Capitolo 5. Laminetta di piombo con iscrizione dal complesso A
p. 137-150
Note de l’auteur
Il capitolo è stato redatto da M. Gualtieri e P. Poccetti. La discussione del contesto archeologico è di M. Gualtieri, mentre lo studio del testo della laminetta qui presentata è di P. Poccetti (Istituto Universitario Orientale, Napoli).
Texte intégral
A) Contesto archeologico
11. La compilazione dell’inventario generale dei reperti dall’abitato sul pianoro centrale nei mesi di novembre-dicembre 19861 ha portato alla identificazione di un oggetto di piombo sfuggito in un primo momento all’attenzione dello scrivente e della persona addetta ad una preliminare schedatura dei materiali2 e genericamente etichettato quale “frammento di oggetto di lamina di piombo”. La ispezione effettuata nel 1986 identificò immediatamente il pezzo quale laminetta di piombo arrotolata, purtroppo frammentaria ed in cattivo stato di conservazione, e ne ridefinì le caratteristiche quali pertinenti ad un probabile testo scritto, ipoteticamente di defixio sia sulla base delle dimensioni che del materiale adoperato, ipotesi che fu poi confermata dallo svolgimento della laminetta effettuato nel 19873.
2La laminetta era visibilmente frammentaria in due diversi punti sia a causa della corrosione del piombo (di spessore assai sottile) che aveva purtroppo asportato gran parte della penultima ripiegatura esterna, sia a causa di un forte impatto che ne aveva tagliato un angolo superiore (fig. 123). Non sembra che la rimozione dell’angolo del ‘rotolo’ fosse stata causata nel corso dello scavo dato che la frattura appariva stabilizzata e, come il resto della superficie della laminetta, ricoperta da una sottile patina da ossidazione. Si esclude questa possibilità soprattutto per il fatto che, trattandosi di un angolo abbastanza grosso dell'intero ‘rotolo’, esso sarebbe stato raccolto insieme con il resto dell’oggetto, come negli altri casi (numerosi) di manufatti rinvenuti in strato di crollo e, assai spesso, toccati dal piccone. Dato il contesto dell’oggetto, descritto più oltre, sembra invece assai più probabile che la frattura sia stata causata o dall’impatto/pressione di una pietra del crollo/scarico o dalla attività di scarico dell’oggetto stesso. In tal caso sembra assai probabile che l’angolo, ulteriormente frammentato dall’azione di accumulo o scarico di detrito, sia stato perduto nello scavo a causa della mancanza di setacciatura in questo stadio iniziale dello scavo4.
32. Il contesto e la data di rinvenimento indicati sulla targhetta che accompagna l’oggetto (FB 109 II-III, 29.7.1977) si riferiscono ad uno dei primi giorni di scavo nell’angolo sud-est del complesso A5. Gli ulteriori commenti inclusi nel giornale di scavo descrivono il contesto come uno «strato di terra scura sciolta con molta ceramica al di sotto di uno strato argilloso e dell'humus»5. E da precisare che in questa fase iniziale dello scavo dell’abitato i reperti senza una più specifica misurazione nell’ambito del quadrato sono qualificati nella loro distribuzione spaziale unicamente dalle coordinate del quadrato stesso di m. 4 x 4. Il quadrato FB 109 si trova al limite sud-est del portico del complesso A (supra, cap.6) e, più specificamente, ad est del muro di fondo del portico stesso (F 17), che si colloca alla estremità ovest del quadrato stesso. Sembra quasi certo, pertanto, che la laminetta sia stata rinvenuta ad est del muro perimetrale del portico, piuttosto che all’interno dell’angolo sud-est del portico, come precedentemente supposto7. Una tale considerazione è senz’altro di aiuto a ricostruire la natura specifica del contesto stratigrafico in cui la laminetta fu rinvenuta. Due attività, che non si escludono necessariamente l'un l’altra, sono da considerarsi alla base del processo di formazione del contesto di rinvenimento della laminetta. Da un lato, l'attività di accumulo di una notevole quantità di materiali di scarico ad est del muro perimetrale est del complesso A (inclusi soprattutto nelle US 118 e 119, scavate poco più a nord di FB 109, nel 1982-86). Tali scarichi includono una notevole quantità di materiale riferibile all’uso del complesso A e, più in particolare, degli ambienti cortile basolato/portico. Il rinvenimento di una notevole quantità di ceramica fine ed un rilevante numero di frammenti di terrecotte votive (supra, pp. 113-114), contribuisce a riferire gran parte dei materiali scaricati in quell’area alla attività ‘cerimoniale’ che si svolgeva nel complesso stesso, secondo l'attendibile ricostruzione fattane nel capitolo precedente. D’altra parte, il successivo crollo (US 98) del massiccio muro perimetrale est del complesso, anche se rinvenuto prevalentemente ad ovest del muro stesso, a causa del pendio del terreno, ha lasciato tracce anche ad est del muro, in parte commiste con i materiali dello scarico. Il successivo dilavamento del terreno lungo il declivio accentuato, può aver ulteriormente contribuito al fenomeno di commistione scarico/materiali dalla distruzione del muro. Sembra pertanto assai probabile che lo strato di ‘distruzione’ II-III in cui è stata rinvenuta la laminetta includesse la parte superficiale dello spesso strato di scarico (118/119) esistente ad est del muro perimetrale. Per aggiungere altri utili indizi sulla natura del contesto in cui è stata rinvenuta la laminetta, è opportuno sottolineare che lo strato III nella stessa area (FB 109 III, scavato nei giorni immediatamente successivi) includeva alcuni fra i più significativi frammenti di ceramica a figure rosse (N. 56 e, soprattutto N. 63 e N. 66 nella parte inferiore dello strato, FB 109 IIIB), nonché frammenti di louteria (NN. 558-560) e di terrecotte architettoniche (N. 523). Tutte queste considerazioni, in mancanza di più specifici dati di contesto, contribuiscono ad una collocazione stratigrafica della laminetta nell’ambito dello scarico di materiali connesso con l’uso del complesso area basolata/portico. Una tale appartenenza della laminetta, d’altra parte, soprattutto in considerazione del contenuto della iscrizione che vi è incisa (analizzata nei successivi paragrafi) sembra indubbiamente essere in accordo con l’uso ‘cerimoniale’ (supra, cap. 4) della parte centrale del complesso e ben si associa con la attività rituale che vi è documentata.
43. La laminetta qui presentata e discussa in dettaglio non costituisce l’unico esemplare di laminetta di piombo arrotolata rinvenuto nello scavo del nucleo abitativo sul pianoro centrale. È stato possibile, anche sulla base di analogie con la laminetta in questione, raggruppare un certo numero di reperti in piombo che, sia pur assai frammentari (salvo un caso), sono con buona probabilità da considerarsi altre tabelle di defixiones, utilizzate nell’area del complesso A ed in aree adiacenti. Se ne allega l'elenco, anche se non siano State ancora oggetto di un'analisi specifica, con lo scopo di fornire ulteriori indizi atti a qualificare il contesto della laminetta esaminata in dettaglio più oltre.
5L1) SF 3023. US 63, area BG 108/BH 107 III
(strato di distruzione misto a colluvio sulla parte centrale dell'ambiente A5)
Frammento di laminetta di piombo arrotolata, visibilmente spezzata
alt. cm. 1,3; il diametro è paragonabile a quello di un grosso chiodo.
6L2) SF 3028. US 63, area BG 108/BH 107 II
(strato di distruzione misto a colluvio, sull’angolo nord-est dell'ambiente A5)
Frammento di laminetta di piombo arrotolata alt. cm. 2,2, largh. max cm. 0,9.
