’insediamento tardo-antico nell’area circostante Pompei, (De Carolis 2005).
2 Secondo il Chron. del Comes Marcellinus (M. G. H., XI, 1894, 90, a. 472), l’eruzione sarebbe occorsa ai primi di novembre del 472 d. C. e le ceneri vesuviane avrebbero raggiunto Costantinopoli cadendo sulla città e terrorizzando la popolazione, rifugiatasi nelle chiese a pregare per placare l’ira divina; l’evento sarebbe stato commemorato negli anni successivi con la celebrazione di omelie ogni 6 novembre; la caduta di queste ceneri e l’impressione che provocò tale evento sono ricordati, senza però porli in relazione con una manifestazione vulcanica, da altri autori di ambiente costantinopolitano che collocano l’avvenimento non nel 472 bensì nell’anno successivo, (vd. De Carolis 2005, p. 523). Sulle eruzioni vesuviane di età tardo-antica cfr. anche Savino 2004, p. 511-521.
3 Necropoli di Porta Vesuvio (Sogliano 1915, p. 501-502); edificio di Moregine (De Simone 2000) (terra sigillata tardo-italica è documentata nello strato antropizzato formatosi al di sopra dei prodotti piroclastici dell’eruzione pliniana, vd. p. 120-121, Cat. n. 4, fondo bollato da L. Rasinius Pisanus). Frammenti di sigillata chiara A, databili genericamente al II secolo d. C. provengono dal riempimento di un cunicolo scavato all’interno di un ambiente delle Terme Suburbane associate a ceramica tardo-antica e medievale, (Soricelli 1997, p. 142).
4 Porta Stabia (Scatozza 1978); Porta Nocera (De Carolis 1998, p. 115, Q3); Palestra (Maiuri 1939, p. 215, nota 1); praedia di Iulia Felix: Antichità di Ercolano VIII, Napoli, 1792, p. 219, tav. XLVI, 1 (Fiorelli 1860, p. 38); prop. De Fusco (Sogliano 1915, p. 495-496); trav. Via Nolana: Pompeii Herculaneum Stabiae, 1, 1983, p. 327-328; loc. Cimitero (De Carolis 1998, p. 115, Q1-2); prop. Brancaccio (Casale 1979, p. 49, n. 145).
5 De Carolis 2005, fig. 2.
6 Atlante I, p. 82-83.
7 Atlante I, p. 83-84; Bonifay 2004, p. 167-171 (che colloca le varianti A/B nella prima metà del V secolo).
8 Atlante I, p. 105-108; Bonifay 2004, p. 177-181.
9 Un possibile confronto per questa scodella è con una delle forme prodotte a Pheradi Maius, Ben Moussa 2007, p. 135, forma 4.1-2, fig. 45.
10 Atlante I, p. 84-85; Bonifay 2004, p. 171-173 (Hayes 60), Atlante I, p. 88 (Hayes 67), p. 72-73 (Hayes 73).
11 Per altri esemplari da via Lepanto vd. De Carolis 2005, fig. 3, 1-3.
12 Aoyagi 2007, p. 440, fig. 3, n. 9; il piatto fig. 5, n. 22 potrebbe invece appartenere alla serie in argilla meno depurata.
13 Fiorillo 2003, p. 128, fig. 4.15.
14 Rispettivamente Arthur 1994b, p. 183, tipo 6, fig. 80; Alfano 1992, p. 179 e 190, tav. LVI, 57.
15 Annese 2000, p. 304, tipo 4, tav. VI; Leone 2000, p. 401, tipo 10, tav. IV.
16 Calle: Di Giuseppe 1998, p. 739, fig. 4, n. 6-7, 10.
17 Per un altro esemplare cfr. De Carolis 2005, fig. 3, 10. Simile appare un orlo da Ostia, Ostia III, p. 205, tav. XLV, 363 da un livello di IV secolo.
