Recenti scoperte nei santuari di Hera Lacinia a Crotone e di Apollo Aleo a Ciro Marina
p. 67-73
Texte intégral
1È stato detto che all'apogeo della sua fortuna e della sua espansione sul versante ionico, la chora di Crotone era emblematicamente vigilata dai santuari di Hera Lacinia a Sud e di Apollo Aleo a Nord, così come quello di Poseidonia era sotto la protezione divina dell'Heraion alla foce del Sele e del Poseidon sito probabilmente presso Agropoli.
2Il Capo delle Colonne, oggi Capo Colonna, dall'unica colonna superstite già dalla fine del '700, delimita a Sud la rada di Crotone, costituendo un caposaldo per la navigazione antica da Taranto allo stretto di Messina11. Tale funzione, sacralizzata con la dedica di un'area sacra al culto di Hera, Lacinia dal nome del promontorio, permane per secoli, fino ai nostri giorni. Il santuario, documentato con certezza dal VI sec. a.C. ma molto probabilmente più antico, divenne più tardi il santuario degli Italioti, la sede della stessa Lega italiota; il tempio di età classica, periptero esastilo, con doppia fila di colonne sui lati brevi, era coperto da tegole marmoree ed era cinto da un muro di peribolo, quasi una fortificazione, a difesa dei suoi tesori, rifatta in epoca tardorepubblicana. Era rinomato per le sue opere d'arte, tracui le pitture di Zeus (Cic., Inv. 2, 1) e per i ricchi doni votivi, celebrati dalle fonti antiche, come il celebre manto trapunto a figure di Alkisthenes di Sibari, prodotto a Mileto (Ps. Arstt., Mir., 96). La ricerca archeologica ha restituito anche una serie di oggetti iscritti con il nome della dea, statuette femminili in terracotta, oggetti metallici di vario tipo, cui vengono ad aggiungersi ora i ritrovamenti di quest'ultima campagna di scavi della Soprintendenza archeologica della Calabria, diretta da Roberto Spadea.
3Il santuario, una volta più esteso (basti ricordare le mandrie al suo interno, secondo Livio, XXIV, 3, 4) ospitava, oltre il tempio, una serie di monumenti, necessari per il funzionamento del complesso, come stoai e soprattutto il katagogeion e lo hestiatorion, messi in luce da De Franciscis e studiati recentemente da Florian Seiler2.
4Degli altri edifici, di carattere sacro e profano, restano frammenti di terrecotte architettoniche, che testimoniano tutta una serie di altri monumenti distrutti ο forse ancora da mettere in luce nelle fondazioni. Un'analisi delle fondazioni del tempio di V secolo, compita di recente da Dieter Mertens3 ha dimostrato che nella sottostruzione di utilizzano blocchi di differenti dimensioni, spessori, materiali: si tratta di materiali della demolizione di un grande edificio arcaico, presumibilmente situato nello stesso luogo del tempio di età classica. La colonna e i pochi resti conservati del tempio dorico presentavano rilevanti analogie con il tempio di Athena a Siracusa, sì da indurre Mertens a parlare, a proposito di questa cerchia di monumenti, di "architettura dei Dinomenidi". Anche la sontuosa decorazione marmorea trova riferimenti nel tempio siracusano, come le teste leonine ripetono tipi documentati a Siracusa. Insufficienti per proporre una ricostruzione sono i gruppi frontonali, di alta qualità artistica4.
5Non è forse superfluo ricordare brevemente il carattere del culto della dea nel santuario lacinio, di cui Livio celebra il tempio, definendolo nobile templum, ipse urbe nobilius Laciniae Iunonis.
6I tratti costitutivi sono stati di recente messi a punto da Maurizio Giangiulio5 dopo gli studi precedenti di Giovanni Pugliese Carratelli e di Gianfranco Maddoli. Ancora più recentemente Mario Torelli si è occupato del problema6.