7L3) SF 3036. US 79, area BG 107/BH 108 III
(strato di distruzione che insiste sulla parte centrale dell'ambiente A5)
Frammenti (il più grande misura ca. cm. 3,0 x 2,5) di una laminetta di piombo di spessore e dimensioni assai simili a quella iscritta presentata in questo capitolo. La laminetta, frammentaria, risulta in parte deformata dalla pressione dello strato ma certamente non arrotolata. Non vi sono tracce di lettere sulla superficie: potrebbe trattarsi di un ‘blank’, prima della incisione.
8L4) SF 4131. US 269, area BF 106/BG 107 III-IV
(strato di abitazione nell’ambiente A7/A8)
Tre frammenti di una sottile fascetta di piombo della larghezza di ca. cm. 1,0 due dei quali (lunghezza complessiva cm. 3,5) mostrano un attacco. Leggibili alcune lettere incise. Sembra probabile che potesse appartenere ad una laminetta più larga (ma senza tracce di avvolgimento) del tipo di quelle già descritte (fig. 124a).
9L5) SF 7038. US 391, area BA 110/B B 111 II
(scarico di materiale ad ovest della strada F 416 che corre lungo la fronte ovest del complesso A)
Laminetta di piombo ripiegata in due nel verso della larghezza e poi arrotolata. Intatta (fig. 124c), non ancora srotolata (si vedano anche figg. 201 e 204, per il disegno).
10L6) SF 7710. US 64, area BG 113/BH 114 I
(strato di colluvio misto a materiale di scarico, nell’angolo nord-est del complesso B)
Vari frammenti, di cui tre di dimensioni maggiori (alt. rispettivamente di cm. 1,4, 1,3 e 0,9) di laminetta di piombo arrotolata. La laminetta non è stata ancora ripulita né srotolata; tuttavia lo stato di frammentarietà in cui si trova permette di leggere alcune lettere all’interno di un frammento (fig. 124b).
11L7) SF 7005. US 390, area PC 86
(materiale di accumulo-abitazione mista a colluvio-su una piccola superficie basolata del complesso in PC 86)
Vari frammenti di piccole dimensioni di una laminetta di piombo arrotolata, di cui il più grande misura cm. 1,4 in altezza.
12È da sottolineare innanzitutto (come si può osservare dalla cartina di distribuzione, fig. 125) che i primi cinque esemplari sono tutti da riferirsi al complesso A, tre dei quali (L 1-3) rinvenuti in strati che insistono sull’ambiente A5. Incerta è la funzione della ‘fascetta’ L4 che, pur includendo alcune lettere incise, sembrerebbe appartenere ad una placchetta non arrotolata.
13Il rinvenimento più interessante è senz’altro costituito da L5, intatta, che esemplifica un diverso tipo di avvolgimento della laminetta8 e, significativamente, proviene da un contesto analogo a quello ricostruito per la laminetta con iscrizione presentata in dettaglio più oltre.
14L’esemplare L6 è stato rinvenuto ai limiti fra complesso A e complesso B, in contesto di scarico misto a colluvio. Data la sostanziale affinità dei materiali di scarico rinvenuti ad est dei muri perimetrali dei complessi A e B (supra, p. 59), sembra possibile vederne una provenienza analoga a quella dei precedenti esemplari (cioè l’attività rituale che si svolgeva intorno al basolato/portico del complesso A). Diverso è il caso della L 7, relativo al complesso in PC86, alla cui architettura imponente non corrisponde, sinora, una chiara funzione nel contesto dell’abitato fortificato. Una più approfondita esplorazione di quest’ultimo complesso è necessaria prima di poter discutere il significato della associazione con una probabile defixio.
154. Ad ampliare il quadro, contribuisce il rinvenimento di un certo numero di oggetti in piombo (concentrati nell’area del complesso A) che, pur di incerta interpretazione (anche a causa dello stato di conservazione), possono in vari casi essere posti in relazione con la lavorazione (o distruzione) delle laminette di cui si è sopra elencata la consistenza.
16L8) SF 326. Strato III, area EB-FB 109
(scarico ad est del muro perimetrale est del portico nel complesso A)
Frammento di piombo, alterato dal calore, che sembra composto da due lamine sovrapposte alt. cm. 3,2.
17L9) SF 2078. US 38', area BG109/BH108 IV
(strato di distruzione misto a colluvio sulla parte centrale dell’ambiente A5)
Frammento di piombo approssimativamente quadrangolare, di cm. 2,4 x 2,0; spessore max cm. 0,3. Potrebbe essere piegato in due.
18L10) SF 2080. US 38', area BF 110/BG 109 I
(strato di distruzione misto a colluvio sulla parte nord-est dell’area basolata, in prossimità dell'oikos votivo F 11)
Sbarretta rettangolare di piombo (cm. 2,7 x 0,8; spessore max 0,4) con tre solchi incisi. E da notarsi l’associazione con la parte inferiore di un piccolo scalpello o bulino in ferro (SF 2080B), probabilmente adoperato per la incisione. Non è da escluderne l’uso per riparazione di vasi in terracotta.
19L11) SF 2086. US 38, area BG 109/BH 108 I
(colluvio misto a strato di distruzione nell’angolo nord-est dell'ambiente A5)
Sbarretta simile alla precedente, ma più stretta (largh. cm. 0,4).
20L12) SF 2091. US 38', area BG 109/BH 108 III
(strato di distruzione misto a colluvio sulla parte centrale dell'ambiente A5)
Frammento di laminetta di piombo di ca. cm. 2,5 x 1,5. Non si notano incisioni sulla superficie.
21L13) SF 3005. US 63, area BG 108/BH 107 II
(strato di distruzione misto a colluvio sull’angolo nord-est dell'ambiente A5)
Frammento di laminetta di piombo di ca. cm. 2,0 x 1,4. Non si notano incisioni sulla superficie.
22L’incertezza sulla natura specifica di questo secondo gruppo di oggetti in piombo rinvenuti nell’area del complesso A nonché il loro stato di conservazione assai precario, suggeriscono la massima cautela per ogni considerazione di carattere generale sul gruppo nel suo insieme. Sembra tuttavia opportuno sottolineare il fatto che, con una sola eccezione (L 10), i rinvenimenti si raggruppano nell'ambiente A5. La stessa L 10, d’altronde, è stata rinvenuta sull’angolo nord-est del cortile basolato, adiacente l'ambiente A5.
23La funzione dell'ambiente A5 è duplice, ed in parte si modifica nel corso del IV secolo a.C. Inizialmente connesso con la funzione cerimoniale del cortile basolato (supra, cap. 3) viene, alla fine del secolo stesso trasformato in officina per vasaio. Una serie di elementi lungo la parete nord dell’ambiente (F 35, 36), indubbiamente utilizzati per attività di lavorazione, sono di incerta datazione. Una interpretazione genericamente ‘utilitaria’ e di natura pratica di questa notevole frequenza di resti di piombo negli strati di distruzione che insistono sull'ambiente, tenderebbe a farli considerare (soprattutto nel caso delle due sbarrette 10-11) quali materiali utilizzati per la lavorazione e riparazione della ceramica, funzione preminente dell'ambiente nella fase più tarda del sito. D’altra parte, alcuni degli oggetti sopra elencati (decisamente conformati a laminetta) mal si prestano ad una simile interpretazione. Con tutta la cautela già sottolineata, v’è la tentazione di ipotizzare un’area di manifattura e preparazione di simili laminette nell’ambiente A5, significativamente adiacente il cortile basolato con area votiva. M. Gualtieri
B) Il testo della laminetta
24L’opportunità di inserire la discussione sul testo della laminetta iscritta da Roccagloriosa nel quadro della pubblicazione organica dei materiali relativi al contesto specifico ed alle strutture del sito in cui è stata rinvenuta, se rappresenta un’operazione sempre apprezzabile e proficua per l’effettiva interdisciplinarietà, appare in questo caso specifico particolarmente indispensabile. Poiché, infatti, il contenuto dell'iscrizione non si palesa di immediata evidenza all’esegesi, la classificazione del documenta in base alla tipologia testuale abbisogna fatalmente del concorso di elementi extralinguistici, costituiti in prima istanza dal contesto archeologico di rinvenimento sopra analizzato in dettaglio e dalle caratteristiche del manufatto.
