Capitolo II. Le testimonianze aristosseniche sulla ‘musica nuova’
p. 129-163
Texte intégral
1Nel dibattito sulla ‘musica nuova’ si inserisce anche la voce di Aristosseno. Un passo degli Elementa Harmonica e tre tra i più ampi e noti frammenti aristossenici conservatisi, affrontano questo tema.
1. Aristox. harm. I 23 Meibom = pp. 29, 14-30, 8 Da Rios
2La ‘musica nuova’è argomento quasi del tutto assente negli scritti aristossenici di teoria musicale quali almeno sono sopravvissuti al naufragio dell’opera del tarantino.
3Un’eccezione è in qualche modo rappresentata da questo passo di carattere tecnico degli Elemento Harmonica. In esso Aristosseno tratta dell’abbandono da parte dei suoi contemporanei del genere enarmonico, a suo parere il più bello, a favore del cromatico, un fenomeno che Aristosseno spiega ricollegandolo al carattere proprio della musica dei suoi tempi, diversa da quella del passato:
ὅτι δ’ ἔστι τις μελοποιία διτόνου λιχανοῦ δεoμένη καὶ οὐχ ἡ φαυλoτάτη γε ἀλλὰ σχεδòν ἡ καλλίστη, τοῖς μὲν πολλοῖς τῶν νῦv ἁπτομένων μουσικῆς οὐ πάνυ εὔδηλόν ἐστι, γένοιτο μεντἂν ἐπαχθεῖσαν αὐτοῖς τοῖς δὲ συνειθισμένοις τῶν ἀρχαικῶν τρόπων τοῖς τε πρώτοις καὶ τοῖς δευτέροις ἱκανῶς δῆλόν ἐστι τò λεγόμενον, οἱ μὲν γὰρ τῇ νῦν κατεχούσῃ μελοποιίᾳ συνήθεις ὄντες εἰκότως τὴν δίτονον λιχανòν ἐξορίζουσι∙ συντονωτέραις γὰρ χρῶνται σχεδòν οἱ πλεῖστοι τῶν νῦν. τούτου δ’ αἴτιον τò βούλεσθαι γλυκαίνειν ἀεί∙ σημεῖον δ’ ὅτι τούτου στοχάζουσι, μάλιστα μὲν γὰρ καὶ πλεῖστον χρόνον ἐν τῷ χρώματι διατρίβουσιν, ὅταν δ’ ἀφίκωνταί ποτε εἰς τὴν ἁρμονίαν, ἐγγὺς τοῦ χρώματος προσάγουσι συνεπισπωμένου τοῦ μέλους.
Che vi è un modo di comporre la melodia, e non il più disprezzabile, ma forse il più bello, il quale richiede una lichanos alla distanza di due toni dalla mese, non è del tutto evidente a molti di quelli che ora si danno alla musica, e pure diventerebbe chiaro quando vi fossero indotti; invece è sufficientemente chiaro a quelli che si sono abituati agli antichi modi di composizione della prima e della seconda età. Perché quelli che sono abituati al modo di composizione ora in auge, a buon diritto escludono la lichanos di due toni; infatti la maggior parte dei musici di oggi usa delle lichanoi più alte, a causa della costante tendenza, propria della musica odierna, ad addolcire. Ciò è attestato dalla circostanza che essi indugiano moltissimo e per la maggior parte del tempo sul cromatico e che, quando passano all’enarmonico, si avvicinano al cromatico trascinativi dall’indole della musica (trad. di R. Da Rios lievemente modificata).
4Il passo di Aristosseno, analizzato da un punto di vista strettamente tecnico da R. Da Rios, nella sua edizione degli Elementa Harmonica, e da I. Henderson1, non tratta propriamente della ‘musica nuova’. Se lo si è preso in esame in questo contesto, è solo perché esso testimonia la consapevolezza maturata da Aristosseno della diversità della musica dei suoi tempi rispetto quella del passato.
5Di quest’ultima non si ha più conoscenza, al punto che incomprensibile risulta il genere enarmonico, vale a dire il genere armonico coltivato dai musici del passato, runico anzi da essi preso in considerazione secondo Aristosseno2, criticato per questa sua opinione nella tradizione antica3.
6Non è difficile evincere da questo passo che, tra la musica del passato, che fa uso del genere enarmonico, e quella a lui contemporanea, incline piuttosto all’impiego del cromatico, è la prima che Aristosseno predilige, non nutrendo al contrario particolare simpatia nei confronti della musica della sua epoca, di cui in questo passo si indica come caratteristica essenziale la tendenza ad addolcire (γλυκαίνειν4), così da risultare evidentemente piacevole agli ascoltatori.
7È questa tendenza al γλυκαίνειν che spiega il favore accordato al genere cromatico, nella tradizione musicologica antica associato infatti alla dolcezza5 e verosimilmente apprezzato da quegli ἄνανδροι che Plutarco (quaest. conv. VII 8, 1, 711c) dice aver svigorito il loro udito a causa della loro rozzezza e mancanza di gusto6.
8Costoro al contrario, dice ancora Plutarco citando Aristosseno, “vomitano bile quando ascoltano il genere enarmonico”7: un’altra testimonianza questa, della capacità di azione sull’anima degli ascoltatori che la musica ha secondo Aristosseno e, indirettamente, anche del giudizio negativo da lui formulato sulla musica dei suoi tempi che il genere enarmonico ha abbandonato.