7Il culto presenta i caratteri particolari dell'area achea delle colonie della Magna Grecia: non molto dissimile dalla Hera di Sibari e da quella di Poseidonia, subcolonia di Sibari, la tradizione ne attribuisce la fondazione ad Eracle, dopo l'uccisione di Lacinio, e del genero Crotone (Servio- Diodoro). La dea Hoplosmía, ricordata da Licofrone, è una variante della divinità armata, ma l'elemento del kepos la apparenta strettamente ad Afrodite. L'origine mitica del santuario, collegato con le migrazioni di Eracle, adombrerebbe, oltre i ricordi mitici precoloniali (si ricordino, a poca distanza dal Lacinio, i ritrovamenti micenei di Capo Piccolo) un tipo di relazioni "aggressive" proprie della colonizzazione achea, nei confronti delle popolazioni indigene. L'aspetto pastorale, che richiama le relazioni di scambio con gli indigeni, è sottolineato nella descrizione liviana delle mandrie e nella dedica di una giovenca d'oro, secondo Cicerone, da parte di Annibale, sulla sommità della colonna aurea citata da Livio. Sempre, secondo Mario Torelli, la dea boopis presiede ai grandi pascoli della Crotoniatide, ove dalla metà del IV sec.a.C. sono presenti i Brettii, servi-pastori dei Lucani. Altro carattere saliente della dea è la funzione di asylìa, assicurata entro il temenos, come testimoniano alcune iscrizioni di età arcaica e classica ed un cippo troncopiramidale della seconda metà del VI a.C., dedica ad Hera, nonché frammenti di laminette di rame con menzione di eleutheria e di eleutheroi, alludenti a manomissioni, studiate di recente da Maria Letizia Lazzarini7.
8La dea lacinia è invocata infine come potnia theròn, nel suo bosco sacro fitto di alberi e di ricchi pascoli cinti da altissimi abeti e kourotrophos, come la dea del Sele.
9Tranne una breve parentesi di collaborazione con l'Istituto Archeologico Germanico (1983) l'attività della Soprintendenza si era interrotta dal 1979 nella zona del santuario di Capo Colonna, per varie difficoltà, mentre non si era fermato l'impegno volto alla acquisizione dell'area archeologica, tramite l'esproprio, nonché il recupero e l'allestimento della Torre Nao, dove ha sede un minuscolo museo, con esposizione di reperti facenti parte del carico di una nave romana, naufragata presso punta Scifo8.
10Nel corso dello scavo, condotto quest'anno sotto la direzione di Roberto Spadea nell'area a fianco del tempio di Hera, sul lato settentrionale (ossia tra le trincee di fondazione del tempio e il moderno muro di cinta di villa Albani) si sono verificate scoperte di notevole interesse. Innanzitutto si è messo in luce, ad appena 20-30 cm. sotto il piano di campagna, un edificio di pianta rettangolare (m. 19.65 x 9.30), di cui restano solo le fondazioni, in scheggioni di calcarenite locale, con evidente reimpiego di blocchi provenienti da un vicino edificio monumentale, probabilmente dallo spoglio della fase arcaica dello Heraion.
11L'edificio, denominato provvisoriamente "edificio B", presenta all'interno una base, di pianta approssimativamente quadrata, conservata per una sola assise di blocchi e ubicata in prossimità del lato corto occidentale, in posizione non centrale. La sua funzione non è ancora chiara, potendosi pensare ad un'ara ο piuttosto alla ipotetica base di un donario. Una interpretazione dell'edificio come thesauròs si propone solo sulla base dei rinvenimenti. Lo sconvolgimento dei materiali architettonici dal momento in cui l'area divenne cava e le arature, che hanno dissodato il terreno almeno fino al secolo scorso, non permettono di leggere le fasi più recenti del monumento. Le fasi romana ed ellenistica, se mai l'occupazione di questa zona continuò fino a queste epoche, non sono più percepibili. La fase in cui l'edificio si presenta allo scavatore è quella di v sec. a.C., probabilmente l'inizio del secolo, documentata dalla presenza di frammenti di coppe attiche a figure nere, con ampio riutilizzo di materiali arcaici. Il pavimento appare completamente sconvolto e solo alcuni lembi di battuto sono visibili. Il materiale, raccolto sparso nell'area di scavo, con apparenti concentrazioni lungo i muri perimetrali, nonché presso il basamento quadrato, sembrerebbe crollato in seguito ad un evento traumatico, anche se non è possibile escludere una sepoltura intenzionale.
12Si daranno qui brevi cenni sui materiali, essendo in preparazione uno studio da parte del dott. Roberto Spadea.
