Capitolo 8. Organizzazione generale dell’abitato
p. 203-217
Texte intégral
11. Sullo sfondo delle attuali conoscenze su insediamenti e modelli di occupazione territoriale delia Lucania preromana, l’evidenza dell’abitato di Roccagloriosa, descritta nei capitoli precedenti, rappresenta indubbiamente un caso privilegiato. Nonostante la limitatezza dell’area sinora esplorata rispetto alla superficie totale del presunto insediamento agglomerato ad ovest dei Capitenali e nonostante la notevole eterogeneità del valore documentario dei dati raccolti in un arco di dieci anni di esplorazioni, il quadro che se ne può ricavare lascia intravvedere un insediamento ampio, su di una superficie complessiva di oltre 30 ettari, con un notevole livello di organizzazione ed un elevato grado di complessità funzionale. Quando si considerino i dati derivanti dallo scavo estensivo dell’abitato sullo sfondo del quadro socio-economico fornito dalla necropoli in località La Scala e del più ampio quadro regionale fornito dalla ricognizione di superficie, viene spontaneo osservare che troviamo qui riuniti, in un solo sito, elementi di notevole rilievo atti a qualificare aspetti fondamentali dell’organizzazione di una comunità lucana tra gl’inizi del IV secolo a.C. e la romanizzazione dell’area. Nell’ambito del quadro storico-culturale generale, che ovviamente si avvale delle informazioni che possono ricavarsi dalle fonti scritte1, sono di particolare rilevanza i dati relativi al tipo di organizzazione insediativa e soprattutto la documentazione specifica su alcuni dei nuclei abitativi (quale il pianoro centrale), per cui l’evidenza da altre aree della Lucania risulta ancora assai lacunosa2. Pertanto si è ritenuto opportuno, in queste note conclusive, formulare alcune considerazioni di carattere generale sull’abitato nel suo insieme, cercando di integrare nella discussione i dati emersi da un recente studio sulla organizzazione dell’area di necropoli in località La Scala, che, nonostante la estensione limitata dell’area sinora scavata, è già atta a delineare un quadro assai articolato del rituale funerario e della organizzazione sociale ad esso connessa. Il modello della organizzazione territoriale di IV secolo a.C. che emerge dai dati preliminari della ricognizione topografica è anche esso assai utile a fornire ulteriori elementi atti a qualificare il processo di sviluppo della regione nel periodo precedente l’intervento di Roma. È in questo più ampio quadro territoriale che bisogna inserire lo sviluppo dell’abitato agglomerato a ridosso dei Capitenali, il quale viene a costituire un punto nodale di un vasto comprensorio collinare nell’immediato entroterra del Golfo di Policastro (fig. 163).
22. Un primo dato rilevante che risulta dalla esplorazione sistematica dell’area fortificata è la esistenza di vari nuclei insediativi di IV secolo a.C. all'interno della fortificazione, che mostrano uniformità di orientamento ed una notevole omogeneità di tecniche costruttive, e presuppongono l’esistenza di un piano organizzativo prestabilito e ben raccordato alla impostazione del muro di fortificazione. È da sottolineare altresì che l’area fortificata include alcuni dei complessi abitativi (i complessi A, B e C sul pianoro centrale) e produttivi (l'impianto metallurgico all’interno della porta nord) di maggior rilievo nell’ambito dell’insediamento nel suo insieme.
3Una tale constatazione è di per sé atta a qualificare in maniera assai specifica il cosiddetto ‘fenomeno’ delle fortificazioni lucane (se ne conoscono almeno 30 nella sola area della Basilicata3 a cui sono da aggiungere almeno 4 per la Lucania occidentale ed altre 4 o 5 nella Calabria4, alla estremità meridionale dell’area lucana). Il fatto che, certamente in più di un caso, la fortificazione abbia avuto la funzione di delimitare un vero e proprio spazio ‘urbano’5, anche se tale termine dev’essere ovviamente inteso in una accezione assai ampia6, correlata al tipo di organizzazione socio-economica di una comunità lucana, sottolinea la natura assai varia di queste fortificazioni e la necessità di considerarne funzione e caratteristiche caso per caso.
4Nell’insediamento fortificato di Roccagloriosa, a partire dalla prima metà del IV secolo a.C., assistiamo alla costruzione di un imponente impianto di difesa di tipo greco che si svolge parallelamente ad un processo di monumentalizzazione delle strutture abitative (di cui il complesso A rappresenta l’espressione più vistosa), per cui sembra logico postulare la formulazione di un piano organizzativo generale. Il notevole livello di strutturazione del nucleo abitativo sul pianoro centrale è un evidente riflesso di un simile processo. L'orientamento regolare delle strutture, la griglia di intercapedini che serve a dividere i vari ‘isolati’ e, allo stesso tempo a organizzarli in un sistema di comunicazioni7, la evidente relazione topografica con una via principale di accesso attraverso la monumentale porta centrale (fig. 164), sono tutti elementi che sottolineano il notevole livello organizzativo di questo abitato di altura. A ciò si possono aggiungere i dati (ancora parziali) sulla esistenza di analoghi complessi di strutture sia sul terrazzo immediatamente retrostante (si veda il muro di sostruzione/terrazzamento nel saggio Vauzi 1989, fig. 64, ad una quota più elevata di ca. 30 m.) che ai limiti settentrionali del pianoro centrale (area VA-XA 85-86), che sembrano ricalcare un orientamento analogo. Abbiamo dunque, nel complesso, la chiara documentazione di un vasto nucleo organizzato di ca. 3 ettari nell’area centrale dello spazio racchiuso dalla fortificazione. E da ribadire il fatto che l’orientamento generale riscontrato nella pianta dell’abitato sul pianoro centrale sembra raccordarsi con quello del nucleo sul pianoro sud-est (meno esteso del primo ma ad esso paragonabile nel tipo di organizzazione e pianta generale) e con le poche strutture murarie sinora rilevate nell’area di Carpineto, rafforzando pertanto l’impressione generale di un vasto spazio con abitazioni disposte in maniera regolare. Nonostante l’esiguità dei dati stratigrafici e cronologici disponibili per il pianoro sud-est e l’area di Carpineto sembrerebbe logico, sulla base dei dati puntuali derivanti dallo scavo del complesso A sul pianoro centrale, collocare questo processo di monumentalizzazione delle aree abitative, e quindi l'organizzazione generale del sito fortificato, nella prima metà del IV secolo a.C. I reperti ceramici ed i rinvenimenti monetali (sia pur scarsi) dall’area di porta nord/Carpineto e dal pianoro sud-est sono senz’altro compatibili con una simile cronologia per lo sviluppo dell’insediamento fortificato.