2. Them. or. XXXIII 1, 364 b-c = Aristox. fr. 70 Wehrli
9In un frammento citato da Temistio all’inizio dell’Oratio XXXIII, prolusione, conservatasi solo parzialmente, a un corso tenuto a Costantinopoli intorno al 350 d.C.8, viene detto quanto segue:
Ἀριστόξενος ὁ μουσικòς θηλυνομένην ἤδη τὴν μουσικὴν ἐπειρᾶτο ἀναρρωνύναι, αὐτός τε ἀγαπῶν τὰ ἀνδρικώτερα τῶν κρουμάτων καὶ τοὺς μαθητὰς9 ἐπικελεύων τοῦ μαλθακοῦ ἀφεμένους φιλεργεῖν τò ἀρρενωπòν ἐν τοῖς μέλεσιν. ἐπειδὴ οὖν τις ἤρετο αὐτòν τῶν συνήθων∙ “τί δ ἄν μοι γένοιτο πλέον ὑπεριδόντι μὲν τῆς νέας καὶ ἐπιτερποῦς ἀοιδῆς, τὴν δὲ παλαιὰν διαπονήσαντι;” “ᾄσῃ, φησί, σπανιώτερον ἐν τοῖς θεάτροις, ὡς οὐχ oἷόν τε ὂν πλήθει τε ἅμα ἀρεστòν εἶναι καὶ ἀρχαῖον τὴν ἐπιστήμην”.
Aristosseno il musico cercava di dare nuovo vigore alla musica ormai effeminata, sia prediligendo egli stesso le melodie più virili sia spronando i suoi discepoli che si astenevano dallo stile sdolcinato a ricercare con solerzia nelle loro composizioni quello virile. Quando dunque uno dei suoi allievi gli chiese: “quale vantaggio me ne viene a disprezzare il modo di cantare moderno e dilettevole per coltivare invece quello antico?” “Canterai”, rispose Aristosseno, “assai raramente nei teatri, poiché non è possibile essere allo stesso tempo gradito alle folle e rimanere fedele al gusto antico nell’arte musicale”10.
10Questo è il frammento quale compare nella silloge del Wehrli.
11Gli studiosi11 attribuiscono però ad esso, senza dare in merito alcuna spiegazione, ritenendola evidentemente cosa superflua, anche quanto si legge subito dopo in Temistio e che del frammento, così come riportato dal Wehrli, sembra essere una sorta di completamento:
Ἀριστόξενος μὲν οὖν, καὶ ταῦτα ἐπιτήδευσιν μετιὼν δημοτικήν, παρ’ οὐδὲν ἐποιεῖτο δήμου καὶ ὄχλου ὑπεροψίαν, καὶ εἰ μὴ ὑπάρχοι ἅμα τοῖς τε νόμοις τῆς τέχνης ἐμμένειν καὶ τοῖς πολλοῖς ᾄδειν κεχαρισμένα, τὴν τέχνην εἵλετο ἀντὶ τῆς φιλανθρωπίας.
Aristosseno dunque, anche se praticava una attività popolare, non si preoccupava affatto del disprezzo della gente e, se non gli era possibile allo stesso tempo restare fedele alle leggi dell’arte ed eseguire canti graditi a molti, preferì sempre la τέχνη piuttosto che soddisfare il gusto del pubblico.
2.1. Il contesto
12Temistio, conoscitore e amante dei classici12, autore di commenti e parafrasi di opere aristoteliche13, spiega con queste parole per quale motivo abbia dato inizio al suo discorso citando Aristosseno: “perché ho usato come esordio questa risposta di Aristosseno? Pensavo fra me, amici El leni, a quanto tempo è passato da quando sono venuto qui a tenere le mie lezioni, e supponevo che forse da tutti voi (o forse da nessuno) me ne sarebbe stata domandata la ragione. Diletti amici, ho il dovere di rispondervi che, nonostante il mio amore e la mia grandissima stima per voi, nonostante la mia disponibilità a venire anche ogni giorno a fare lezione a tutti voi qui riuniti in gran numero, pure la disciplina che io amo non gradisce affatto le sale per conferenze, poiché non vuole essere troppo gradevole e non vuole elargire la sua dottrina a scopo di diletto, tanto che può qualche volta accadere che essa ferisca dolorosamente gli studenti e li faccia andar via dalla lezione più scoraggiati” (trad. di R. Maisano).
13La disciplina amata da Temistio è la filosofia. Nelle sue parole è facile cogliere la eco della vivace polemica che lo oppose ai retori e ai sofisti del suo tempo e che nella sua opera trova ampio spazio14.
14Contro quanti sostenevano la maggiore utilità dello studio della retorica rispetto quello della filosofia, Temistio rivendica l’indiscussa superiorità della filosofia sulla retorica, pur senza volere con questo bandire dalla formazione, sia del cittadino che dell’imperatore, le opere dei poeti e dei retori.
15A questi ultimi, eredi di Prodico di Ceo e di Gorgia, Temistio rimprovera di preoccuparsi solo della ricercatezza formale e della piacevolezza della loro dizione, spesso a scapito dei contenuti. Egli al contrario, seguendo l’esempio di Socrate, pensa piuttosto alla utilità del suo insegnamento, convinto che chi vuole educare deve porsi come scopo primario “non il diletto degli ascoltatori, ma il loro arricchimento interiore”15.
16La amata filosofia, dice infatti Temistio nel passo riportato, a differenza della retorica, non gradisce i θέατρα, termine che il Maisano mette in relazione con l’ambiente scolastico che all’orazione fa da sfondo e interpreta come auditoria, ‘sale per conferenze’. La filosofia, dice ancora Temistio, non si preoccupa di essere gradevole né mira al diletto degli ascoltatori: οὐ γὰρ θέλει εἶναι λίαν ἡδεῖα καὶ πρòς ἡδονὴν λέγειν ἅττα ἂν λέγῃ.
17Sulla base di queste premesse, è chiaro che essa non si preoccuperà di avallare le opinioni più comunemente diffuse, come ad esempio, facendo riferimento proprio all’Oratio XXXIII16, quella che vuole felice l’uomo ricco, identificando nel solo benessere materiale la felicità dell’individuo.