25La laminetta è stata rinvenuta ripiegata su se stessa nel senso della lunghezza, così da formare un blocchetto, all’incirca di mm. 38 x 24 con uno spessore medio di mm. 8, privo di un angolo calcolabile approssimativamente in mm. 18 nel senso dell’altezza e mm. 8 nel senso della larghezza (fig. 123, supra). La perdita di questo angolo sembra risalire ad epoca antica, almeno a giudicare dalla patina di ossidazione che ricopre il punto di frattura. L’asportazione ha le caratteristiche di un taglio netto operato in senso obliquo: ciò è verificabile dal fatto che le dimensioni della lacuna si riducono sensibilmente man mano che questa interessa le ripiegature più interne della laminetta e la faccia opposta a quella da cui è partito il taglio. Parimenti non attribuibile ad incidenti connessi al recupero è il cospicuo danneggiamento della faccia della ripiegatura più esterna da dove è iniziato il taglio che ha portato la mutilazione dell’angolo. La laminetta sembra, pertanto, aver subito in ogni caso una forte pressione o impatto dall’alto, verso cui in posizione di giacitura la faccia gravemente danneggiata era rivolta.
26A seguito dello svolgimento, la laminetta si è spezzata lungo le linee delle quattro ripiegature che individuano i cinque segmenti di cui si componeva il blocchetto arrotolato. Di questi cinque segmenti quattro sono conservati quasi integralmente, salvo l’intermittente mancanza dell’angolo superiore conseguente alla frattura di cui si è già detto. Del penultimo segmenta, corrispondente alla faccia esterna dell’avvolgimento gravemente danneggiata, sono superstiti soltanto due frammenti, i quali sono purtroppo lontani dal permettere di ricomporne l’integrità (fig. 126). Dunque, la determinazione della lunghezza complessiva della laminetta è legata al calcolo delle presumibili dimensioni della porzione frammentaria. Tale calcolo è agevolato dalla regolarità dell’avvolgimento, operato procedendo da sinistra verso destra (secondo, cioè, la direzione della scrittura), così che si rende possibile ricostruire con discreta approssimazione l’entità della superficie andata perduta. La lunghezza massima di ciascuno dei segmenti, qui numerati in base alla loro sequenza della ricomposizione della lamina, si dilata progressivamente in ragione dell’ispessirsi della piegatura, di cui le volute esterne comportano ovviamente superfici più ampie di quelle interne: 1 = 18 mm.; 2 = 19 mm.; 3 = 24 mm.; 4a = 9 mm.; 4b = 11 mm.; 5 = 24 mm. Ora, poiché la congiunzione dei frammenti 4a e 4b dà una somma di 20 mm., sufficiente a coprire da sola la superficie esterna del rotolo, occorre supporre che la distanza minima da coprire perché i due frammenti potessero congiungersi con il segmenta terminale della laminetta è grosso modo corrispondente allo spessore occupato dall’ultima piegatura, valutabile nel punto di massimo avvicinamento in circa 5-6 mm. L’addizione di queste dimensioni porta ad attribuire al segmenta 4, in cui appunto doveva rientrare lo spessore dell’ultima piegatura andata perduta, un’estensione lineare di circa mm. 26. Questa misura, sommata a quella degli altri segmenti, permette di evincere una lunghezza totale della laminetta intorno a cm. 11. L’altezza, invece, è conservata integra e costante in cm. 3,8 (fig. 127).
27Il primo segmenta presenta due fori di 3 mm. di diametro, la cui disposizione reciproca induce ad escludere l’ipotesi che servissero allo scopo di tener appesa la laminetta. L’uno, infatti, si trova lungo il margine sinistro circa a mezza altezza, mentre l’altro è situato inferiormente più al centra a mm. 7 dal lato di base e a mm. 8 dal lato dell’altezza. Entrambi sono stati praticati prima della ripiegatura della laminetta, in quanta vengono a ricadere nella sezione più interna dell’avvolgimento.
28L’iscrizione si dispone sulla superficie lungo linee abbastanza regolari ed ordinate, con altezza delle lettere pressoché costante intorno a mm. 3. Solo la lettera isolata sovrapposta ad evidente scopo di correzione tra il tredicesimo ed il quattordicesimo segno della prima linea di scrittura è di dimensioni più piccole delle altre (altezza: mm. 2).
29Fino quasi a metà della lunghezza la superficie è occupata da un’unica linea di scrittura. Nella seconda metà sottostanno a questa altre sette linee, delle quali la prima è prominente di 10 mm. rispetto all’incolonnamento iniziale in cui sono State ordinate le successive sei. Sul margine opposto, invece, le linee non rispettano alcun principio di impaginazione terminando in maniera vistosamente irregolare, pur tuttavia nello stesso tempo non del tutto esente da simmetrie. Sotto questo riguardo alcuni particolari sono meritevoli di specifico rilievo e suscettibili di caricarsi di qualche significato in sede ermeneutica. La seconda linea termina rientrando rispetto al limite segnato dalla precedente e dalle due seguenti all’incirca dello stesso spazio con cui fuoriesce dall'incolonnamento iniziale, sí da conferire l’impressione di una eccentricità non casuale. Delle ultime quattro linee, invece, non è possibile determinare l’estensione, in quanto esse sicuramente si concludevano nel penultimo segmento che è mutilo della parte inferiore. La mancanza di lettere nella porzione terminale della lamina ne fa pertanto solo presumere una lunghezza minore delle precedenti.
30Una sorte infausta ha, dunque, voluto che la parte più gravemente danneggiata della laminetta fosse proprio quella dove maggiormente si concentrava l’iscrizione. Di conseguenza, mentre l’estensione delle lacune nelle prime tre linee è quantificabile e ne è presuntivamente calcolabile il numero delle lettere mancanti (il corpo di ciascuna lettera occupa uno spazio variabile da 2 a 3 mm.), la perdita di segni nelle linee successive è del tutto irrimediabile. Paleograficamente la scrittura è assegnabile al IV secolo a.C. ed è in coerenza, pertanto, con la stratigrafia archeologica: i caratteri presentano assoluta regolarità, senza inclinazioni all’incurvamento dei tratti o all'impiccolimento delle lettere tonde (fig. 127). Non sono presenti i segni per le vocali lunghe, la forma del sigma è regolarmente a quattro tratti, mentre i cosiddetti segni “complementari” (φ, χ, ξ) hanno gli stessi valori “azzurri” dell’alfabeto ionico d’età post-classica.
31Il testo viene qui presentato secondo i criteri di edizione proposti da Krummrey e Panciera9.
32δυϝο[2-3]διμνοπολεˋνˊτ[6-7]ει [3-4] σμετ[2:3]ανισδ
υ[3-4]ερισπολλ[2-3]σ
[γ]αϝισ̣φοινι[2-3] μαχιεσ
μαμε[ρ]εξ[3-4] ϝδισ
γανα [---]
πακισ [---]
αν̣τ [---]
μα [---]
Per la classificazione del documento, se si parte, come ipotesi di lavoro, dalle caratteristiche esterne dell’oggetto (consistenza e dimensioni del manufatto, presenza di forature di chiodi, ripiegatura) la laminetta iscritta si configura tipologicamente assegnabile alla categoria delle tabellae defixionum. Poiché tutti questi elementi di ordine fattuale, insieme all’unico dato testuale che è di immediata evidenza, cioè la presenza di un cospicuo numero di antroponimi, convergono concordemente nell’attribuzione a questa tipologia di documenti, spetterà ad indizi altrettanto cogenti l'onere di provare una diversa pertinenza.