53. La cronologia proposta ed il processo di strutturazione dell’abitato fortificato vengono confermati ed ulteriormente qualificati dall’evidenza fornita da un’area di necropoli ‘emergente’, parzialmente esplorata, in località La Scala, che ad esso appare topograficamente connessa in maniera più diretta. Uno sguardo al settore della necropoli sinora scavato (un totale di 22 sepolture) fornisce la evidente impressione, pur nella esiguità del numero complessivo, di una concentrazione delle tombe in gruppi (fig. 165) e, soprattutto, di una distinzione in due nuclei separati, con una evidente organizzazione delle tombe a camera in recinti delimitati da muri in grossi blocchi di calcare, alle due estremità della sella che costituisce la parte più elevata dell’area cimiteriale.
6Nel caso del recinto nord (fig. 166), il più monumentale dei due, il muro di recinzione/terrazzamento, costruito in tecnica pseudo-isodomica con faccia vista accuratamente squadrata, racchiudeva un vero e proprio spazio riservato a tre tombe a camera (19, 20 e 24) (fig. 167), due cremazioni su resti di grosse pire con cassa di blocchi impostata nella parte centrale dei resti carbonizzati (T. 23 e T. 25) (fig. 169) ed una tomba a fossa nell’angolo nordovest (T. 21). Uno studio generale dei corredi delle tombe sinora scavate (e relativi resti ossei) ha permesso di distinguere tre gruppi generazionali8 nel periodo compreso fra il 375 ed il 300/290 a.C. che lasciano intravvedere la progressiva segmentazione in più gruppi gentilizi di un lignaggio originario rappresentato dalle tombe 6 e 109. Queste ultime due, che cronologicamente si pongono a cavallo fra V e IV secolo, si distinguono topograficamente per la posizione ‘centrale’ nella sella, nella quale si dispongono successivamente i tre gruppi di tombe sopra menzionati, e per vari aspetti della ideologia funeraria che traspare dagli elementi del corredo10. Non appare casuale il fatto che le due sepolture appena menzionate siano da ricollegarsi cronologicamente alla fase abitativa di V secolo a.C., rappresentata in maniera vistosa dall’edificio a pianta rettangolare (F 178/297), a cui erano molto probabilmente associate terrecotte architettoniche di tipo greco11. Il processo di formazione ed organizzazione iniziale del sito è pertanto da considerarsi coevo con il fenomeno di emergenza di queste élites che affondano le loro radici nel mondo indigeno arcaico12 con caratteri di notevole omogeneità su di una vasta area della Lucania. Il fenomeno di progressiva strutturazione di questa élite in una vera e propria aristocrazia «in grado di controllare processi politici ed i meccanismi economici»13 corrisponde allo sviluppo dell'insediamento in direzione più decisamente ‘urbana’ e, in ogni caso, al di là del modello degli oppida o dei vari tipi di fortificazioni di altura con livelli assai ridotti di apprestamenti insediativi all'interno dell’area fortificata14. In margine a queste considerazioni sull’area cimiteriale rinvenuta in località La Scala, che indubbiamente ha sinora fornito i dati più rilevanti sul rituale funerario, organizzazione sociale ed altri importanti aspetti della cultura materiale della comunità di IV secolo a.C., è da sottolineare l’esistenza di altre aree di necropoli che ben si inseriscono nel quadro più generale della organizzazione topografica a nuclei separati dell’abitato agglomerato sopra discussa. Anche se la necropoli in località La Scala, solo parzialmente esplorata, può configurarsi, sia per ragioni topografiche che per il livello delle sepolture, l’area cimiteriale principale dell’abitato agglomerato, sembra già evidente che alla organizzazione dell’abitato in diversi nuclei insediativi separati da spazi vuoti, corrisponda l’esistenza di altri agglomerati di sepolture in posizione topografica correlata. Un'altra area cimiteriale di una certa rilevanza, includente un certo numero di tombe a camera di vario tipo, è quella messa in luce nella zona Sambuco/Stritani (tav. VII fuori testo). Un gruppo di quattro tombe a camera sinora individuate, fra cui una con la caratteristica eccezionale di un pavimento in grossi basoli (figg. 172-173), risultano disposte lungo il versante est di un declivio ricco di sorgenti, al limite sud del vasto pianoro C. Balbi (Tav. VII fuori testo) lungo una ipotetica via di accesso al sito da sud. È assai probabile che esse facciano parte di una più vasta area cimiteriale, topograficamente connessa con l’area extra-murana sopra menzionata. L'individuazione di concentrazioni di materiale ceramico probabilmente attribuibili a tombe sconvolte ai margini nord ed ovest dell’area DB costituisce un altro indizio sulla esistenza di nuclei di sepolture topograficamente connesse con le aree extra-murane. Si viene pertanto configurando una pluralità di aree di necropoli parallelamente alla organizzazione dell’abitato in nuclei, fatto che trova riscontro in molti degli abitati indigeni della Magna Grecia, secondo una usanza che affonda le sue radici negli agglomerati dell’Età del Ferro. Tuttavia, a differenza di altri abitati coevi, soprattutto del versante adriatico, in cui è dato rinvenire assai spesso una commistione di abitazioni e tombe (in particolare Monte Sannace, Lavello e probabilmente Oppido Lucano)15, a Roccagloriosa si osserva una distinzione piuttosto netta fra nuclei insediativi ed agglomerati di sepolture, particolarmente evidente nell’area di necropoli in località La Scala. In quest’ultima v’è una evidente volontà di destinare una zona topograficamente definita, al di fuori degli spazi abitativi centrali, alla funzione di necropoli monumentale. Un tale dato topografico ben s’inquadra nel piano organizzativo generale dell’abitato fortificato sopra menzionato.
74. Un problema che viene lasciato aperto dallo stato attuale della esplorazione dell'abitato riguarda il livello di organizzazione e la cronologia delle aree extra-murane. In un’area pianeggiante, situata ad una quota leggermente inferiore a quella dell'abitato fortificato e da esso separata da un ripido declivio, lo scavo e la ricognizione hanno evidenziato estesi nuclei insediativi intervallati da spazi vuoti, su di una superficie complessiva di ca. 20 ettari. La scarsa rilevanza dei materiali appartenenti alla prima meta del IV secolo a.C. sinora rinvenuti dallo scavo e ricognizione nell'area DB e sul pianoro Napoli 1971 e la apparente uniformità di organizzazione dei nuclei extra-murani con l’orientamento generale dell’abitato fortificato, lascerebbero pensare, in prima approssimazione, ad una graduale estensione al di fuori del muro di fortificazione del ‘piano regolatore’ adottato per l'abitato fortificato16. A tali considerazioni di carattere generale sono da aggiungere alcune osservazioni più specifiche sulla topografia e distribuzione dei vari nuclei.