18Nella sua difesa della filosofia, Temistio doveva sentirsi vicino ad Aristosseno (ed ecco perché lo cita) e condividere l’invito da Aristosseno rivolto ai suoi σύνηθοι, affinché rimanessero fedeli alla παλαιὰ ἀοιδή. Anche la παλαιὰ ἀοιδή, infatti, non ama i θέατρα né del resto è in essi apprezzata. Ma Aristosseno, come poi farà Temistio, non attribuisce a tutto ciò alcuna importanza e anzi indica, proprio nella capacità che ha la παλαιὰ ἀοιδή di tenere lontani dai θέατρα, uno dei motivi che devono spingerla a coltivarla.
19Se ci si è soffermati sulle parole con cui Temistio spiega per quale ragione abbia citato il frammento di Aristosseno e quindi sul contesto in cui la citazione è inserita, è perché si ritiene che esso fornisca significative indicazioni circa le opinioni di Aristosseno sulla musica, su quelli che dovrebbero essere i suoi obiettivi e sui motivi che lo portano a criticare la ‘musica nuova’.
20Dalle parole di Temistio si riesce bene a evincere che Aristosseno raccomandava ai suoi discepoli la pratica della musica antica non perché essa fosse tecnicamente superiore alla moderna, quanto perché essa perseguiva, come la filosofia difesa da Temistio, una finalità paideutica, ritenuta certo più nobile del semplice diletto del pubblico cui invece mirano, all’epoca di Aristosseno, la νέα ἀοιδή e, al tempo di Temistio, la retorica.
21La ‘musica muova’ non è dunque criticata da Aristosseno per ragioni di carattere tecnico, quanto piuttosto perché tradisce, è dimentica del valore paideutico che della musica si considera proprio e che quindi la rende, nella prospettiva di Aristosseno, degna di essere oggetto di attività politica.
2.2. Le caratteristiche della ‘musica nuova’
22Della νέα ἀοιδή si indicano nel frammento aristossenico alcune caratteristiche.
23Essa è in primo luogo definita ἐπιτερπής, ‘piacevole’17: dare piacere al pubblico nei θέατρα è il suo scopo principale.
24La scelta di questo termine (ἐπιτερπής), da parte, stando a quanto la lettura del frammento suggerisce, di Aristosseno, non sembra casuale: il verbo τέρπω/τέρπομαι, che nella lingua di Omero esprime, come è stato bene sottolineato dal Latacz18, il piacere prodotto dai “gradevoli passatempi” che allietano la vita, è spesso usato in relazione a performances musicali,19 tanto che il Cerri ha visto in esso “il termine tecnico per designare il godimento musicale”20.
25La musica – secondo il Cerri in particolare quella dell’aulo – è infatti uno degli ambiti ai quali si applica la nozione di τέρψις21, distinta, già nella dottrina sui sinonimi elaborata da Prodico di Ceo e assai verosimilmente nota ad Aristosseno che di sinonimi si interessava22, da quella più generale di ἡδονή23. E del resto, non a caso, personaggi dediti alla musica e all’attività poetica – a cominciare dalla stessa Musa Eὐτέρπη – portano talvolta nomi derivati dalla radice τερπ-, nomi da Margherita Guarducci24 definiti “professionali” in quanto in essi si esprime l’idea del piacere che è frutto dell’arte praticata da coloro che ne sono portatori.
26Altra definizione della ‘musica nuova’ data nel frammento, è quella di musica θηλυνομένη, ‘effeminata’, cui occorre dare vigore (ἀναρρωνύναι) e alla quale si contrappongono le antiche melodie, che sono, contrariamente ad essa, ἀνδρικώτερα, ‘virili’.
27Ad Aristosseno si può ricondurre l’impiego anche di questi termini.
28Alle categorie del maschile e del femminile fanno infatti spesso ricorso i musicologi antichi per indicare il carattere – e per esprimere implicitamente un giudizio su di esso – di modi, generi armonici e ritmi: con termini simili a quelli presenti nel frammento aristossenico, si sottolinea per esempio il diverso carattere del genere armonico diatonico rispetto al cromatico, o della strofe alcaica rispetto alla saffica; e ἀνδρῶδες, ἀνδρεῖος, ἀνδρικός sono tra gli attributi più comunemente riservati, fra i modi, al dorico, fra i generi armonici, al diatonico, fra i ritmi, al dattilico25.
29Ἀνδρικά sono dette nel frammento le melodie antiche e ἀρρενωπός, verosimilmente ancora Aristosseno, attingendo sempre al medesimo campo semantico, definisce lo stile musicale degli antichi, ben diverso da quello dei moderni che è molle, sdolcinato, μαλθακός, sinonimo questo di μαλακός26, termine di frequente impiego, con accezione negativa, nel lessico etico.
2.3. ‘Musica nuova’ e pubblico
30Oltre a indicare alcune caratteristiche della ‘musica nuova’, il frammento aristossenico citato da Temistio dà anche notizia del successo che essa incontrava presso il pubblico e in vista del quale era del resto composta.
31Il pubblico, stando a quanto dice Aristosseno rispondendo alla domanda del suo σύνηθος, ha difficoltà ad apprezzare la musica antica. Questo è il motivo per cui, chi si mantiene fedele alla musica tradizionale, frequenterà raramente i teatri, non ottenendo il successo di pubblico riservato invece ai cultori della ‘musica nuova’.
32Del successo nei θέατρα Aristosseno invita il σύνηθος a non darsi pensiero, seguendo evidentemente il suo esempio. Dalle parole che in Temistio fanno seguito al frammento così come è riportato nella silloge del Wehrli, si apprende infatti che Aristosseno era del tutto incurante del giudizio del pubblico, cui i suoi contemporanei davano al contrario grande peso.
33Aristosseno, dice Temistio, le cui parole sono dunque in stretta connessione con il frammento così come riportato dal Wehrli, ha sempre anteposto la τέχνη alla φιλανθρωπία, l’arte, secondo l’interpretazione data al passo dal Westphal27 alla “maniera, che ha dalla sua il favore della maggioranza”.
34L’accezione con cui nel frammento si fa uso del termine φιλανθρωπία, è da precisare meglio.