33L’incidenza simultanea di tali elementi ha naturalmente un valore puramente statistico, giacché le tabellae defixionum non sono definite sempre in maniera costante ed univoca dalla loro concomitanza, tuttavia il peso testimoniale di questa simultaneità si accresce in rapporto alla quota cronologica a cui appartiene il documento. Se si restringe, infatti, la campionatura al repertorio delle tabellae defixionum non esorbitanti dal limite del IV secolo a.C., entro il quale è archeologicamente e paleograficamente databile il reperto di Roccagloriosa, il numero degli esemplari che condividono in tutto o in larga parte le caratteristiche formali e materiali della laminetta qui presentata ricopre la quasi totalità delle attestazioni10.
34L’accertamento del contesto archeologico offre dati di primaria importanza e decisivi per sciogliere le prudenti riserve imposte dall’eccezionalità di una testimonianza sulla quale grava il peso di costituire la prima voce documentaria per quanto riguarda la scrittura e la lingua del centra indigeno preromano. Riserve tanto più doverose per la circostanza che l’iscrizione è legata ad un oggetto facilmente assoggettabile a rimozioni, intenzionali o fortuite, dalla propria sede originaria.
35Occorre premettere che, in generale, i raffronti con i contesti di rinvenimento delle tabellae defixionum sono resi alquanto disagevoli proprio dalle condizioni editoriali in cui è nota gran parte di questi documenti. Uno sguardo statistico alla letteratura su questo genere epigrafico rivela immediatamente la rarità di casi di cui sono perfettamente descritti il contesto ed i dettagli del ritrovamento. Di tale difetto è in larga misura responsabile la natura stessa di questi documenti facilmente asportabili e trafugabili, recuperati spesso in condizioni fortunose o segnalati solo allorché si aprono le collezioni private11. Inoltre il prevalente interesse linguistico-culturale sollevato da questa categoria di testi ha, in generale, soverchiato l’attenzione per i dati di ordine contestuale, si che di tale genere di informazioni sono piuttosto avari non solo i corpora specialistici (ormai invecchiati) e le rassegne informative di base12, ma anche numerose pubblicazioni di testi più recentemente acquisiti.
36Del contesto precedentemente descritto, a cui appartiene la laminetta con iscrizione, spiccano due dati di notevole rilievo: a) l’identificazione di un’area con caratteristiche monumentali che svolgeva un ruolo primario nelle strutture organizzative dell’insediamento; b) la presenza in quella stessa area di più laminette di piombo ripiegate (per la maggior parte frammentarie, salvo una ancora da svolgere e da restaurare). Dalla concomitanza dei due dati discendono implicazioni reciproche: infatti, non solo si dissolvono i dubbi sulla non casualità dell’attestarsi della laminetta in quell’ambito, ma emergono anche elementi atti a qualificare ulteriormente la natura e le funzioni dell’area di rinvenimento.
37Un computo recente formulato sul dossier delle tabellae defixionum greche13, con l’esclusione di quelle rinvenute nell’agorà di Atene, ne fa ascendere a poco più della metà la provenienza da contesti sepolcrali. La restante quota si suddivide per un rapporto di circa due terzi contro un terzo tra l’immersione in corsi o bacini di acqua e la deposizione presso luoghi di culto dedicati a divinità ctonie. Di norma, mentre ciascuna tomba non restituisce più di una singola laminetta, le altre sedi di rinvenimento sono caratterizzate da una concentrazione più o meno alta di reperti. Sul piano cronologico è da rilevare, però, la seriorità della documentazione di tavolette esecratorie immerse in corsi d’acqua: fino al IV secolo a.C. si conoscono soltanto provenienze da ambiti sepolcrali e da aree di santuari14.
38Ora i dati relativi al contesto della laminetta da Roccagloriosa, già analizzati nella prima parte del capitolo, trovano piena convergenza con questo quadro statistico. Sembra, infatti, da escludersi un’origine sepolcrale, a meno di non percorrere l’ipotesi di un’assoluta accidentalità, collegabile, per esempio, agli effetti del dilavamento del terreno o ad altre cause ignote, che troverebbe, in ogni caso, difficoltà nell’attestarsi di più reperti nello stesso ambiente. Improbabile appare, altresì, l’eventuale provenienza da corsi o bacini d’acqua, sia per la non documentabile esistenza in quell'area di sorgenti e di strutture di convogliamento o di raccolta di acque (salvo normali canali di drenaggio), sia per l’incompatibilità cronologica tra il diffondersi di tale pratica di ‘immersione’ delle tabellae defixionum e la datazione dei reperti di Roccagloriosa, dando credito all’ipotesi di collegamento tra il concentrarsi di questi documenti e le pertinenze cultuali dell’area specifica di rinvenimento. Tale soluzione ben si adatta alle accertate funzioni cerimoniali del complesso, di cui l’ambiente del cortile basolato-portico, a cui appartiene la laminetta, costituisce la struttura architettonica precipua che ha fornito elementi più circostanziati per accertarne la destinazione cultuale.
39Circa la natura del culto merita ricordare che i santuari del mondo greco che hanno restituito tabellae defixionum sono legati a culti ctonii (prevalentemente Demetra)15. Nel dossier delle defixiones osche non si hanno finora esempi provenienti da aree sacre: la laminetta plumbea da Cirò, attribuita erroneamente all’area del tempio di Apollo Aleo, è stata recuperata, invece, in una tomba insieme ad altro corredo databile alla prima metà del III secolo a.C.16.
40Preme, altresì, sottolineare che nell'ambito di questo genere di contesti di rinvenimento, l'insieme delle laminette di Roccagloriosa dovrebbe costituire il dossier documentario, certamente più cospicuo nell'ambito italico, ma essere anche tra i più antichi, collocandosi cronologicamente subito dopo il corpus delle defixiones provenienti dall’area del santuario di Demetra Malophoros a Selinunte (tutte non più recenti del V secolo a.C.)17.
41La pertinenza testuale del documento accertata indipendentemente attraverso i dati di ordine extralinguistico trova conferme negli aspetti redazionali e in quanto consente l'analisi ermeneutica.
42La duplice foratura del piombo, attribuibile verosimilmente ad un unico chiodo, si iscrive nel ben noto rituale magico connesso alla pratica stessa delle defixiones, di cui definisce la dimensione pragmatica segnalata dalle forme verbali più ricorrenti del tipo gr. δέω, καταδέω, lat. defigo, oblige, ecc.18. I due fori sono stati praticati nella stessa estremità della laminetta antecedentemente alla piegatura, così che essi si sono venuti a trovare nella spira più interna dell'avvolgimento. La scelta di tale procedura è stata difficilmente affidata alla casualità, che è di solito bandita dalle pratiche di magia, dove qualsiasi atto si carica di una precisa funzione rituale. La perforazione del piombo mediante chiodi sembra, invece, essere stata concepita nella fase di progettazione testuale, dal momento che entrambi i fori sono decentrati nel settore anepigrafo della laminetta ed il senso dell'avvolgimento segue la direzione della scrittura.
43Il testo si presenta disposto sulla superficie secondo un criterio che ha l'apparenza di rispecchiare esigenze di ordine contenutistico. Tale realizzazione risalta con più immediata evidenza dal fatto che le righe successive alla prima, che si trovano tutte spostate nella metà destra della laminetta, contengono esclusivamente antroponimi. Inoltre, malgrado la consistente lacunosità di queste righe, si riceve l’impressione che, almeno dalla terza in poi, ciascuna linea non fosse occupata da più di una designazione personale. Questa deduzione si fonda innanzitutto su considerazioni di natura meramente grafica.
44Le righe 3-8 presentano un rigoroso incolonnamento delle rispettive lettere iniziali, ma hanno una lunghezza vistosamente disuguale. All’inizio delle righe 3, 4, 6 si leggono antroponimi di larga diffusione nel repertorio osco e nei frammenti delle restanti righe 5, 7, 8 sono identificabili altrettanti elementi onomastici.