18 Somma Vesuviana: Aoyagi 2007, p. 440, fig. 3, nn. 11-12; l’esemplare fig. 4, n. 17 potrebbe invece appartenere alla serie in argilla meno depurata. Mercato S. Severino: Fiorillo 2003, p. 128, fig. 4.4 e 4.13; entrambi appartengono alla serie in argilla meno depurata.
19 Rispettivamente Arthur 1994b, p. 187, tipo 36, fig. 84; Saporito 1992, p. 221, tav. LXII, 127-128, p. 223, tav. LXIII, 139-141 e tav. LXIV, 143; Di Giuseppe 1998, fig. 4, 4 e 6.
20 Fiorillo 2003, p. 128, fig. 4.11.
21 Cfr., ad esempio, il tipo Atlante I, p. 70, tav. XXX, 9 in TSCC; analoga ispirazione alla ceramica fine africana (e, nello specifico, alla Hayes 110, cfr. Atlante I, p. 114-115, tav. LII, 15-18; tav. LIII, 1-2) sembra cogliersi nel tipo De Carolis 2005, fig. 3, 6-7.
22 Arthur 1994b, p. 185, tipo 25, fig. 83.
23 Fulford 1984, p. 174, forma 29, fig. 64.
24 Rispettivamente Arthur 1994b, p. 203, tipo 98, fig. 95; Perrone 2005, p. 126, fig. 99.8.
25 De Carolis 2005, p. 520, fig. 4.3.
26 Per esemplari simili cfr. Arthur 1994b, p. 187, tipi 31-32, fig. 82; Carsana in Camardo 2003, p. 363, fig. 7, 2; Lupia 1998, p. 130, n. 6 e 8, fig. 68; Saporito 1992, p. 219, tav. LXII, 117.
27 Ripettivamente Arthur 1994b, p. 194, tipo 67, fig. 89; Monti 1991, p. 67 e p. 144, fig. 38 e fig. 107; Perrone 2005, p. 145, fig. 112, 1; Saporito 1992, p. 209, tav. LXIII. 137.
28 De Carolis 2005, p. 520, fig. 4, 1.
29 Somma Vesuviana: Aoyagi 2007, p. 440, fig. 4, n. 14; Napoli: Arthur 1994, p. 191, tipo 60, fig. 86.
30 Perrone 2005, p. 125-126, fig. 99, 1; p. 133, fig. 104, 1.
31 Arthur 1994, 191-194, tipo 62, fig. 87; Carsana 2007, p. 426, fig. 6, n. 4.
32 Somma Vesuviana: Aoyagi 2007, p. 440-441, figg. 6-7, nn. 43-45. Torre del Greco: Pagano 1991, p. 180, fig. 32, A.
33 Perrone 2005, p. 126, fig. 99, 1-2.
34 Lupia 1998, fig. 68, 10-11.
35 Ebanista 2003, fig. 4, n. 9; Rescigno 2003, p. 55, fig. 38, nn. 128-129; Carsana in Camardo 2003, p. 363, fig. 7, n. 1; Carfora 2006, p. 249, n. 3, fig. 16; Cera 2003, p. 168, n. 6, fig. 122.
36 De Carolis 2005, 520, fig. 4, 7-10, con relativi confronti.
37 Pompei: De Carolis 1998, p. 115, Q1-2. Boscoreale: van Ingen 1933, tav. XL, 13. Somma Vesuviana: Aoyagi 2007, p. 440-441, fig. 4, nn. 18-20 e fig. 6, n. 41.
38 Cimitile: Pani Ermini 1993, p. 285-286, 298, nn. 4-5, fig. 55; Ebanista 2003, fig. 4, n. 7. Napoli: Arthur 1994, p. 210-211 (con ulteriori attestazioni); Carsana 2007, p. 426, fig. 7, n. 15. Miseno: Rescigno 2000, p. 80, fig. 13.
39 Un riferimento tipologico puntuale potrebbe essere offerto dal tegame Bonifay 2004, p. 244, tipo 38, fig. 131, ben diffuso lungo il litorale tunisino ma in contesti di fine V–VII secolo (la possibilità di una cronologia anticipata al IV sec. non è esclusa per questa forma da Carr 2007, p. 598).