8Il nucleo esplorato sul pianoro U. Balbi/Area Napoli 1971, alla luce degli scavi più recenti, sembra distribuirsi lungo due assi perpendicolari (in direzione est-ovest nelle strutture del saggio E ed in direzione nord-sud nello scavo Napoli 1971) che appaiono essere in stretta relazione con l’ingresso monumentale della Porta Centrale (fig. 132). Questo nucleo di strutture, che include gli edifici più imponenti (purtroppo ancora di incerta destinazione) rinvenuti al di fuori della fortificazione, si è senz’altro sviluppato in maniera notevole fra la fine del IV ed il III secolo a.C., in un punto vitale di accesso ed in posizione topografica di rilievo rispetto all’abitato fortificato. Parimenti, il vasto pianoro C. Balbi (benché in quest’ultimo caso i dati ceramici siano quasi inesistenti) sembrerebbe costituire una estensione della predetta area, ad essa strettamente connessa, come indicano l’orientamento dell'angolo di muro messo in luce all'estremità nord-est del pianoro (punto M2, Tav. VII fuori testo) e l’orientamento generale del lungo asse ‘stradale’ evidenziato dalla prospezione geo-elettrica (supra, cap. 6). È inoltre da sottolineare quanto già detto precedentemente sulla probabile presenza di una vasta area a cielo aperto, libera da costruzioni lungo l'asse stradale principale nella parte centrale del pianoro, che dovrà costituire oggetto di esplorazione più approfondita.
9Qualora la predetta area risulti effettivamente una piazza o spazio di altra natura delimitato per uso collettivo, ci troveremmo di fronte ad un caso di presenza di un’area pubblica, nel senso pieno del termine, significativamente nella zona più bassa e pianeggiante del sito che verrebbe a qualificare in maniera notevole il livello di organizzazione dell’abitato nel suo insieme. Rimanendo sul piano delle ipotesi, è da presumere che un tale sviluppo possa essere occorso in un momento cronologicamente più avanzato, secondo i dati ceramici (purtroppo ancora assai scarsi e provvisori) sinora raccolti nelle aree extra-murane. Questi ultimi, con tutta la cautela che impongono la parzialità e provvisorietà dell’evidenza stessa, indurrebbero a porre il periodo di massimo sviluppo dell’abitato extra-murano nei primi decenni del III secolo a.C. (supra, p. 164)17.
10Infine per quanto riguarda l’area DB, i dati raccolti dalla ricognizione intensiva sembrano evidenziare un esteso agglomerato abitativo che presenta svariate analogie con quello più ampiamente documentato sul pianoro centrale, sia nell’impianto e tecniche costruttive (si veda l’area basolata messa in luce dal saggio di scavo, supra, p. 159-160) che per qualità e quantità dei reperti ceramici. Come già accennato, la presenza di materiali di V secolo a.C., (che lasciano pensare alla esistenza di piccoli agglomerati abitativi sparsi, precedenti il fenomeno di monumentalizzazione di IV secolo a.C.), si accompagna ad una notevole scarsezza o quasi assenza di materiali riferibili alla prima metà del IV secolo. Una tale constatazione lascerebbe pensare ad un abitato extramurano sviluppatosi prevalentemente nella seconda metà del IV secolo e la prima metà del secolo successivo, strutturandosi in maniera analoga a quella documentata per l’abitato fortificato. Un elemento degno di nota, e da sottolineare nel contesto di questa discussione, è la rilevante concentrazione di resti di fornaci e materiali connessi (matrici, scarti di cottura, tuyère) in un settore specifico dell’area DB. Una tale concentrazione (fig. 139) sembra essere anche quantitativamente più rilevante della evidenza relativa alle fornaci documentate sul pianoro centrale (supra, pp. 87-91) e sul pianoro sud-est (supra, p. 95). Mentre la documentazione di fornaci rinvenuta in queste ultime due aree sembrerebbe aderire piuttosto al modello di piccoli impianti artigianali inseriti in unità abitative, a conduzione familiare, come nella Heraklea di IV e III secolo a.C.18, nel caso dell’area DB sembrerebbe possibile intravvedere, già nella seconda metà del IV secolo a.C., una forma di concentrazione di apprestamenti produttivi in veri e propri ergasteria, con la esistenza di una ‘area artigiana’ (sia pure allo stato embrionale) del tipo di quella documentata a Metaponto19.
115. Il processo di concentrazione e strutturazione dell’abitato a ridosso del crinale dei Capitenali avviene in concomitanza con un più ampio fenomeno di crescita demografica (definibile a livello quantitativo solo in termini assai generici20 ma messa a fuoco da vari aspetti della evidenza materiale riferibile a questo arco di tempo), a cui corrisponde, sul piano territoriale, un fenomeno di occupazione assai densa della campagna21. Un simile sviluppo, già sottolineato da altri studiosi per siti coevi sia della Lucania Occidentale22 che della Lucania interna23, come pure per altre zone della Magna Grecia più in generale24, è stato, nel caso di Roccagloriosa, evidenziato in maniera puntuale dalla ricognizione sistematica di superficie (supra, cap. 7), che ci ha permesso di fornire un quadro abbastanza dettagliato del tipo di organizzazione territoriale corrispondente al rapido e notevole sviluppo dell’insediamento agglomerato25.
12Nel ‘territorio vicino’26 compreso entro un raggio approssimativo di 5 km. intorno al sito agglomerato si è riscontrata una notevole densità dell’insediamento rurale con siti distribuiti ad intervalli regolari (distanze fra i 750 e 1500 m.) sui terrazzi maggiormente utilizzabili per lo sfruttamento agricolo. È da sottolineare che la distribuzione dei siti si attesta su terrazzi di frana e, più in generale, nelle aree di contatto fra le masse calcaree e gli strati di argilla e marne, in connessione con la presenza più frequente di sorgenti, ad una quota compresa fra i 300 e 200 m. s.l.m. In generale l’occupazione della campagna si spinge fino ai margini dei letti fluviali, come sembrerebbero indicare il sito di Pedaie/Torre Orsaia sulla riva destra del Bussento (cap. 7, n. 24) e quello di Isca della Fumiera in prossimità del letto del Mingardo (cap. 7, n. 6). Non sembra opportuno, allo stato attuale della ricerca, proporre raffronti di densità di occupazione rurale fra quest’area esplorata in maniera intensiva ed il rimanente territorio delimitato dall’alta valle del Mingardo e del Bussento. Tuttavia, i dati sinora raccolti per alcune delle aree campione quali Rofrano, Piano Grande/Centaurino e l’area di Caselle in Pittari, lasciano pensare ad una densità rilevante dell’abitato rurale di IV secolo a.C. anche nel resto della regione considerata. Allo stesso tempo tali dati indicano la presenza di siti ‘intermedi’ di una certa consistenza, ‘gerarchicamente’ disposti a servizio del centro maggiore in punti nodali di comunicazione, ai limiti della regione considerata (supra, cap. 7)27. Pertanto è già possibile intravvedere una logica organizzativa del paesaggio agrario regionale nel suo complesso, con una occupazione assai densa della campagna che va senz’altro al di là di quella che si puo definire l’area di approvvigionamento (‘catchment area’) del sito fortificato principale di Roccagloriosa28 (secondo l’applicazione di un utile modello di analisi regionale)29.