45Queste circostanze concorrono a segnalare la palese rinuncia alla consuetudine della scriptio continua, adottata nella prima linea, in favore di un criterio che sembra privilegiare la distribuzione su ciascun rigo di elementi legati dall’unità della designazione. Siamo, in pratica, di fronte ad un modulo di seriazione di singole unità di significato lungo una scala verticale, anziché in una sequenza orizzontale. Tale accorgimento grafico conferisce maggiore risalto all’elenco, rendendone più immediata ed agevole la visualizzazione: nell'ambito dell'enunciato si produce così lo stesso risultato di una vera e propria topicalizzazione.
46Il ricorso a strumenti della scrittura allo scopo di mettere ulteriormente in risalto il tema (topic) dell'enunciato è un procedimento in genere largamente impiegato nelle tabellae defixionum fin da alta antichità. In questa categoria testuale il tema è di norma costituito dalle designazioni delle persone, oggetto di maledizione o di esorcismo, siano esse nominate o indicate mediante perifrasi, mentre il rema (comment) è rappresentato da quel formulario più o meno complesso ed elaborato, con cui si invoca la loro esecrazione e il loro annientamento fisico e morale. Il nucleo informativo nuovo è di volta in volta portato in ciascun testo dalle designazioni Personali: il rema ha, invece, una portata informativa assolutamente minima, in quanto implicito nelle presupposizioni pragmatiche e culturali indotte dal contesto storico-istituzionale in cui si cala questa categoria di documenti. A dimostrazione di ciò sta il fatto che, mentre sono numerosi i testi di tabellae defixionum composti unicamente da antroponimi senza alcuna formula esecratoria19, di estrema rarità sono le situazioni opposte in cui le espressioni di maledizione sono prive dell'indicazione dei destinatari.
47L’effetto della topicalizzazione dei dati onomastici dei defissi rispetto al resto che ne costituisce il predicato è affidata ora a strumenti linguistici, ora a espedienti grafici o ad entrambi simultaneamente. Sul piano linguistico lo scopo della messa in risalto del tema è assolto da una molteplicità di costrutti sintattici che privilegiano anacoluti ed anafore, variazioni dell'ordine basico dei costituenti, forti opposizioni tra i casi (specialmente tra nominativo ed accusativo). Le procedure grafiche utilizzate allo stesso scopo si risolvono, invece, talora nel contrasto tra le dimensioni dei caratteri20, talora nella distribuzione di tema e rema su opposte estremità delia stessa superficie21 o sulle rispettive facce di una lamina opistografa22, talora sulla disposizione in colonna delle unità onomastiche, ripartite ciascuna o a coppie per ogni singola linea23.
48Queste considerazioni di ordine generale si caricano di importanti implicazioni per l'esegesi specifica dei testo di Roccagloriosa. La lunghezza e la disposizione delle righe 2-8, in cui sono elencate in successione verticale le denominazioni personali, marcano un netto distacco dalla consistenza della prima linea iscritta che sicuramente almeno per metà non è occupata da antroponimi. Dall'‘impaginazione’ della scritta emerge così una bipartizione della struttura dell'enunciato in una formula introduttiva di presumibile contenuto imprecatorio (rema) e in un elenco di persone presumibili vittime del maleficio (tema).
49La consistente lacunosità della seconda parte del primo rigo impedisce di determinare l'estensione e il contenuto della formula iniziale. Naturalmente l'ipotesi che nel primo rigo sia contenuta una formula magica o un'espressione di maledizione si fonda sul presupposto che l'intera iscrizione risponda ad un unico ed identico progetto testuale. In una diversa direzione porterebbe, invece, l'eventualità che il primo rigo (almeno nella sua parte iniziale) facesse parte di un testo diverso (per esempio una lettera commerciale di tipo ampiamente conosciuto nel mondo greco, gallico, iberico, ecc.) rispetto alla sottostante sequenza di antroponimi italici, la cui testualità non può essere altrimenti giustificata se non nell'ambito di una defixio. In altre parole, in base a tale possibilità, la laminetta di piombo sarebbe stata riutilizzata come defixio successivamente ad una diversa destinazione iniziale. Non si può far mistero a questo proposito che proprio nella formula del primo rigo si possono isolare anche elementi lessicali greci (δυϝο [με]διμνō πōλεν). Sul ventaglio di soluzioni che aprirebbe quest'ultima ipotesi di lettura, con importanti implicazioni sul versante linguistico e culturale è forse preferibile dilungarsi altrove, concentrando, invece, qui l'attenzione sulla sequenza onomastica, che dà la garanzia della tipologia testuale di defixio (anche nell'ipotesi di reimpiego) e della pertinenza linguistico-culturale italica.
50Ripartendo dall'aspetto epigrafico due considerazioni fanno presumere che la lunghezza della formula iniziale (non importa, al momento, se pertinente o meno in prima istanza al progetto testuale della defixio) non valicasse di molto la metà del rigo stesso. La prima riguarda l’attitudine dei frammenti superstiti nella parte terminale ad essere agevolmente integrati in una sequenza di antroponimi, di cui più avanti saranno esaminate le possibili combinazioni. La seconda muove ancora da una riflessione di carattere puramente grafico. L'ordinamento delle linee successive nello spazio sottostante la seconda metà della prima sembra trovare la motivazione più logica solo nella volontà di rispettare un rigoroso incolonnamento delle denominazioni personali. Secondo tale criterio gli antroponimi vengono a trovarsi elencati in successione nella seconda metà della laminetta, mentre la prima metà della superficie iscritta è riservata all’informazione non onomastica che occupa la porzione iniziale del primo rigo. Diversamente riesce difficile spiegarsi perché le linee successive alla prima abbiano una collocazione cosi decentrata in rapporto all’intera superficie disponibile.
51I dati più certi sono offerti dall’onomastica ed è su questi che si appoggiano, di conseguenza, le deduzioni sulla pertinenza linguistica e culturale del documento. Innanzitutto la morfologia degli antroponimi, laddove è conservata integra o è ricostruibile con buona probabilità, rivela la ricorrenza costante del caso nominativo. L’attestarsi di questo costrutto, tuttavia, potrebbe non avere alcuna relazione diretta con la reggenza sintattica della formula di maledizione. Non sono rari, infatti, i casi di tabellae defixionum in cui i nomi dei defissi si presentano in una costruzione sintattica diversa da quella richiesta dalla locuzione imprecatoria24. Quasi sempre accade che è proprio il nominativo a sostituirsi agli altri casi che ogni contesto di volta in volta richiederebbe. E ciò per la duplice ragione che il nominativo è il caso zero (ed in quanto non marcato più estensibile), ma è nello stesso tempo anche il caso che generalmente meglio si presta ai procedimenti di topicalizzazione degli antroponimi. In altri termini, dunque, l’attestarsi delle denominazioni personali in nominativo non è di per sé utilizzabile come argomento per l’agnizione del costrutto sintattico dell’intero enunciato. Gli antroponimi di cui si conserva integra la lettura (salvo perdita di una lettera facilmente sanabile) sono prenomi di larga diffusione nel repertorio osco: [γ]αϝις (linea 3), qui documentato per la prima volta in grafia plena al nominativo, ma ben noto attraverso sigle e abbreviazioni (e per esteso al genitivo) in Campania e nel Sannio; μαμε[ρ]εξ (linea 4) già documentato al nominativo dall’iscrizione mamertina Ve 197 (μαμερεκς) ma ampiamente conosciuto dall’epigrafia greca e italica, oltre che dalle fonti letterarie: tutto il dossier indizia verso una particolare arealità campana dell'’antroponimo; πακις (linea 6), le cui attestazioni osche si concentrano prevalentemente in ambito campano. Alte probabilità di essere completo ha ερις (linea 2) che si presta senza alcuna difficoltà al riconoscimento del prenome attestato nella defixio di Cuma Ve 7 e nell’iscrizione brettia (Ve 194 = Po 186), ma presupposto dal derivato gentilizio Heriis presente nella defixio da Cuma Ve 525: come prenome ricorre, altresì nella denominazione di uno dei comandanti italici nella guerra sociale (Herius Asinius) e di un personaggio, originario dall’area italica, ricordato in un’epigrafe a Delo (II-I secolo a.C.)26. Per le ragioni di ordinamento grafico sopra esposte è verosimile che i frammenti delle righe 5, 7, 8 siano riconoscibili come lettere iniziali di altrettante designazioni personali. La loro identificazione è resa difficoltosa dal fatto che essi non si propongono immediatamente perspicui nella rosa dei prenomi italici più frequenti e per il motivo che il repertorio delle denominazioni individuali osche costituisce, a differenza, per esempio, di quello romano (di età repubblicana), un sistema aperto, che oltretutto ci è noto solo in minima parte e prevalentemente attraverso i canali dell’epigrafia ufficiale. Comunque, a titolo di ipotesi fondate sul repertorio noto, si può avanzare per μα[...] dell’ultima linea l’alternativa tra i due prenomi oschi ampiamente diffusi, cioè o ancora μα̣[μερεξ] oppure μα̣[ρας].