35Il sostantivo φιλανθρωπία è attestato a partire dal IV secolo a.C. L’aggettivo φιλάνθρωπος compare invece, in riferimento unicamente a divinità, anche in fonti di V secolo a.C.28 Nel IV secolo a.C. φιλάνθρωπος comincia a essere detto di uomini, re e personaggi di rilievo in primo luogo29, ma anche di animali e di cose. Sempre al IV secolo a.C. risalgono, come si è detto, le prime attestazioni30 del sostantivo φιλανθρωπία, termine che diverrà di uso assai frequente in ambiti diversi, dal lessico etico31 a quello politico32.
36Con φιλανθρωπία si indica originariamente un atteggiamento dagli studiosi definito di cordialità33, di gentilezza34, di benevolenza e beneficenza35 verso altri ἄνθρωποι che sono, secondo quanto sottolineato in pagine suggestive dal Festugière, i propri concittadini, talvolta anzi una sola categoria di questi, e poi, a suo avviso in epoca ellenistica, gli uomini tutti in quanto partecipi della stessa natura umana36.
37L’aggettivo φιλάνθρωπος però, che ‘etimologicamente’ indica ciò “che dimostra un’affettuosa considerazione del genere umano”37, in altre parole ‘ciò che ama l’uomo’, viene usato in fonti di IV secolo a.C. anche nell’accezione di ‘ciò che l’uomo ama’, “ciò che è gradito alla gente perché corrisponde al suo gusto”38.
38È a luce dell’impiego dell’aggettivo φιλάνθρωπος con questa accezione in fonti di IV secolo a.C., che pare si possa, e anzi si debba, interpretare il termine φιλανθρωπία nel frammento aristossenico citato da Temistio.
39Gellio (XIII 17) del resto, nel sottolineare la differenza tra la nozione di φιλανθρωπία e quella di humanitas, dice che con il termine φιλανθρωπία i Greci hanno chiamato quod volgus existimat, una testimonianza questa gelliana, sulla scorta della quale il Tromp de Ruiter scriveva che, nel II secolo d.C., “omnia quae hominibus prosunt ac placent philanthropiae naturam ostendunt”39.
40Quoti volgus existimat: è questo un significato certo pertinente al φιλανθρωπία usato nel frammento aristossenico riportato da Temistio.
41È però forse possibile, a un esame attento del contesto in cui il termine φιλανθρωπία compare nel frammento, metterlo in connessione, più che con il volgus e i suoi gusti, con i μουσικοί del tempo di Aristosseno e con la loro volontà di compiacere questo volgus: di qui la scelta di tradurre φιλανθρωπία con l’espressione ‘soddisfare il gusto del pubblico’ piuttosto che con ‘popolarità’ (De Montmollin) o ‘facile successo’ (Maisano), cose che di questa φιλανθρωπία sembrano essere gli effetti.
42In breve: nel passo di Temistio si prospettano al μουσικός due possibilità: “rimanere fedele alle leggi dell’arte” (τοῖς νόμοις τῆς τέχνης ἐμμένειν) ο “eseguire canti graditi ai molti” (τοῖς πολλοῖς ᾄδειν κεχαρισμένα). Queste due possibilità, stando ad Aristosseno, non sono sempre fra loro conciliabili, imponendosi allora, quando cioè si verifica questa inconciliabilità, una scelta.
43La scelta di Aristosseno è sempre stata a favore della τέχνη (il primo termine della coppia τέχνη-φιλανθρωπία) e quindi della fedeltà alle sue leggi (cioè la prima delle due possibilità che si offrono al μουσικός), da lui anteposta alla φιλανθρωπία, il secondo termine della coppia con il quale non si indicherà altro che la seconda delle possibilità prospettate al μουσικός: τοῖς πολλοῖς ᾄδειν κεχαρισμένα.
44Con φιλανθρωπία dunque, Temistio (ma forse Aristosseno) intende indicare non ‘ciò che piace ai πολλοί’ quanto fare riferimento, sulla scorta delle idee di Aristosseno stigmatizzandola, alla preoccupazione (che allo stesso tempo diventa il loro unico fine) dei rappresentanti della ‘musica nuova’ di piacere ai πολλοί, di risultare graditi al grande pubblico, al punto di sacrificare al compiacimento di questo e dei suoi gusti, le stesse leggi della propria τέχνη.
45Certamente aristossenica è l’immagine dei μουσικοί rappresentanti della νέα ἀοιδή come individui presi dalla esclusiva preoccupazione di guadagnarsi il favore del pubblico, un’immagine che Aristosseno sembra abbia modellato sulla figura, tutta politica, del demagogo, l’“adulatore del popolo” secondo la definizione che ne dà Aristotele40.
46Se certo aristossenica è l’idea espressa nel passo in questione, non è teoricamente detto che lo siano i termini usati. In altre parole: è possibile che il termine φιλανθρωπία, uno dei concetti portanti dell’opera di Temistio41 e uno dei termini più ricorrenti del suo lessico42, sia di Temistio, e che da Temistio sia stato usato per indicare l’atteggiamento verso il pubblico che Aristosseno rimproverava ai μουσικοί del suo tempo.
47Ora, c’è motivo di pensare che l’uso del termine φιλανθρωπία possa essere ascritto ad Aristosseno, la cui citazione da parte di Temistio hanno dunque ragione gli studiosi a considerare più ampia di quanto non faccia invece il Wehrli.
48A suggerire l’attribuzione di φιλανθρωπία, quale compare in Temistio, ad Aristosseno, è un passo del capitolo 12 del De musica pseudoplutarcheo (1135 d = p. 11, 5-8 Ziegler) nel quale lo stile musicale dei rappresentanti della ‘musica nuova’ è definito, senza alcun apprezzamento, φιλάνθρωπος.