40 Carsana 1994, p. 234, tipo 28, fig. 111.
41 Per l’area caudina Perrone 2005, p. 140, fig. 108, 17; cfr. anche Carfora 2006, p. 331, n. 6, fig. 122 (S. Felice a Cancello); Benevento: Lupia 1998, p. 172, n. 16, fig. 97.
42 Aoyagi 2007, p. 440, fig. 5, n. 26.
43 Carsana 1994, p. 228, tipo 9, fig. 108 e p. 234, tipo 28.3-4, fig. 111.
44 Cfr. Lupia 1998, p. 172, fig. 97, 16; Perrone 2006, p. 152, fig. 8, 8-9.
45 De Carolis 2005, p. 520, fig. 5, 7. Il tipo è presente anche a Somma Vesuviana in un contesto anteriore all’eruzione del 472 d. C., cfr. Aoyagi 2007, p. 441, fig. 7, n. 50.
46 Carsana 1994, p. 226-228, tipo 3, fig. 105-106 (con altri confronti); Carsana 2007, p. 426, fig. 8, nn. 2-3. Per esemplari dall’area flegrea cfr. Soricelli 2000, p. 72, n. 18-19; il tipo è presente anche nell’alto Casertano, Cera 2003, p. 52, n. 13, fig. 27.
47 Alfano 1992, p. 194, tav. LIX, 92-94.
48 Fulford 1984, p. 181-183, forma 4, fig. 67
49 Hayes 1976, p. 100, fig. 16, 35-36; Fulford 1984, p. 185, forma 23, fig. 69.
50 Fulford 1984, p. 187, forma 30, fig. 70.
51 Carsana 1994, p. 232, tipo 17, fig. 109.
52 Napoli: Carsana 1994, p. 232, tipo 18, fig. 110; Benevento: Lupia 1998, p. 172, n. 10, fig. 96. Forme simili sono presenti a Roma nel deposito della Schola Praeconum, Whitehouse 1982, p. 67, n. 95, fig. 8.
53 Per la forma vd. Santoro Bianchi 2005, p. 343-345, tav. I, forma A.
54 Aoyagi 2007, p. 441, fig. 5, n. 30.
55 Rispettivamente Carsana 1994, p. 252-254, tipi 112-115, fig. 121-122; Soricelli 2000, p. 71, n. 14-15 e p. 73-74, n. 21-22 (sui quali vd. Grifa 2005).
56 Grifa 2005.
57 Somma Vesuviana: Aoyagi 2007, p. 441, fig. 5, 21.
58 Carsana 1994, p. 234, tipo 30, fig. 111.
59 Alfano 1992, p. 191, tav. LVI, 60 da Pratola Serra.
60 Ordona: Annese 2000, p. 331, tipo 1, tav. XV; Volpe 2000, p. 370, tipo 1, tav. V-VI; Leone 2000, p. 422, tipo 1, tav. XI.
61 Carsana 1994, p. 238, tipo 50, fig. 114.
62 Carsana 1994, p. 243, tipo 72, fig. 116.
63 Carsana 1994, p. 243, tipo 69, fig. 116.
64 Alfano 1992, p. 189, tav. LVI, 45-47 da Pratola Serra.
65 Carsana 1994, p. 245, tipi 79 e 78, fig. 116.
66 De Carolis 2005, p. 516; cfr. anche Savino 2005, p. 230-239.
67 De Carolis 2005, p. 521, fig. 6.
68 Carsana in Camardo 2003, p. 363.
Auteurs
Soprintendenza Archeologica di Pompei, Pompei.
Dipartimento di Studi Geologici ed Ambientali, Università del Sannio, Benevento.
Dipartimento di Studi Geologici ed Ambientali, Università del Sannio, Benevento.
Dipartimento Scienze della terra, Università Federico II, Napoli.
Dipartimento di Scienze Umane, Storiche e Sociali, Università del Molise, Isernia.
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