52Per γανα[...] della linea 5 appare proponibile la lettura di un prenome nella forma <ε>γανα[τς] oppure <ε>γανα[τις], la cui esistenza è documentata dalla sigla prenominale ec. nella denominazione di un medix di Velletri (Ve 222) e da attestazioni letterarie27, oltre che probabilmente implicata dal gentilizio Ega(nattiis) presente in un bollo dal Sannio (Po 80).
53Per αν̣τ[...] della linea 7, invece, è tecnicamente plausibile tanto la possibilità di una base onomastica italica, altrimenti ignota all’epigrafia epicorica, quanto la presa in considerazione di un nome greco assimilabile alla serie degli antroponimi composti con ἀντι– del tipo Ἀντισθένης, Ἀντίμαχος, ecc. Quest’ultima eventualità si rafforza sul piano co-testuale dall’occorrenza di un altro nome grecanico, qual è il pur mutilo φoινι[...] della linea 3, che richiede, però, una discussione più articolata.
54Di più sicura agnizione è nella linea 2 l’elemento onomastico πολλ[...]ς che permette un interessante raffronto con il gentilizio Πολλιες attestato nella defixio da Cirò dalla formula Στατις Πολλιες28. Anche nella nostra laminetta è assai probabile il riconoscimento dello stesso gentilizio attraverso un’agevole integrazione πολλ[ιε]ς, coerente sia con il numero delle lettere presumibilmente mancanti sia con la sequenza sintagmatica, giacché in quanto immediatamente precede, come si è detto, può identificarsi il prenome ερις, che consente, così, di isolare una designazione bimembre (costituita da prenome + gentilizio) ερις πολλ[ιε]ς. Un’analoga formula onomastica bimembre è ravvisabile con ogni probabilità in μαμε[ρ]εξ[...]ϝιδις della linea 4, in cui si conserva quasi integro il prenome μαμε[ρ]εξ, mentre, purtroppo, è incompleto il gentilizio, al quale, in base all’entità della lacuna, ben si adatterebbero soluzioni quali, per esempio, [σαλα]ϝιδις, [καλα]ϝιδις, [hελε]ϝιδις per ricordare soltanto basi di antroponimi assai diffusi nell’area osca29. Per motivi di spazio sembra da escludersi l’eventualità di un patronimico interposto tra prenome e gentilizio. I frustuli superstiti della prima linea offrono basi assai più labili all’interpretazione. Se vale, tuttavia, per le ragioni esposte precedentemente, la maggiore probabilità di ravvisare, almeno nella seconda parte, denominazioni personali, la sequenza, facilmente isolabile, ...]ς μετ[...]ανις si presta all’integrazione di μετ[... in μετ[ς oppure μετ[ις30: tale base onomastica è, infatti, attestata come gentilizio (Metiis, Meziis) nell’epigrafia osca campano-sannita31 e come prenome attraverso le fonti letterarie. Per la parte terminale ...]ανις si può avanzare, compatibilmente con lo spazio mancante, la suggestione di restituire γρ]ανις, indotta dall’esistenza in età repubblicana del gentilizio Granius in Campania (specialmente Pozzuoli) e tra i negotiatores italici a Delo32.
55La formula onomastica della linea 3, che ha l’apparenza di essere la più ampia e più integralmente conservata, offre materia per considerazioni in assoluto di maggior rilievo su diversi versanti. Si attesta, infatti, un prenome indiscutibilmente osco quale γαϝις, seguito da un elemento che osco non è e di cui è perduta la veste morfologica, cioè φοιvι[... e da un ulteriore elemento μαχιες, che ha una base in apparenza greca, ma una terminazione anellenicá. L’apparente pertinenza ellenica o tutt’al più l’assimilazione al lessico ellenico dei due segmenti della sequenza φοινι[...]μαχιες è provata dalla presenza dei segni per le occlusive aspirate φ e χ, finora sconosciuti alla grafia osco-greca.
56L’eccezionalità dell’attestazione e la sua frammentarietà proprio nel punto forse più decisivo per chiarire la struttura della designazione personale autorizzano soltanto a disporre lungo una scala di plausibilità soluzioni che si caricano di volta in volta di implicazioni diverse sul piano istituzionale.
57La morfologia di ...]μαχιες porta ragionevolmente ad escludere per la sequenza φοινι[...]μαχιες la restituzione italica dell’idionimo greco bimembre Φοινικομαχος, peraltro, a mia conoscenza, non attestato, ma teoricamente possibile sul piano del sistema33. Non resta, dunque, che tener separati i due elementi, mantenendone, pero, la coerenza con quello immediatamente precedente che concorre a formare un’unica designazione personale. In questa prospettiva occorrerà risolversi per una formula onomastica trimembre ove è ipotizzabile la presenza di un patronimico. Da questo assunto discendono due soluzioni teoriche, condizionate dalla scelta di posizione del nome paterno rispettivamente anteposto o posposto al gentilizio:
[γα]ϝις φοινι[κις] μαχιες
[γα]ϝις φοινι[κεις] μαχιες
58Entrambe le possibilità si prestano ad analisi pariteticamente soddisfacenti ed internamente coerenti. L’attestazione di una forma antroponimica osca tratta dal greco φοῖνιξ è un dato di grande rilevanza linguistico-culturale, che, tuttavia, non costituisce una novità assoluta, perché già documentato in un epitafio da Capua (Po 135), che viene, così, a chiarirsi e a complementarsi reciprocamente con l’acquisizione da Roccagloriosa. Nell’iscrizione capuana (non più recente dell’inizio del III secolo a.C., per l’assenza delle vocali diacriticate) il derivato dal greco φοῖνιξ appare in funzione di gentilizio nella formula Pak. Puinik. Pak., con cui verrebbe a coincidere strutturalmente e formalmente l'ipοtesi di lettura a) [γ]αϝις φοινι[κις] μαχιες.
59Nella soluzione b) φοῖνιξ si presenta in veste di prenome (in questo caso paterno), la cui esistenza con tale funzione è in ogni caso presupposta dal gentilizio attestato a Capua. Del resto nelle stesse denominazioni personali greche φοῖνιξ ricorre più spesso come idionimo che non come etnico già nel V secolo a.C.34 ed ancora come idionimo è attestato in un’iscrizione etrusca da Vulci (CIE 5251) nella forma φuinis.