13Tra i materiali votivi prevalgono numericamente le phialai mesomphaliche e la ceramica miniaturistica, insieme a lamine in bronzo e rosette in argento dorato, pertinenti probabilmente alla decorazione di suppellettili. Numerose sono anche le cosiddette "chiavi del tempio", spesso conservate intatte, nonostante la corrosione del metallo. Un bronzetto raffigurante un cavallino su basetta "a giorno", purtroppo acefalo, richiama esemplari tardogeometrici, come l'analogo bronzetto da Locri, pubblicato da Elisa Lissi9. La sua presenza fa supporre un'area di culto in epoca precedente l'impianto arcaico del tempio. Di grande interesse è la presenza di un pendaglio bronzeo (lungh. max. cm. 32) del tipo a placca desinente in una serie di catenelle, analogo alla parure rinvenuta ad Alianello, contrada Cazzatola, in Basilicata, in una tomba indigena femminile di tipo "principesco", datata nel VII sec. a.C.10.
14Il rinvenimento di questi materiali richiama la koinè della tarda età del Ferro nell'entroterra della colonia achea e la presenza di popolazioni ricordate dalla tradizione antica con il nome di Choni ο Enotri. Ancora più degna di attenzione la presenza, tra i materiali votivi, di una navicella in bronzo di fabbricazione "nuragica" (lungh. max. cm. 26.2) con scafo lungo e convesso e parapetto a transennatura, su cui poggiano, su entrambi i lati e contrapposti, due carri di buoi aggiogati mentre sulle colonnine, verso poppa, poggiano due colombe. Si richiamano qui, per analogie più ο meno evidenti, in attesa di uno studio più approfondito, i già noti esemplari di Meana Sardo (Nuoro), rinvenuti nel 1875, attribuiti alla stessa bottega da cui è uscita la navicella della tomba del Duce di Vetulonia, e la barchetta di provenienza ignota, sempre nel Museo Sanna di Sassari, denominata "barchetta di re Sole"11. È piuttosto noto che la cronologia di questi oggetti è ancora incerta e fluttuante, anche se una recente tendenza di studio (Gras-Bartoloni-Delpino) vorrebbe concentrarne la produzione in appena poco più di un secolo, dalla fine del IX a tutto l'VIII sec. a.C.12; secondo il Lilliu le navicelle di gusto orientalizzante sarebbero scaglionate per tutto il VII sec. a.C.13. Per Fulvia Lo Schiavo14 non è possibile, allo stato attuale, avanzare ipotesi sulla località di fabbricazione, né sulla cronologia, senza uno studio più approfondito su tutti gli elementi di confronto.
15Assolutamente eccezionale, inoltre, è una serie di piccoli bronzi votivi, facenti parte probabilmente di vasi metallici ο tripodi, come in altri santuari del mondo antico15. Si tratta di una sfinge seduta, di una gorgone in corsa e di una Sirena accovacciata, tutti databili entro la prima metà del VI sec. a.C.
16La sfinge (h. cm. 7, 5) si presenta con il volto di prospetto e il corpo di profilo, porta il polos sul capo; le ali sono trattate con calligrafismo elegante e raffinato. Strette affinità stilistiche presentano esemplari di officine peloponnesiache, forse corinzie16. La Sirena (h. cm. 10) porta anch'essa un polos sul capo, ha capelli a boccoli sulle spalle, volto dai tratti arcaici, bocca lunga e stretta senza rilievo, ali a coda di rondine, zampe di uccello17. La gorgone, infine, (h. cm. 8) lavorata anche nella parte posteriore, presenta un'acconciatura a parrucca con riccioli, il corpo reso plasticamente nella corsa, le ali con indicazioni di dettaglio delle piume18. I bronzetti arcaici di Crotone, come nota altrove Claudio Sabbione19 presentano, oltre la notevole qualità artistica di alcuni esemplari, il confluire nella polis di varie esperienze artistiche, che determinano un'interessante articolazione nell'ambito dell'artigianato artistico locale.