13La natura degli insediamenti rurali più comunemente documentati dalla ricognizione di superficie, è stata chiarita dallo scavo di un sito identificato in contrada Pedale/Torre Orsaia, sulla riva destra del Bussento (supra, pp. 187-189), che ha rivelato una fattoria composta di vari ambienti di cui quello scavato interamente mostra dimensioni (m. 6 x 5) e tecnica edilizia raffrontabili con il tipo di insediamento rurale assai diffuso in Magna Grecia durante il IV sec. a.C.30 (fig. 152).
14La presenza di tombe associate con il predetto edificio rurale, di cui è stato possibile recuperarne una a cassa di tegole (parzialmente sconvolta), ha confermato che si trattava nei casi più comuni di edifici connessi con nuclei familiari che risiedevano nel territorio31.
15Tuttavia, in alcuni casi, ben documentati dalla ricognizione di superficie, non v’è dubbio che ci si trovi di fronte a gruppi di edifici distribuiti su di una superficie più ampia (‘villaggio’ o ‘piccola borgata’) che doveva costituire un piccolo agglomerato rurale (l’esempio più chiaramente documentato è quello di Mai (supra, cap. 7, sito 3) intorno al quale potevano gravitare piccole fattorie, del tipo più comunemente documentato. Una simile situazione è stata ipotizzata per la vasta documentazione di reperti di superficie riscontrata in contrada Scudiere (supra, cap. 7, sito 30). È forse prematuro, a questo stadio della ricerca, tentare di delineare una vera e propria gerarchia di insediamenti ma, come sopra accennato, è chiaro che la occupazione assai densa della regione Mingardo/Bussento riscontrata per il IV secolo a.C. includeva senz’altro siti di dimensioni e funzioni assai diverse, per i quali l'abitato agglomerato a ridosso dei Capitenali doveva costituire un punto di riferimento ‘centrale’ 32. Un tale fenomeno di «occupazione della campagna»33 ha il suo momento di massima intensità nella seconda metà del IV secolo a.C. ed i primi decenni del III. È chiaro, tuttavia, dalla cronologia proposta per i siti rurali più estesi e meglio documentati (quali, ad esempio. Mai, supra, cap. 7, sito 3) e da un certo numero di siti qualificati quali ‘transizionali’ (supra, cap. 7), che l’occupazione del territorio continua al di là delle vicende di sviluppo del sito fortificato principale, anche se vari elementi del sistema insediativo instauratosi nella regione nel corso del IV secolo a.C. vengano sostanzialmente modificati34.
166. Uno degli obbiettivi della più recente ricerca a Roccagloriosa ed una domanda che emerge spontanea dalla discussione appena fatta sul paesaggio regionale, concerne il tipo di sfruttamento del suolo che corrisponde a questo ‘fenomeno’ di densa occupazione della campagna. Come già accennato, un sistema di policoltura con l'introduzione di colture arboree (prevalentemente vite ed olivo) sulle aree collinari, ed un conseguente sfruttamento assai più intensivo dei terreni, è stato giustamente sottolineato in recenti studi quale importante fattore di trasformazione delle aree interne dell’Italia centromeridionale fra il V ed il IV secolo a.C. Nel caso di Roccagloriosa si è potuto documentare in maniera puntuale, per il IV secolo a.C. ed i primi decenni del III, un tipo di utilizzazione del suolo che, pur non trascurando le tradizionali colture cerealicole e l’uso di leguminose, include una presenza assai rilevante della vite (infra, cap. 10). Su circa 800 semi ed altri resti carbonizzati recuperati da un gran numero di campioni di terreno prelevati dai diversi contesti scavati sul pianoro centrale, quelli appartenenti a vitis vinifera rappresentano circa il 30% del totale. Si ricorda al proposito, la fama dell’«(oinos) Buxentinos» propagandata, sia pur in un’epoca assai più tarda, da Ateneo Deipno., I, 27a (Tchernia 1986, pp. 334-335). È da notare altresì una significativa presenza di olivo e fico. Non v’è dubbio pertanto che al fenomeno di densa occupazione della campagna nella regione Mingardo/Bussento durante il IV secolo a.C. corrisponda uno sviluppo parallelo di colture specializzate, inserite in un sistema di policoltura tipico dell'area Mediterranea35 (Tav. I, fuori testo). Parimenti, i dati estratti dall’analisi dei resti faunistici forniscono un quadro assai articolato delle risorse dell’allevamento, con una presenza rilevante di bovini (oltre il 35%) e suini (ca. 16%), su di un campione di circa 2000 ossa identificate provenienti da contesti di IV secolo a.C. Un simile processo di intensificazione dello sfruttamento del suolo nell’area in esame durante il IV secolo a.C. appare ancor più rilevante quando venga considerato sullo sfondo della situazione relativa al periodo arcaico, in cui l’assenza di siti di rilievo nell'entroterra ed il vuoto quasi totale di tracce di insediamenti rurali36 forniscono un quadro privo di sviluppi socio-economici di rilievo. Sembra lecito richiamare l’attenzione sul fatto che in situazioni storiche paragonabili, per diverse aree della penisola italiana, e del Mediterraneo più in generale, fenomeni simili di sviluppo dell’insediamento e di strutturazione socio-politica sono stati giustamente collegati con trasformazioni del regime di utilizzazione del suolo di eguale natura37.