49Del capitolo 12 del De musica si riesce a dimostrare l’ascendenza aristossenica, un indizio della quale era per il Weil e per il Reinach, sulla base del frammento di Aristosseno citato da Temistio, proprio la presenza in esso dell’aggettivo φιλάνθρωπος per qualificare lo stile degli esponenti del nuovo gusto musicale.
50È evidente che nulla impedisca di fare lo stesso ragionamento del Weil e del Reinach ma nella direzione contraria, partendo cioè dallo pseudo Plutarco per poi, da questo, approdare al frammento aristossenico in esame.
51Le innovazioni ritmiche che hanno interessato la musica nel corso della sua storia costuiscono l’argomento affrontato dall’autore del De musica nel capitolo 12, strutturato in due parti.
52Nella prima parte del capitolo si fa riferimento a innovazioni ritmiche legate ai nomi di Terpandro, Polimnesto di Colofone, Taleta, Sacada di Argo, Alcmane e Stesicoro. Non si dice in cosa esattamente consistano queste innovazioni, se non che esse non hanno pregiudicato la fedeltà al καλός τύπος:
Προτέρα μὲν γὰρ ἡ Τερπάνδρου καινοτομία καλόν τινα τρόπον εἰς τὴν μουσικὴν εἰσήγαγε. Πολύμνηστος δὲ μετά τòν Τερπάνδρειον τρόπον καινῷ ἐχρήσατο, καὶ αὐτòς μέντοι ἐχόμενος τοῦ καλοῦ τύπου. Ὡσαύτως δὲ καὶ Θαλήτας καὶ Σακάδας∙ καὶ γὰρ οὗτοι κατά γε τὰς ῥυθμοποιίας ἱκανοί, οὐκ ἐκβαίνοντες μέν<τοι> τοῦ καλοῦ τύπου. Ἔστι δέ τις Ἀλκμανικὴ καινοτομία καὶ Στησιχόρειος, καὶ αὐταί οὐκ ἀφεστῶσαι τοῦ καλοῦ.
53Dal καλός τύπος si sono invece allontanati Cresso, Timoteo, Filosseno e “gli altri poeti di quest’epoca” (οἱ κατὰ ταύτην τὴν ἡλικίαν γεγονότες ποιηταί), espressione con la quale l’autore del dialogo, cioè la sua fonte, allude a ποιηταί suoi contemporanei. Di costoro, i rappresentanti, amanti delle novità (sono definiti infatti φιλόκαινοι), della ‘musica nuova’, si parla nella seconda parte del capitolo.
54Il giudizio dato su di essi è negativo: questi autori volgari (φορτικώτεροι), infatti, sono responsabili della scomparsa del καλòς τύπος, del venire meno della ὁλιγοχορδία, della ἀπλότης e della σεμνότης caratteristiche della ἀρχαϊκὴ μουσική.
55Il concetto che dal capitolo del De musica si evince, è la possibilità, ammessa dalla fonte seguita dallo pseudo Plutarco, di distinguere tra innovazioni musicali buone, quali sono quelle dei musici antichi, e innovazioni cattive, quali sono invece quelle dei moderni.
56Questa distinzione fra innovazioni musicali buone e cattive, è evidenziata anche nei capitoli 28-30 del dialogo pseudoplutarcheo, tra loro in stretta connessione.
57Gli ἀρχαῖοι – si dice all’inizio del capitolo 28 – hanno introdotto novità nella musica, mantenendosi però sempre nei limiti di uno stile nobile e conveniente (μετὰ τοῦ σεμνοῦ καὶ πρέποντος).
58Le innovazioni degli ἀρχαῖοι, alle quali nel capitolo 12 si fa solo rapidamente allusione, sono nei capitoli 28-30 indicate più diffusamente.
59Nel capitolo 28 si enumerano in particolare le novità introdotte nella musica da Terpandro e da Archiloco, il cui nome non compare tra quelli degli ἀρχαῖοι innovatori ricordati nel capitolo 12. Tra questi ultimi figurava invece Polimnesto di Colofone, le cui innovazioni sono ricordate all’inizio del capitolo 29, subito prima di passare in rassegna le novità introdotte da Olimpo, autore non menzionato nel capitolo 12.
60È proprio Olimpo a chiudere la serie dei buoni innovatori (gli ἀρχαῖοι) cui sono contrapposti i rappresentanti della ‘musica nuova’ e il loro precursore Laso di Ermione. Alle cattive innovazioni legate ai loro nomi è dedicato il capitolo 30.
61Il concetto espresso nei capitoli 28-30, che cioè in campo musicale esistono innovazioni buone e innovazioni cattive, è analogo a quello espresso nel capitolo 12, con il quale i capitoli 28-30 non mancano di presentare anche alcune affinità lessicali (come l’impiego di verbi quali il raro προσεξευρίσκειν o καινοτομεῖν o l’uso del sostantivo καινοτομία).
62È lecito pensare che la fonte da cui deriva il capitolo 12 sia la stessa da cui derivano i capitoli 28-30, riconducibili ad Aristosseno.
63A dare prova della ascendenza aristosseinca di questi capitoli del De musica, sono, oltre al contesto in cui essi sono inseriti, una sezione del dialogo tutta di derivazione aristossenica, alcuni indizi forniti dal capitolo 29.
64Fra le innovazioni attribuite a Olimpo, si ricorda infatti in questo capitolo l’invenzione del genere enarmonico. Ora, di questo genere armonico lo pseudo Plutarco tratta diffusamente, sulla scorta di Aristosseno, espressamente citato come fonte, nel capitolo 11. A Olimpo – viene inoltre detto nel capitolo 29 (1141 b = p. 23, 7-8 Ziegler) – si attribuisce la ἀρχή della Ἑλληνικὴ μούση e proprio come ἀρχηγòς τῆς Ἑλληνικῆς καὶ καλῆς μουσικῆς Olimpo è ricordato dallo pseudo Plutarco, sulla scorta di Aristosseno, nel capitolo 11 (1135 c = p. 10, 9-10 Ziegler).