17Per concludere, si accennerà soltanto, in attesa della pubblicazione del dott. Spadea, ad un oggetto votivo di eccezionale interesse, che ha ripagato da solo l'impegno di chi ha condotto la fortunata campagna di scavi di questa estate. Si tratta di uno splendido diadema in lamina d'oro, di finissima fattura (h. cm. 5; diam. conservato cm. 19), costituito da una larga fascia decorata a sbalzo da un motivo di treccia di fattura arcaica, su cui è stata applicata con piccoli ganci d'argento, presumibilmente in un secondo momento, una ricca corona in lamina d'oro, composta da foglie di quercia e melograno e da bacche d'oro. Il riutilizzo, come nota Roberto Spadea, farebbe ipotizzare un particolare significato cultuale del diadema, la cui presenza come è noto, è registrata in tutti gli inventari dei santuari antichi.
18I recenti rinvenimenti, al di là del valore artistico e del significato cultuale, storicamente sottolineano l'importanza della vita del santuario nella fase arcaica della prima metà del VI sec. a.C. e testimoniano la presenza di una fase più antica, del VII secolo, cui si riferiscono doni votivi di indubbio rilievo, quali la parure indigena, nota dalle citate tombe principesche enotrie, e la navicella sarda, qualunque sia il modo di acquisizione della stessa in ambito crotoniate.
19Volgiamoci ora al santuario di Apollo Aleo a Punta Alice, presso l'odierna Ciro Marina20. Il culto di Apollo è saldamente ancorato alla storia di Crotone fin dalla fondazione, ο almeno dal momento in cui la tradizione relativa all'ecista Myskellos riferisce l'oracolo del dio delfico, descrivendo il luogo in cui sarebbe avvenuta la ktisis, della colonia achea, tra il promontorio lacinio e la sacra Krimissa.
20Apollo Alaios, detto da Licofrone originario della città di Patara in Asia Minore, di fronte a Rodi, è riferibile ai contatti anteriori alla colonizzazione dell'VIII secolo a.C. Inglobandone il santuario nel loro territorio, i Crotoniati - a livello di classe dirigente soprattutto i Pitagorici - nota il Maddoli21, rafforzano il culto del dio arche ghete s massimo tutore dell'ordine e dell'armonia sociale. Nello stesso tempo portano a Crotone, secondo la tradizione, una preziosa reliquia (le frecce dell'eroe), trasformando anche Eracle in eroe pitagorico.
21Significato e finalità del culto del santuario di Punta Alice si presentano diversi. Dallo studio degli elementi architettonici di ciò che resta del tempio, Dieter Mertens giunge a ritenere che, in questo caso, l'apporto dell'ambiente indigeno sia prevalente. Osservazioni critiche originate dalla lettura di Paolo Orsi indussero il Mertens, infatti, ad effettuare una nuova esplorazione del tempio di Apollo, in collaborazione con la Soprintendenza, nel 197722.
22Il nuovo intervento ed il conseguente rilievo diedero i risultati che qui si riassumono. Per la fase tardo-arcaica è stato chiarito che la cella, di forma molto allungata (m. 27 x 7.90), è costituita da uno zoccolo di pietra calcarea di fiume, mentre l'alzato era in mattoni crudi. Il naos, senza pronao, era aperto verso Est e diviso al centro da un colonnato in due navate. In mancanza di dati utili dallo scavo, l'indagine si è rivolta, in particolar modo, alle terrecotte architettoniche. Gli elementi architettonici (baccellature, antefisse a forma di corna) sono arcaici e contrasta la loro combinazione con quelli delle strutture lapidee. Il tipo di rivestimento "dorico" sembra peculiare di Crotone, nato e motivato da particolari condizionamenti tecnici, fino a divenire una forma architettonica autonoma.
23La tenace conservazione del concetto di tempio ligneo fa pensare che il santuario di Apollo fosse un punto di incontro di interessi comuni tra Greci e indigeni in cui l'apporto indigeno sembra molto importante. La struttura del tempio, secondo il Mertens, può quindi spiegarsi con una certa arretratezza della zona rispetto all'ambiente greco ο ellenizzato e, nello stesso tempo, con il gusto conservatore dell'ambiente indigeno.