177. Gli sviluppi accennati acquistano una dimensione più specifica quando vengano inquadrali nel più ampio quadro storico-culturale dell’area lucano-tirrenica fra V e III secolo a.C. La situazione riscontrata a Roccagloriosa per il periodo che precede la metà del V secolo a.C. sembra emblematica di un più vasto territorio interno, compreso fra il Vallo di Diano e il tratto di costa tirrenica fra Palinuro e Policastro, dove manca sinora documentazione di rilievo che sia riferibile al periodo arcaico. Culturalmente l'area apparteneva alla regione definita Enotria, secondo Erodoto (I, 167)38, ma è solo sulla fascia costiera che possiamo cogliere aspetti della cultura di una comunità indigena arcaica39, sia pure inserita in un più vasto circuito di scambi e contatti che tocca l'intera area del basso Tirreno40 (fig. 174). A parte il caso di Palinuro e la evidenza numismatica arcaica su di un ancora evanescente sito di Pyxous41, non esiste documentazione archeologica di rilievo sino al V secolo avanzato nella regione considerata42. D’altro canto, l'evidenza di Roccagloriosa sopra discussa lascia intravvedere importanti fenomeni aggregativi a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. Ad un periodo immediatamente precedente si riferisce anche la notizia tramandata dalle fonti (Diod. XI,59,4) sulla colonizzazione reggina di ‘Pyxous’, per cui la più recente ricerca sul terreno ha fornito un quadro archeologico esauriente43.
18Gli sviluppi successivi sembrano mostrare, da un lato, un fenomeno di devitalizzazione dell’area costiera (nessun cenno viene più fatto su Pyxous sino alla deduzione della colonia marittima romana agl’inizi del II secolo a.C.44) e, dall’altro, a partire dal primo quarto del IV secolo a.C., un processo di monumentalizzazione e di notevole espansione dell'abitato a ridosso dei Capitenali, dato che non puo non porsi in relazione con quanto tramandato dalle fonti circa la sannitizzazione di vaste aree dell'entroterra tirrenico45. Si è, fra l'altro, già sottolineato
19che allo sviluppo dell'agglomerato di Roccagloriosa, in un punto nodale dell’immediato entroterra, corrisponde un fenomeno di densa occupazione delia campagna, rilevabile soprattutto nel medio ed alto bacino del Mingardo e del Bussento, secondo una logica organizzativa che non lascia dubbi sulla ‘centralità’ del sito a ridosso dei Capitenali. Conseguentemente, un problema strettamente connesso al quadro delineato per la situazione insediativa dello hinterland ed un quesito che pongono le considerazioni appena fatte sullo sviluppo di Roccagloriosa riguarda la funzione da assegnare alla Pyxous di IV secolo. per cui sinora la documentazione rimane assai labile46.
20La presenza di un ‘centro’ quale Roccagloriosa non esclude ovviamente l’esistenza di uno sbocco sul Golfo di Policastro ed un punto di raccordo con l'area tirrenica, anzi (sulla base delle relazioni esterne del centro47) lo presuppone. Quel che la futura ricerca, soprattutto nell’area costiera, dovrà verificare sono la entità e la natura di un tale punto di raccordo sulla costa, in un quadro territoriale profondamente mutato quale quello fornito dalla regione Mingardo/Bussento durante il IV secolo a.C. e la prima metà del III48.
Notes de bas de page
1 Per una sintesi degli sviluppi di IV secolo a.C. si veda Lepore 1972-1973 e Lepore 1975. I rapporti fra i vari ethne sono discussi da Pugliese Carratelli 1971, ed un quadro generale della storia regionale è delineato in Pugliese Carratelli 1980. Commenti sulle fonti integrati in un quadro archeologico della Lucania di IV secolo a.C. sono presentati da Bottini A. 1987 mentre una raccolta sistematica delle fonti scritte è stata effettuata da Cordano 1971. Di utile consultazione per un più ampio quadro diacronico è Pontrandolfo Greco 1982. Una recente disamina dettagliata delle fonti, sullo sfondo delle vicende magno-greche fra la metà del V secolo e la metà del IV è stata presentata in una tesi di Dottorato da Chiranky 1982. Il problema specifico dei contatti fra città magno-greche e le élites italiche è stato di recente messo a punto da Mele 1981 e D’agostino 1981.
2 Ad eccezione di Laos e Serra di Vaglio. A Laos (Lucana) (Marcellina/Laos 1986), i recenti scavi hanno evidenziato un imponente impianto di IV secolo a.C. che include ‘isolati’ costi tuiti da ampie case a cortile (modellate sul tipo della fattoria a cortile centrale) inserite nel sistema urbanistico (cortese comunicazione verbale di E. Greco; dati specifici in corso di pubblicazione in AA.VV., Laos, I, Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, Tarante, in corso di stampa). A Serra di Vaglio (Greco G. 1980, Greco G. 1982, A. Bottini in PCIA, 8, 1986, pp. 199-201) un recente studio di Greco G. (1988) sottolinea l’esistenza di un impianto regolare, includente grandi ‘case signorili’ allineate lungo un asse stradale, già a partire dalla seconda metà del VI secolo a.C., che si sviluppa con continuità nel corso del V secolo e si ristruttura nel IV secolo a.C. Sembra che l’analisi più recente dell'impianto tenda a sottolineare gli aspetti di continuità (piuttosto che di rottura) dell’insediamento, al passaggio fra il V ed il IV secolo a.C. Nell’area di confine fra Lucania e Daunia, un sito che ha fornito dati fondamentali sugl'insediamenti di V e IV secolo a.C. è Lavello, su cui si veda Bottini A. 1982a e Bottini et al. 1989. Per l’area apula è di fondamentale importanza l’evidenza di Monte Sannace (Gioia del Colle 1962). Scarsi sono invece i dati dall’area brezia limitati fino a tempi recenti ad alcune case da Tiriolo (Ferri 1927; Spadea 1977, 1988). Le scoperte effettuate a Castiglione di Paludi negli ultimi anni hanno rivelato un abitato di notevole rilievo all’interno della cinta fortificata di IV secolo a.C. (Luppino, comunicazione verbale. Guzzo 1989, pp. 78-80) ma non sono stati ancora pubblicati in maniera esauriente. I recenti scavi ad Oppido Mamertina diretti da P. Visonà sono di rilievo per il III secolo a.C.
3 Non esiste un elenco completo né una descrizione dettagliata delle cinte individuate in Basilicata, anche se sono stati pubblicati vari studi specifici sul problema (Cremonesi 1966; Adamesteanu 1970-1971, 1983; Nickels 1971). Per commenti di carattere generale sul problema dei centri fortificati sul più ampio sfondo del mondo indigeno della Magna Grecia si vedano D’Agostino 1974, pp. 225-226 e La Genière 1971, pp. 271-272. La indicazione del numero complessivo è di Bottini in PCIA, 8, 1986, p. 364. Recentemente, il problema delle fortificazioni di altura in relazione allo sviluppo di strutture insediative è stato discusso sullo sfondo più generale della tarda età del Ferro nell’Italia centro-meridionale da Gualtieri (1987). Un utile criterio generale di distinzione fra Oppida e Castella è quello formulato da Waldhauser 1984.