65Aristosseno si può pertanto considerare la fonte seguita dallo pseudo Plutarco nel capitolo 29 e quindi anche nei capitoli 28 e 30, che al capitolo 29 sono strettamente connessi. Se da Aristosseno derivano i capitoli 28-30, di derivazione aristossenica si potrà allora considerare anche il capitolo 12 che ai capitoli 28-30 risulta legato per i concetti espressi nonché per alcune scelte lessicali e che fa inoltre seguito a un capitolo, l’undicesimo, di dichiarata matrice aristossenica: è fenomeno infatti non infrequente, nello scritto pseudoplutarcheo, la derivazione di più capitoli successivi da una medesima fonte.
66Altro indizio ancora della possibilità di collegare il capitolo 12 alla stessa fonte da cui provengono i capitoli 28-30, cioè Aristosseno, è la menzione in esso dell’oscuro Cresso, ricordato come un innovatore alla maniera di Timoteo e di Filossseno e che si può pertanto presumere attivo in un’epoca non molto diversa dalla loro, tra V e IV secolo a.C. Non a caso Cresso, autore certo non particolarmente noto (il suo nome, oltre che nello scritto pseudoplutarcheo, si incontra unicamente in un passo del De musica di Filodemo43), è menzionato nel capitolo 28, dove si ricorda come sua innovazione l’introduzione nel ditirambo della παρακαταλογή di cui εὑρετής è indicato Archiloco.
67Aristossenica risulta dunque la definizione di φιλάνθρωπος applicata nel capitolo 12 dello pseudo Plutarco allo stile musicale dei rappresentanti della ‘musica nuova’.
68A questo proposito, non si può evitare di fare cenno, anche se rapidamente, ai problemi di natura testuale che il passo in questione di questo capitolo (quello cioè in cui compare φιλάνθρωπος) presenta.
69A tal fine, sembra opportuno riportare il testo così come figura nelle due edizioni del De musica di uso forse più frequente, quella curata dal Weil e dal Reinach e quella realizzata del Lasserre.
70Nell’edizione Weil-Reinach il testo fornito è il seguente:
Κρέξος δὲ καὶ Τιμόθεος καὶ Φιλόξενος καὶ οἱ κατὰ ταύτην τὴν ἡλικίαν γεγονότες ποιηταὶ φορτικώτεροι καὶ φιλόκαινοι γεγόνασι, τòν φιλάνθρωπον καὶ θεατρικòν νῦν ὀνομαζόμενον <τρόπον> διώξαντες.
71Così i due editori lo traducono: “Mais Crexos, Timothée, Philoxène et les autres compositeurs de cette époque tombèrent dans la vulgarité et dans l’affectation de la nouveauté, en poursuivant le style appelé maintenant populaire et théâtral”.
72Nell’edizione Lasserre si legge un testo diverso:
Κρέξος δὲ καὶ Τιμόθεος καὶ Φιλόξενος καὶ οἱ κατὰ ταύτην τὴν ἡλικίαν γεγονότες ποιηταὶ φορτικώτεροι καὶ φιλόκαινοι γεγόνασι, τòν φιλάνθρωπον καὶ θεματικòν νῦν ὀνομαζόμενον ἐκδιώξαντες.
73Del testo riportato il Lasserre dà questa traduzione: “En revanche Crexos, Timothée. Philoxène et ceux de cette génération ont fait preuve d’une insupportable grossièreté et d’un modernisme affecté en proscrivant à la fois la musique d’agrément et ce qu’on appelle aujourd’hui le style classique”.
74Quanto al testo dell’edizione Weil-Reinach, è da notare:
la presenza dell’accusativo τρόπον, integrazione dello Scheibel non accolta dal Lasserre;
la correzione in θεατρικόν del θεματικόν dei manoscritti, che, secondo i due studiosi, non avrebbe senso.
75Dello stesso avviso del Weil e del Reinach a proposito di θεματικόν, erano già il Gevaert e il Wagner che, come ricordato da Weil e Reinach in apparato, aveva proposto di emendare θεματικόν dei manoscritti in θελκτικόν, ‘affascinante’, ‘seducente’, termine di uso raro impiegato come appellativo dei πάθη τῆς μουσικῆς in uno scolio a Pindaro44.
76L’emendamento di θεματικόν proposto dal Weil e dal Reinach si basa sull’idea – esatta – che Aristosseno sia la fonte di questo capitolo del dialogo pseudoplutarcheo. Sulla base del confronto con testimonianze aristosseniche (fra queste lo stesso fr. 70 Wehrli) in cui la ‘musica nuova’ è respinta come musica da teatro, fatta cioè per il grande pubblico, i due studiosi hanno pensato che Aristosseno, fonte dello pseudo Plutarco nel capitolo 12, voglia anche in questo caso biasimare lo stile musicale dei suoi tempi come stile gradito al pubblico (ecco φιλάνθρωπον) e quindi adatto ai teatri: di qui il θεατρικόν da essi proposto o, in alternativa ad esso, θυμελικόν, quasi sinonimo di θεατρικόν e rispetto a questo più vicino alla lezione dei manoscritti45.
77L’interpretazione che Weil e Reinach danno del passo, pare convincente.
78Le scelte testuali del Lasserre, e l’interpretazione del passo che da esse deriva, sollevano invece perplessità, in parte già evidenziate dal Düring46.
79Una differenza fra l’edizione del Lasserre e quella curata dal Weil e dal Reinach, si ravvisa nella scelta fatta dal primo, della variante ἐκδιώξαντες rispetto al διώξαντες dell’edizione Weil-Reinach, mantenuto anche nelle edizioni del De musica curate dal Bemardakis e poi dallo Ziegler, che anzi non registrano per esso in apparato alcuna variante.