24Nella seconda fase (ellenistica) il tempio di Apollo Aleo, meta di culto, a giudicare dai ricchi doni votivi, soprattutto dal celebre acrolito, viene sostituito da un nuovo edificio sacro, che tuttavia ingloba gli elementi del precedente. Per non distruggere si conserva, per quanto è possibile, la struttura stessa, seppellendo l'acrolito e gli anathemata, coprendoli con cura, nell'adyton del tempio, con due strati di terra e scaglie di pietra, quasi per protezione. È possibile ricostruire, anche se la cella del nuovo tempio è scomparsa completamente per le spoliazioni, la trabeazione della peristasis, che conferma la pianta dell'Orsi, di 8 x 19 colonne. Nella parte orientale sembra ricostruibile, con difficoltà, la presenza di uno pteròn orientale raddoppiato. Confronti con il teatro di Metaponto e con l'architettura funeraria tarantina permettono di ipotizzare una datazione nel primo quarto del secolo III a.C. La pianta del tempio di Apollo resta comunque unica e difficile da interpretare - unico tempio periptero ellenistico dell'occidente greco - perché gli elementi distintivi, doppio pteròn orientale e gran numero di colonne, sono caratteristiche arcaiche e non ellenistiche, per quanto riguarda l'ordine dorico.
25Negli anni più recenti, dopo l'intervento di Dieter Mertens, alcuni lavori agricoli controllati e due brevi campagne di scavo (la prima ad opera di J. de La Genière nel 1982, la seconda a cura della Soprintendenza nel 1985) hanno permesso di acquisire altri elementi per la storia del santuario23.
26Particolarmente ricca ed interessante appare la zona compresa tra il lato Ovest del tempio e il canalone di bonifica, a 12-15 m. dall'angolo Sud'Ovest del tempio. Da questa area sono venuti alla luce, in più momenti, alcuni significativi reperti, conservati nel deposito del costituendo Antiquarium di Ciro Marina. Si ricordano qui una kylix ionica, probabilmente samia, del secondo quarto del VI sec. a.C., coppe tipo Β 1 e Β 2, alabastra e aryballoi corinzi (uno con opliti), idrie miniaturistiche, statuine in terracotta con polos della prima metà del VI a.C., una testina arcaica maschile con corona stilizzata, databile verso la metà del VI a.C., vivace prodotto indigeno, terrecotte architettoniche, monete in argento arcaiche riferibili a Metaponto e Crotone, oggetti votivi in bronzo, tra cui foglie di alloro, un dito in bronzo (lungh. cm. 8.5) pertinente ad una statua, come frammenti vari di parrucche in bronzo.
27I saggi effettuati nelle citate campagne di scavo nell'area del santuario, hanno confermato la presenza di livelli arcaici di VI-VII a.C. (ceramica, framm. di anfore vinarie ioniche e due framm. di coppe a filetti del terzo quarto del VII sec.), ma anche di livelli di V, IV e III sec. a.C. ma anche di livelli di V, IV e III sec. a.C. Nonostante la limitata estensione dei saggi, il terreno sembrerebbe indisturbato in questo settore: il materiale più antico si riferisce quindi alla fase poco documentata dallo scavo Orsi, ossia alla fine del VII - metà del VI a.C.
28Si passano infine in rassegna i materiali più significativi recuperati, i più antichi nelle sabbie di scarico della bonifica di Punta Alice. Il culto, come è noto, è documentato dall'idoletto in lamina aurea, dai bronzetti magno-greci, da resti di corone di alloro, in argento e in bronzo, da un'iscrizione su frammento di tegola di marmo.
29Anche se è incerta l'epiklesis del dio, il ramoscello di alloro (Museo di Crotone) evoca l'Apollo Katharsios, così come alcuni aspetti del culto di Filottete, fondatore del santuario, si ricollegano ad un culto salutifero. Nell'area vi sono tracce del culto di Afrodite, documentato da statuine fittili. La frequentazione italica del santuario, per concludere, è documentata da alcune iscrizioni in osco (scheggione in arenaria al Museo di Reggio Calabria, defixio su lamina plumbea), da porsi in relazione con analoghi documenti del territorio24.
30Prodotti italici sono la serie di bronzetti e l'antefissa a testa di Pan, tipologicamente affini a quelle del centro brettio di Castiglione di Paludi (scavi Soprintendenza, diretti da Silvana Luppino).