60La testimonianza di Roccagloriosa amplia, dunque, in maniera determinante, il quadro documentario della diffusione dell'etnico greco come antroponimo nelle culture anelleniche dell’Italia antica, in quanto ne documenta l’integrazione nel repertorio indigeno. L’ipotesi b) denuncerebbe, infatti, l’interessante caso di un personaggio che porta un prenome schiettamente osco come γαϝις contro il nome del padre φοῖνιξ. Il valore della testimonianza risalta dal fatto che, mentre sono ben note (ad Entella, nel Bruzio, a Delo) denominazioni in cui al nome italico del padre si accompagna il nome greco del figlio, non si ha alcuna attestazione del contrario35.
61Sempre dalla soluzione b) discende un’ulteriore implicazione sul piano istituzionale. Verrebbe, infatti, acquisito un ulteriore esempio di anteposizione del patronimico al gentilizio, che incrementerebbe il dossier dell’osco meridionale concorrendo a formare un interessante anello di congiunzione geografica tra le attestazioni del Bruzio (Po 186, 187) e quelle del Vallo di Diano (Ve 185; Po 149)36.
62In entrambe le ipotesi di lettura a) e b) deve naturalmente essere lasciata aperta un’ulteriore possibilità teorica, cioè che il personaggio in questione sia non libero. È noto, infatti, che la menzione di schiavi e liberti in una lamina imprecatoria a fianco di liberi è alquanto usuale, come sembra documentato anche nell’ambito osco dalla defixio da Cuma Ve 4. Naturalmente in tal caso occorre pensare ad una designazione personale di natura e struttura diversa in cui è verosimile prevedere l’indicazione del nome del padrone. Una decisione definitiva è, tuttavia, ostacolata dalle scarsissime conoscenze relative alle denominazioni servili in area italica e soprattutto della formula onomastica adottata in caso di manomissione dello schiavo37.
63Alla pertinenza istituzionale della formula onomastica è subordinata l’interpretazione di μαχιες. Nell’ipotesi che si tratti di un libero, il riconoscimento di una pura trasposizione nella corrispondente classe flessionale italica dell’antroponimo greco Μάχιος, riesce innanzitutto di difficile collocazione funzionale in una siffatta struttura. Invece una agile chiave esegetica può essere offerta da quel fenomeno di grecizzazione dell’onomastica indigena mediante assimilazione al lessico ellenico che si riscontra in larga misura proprio laddove l’osmosi tra Greci ed Italici è più intensa, palesandosi in maniera più specifica nell’ambito brettio. Μαχιες riesce così a configurarsi benissimo come risultato dell’attribuzione di una veste greca, quella dell’elemento μαχ– ad un antroponimo osco diffusissimo sia come prenome (Μαις) sia come gentilizio (al nominativo ricostruibile nella forma Μαιες38). Si verificherebbe in pratica lo stesso processo paretimologico, indotto evidentemente da una condizione di bilinguismo, che viene documentato, per esempio, dalla restituzione del prenome Stenis con Σ́θενιος o di Statis con Στ́ρατιος 39.
64Nel caso di μαχιες, l’assimilazione alla serie lessicale di μάχη (con la conseguente attribuzione all’antroponimo italico della trasparenza semantica caratteristica della Namengebung ellenica) era agevolata dalla tendenza dell’aspirata χ alla spirantizzazione, che di fatto finiva per dar luogo ad una realizzazione fonica / mahies /. Quanto minimo sia lo scarto di questa alterazione è rivelato dall’attestarsi nel Sannio della grafia del gentilizio Mahiis (Ve 145) in cui il segno per h ha la funzione di indicatore di iato, usuale alla grafia osca campano-sannita e a Rossano di Vaglio40.
65La funzione morfologica di μαχιες si scala in rapporto alle alternative tra le letture a o b). Nel caso b) μαχιες si configura come gentilizio e, pertanto, perfettamente sovrapponibile sul piano formale a Mahiis di Ve 145. Nell’ipotesi a) saremmo in presenza del prenome (paterno?) in genitivo: in questo caso non è neppure necessaria una correzione dell'uscita –ες in –ε<ι>ς, dal momento che la terminazione genitivale in -es è solidamente documentata nelle iscrizioni osche accanto ad -eis. L’attestarsi di -es in una defixio concorda con il principio generale della sua distribuzione rispetto ad -eis in testi connotati da minore elaborazione stilistica, di rango non ufficiale o comunque pertinenti a varietà funzionali-contestuali più basse del repertorio41.
66Questo particolare conferisce all’iscrizione sulla laminetta plumbea da Roccagloriosa un notevole interesse sul piano ortografico, interesse che viene accresciuto anche da altre peculiarità relative alla scrittura suscettibili di più ampie implicazioni per quanto riguarda i processi di alfabetizzazione del mondo lucano.
67Innanzitutto la presenza dei segni per le aspirate costituisce una assoluta novità in seno alla documentazione osca in alfabeto greco. In quanto ridondanti al sistema fonologico osco, le due lettere φ e χ vengono qui utilizzate nella trascrizione di due elementi, l’uno pienamente greco, l’altro intenzionalmente assimilato ad una serie lessicale greca. È importante il fatto che i due nomi restituiscono fedelmente l’ortografia greca: ciò rivela un’ininterrotta e dinamica catena di rapporti tra scrittura oscogreca e modello alfabetico principale (rappresentato appunto dal greco) in un contesto culturale che presuppone oltre al bilinguismo anche una condizione di ‘bigrafismo’.
68Un ulteriore elemento di riflessione è offerto dalla grafia del prenome μαμερεξ. La diversità rispetto alla notazione dello stesso prenome nell’epigrafe mamertina Ve 197, cioè μαμερεκς, passa attraverso la resa del nesso consonantico ks che a Messina come a Rossano di Vaglio viene restituito dal digramma κσ ispirato al modello della scrittura nazionale campano-sannita. In questo caso, invece, l’adozione del segno ξ, fedele alla consuetudine dell’alfabeto greco coevo, trova solidarietà in area brettia che ha rifiutato o non conosciuto i modelli dell’ortografia campano-sannita42.
69Altri particolari contribuiscono a segnare punti di distacco del documento di Roccagloriosa dai modelli ortografici campano-sanniti recepiti dall’epigrafia osco-greca di Rossano di Vaglio. Uno di questi è rappresentato dalla mancanza di dittografia per indicare le vocali lunghe che sarebbe da aspettarsi in [γ]αϝις rispetto a Gaav[...] di Ve 168. Anche nell’assenza di geminazione vocalica, i dati di Roccagloriosa coincidono con la documentazione brettia. Un altro ordine di considerazioni sollecita la stessa grafia di μαχιες. Il raffronto con la registrazione del gentilizio Mahiis in area sannitica mette contrastivamente in evidenza, in luogo del segno per h come indicatore di iato proprio delle scritture italiche, una diversa scelta ortografica che costituisce il presupposto dell’assimilazione paretimologica dell’antroponimo italico al lessico greco.
70Questi indizi, pur labili, sembrano nel loro insieme convergere coerentemente nell'additare un comportamento ortografico che si discosta dalla scrittura greco-osca quale appare codificata dal corpus di Rossano di Vaglio e a Messina. Si palesano, invece, con chiarezza, scelte grafiche comuni con la documentazione brettia che si risolvono in una più stretta adesione ai modelli greci e nell’estraneità ai modelli accessori campano-sanniti.