80Ora, se si accetta con il Lasserre la variante ἐκδιώξαντες, ne deriva che l’autore del dialogo (ossia la sua fonte, Aristosseno) voglia parlare non dello stile musicale che i moderni hanno perseguito con le loro innovazioni, quanto piuttosto di quello che essi con le loro innovazioni hanno bandito. Aristosseno-pseudo Plutarco definirebbe in questo caso φιλάνθρωπος lo stile musicale antico, quello che i vituperati sostenitori della ‘musica nuova’ hanno messo al bando. Ma da Temistio, proprio sulla base del confronto con questo passo del De musica, si è appreso che Aristosseno indicava nella φιλανθρωπία un tratto distintivo della ‘musica nuova’ e dei suoi rappresentanti, contrario – come asserisce lo stesso Lasserre! – “aux règles de l’art classique”47.
81Aristosseno dunque applicherebbe in questo modo una stessa nozione, quella di φιλανθρωπία, a due cose del tutto diverse e, come si vedrà, fra loro a suo parere inconciliabili, quali sono la musica antica e la nuova, finendo per dare della stessa φιλανθρωπία, intesa come volontà, da parte dei μουσικοί, di compiacimento dei gusti del pubblico, due opposte valutazioni.
82Dall’evidente contraddizione in cui, seguendo il testo del Lasserre, ci si viene a trovare, si può venire fuori solo adottando con il Weil e il Reinach la lezione διώξαντες, non a caso seguita da tutti gli studiosi che, in tempi più o meno recenti, si sono occupati di questo passo.
83L’edizione del Lasserre si differenzia da quella curata dal Weil e dal Reinach anche per la scelta di mantenere il θεματικόν dei manoscritti che Weil e Reinach invece, non per primi, correggevano48.
84Il Lasserre ritiene che sia proprio la variante ἐκδιώξαντες a garantire “l’excellence de θεματικόν” cui attribuisce il significato di ‘classique’, ‘conforme aux règles [...] et par conséquent traditionnel’, un significato – fa osservare il Düring49 – non suffragato in alcun modo dalle fonti.
85Θεματικός, aggettivo di θέμα, è infatti usato nelle fonti letterarie ed epigrafiche50 in primo luogo quale attributo di ἀγών, designando, come si apprende da Polluce (IV 153), gli ἀγῶνες in cui il vincitore otteneva in premio una somma di denaro, distinti dagli ἀγῶνες στεφανίτοι καὶ φυλλίνοι nei quali il premio per il vincitore consisteva in una corona. Θεματικός è impiegato poi dai grammatici come termine tecnico per indicare le parti originarie del discorso, non derivate da altre51.
86Sulla base di quello che si è detto essere il suo significato principale, si può però, come i lessici del resto suggeriscono52, considerare θεματικός attributo pertinente a tutto ciò che è “fait, institué ou arrangé en vue d’un prix proposé”.
87Θεματικός, se inteso in questo modo, si adatta bene al passo di Aristosseno-pseudo Plutarco, senza che dunque sia necessario intervenire sul testo dei manoscritti e senza che ciò implichi, con buona pace del Lasserre, la scelta della variante ἐκδιώξαντες: i seguaci della ‘musica nuova’, volgari amanti delle innovazioni, perseguono uno stile che Aristosseno-pseudo Plutarco giudica negativamente, ma che invece risultava gradito al pubblico dei teatri per il piacere del quale era pensato (ecco φιλάνθρωπος53), così da poter bene essere definito θεματικός, fatto cioè per ottenere il premio negli agoni54.
88La definizione dello stile musicale risultante dalle innovazioni come φιλάνθρωπος, data, sulla scorta di Aristosseno, nel capitolo 12 del De musica pseudoplutarcheo, spinge a pensare che si possa attribuire ad Aristosseno il termine (e non solo dunque l’idea con esso espressa) φιλανθρωπία impiegato nel passo di Temistio in riferimento ai cultori della νέα ἀοιδή.
89Non meraviglia, e ci si riesce a spiegare, la scelta di questo termine da parte di un autore come Aristosseno formatosi in ambienti pitagorici: la nozione di φιλανθρωπία è infatti ricorrente nella riflessione di matrice pitagorica sulla “virtus hominum rem publicam gerentium qualis esse debeat”55, a partire dalle Πυθαγορικαὶ ἀποφάσεις dello stesso Aristosseno, dunque già in uno dei suoi livelli più antichi56.
90Il fatto che nella riflessione pitagorica φιλανθρωπία figuri come una virtù che l’ἄρχων deve possedere, con una valenza dunque positiva, non impedisce che, se praticata dai μουσικοί, divenga un difetto da stigmatizzare.
3. [Plut.] de mus. 31, 1142 b-c = Aristox. fr. 76 Wehrli
91Sul giudizio dato da Aristosseno della ‘musica nuova’, informa anche il capitolo 31 del De musica pseudoplutarcheo, di dichiarata derivazione aristossenica.
92Il capitolo 31 fa da cerniera fra la sezione dell’operetta dedicata al tema delle innovazioni in campo musicale, e quindi all’esame delle differenze fra musica tradizionale e musica moderna che da queste innovazioni derivano, e quella in cui si tratta dell’educazione musicale. Ad aprire quest’ultima è il capitolo 32, anch’esso di origine aristossenica, come si è dimostrato trattandone per il riferimento in esso contenuto ai costumi musicali di Lacedemoni, Mantineesi e Pelleni.
93Tema del capitolo 31, che si può ben definire un’ampia citazione da Aristosseno, è quello dell’influenza che una buona (o cattiva) educazione ha sui gusti musicali e, più in generale, sulla musica stessa.