4 Per una discussione complessiva dei siti in area Brezia si veda Guzzo 1987. I siti fortificati della Lucania occidentale sono discussi da D’Henry 1981.
5 Per una qualifica del termine in relazione agl’insediamenti italici si veda Torelli 1978. Più in generale, si consideri la discussione in Gros e Torelli 1988, pp. 5-60. È da sottolineare che nel conteste di una realtà ‘pseudo-urbana’ spiccano casi che si muovono ‘in direzione della urbanizzazione’ (Torelli 1984, pp. 28-29), come ad esempio, quello specifico di Larino ai margini dello hinterland sannitico ed a contatto con l’area adriatica. Di rilievo, al proposito, le considerazioni più generali di Sereni 1955 e 1970.
6 D’Agostino 1985 sottolinea le diverse valenze che il termine ‘urbano’ può assumere in ambiti diversi da quello delle società urbanizzate del mondo greco-romano, cercando in tal modo di considerare in maniera assai sfumata l’antinomia città/non città. Una visione del problema in termini di una netta antinomia può portare ad eccessive schematizzazioni quali la qualifica indiscriminata di ‘centri urbani’ per quelli ‘più grandi’, nel contesto del mondo indigeno della Magna Grecia (si veda, ad esempio, Adamesteanu 1983a, p. 162). Guzzo e Luppino 1980, pp. 864-866, giustamente sottolineano l’organizzazione ‘più allentata’ degli insediamenti italici rispetto al modello urbano dei centri della Magna Grecia costiera. Si vedano anche i commenti di Guzzo 1982, p. 130. Fondamentali sono, al riguardo, le osservazioni di LA Regina 1981 su strutture sociali e sistema ideologico dei Sanniti e Lucani.
7 Per le intercapedini si confronti il piano urbanistico di Marzabotto, dove i dromoi o percorsi interni ad un’insula sono equiparabili a veri e propri stenopoi (Marzabotto 1978, p. 139).
8 Gualtieri 1989b. Lo studio, ancora provvisorio, delle sepolture effettuato in base alle osservazioni di scavo, all'inventario dei corredi ed all’analisi degli oggetti meglio conservati ha permesso di dividere le sepolture in tre gruppi cronologicamente distinti. Un primo gruppo, databile fra il 375 ed il 360 a.C. include le tombe 2, 3, 9 e 12. Il secondo gruppo, il più numeroso, include le tombe 7, 8, 13, 14, 16, 18, 19, 21, 24 ed è databile nel terzo quarto del IV secolo a.C. o, più specificamente, fra il 340 ed il 330 a.C. per la maggior parte di esse. Un terzo gruppo include le rimanenti tombe 15, 17, 23 e 25, databili fra gli ultimi due decenni del IV secolo e gl’inizi del III. Gli aspetti fondamentali della struttura sociale della comunità, ricostruiti sulla base dei corredi tombali, risultano ora avvalorati dalla lettura del testo della laminetta presentata nel cap. 5 (supra). È da sottolineare, al proposito, che l’apporto rilevante di elementi osci agli sviluppi di fine V-IV secolo a.C. riscontrati nella regione, è fuori dubbio.
9 Le due tombe 6 e 10 includono, fra l’altro, alcuni vasi di bronzo di fattura etrusco-campana databili nel terzo quarto del V secolo a.C. che lasciano sospettare legami della élite documentata dalle sepolture stesse con l’area campana più a nord. Per l’inquadramento storico di questa élite documentata a Roccagloriosa dalle tombe 6 e 10, è da tener presente una postulata omogeneità di comportamento delle élites di fine V secolo a.C. su di una vasta area della Lucania interna (Pontrandolfo Greco 1977, p. 67) che è stata giustamente sottolineata come espressione di importanti trasformazioni dalle aree interne della Magna Grecia nel corso del V secolo a.C.
10 A parte la posizione topografica centrale nell'ambito della fascia superiore della necropoli, è da osservare, nel caso della T. 6, certamente maschile, l’assenza del cinturone che poi diviene un elemento caratterizzante delle sepolture maschili a partire dalla generazione successiva (le T. 2 e T. 12 databili fra il 375 ed il 360 a.C.).
11 Anche se l’edificio di Roccagloriosa è di dimensioni inferiori, i raffronti già citati con gli edifici a forma allungata di Serra di Vaglio tardo-arcaica sono quelli più calzanti. Purtroppo, l’evidenza di V secolo a Roccagloriosa è piuttosto frammentaria, ma ciononostante non sembra fuori luogo ipotizzare per l’edificio maggiore di V secolo a.C. una funzione paragonabile, in parte ‘pubblica o sacra’ come definita da Greco G. 1982, p. 76. Ne risulterebbe un esempio tardo-arcaico di anaktoron, con una funzione cultuale (testimoniata dalla terracotta votiva siceliota di prima metà V sec. a.C., V 20, supra, cap. 4) non disgiunta da quella residenziale, che precede di oltre mezzo secolo il grande complesso A con area cerimoniale, corrispondente all’impianto monumentale di IV secolo a.C. Per quanto riguarda questo presunto anaktoron di V secolo a.C., è da sottolineare che gli esemplari più antichi di terrecotte architettoniche (Cap. 9, NN. 521-522) sono stati rinvenuti in giacitura secondaria, non direttamente associati all'edificio stesso. Sembra tuttavia ragionevole proporne l’appartenenza all’edificio in questione o altro simile.
12 Sul problema si veda una discussione più dettagliata in Gualtieri 1989b. Si veda anche, più in generale, Fracchia e Gualtieri 1989.
13 Come formulato da A. Bottini in PCIA, 8, 1986, p. 357.
14 Sul quadro generale della situazione insediativa in una vasta area dello hinterland tirrenico e la discussione dei fenomeni di trasformazione verso forme più dichiaratamente urbane, si veda Gros e Torelli 1988, pp. 48-49.
15 Una simile situazione è molto più evidente sul versante adriatico e nell'area apula in generale. Si considerino. ad esempio, il vasto abitato di Monte Sannace (Gioia del Colle 1962) e Lavello (Bottini A. 1982a). Incerta è la situazione ad Oppido Lucano, dove invece le tombe sembrano appartenere tutte ad una fase precedente quella dell’impianto ‘regolare’ delle case di IV secolo a.C. (Lissi Caronna 1984, pp. 208-210, fig. 5).
16 Come giustamente osserva Torelli (Gros e Torelli 1988, p. 49) sulla base di considerazioni di carattere generale dell’urbanistica degl'insediamenti preromani.