71Queste circostanze si caricano, in maniera ancor più circostanziata, di valore, sia in virtù dell’omogeneità cronologica della laminetta con la maggior parte delle attestazioni brettie, sia a motivo delia natura non ufficiale del testo che collima con il livello funzionale-contestuale a cui appartengono le iscrizioni osche del Bruzio. Tutto ciò concorre a enucleare un quadro più ampio ed articolato della cultura italica nelle regioni più meridionali nel IV secolo, confermando quanto emerge dal solo dossier brettio: i moduli della sannitizzazione graficolinguistica ed istituzionale quali si rivelano attraverso il corpus epigrafico di Rossano di Vaglio si configurano con sempre maggiore chiarezza come risultato di un processo maturato lentamente dopo il IV secolo, a cui forse non è man mano estranea la spinta di Roma. Per questo è auspicabile che il rinvenimento di documenti della stessa quota cronologica della laminetta contribuisca a gettare ulteriore luce su quel periodo complesso e cruciale per la strutturazione della cultura italica che è stato il IV secolo a.C. P. Poccetti
Notes de bas de page
1 Si coglie l’occasione per ringraziare la Dott.ssa G. Tocco, per aver gentilmente concesso il permesso di effettuare la campagna di studio sui materiali conservati nel Deposito/Antiquarium di Roccagloriosa nell’autunno 1986, successivamente alla breve campagna di scavo della estate 1986.
2 La sig.na A. Pinto di Ascea, ora restauratrice nella Soprintendenza Archeologica (Ufficio Scavi di Velia), che in questa occasione mi è gradito ringraziare.
3 Eseguito da K. Spirydowicz, docente nello Art Conservation Program, Queen’s University, Kingston, Ont., Canada, nell’ambito dell’attività di restauro dei materiali dall’abitato, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Salerno (secondo le direttive incluse nella concessione di scavo Ministeriale e nell’ambito del progetto di ricerca dell'Università dell'Alberta).
4 La setacciatura sistematica dei terreni da strati di abitato è stata iniziata, con maglia di 2,5 mm., a partire dallo scavo del 1982, su campioni opportunamente selezionati. E da tener presente che nello stadio iniziale della esplorazione dell’abitato, effettuata parallelamente allo scavo della necropoli, non è stato possibile assicurare la supervisione costante di un archeologo o assistente di scavo ad ogni squadra di operai.
5 Con tutta probabilità la descrizione stessa si riferisce allo strato di distruzione o accumulo di scarico, dato che, sembra opportuno sottolineare, è in relazione con la superficie dei muri conservati, i quali, a tale stadio della esplorazione, non erano ancora visibili.
6 L’area scavata nel 1977-78 coincide con l’angolo sudest del portico, ivi inclusi l’ambiente Al e l’area ad est e sud degli ambienti stessi (si veda la piantina di scavo in Roccagloriosa 1978, p. 409, fig. 45).
7 In Fracchia e Gualtieri 1989, p. 225.
8 Come in alcuni esemplari dalla Grecia, pubblicati in Ziebarth 1934 (in particolare si veda quello della Tav. IA). Ringrazio P. Poccetti per aver cortesemente segnalato alla mia attenzione i raffronti per questo tipo di avvolgimento della laminetta.
9 Krummrey e Panciera 1980, pp. 205 ss.
10 Manca purtroppo un’aggiornata campionatura delle tabelloe defixionum classificate cronologicamente in base alle caratteristiche dei manufatti, agli aspetti redazionali ed ai contesti di rinvenimento. I riferimenti generali si rifanno pertanto ai vecchi corpora di Wünsch 1897 e di Audollent 1904.
11 Per avere una dimensione adeguata del fenomeno è sufficiente osservarne l’incidenza nelle pubblicazioni di testi successive ai corpora del Wünsch e dell’audollent.
12 Cfr., per esempio, Cesano 1910; Preisendanz 1972; Guarducci 1976, pp. 240 ss.
13 Jordan 1985, p. 207 ss.
14 Per la discussione di questo dato, cfr. ancora Jordan 1985, p. 207 e 1980, pp. 231 ss.
15 La rassegna di questi testi è in Jordan 1980. p. 231, n. 23.
16 Una revisione di lettura di questa laminetta con l’identificazione di una copia falsificata è stata fatta in Poccetti 1984, pp. 73 ss. Si rettificano qui i dati relativi al contesto di rinvenimento, precedentemente comunicati, per i quali si ringraziano i sigg. Palopoli e Malena.
17 Cfr. Gabrici 1927, pp. 384 ss.; per gli aspetti epigrafici, Jeffery 1955, pp. 72 ss.
18 Per il numero e la disposizione dei chiodi infissi nelle laminette, cfr. Audollent 1904, p. LV1.
19 Tale struttura testuale presentano le prime 37 laminette della raccolta del Wünsch (1897). Per i dati della silloge dell'Audollent, vedi: Audollent 1904, pp. XLIX ss. Una schematica rassegna è stata fatta da Kagarow 1922, p. 494.
20 Cfr. per esempio la defixio Ve 7: l’apografo in Knobloch 1978, p. 164.
21 Un esempio nella lamina pubblicata da Jentoft nilssen 1980, pp. 199 ss.
22 Un esempio in Marcillet-Jaubert 1979, pp. 185-186 e in Couilloud 1967, p. 515.
23 Questa disposizione è la più frequente nelle tabelle plumbee dell'Attica (Wünsch 1897, nn. 1-40; Ziebarth 1899, pp. 106 ss.; 1934, p. 1023).
24 Per la casistica generale cfr. Wünsch 1897, p. V e Audollent 1904, p. LI; ulteriori esempi, in Ziebarth 1934, passim.
25 Cfr. Lejeune 1976, p. 117.
26 Le attestazioni sono raccolte in Salomies 1987, p. 73.
27 Cfr. Salomies 1987, p. 102.
28 Per la lettura di questa defixio cfr. nota 16.
29 Si allude ai gentilizi oschi Salaviis, Kalaviis, Heleviis, di cui quelli proposti sarebbero derivati con il suffisso -idio, attestati nella forma latina Salvidius, Calvidius, Helvidius. Il primo è documentato in un epitafio peligno (II-I secolo a.C.) da Corfinio: Pac.Salavidies.Pac. (cfr. Buonocore 1985, p. 294, n° 1).
30 A seconda che si voglia partire da Mettus o Metlius come prenome su cui la tradizione letteraria è oscillante: cfr. Salomies 1987, p. 105.
31 Ve 176; Po 108.
32 ILLRP 289, 518, 749, 808, 1150. Su questa gens, cfr. Musti 1980, Castrén 1975, pp. 197 ss.
33 Per l’antroponimo ϕοῖνιξ e derivati, cfr. Bechtel 1917, pp. 547, 560.
34 Cfr. Bechtel 1917, p. 544; Fraser e Matthews 1987, p. 475.
35 Per i dati di Entella, cfr. Lejeune 1982, p. 793; per il dossier bruzio si rinvia a Poccetti 1988, pp. 125 ss.
36 Per lo status quoestionis, cfr. Poccetti 1988, pp. 126 ss.
37 Si consideri, per esempio, la diversa formula onomastica dei liberti nel mondo etrusco e nel mondo romano: nel primo caso lo schiavo liberato usa il proprio nome individuale come gentilizio, nel secondo il liberto assume come gentilizio quello del patronus.
38 In quanto muove da una forma mayyo-: cfr. Lejeune 1976, pp. 80, 102.
39 Per questi procedimenti, cfr. ancora Poccetti 1988, pp. 131 ss.
40 Per i rapporti tra la grafia campano-sannita e quella osco-greca in ordine a questo segno, cfr. Lazzeroni 1983, pp. 172 ss.
41 Per il rapporto tra le uscite -es / -eis nelle iscrizioni osche, cfr. Lazzeroni 1985, pp. 47 ss.
42 Per questa peculiarità nella resa dei nessi consonantici in seno alla grafia osco-greca, cfr. Poccetti 1988, p. 156.
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Actes du Colloque International (Naples 1989)
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1993
Énergie hydraulique et machines élévatrices d'eau dans l'Antiquité
Jean-Pierre Brun et Jean-Luc Fiches (dir.)
2007
Euboica
L'Eubea e la presenza euboica in Calcidica e in Occidente
Bruno D'Agostino et Michel Bats (dir.)
1998
La vannerie dans l'Antiquité romaine
Les ateliers de vanniers et les vanneries de Pompéi, Herculanum et Oplontis
Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971