Notes de bas de page
1 Tutta la bibliografia su Crotone e sul santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna è raccolta nella Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche diretta da G. Nenci e G. Vallet (da questo momento indicata come BTCGI), IV (1985), s.v. Capo Colonna e V (1987), s.v. Crotone, nonché nel 23° volume degli Atti del Convegno di Studi sulla Magna Grecia Atti Taranto dedicato, nel 1983, al tema di Crotone.
2 F. Seiler, Un complesso di edifici pubblici nel Lacinio a Capo Colonna, in Atti Taranto XXIII, 1983, pp. 231 -242.
3 D. Mertens, Aspetti dell' architettura a Crotone, op. cit.; pp. 189-230.
4 G. Spadea, Sculture da Capo Colonna, in Klearchos, XVI, 1974, pp. 3-42.
5 M. Giangiulio, Per la storia dei culti di Crotone antica. Il santuario di Hera Lacinia, in ASCL, XLIX, 1983, pp. 5-69; ID., in Atti Taranto. XXIII, 1983, pp. 347-351; ID., Ricerche su Crotone arcaica, Pisa, 1989, pp. 54-79.
6 M. Torelli., / culti, in Storia della Calabria antica, Bari, 1987, pp. 59 597.
7 M.L. Lazzarini, in Atti Taranto, XXIII, pp. 353-355.
8 E. Lattanzi, ibid., pp. 573-575.
9 E. Lissi, La collezione Scaglione, in ASMG, IV, 1961, p. 79, tav. 27, n. 39.
10 S. Bianco-M. Tagliente, Il Museo nazionale della Siritide a Policoro, Bari, 1985, pp. 70-71; fig. 37, tav. 27.
11 Sulle citate navicelle nuragiche si veda F. Lo Schiavo, L'età dei nuraghi, in Il Museo Sanna in Sassari, Sassari, 1986, pp. 63-110, figg. 137-138; su tutta la problematica ID., La Sardegna e il Mediterraneo allo scorcio del II millennio, in Atti del 2° Convegno Studi "Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i paesi del Mediterraneo", Selargius- Cagliari 1986, p. 392 con bibliografia prec.
12 M. Gras, L'Etruria villanoviana e la Sardegna settentrionale, in Atti XXII Riunione scientifica 1978 (Firenze 1980).
13 G. Lilliu, Bronzetti e statuaria nella civiltà nuragica, in Ichnussa, Milano 1981, pp. 179-251, con tutta la ricca bibliografia prec.
14 Desidero esprimere un affettuoso ringraziamento a Fulvia Lo Schiavo per gli amichevoli consigli
15 C. Rolley, Les vases de bronze de l'archaïsme récent en Grande Grèce, Napoli, 1982, per la problematica relativa.
16 C. Sabbione, L'artigianato artistico, in Atti Taranto, XXIII, 1983, p. 289, tav. XLIX, I (sfinge da Capo Colonna accovacciata, anzichè seduta).
17 Cfr. il noto askos bronzeo a Sirena dalla chora a Sud di Crotone, a Reggio Calabria, pubblicato da G. Iacopi, Un vaso plastico in bronzo da Crotone, in Arch. CI. 5, 1953, pp. 10-22, tav. IV-VI, che tuttavia presenta precise influenze ioniche.
18 Un analogo esemplare (impegnata tuttavia nella corsa in ginocchio) proviene da Gela (cfr. M. Comstock-C. Vermeule, in Greek Etruscan and Roman Bronzes in the Museum of Fine Arts, Boston, 1971. p. 284, n. 409.
19 C. Sabbione, op. cit., p. 294.
20 Cfr. voce Ciro, in BTCGI, V, 1987 (J. de La Genière) per la bibliografia completa.
21 G.Maddoli, / culti di Crotone, in Atti Taranto, XXIII, 1983, pp. 313-345.
22 D. Mertens, op. cit., p. 208.
23 E. Lattanzi, Attività della Soprintendenza archeologica della Calabria nel 1982, in Klearchos 25, 1983, P. 115; ID., ibidem, 27, 1985, p. 142.
24 S. Luppino, Il santuario di Punta Alice, in Il Museo nazionale di Reggio Calabria, Roma 1987, pp. 150-151.
Auteur
Soprintendenza archeologica per la Calabria
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986