17 Tali sviluppi sembrerebbero cronologicamente coerenti con quanto riscontrato in siti paragonabili in altre aree della Magna Grecia. A Monte Sannace (Gioia del Colle 1962, p. 102) l’edificio sull’acropoli, formato da una stoa ed un ambiente decorato da antepagmenta fittili è datato intorno alla metà del III secolo a.C. A Castiglione dei Paludi (Guzzo 1989, pp. 78-80; PCIA, 8, 1986, pp. 369-370; Paoletti 1981), che rappresenta un centro principale dell’area Brettia, esiste un edificio per riunioni conformato a cavea la cui forma «deriva da quella di analoghe costruzioni italiote»; ma, nonostante gli scavi estensivi degli anni recenti, manca la pubblicazione di dati puntuali.
18 Come documentato con chiarezza di dettagli nella Heraklea di IV e III secolo a.C. (si vedano i commenti in Greco e Torelli 1983, pp. 271-274) ed a Locri (Barra Bagnasco 1985, pp. 196-201). Rilevanti sono le considerazioni di Collis (1984, pp. 132-136) relative alle fornaci rinvenute in contesti abitativi negli oppida centro-europei.
19 Sull’ergasterion di Metaponto, D’Andria 1980; D’Andria 1983, pp. 85-86; Metaponto 1975, pp. 362-370. Sul problema più generale della presenza di un ‘quartiere artigiano’ nelle città magno-greche, sia pur con riferimento ad un periodo precedente, si veda D’agostino 1972.
20 Una stima in termini numerici è assai rischiosa, soprattutto in mancanza di indizi ricavabili dalle fonti scritte. Si vedano le considerazioni di Sereni (1955, passim e 1970) che suggeriscono di mantenere la stima numerica della popolazione di un sito preromano al di sotto dei mille individui. In via generale, si considerino anche le osservazioni metodologiche di B. Arnold (in Blair Gibson e Geselowitz 1988, pp. 182-185) ed i calcoli di Wells (1984, pp. 116-117 e 164-166) per gli oppida centro-europei.
21 Si vedano le considerazioni di Potter (1979, pp. 125-127) su di un fenomeno coevo in Italia Centrale, rilevato sulla base della ricognizione sistematica di superficie.
22 Greco E. 1979, pp. 232-234.
23 Bottini A. 1982a, pp. 98-102.
24 Boersma e Yntema 1982, 1987.
25 Sulla connessione fra sviluppo di un impianto monumentale ed il rapporto con il territorio circostante, si vedano le considerazioni di Bottini in PCIA, 8, 1986, pp. 202-203 e p. 244.
26 Le distinzioni fra le varie aree esplorate dalla ricognizione topografica e le premesse metodologiche sono già state puntualizzate (supra, cap. 7). Considerazioni utili sulla occupazione dei versanti delle valli fluviali nel IV-III secolo a.C., in maniera piuttosto continua e al di là di specifiche ‘aree di approvvigionamento’ di siti fortificati o agglomerati sono incluse in Nickels 1971 e Tocco 1980. L’evidenza della Val d’Agri, in particolare, sembrerebbe indicare un fenomeno di occupazione abbastanza densa della campagna, pur nella apparente assenza di rilevanti fenomeni di aggregazione. Resta ancora da qualificare, sulla base di specifici dati di scavo, il ruolo di Armento e Roccanova nel corso del IV secolo a.C., in relazione alla densa distribuzione degli insediamenti rurali osservata.
27 Nonostante le caratteristiche regionali ben definite per l’area Mingardo/Bussento sopra considerata, ben delimitata a nord (dal monte Cervati), ad ovest (dal monte Sacro e monte Scuro) e ad est (dal passo di Sanza), sarebbe erroneo formulare per il IV sec. a.C. un sistema insediativo chiuso in se stesso senza tener conto della influenza esercitata da regioni confinanti quali, in particolare, l’area di Moio della Civitella/Velia (a nord-ovest) ed il Vallo di Diano (a nordest).
28 Anche se, com’è da aspettarsi, si riscontra un massimo di densità di siti rurali sui terrazzi più direttamente collegati con il sito di altura.
29 Fondamentale è lo studio di Chisholm 1968.
30 I raffronti più immediati per un tale tipo di fattoria sono quelli scavati nella chora metapontina (Adamesteanu 1973, pp. 57-59, Adamesteanu 1974, pp. 82-83, Carter 1979, p. 56), anche se si tratta di tipi generici di edifici rurali, largamente diffusi in vaste zone del mondo mediterraneo a partire dal IV secolo a.C. (si veda ad esempio quello dal territorio di Himera, presentato in Himera, II pp. 650-656, tav. 7). Leggermente diverso è il tipo di fattoria probabilmente ‘fortificata’, in posizione elevata, documentato a Montegiordano (Luppino 1981).
31 Sulla associazione tombe/fattoria, si vedano le considerazioni di Guzzo (1982, p. 143). Alcuni aspetti generali, di fondamentale importanza, sul paesaggio agrario dell’Italia medio e tardo-repubblicana sono discussi da Garnsey 1979. La più recente esplorazione del sito di Mortelle (cap. 7, sito 25) aggiunge dati assai rilevanti al problema in questione.
32 Anche nel senso di un ‘central place’ con controllo politico su di un territorio: si vedano al riguardo le considerazioni metodologiche sulla ‘central place theory’ in Crumley 1979. Si vedano anche i commenti di Bottini A.1980, p. 325, sulla articolazione delle forme di occupazione e sfruttamento del territorio durante il IV secolo a.C. nella Basilicata settentrionale.
33 Secondo la dizione adoperata da Greco E. 1979, p. 234.
34 È altresì chiaro, sulla base dei dati accumulati dalla più recente ricerca nel territorio che questo fenomeno di occupazione della campagna è già in atto all'inizio del IV secolo a.C., come dimostrano il recupero di un'olpe in bronzo da Calatripeda (sito n. 37, supra, cap. 7) e la tomba 2 scavata nel 1989 a Mortelle (sito n. 25, supra, cap. 7). La discussione delle trasformazioni ed elementi di continuità riscontrabili per il periodo tardo-repubblicano è stata presentata in Gualtieri e Polignac (in corso di stampa).
35 Sul problema si veda A. Bottini in PCIA, 8, 1986, p. 377 e, più in generale, Barker 1977. Rilevanti commenti sulla trasformazione dell’economia agricola degli insediamenti dauni nel corso del III secolo a.C. sono presentati in Volpe 1988, pp. 88-90. Sulla connessione fra popolamento decentrato ed arboricoltura, si veda Frederiksen 1981, pp. 265-268.
36 Si veda anche la messa a punto di W. Johannowsky in Atti Tarante, 20, 1982, pp. 144-145.
37 Si considerino i dati sulla “Agricoltura e paesaggio agrario” presentati da Ampolo (1980) al Seminario su “La formazione delle città nel Lazio” ed in particolare le sue osservazioni sulla viticoltura nel Lazio arcaico (Ampolo 1980, p. 62). Per le aree italiche dell'Italia centrale, sono assai eloquenti i dati preliminari presentati da Barker (1977), sull'argomento si vedano anche le considerazioni più generali formulate in Barker 1982, pp. 216-217. Per quanto riguarda le risorse dell'allevamento, si confrontino i dati riassuntivi forniti da Yntema (1980) per l’area apula. In via largamente indicativa sono fondamentali le osservazioni di Renfrew 1972 (pp. 476-504), sulla introduzione della policoltura nella Grecia dell'Età del bronzo.
38 Si vedano, al riguardo, le osservazioni di Johannow
39 Un recente articolo di sintesi sulla comunità arcaica di Palinuro è stato presentato da Fiammenghi 1985. Per l’area di Rivello, immediatamente confinante a sud-est, vi sono molti dati recenti per il periodo arcaico, assai utili a qualificare la ‘facies’ enotria dell’area lucano-tirrenica; si veda Bottini P. 1985, 1986, e Bottini P. (in corso di stampa).
40 Guzzo (1981a, pp. 45-46, 1981b) intravvede un fenomeno di ‘colonizzazione indigena’ della costa nel corso del VI secolo a.C., ponendo in tal modo il caso di Palinuro sullo sfondo dell’evidenza da Scalea/Petrosa, sulla Costa calabra immediatamente a sud del Golfo di Policastro. È interessante che, a giudicare dalla ceramica dipinta con decorazione geometrica, anche l’agglomerato della Petrosa è collegato con il Vallo di Diano. Giustamente Greco E. (1985, p. 84) sottolinea una dinamica interna al mondo indigeno arcaico, sia pur in qualche modo stimolata dalla frequentazione greca sulla Costa, quale fattore principale di questi sviluppi nell’area. In tale quadro si inserisce assai bene la recente identificazione di ceramica geometrica del tipo Sala Consilina tra i materiali di un recupero effettuato nell’area di Sapri dal Gruppo Archeologico del Golfo di Policastro (cortese comunicazione della Dott.ssa A. Fiammenghi).
41 Il problema è stato impostato da Zancani Montuoro 1949; si vedano anche le osservazioni topografiche di Greco E. 1975. pp. 94-108. Fondamentali, al riguardo, sono le considerazioni di Parise 1972. Una recente discussione analitica della monetazione Sirinos-Pyxoes è quella di Sternberg 1980; si vedano anche i più recenti commenti di Lattanzi 1985, pp. 67-68 e, più in generale su Sirino, Lattanzi 1980.
42 Ad esclusione di alcuni elementi rinvenuti nella più recente ricerca a Policastro, diretta da W. Johannowsky, quale ad esempio la stele arcaica riadoperata nell’abitato di V secolo a.C. Nell'ambito della frequentazione arcaica è molto probabilmente da inserire l'evidenza della terracotta da matrice siceliota V 20 datata agl’inizi del V secolo a.C. Si vedano i commenti di M. Cipriani (supra, cap. 4, n. 47) sulla rilevanza del rinvenimento per i contatti del Golfo di Policastro con l'area reggina nel periodo tardo-arcaico. Per il quadro storico generale dell’area basso-tirrenica nel VI-V secolo a.C., si veda De Sensi Sestito 1984.
43 Johannowsky 1985, p. 145. I dati provenienti dagli ultimi scavi (1988), nell’area della cinta muraria non sono ancora pubblicati. Dati preliminari sono stati presentati da W. Johannowsky alla Mostra dei Beni Culturali del Cilento a Vallo della Lucania (2-11 giugno 1989-catalogo in corso di stampa) dove si descrivono le caratteristiche del phrourion reggino di Pixunte. Dati ceramici e stratigrafici per la fase di V secolo a.C., provenienti da uno scavo di m. 5 x 4 nell’area ovest delle mura sono stati presentati in Bencivenga Trillmich 1988. Per il quadro storico relativo alla fondazione di Pyxous, si veda Vallet 1978.
44 Lepore 1972-1973; Salmon 1936.
45 Quadro completo del periodo e discussione di casi specifici in Lepore 1972-1973. Il contenuto della iscrizione discussa nel cap. 5, indubbiamente apporta nuovi elementi per la discussione della sannitizzazione nell'area considerata.
46 I dati presentati in Bencivenga Trillmich 1988 includono una buona documentazione su materiali riferibili al IV e III secolo a.C. che inducono l’autore a sottolineare i rapporti con l’area velina. Nel complesso, tuttavia, essi non ci permettono di formulare ipotesi specifiche sulla natura e consistenza del sito di Pyxous (si tratta, in ogni caso, di materiali di scarico non associati a strutture). I legami con Velia notati da C. Bencivenga Trillmich s’inseriscono bene nel quadro storico generale già osservato da Greco E. (1975, p. 108) in cui è inserita la Palinuro di IV secolo a.C. e, indubbiamente, sono alla base di un processo di ellenizzazione assai marcata, rilevabile in un’ampia fascia della Lucania occidentale, in cui Roccagloriosa occupava un ruolo preminente. Si coglie l’occasione per ringraziare C. Bencivenga Trillmich per aver gentilmente voluto mettere a disposizione dello scrivente le bozze dell'articolo citato. Sul problema dello scalo portuale di Pyxous (Strabone 6,1,1), si veda La Genière 1964, p. 347; si veda anche la discussione del passo straboniano in Lasserre 1967, p. 268.
47 Si veda, in particolare, il quadro fornito dall'analisi delle anfore (infra, cap. 9) sui contatti di scambio dell'area di Roccagloriosa nell’ambito del Mediterraneo occidentale durante il IV e III secolo a.C.
48 Sono da tener presente, da un lato, la ‘centralità’ ed il livello di strutturazione del sito, sopra discussi, e, dall’altro, il suo inserimento in una vasta rete di contatti, che includono, più specificamente, l’area dello stretto e la Sicilia nonché il litorale ionico. È anche da sottolineare il carattere ‘cosmopolita’ e profondamente ellenizzato della comunità indicato dal deposito votivo rinvenuto nell'abitato fortificato e dalla laminetta plumbea iscritta presentata nel cap. 5. Altrove (Gros e Torelli 1988, p. 49; Gualtieri 1989a) ne è stata proposta l'identificazione con la Pixunte lucana.
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