94Il concetto è sviluppato da Aristosseno richiamando la vicenda di Telesia di Tebe, un musico a lui contemporaneo (attivo dunque nella seconda metà del IV secolo a.C.) non altrimenti noto. La vicenda di Telesia consente inoltre ad Aristosseno di mettere in rilievo la superiorità da lui riconosciuta alla musica antica sulla ‘nuova’:
ὃτι δὲ παρὰ τὰς ἀγωγὰς καὶ τὰς μαθήσεις διόρθωσις ἢ διαστροφὴ γίνεται, δῆλον Ἀριστόξενος ἐποίησε. τῶν γὰρ κατὰ τὴν αὑτοῦ ἡλικίαν φησὶ Τελεσίᾳ τῷ Θηβαίῳ συμβῆναι νέῳ μὲν ὄντι τραφῆναι ἐν τῇ καλλίστῃ μουσικῇ καὶ μαθεῖν ἄλλα τε τῶν εὐδοκιμούντων καὶ δὴ καὶ τὰ Πινδάρου, τά τε Διονυσίου τοῦ Θηβαίου καὶ τὰ Λάμπρου καί τὰ Πρατίνου καὶ τῶν λοιπῶν, ὃσοι τῶν λυρικῶν ἄνδρες ἐγένοντο ποιηταὶ κρουμάτων ἀγαθοί. καὶ αὐλῆσαι δὲ καλῶς καὶ περὶ τὰ λοιπὰ μέρη τῆς συμπάσης παιδείας ἱκανῶς διαπονηθῆναι. παραλλάξαντα δὲ τὴν τῆς ἀκμῆς ἡλικίαν οὕτω σφόδρα ἐξαπατηθῆναι ὑπò τῆς σκηνικῆς τε καὶ ποικίλης μουσικῆς, ὡς καταφρονῆσαι τῶν καλῶν ἐκείνων, ἐν οἷς ἀνετράφη, τὰ Φιλοζένου δὲ καὶ Τιμοθέου ἐκμανθάνειν, καὶ τούτων αὐτῶν τὰ ποικιλώτατα καὶ πλείστην ἐν αὐτοῖς ἔχοντα καινοτομίαν. ὁρμήσαντά τ’ ἐπὶ τò ποιεῖν μέλη καὶ διαπειρώμενον ἀμφοτέρων τῶν τρόπων, τοῦ τε Πινδάρείου καὶ Φιλοξενείου μὴ δύνασθαι κατορθοῦν ἐν τῷ Φιλοξενείῳ γένει. γεγενῆσθαι δ’ αἰτίαν τὴν ἐκ παιδòς καλλίστην ἀγωγήν.
Aristosseno ha ben dimostrato che è dall’educazione e dall’istruzione ricevute che dipendono una corretta o distorta pratica della musica. Tra i suoi contemporanei dice infatti che accadde a Telesia di Tebe di venire educato da giovane nella musica più bella e di avere appreso fra le altre composizioni celebri, anche quelle di Pindaro, di Dionisio di Tebe, di Lampros, di Pratina e degli altri, quanti, fra i poeti lirici, furono valenti autori di pezzi strumentali. Suonava con perizia Paulo e aveva acquisito una cultura perfetta in tutte le discipline. Trascorsa la giovinezza, fu a tal punto sedotto da quella variegata musica fatta per il compiacimento del pubblico dei teatri, da disprezzare quelle belle melodie nella pratica delle quali era stato allevato, e da apprendere quelle di Filosseno e di Timoteo, e fra queste quelle più varie stilisticamente e più ricche di innovazioni. Avendo cominciato a sua volta a comporre melodie ed esercitandosi in entrambi gli stili, quello di Filosseno e quello di Pindaro, non riuscì ad avere successo cimentadosi nello stile di Filosseno. Causa ne era l’eccellente educazione ricevuta da fanciullo.
95Il percorso artistico di Telesia di Tebe esemplifica il ruolo determinante che ἀγωγή e μάθησις svolgono nella storia della musica e dei gusti musicali, incidendo direttamente sulla pratica musicale: è infatti l’influenza esercitata su Telesia dall’educazione ricevuta in gioventù, a fare sì che egli, formatosi secondo il gusto musicale tradizionale, sebbene senta il fascino della musica di Filosseno e di Timoteo, non possa cimentarsi in essa con successo. È la sua stessa educazione a impedirlo, asserisce Aristosseno nella frase conclusiva del frammento.
96Si può pertanto ben dire che ἀγωγή e μάθησις sono responsabili della διαστροφή come della διόρθωσις della musica, termini questi ultimi ricorrenti nel lessico medico per indicare rispettivamente lo ‘stravolgimento’ di un organo (per lo più gli arti e le loro ossa) rispetto la sua normale posizione e la sua ricomposizione, la “membri fracti correctio aut directio, quum ea quae aliquo modo excedunt in naturalem et moderatum statum restituuntur”57.
97Διαστροφή e διόρθωσις sono poi impiegati, come termini antitetici, nel lessico etico58, indicando διαστροφή, il pervertimento, il deterioramento, e διόρθωσις “l’azione del migliorare, dell’emendare i costumi, il carattere, la condotta”59.
98Se, come si è portati a pensare, lo pseudo Plutarco cita testualmente Aristosseno, questi si è evidentemente servito dei termini διαστροφή e διόρθωσις per indicare con uno, διαστροφή, la pratica distorta della musica, dimentica dei buoni principi, con l’altro, διόρθωσις, quella invece corretta, ai buoni principi fedele60.
99L’uso di questi due termini da parte di Aristosseno è testimonianza del suo approccio al fatto musicale da un punto di vista non puramente tecnico, bensì attento anche alle sue implicazioni etiche, tanto da poter distinguere una pratica musicale eticamente buona da una invece cattiva: tale è la ‘musica nuova’, per questa ragione (e non, stando a quanto viene detto anche in questo frammento, per considerazioni di ordine tecnico) respinta.
100È evidente infatti che i due termini διαστροφή e διόρθωσις esibiscono nel frammento aristossenico il colorito moraleggiante che è loro proprio e che illumina del resto l’intero frammento il quale, in virtù dello stretto legame in esso stabilito tra la coppia ἀγωγή-μάθησις e la musica, richiama un passo del VII libro delle Leggi di Platone cui farà poi riferimento Filodemo nel De musica61.
101Trattando in questo libro dell’educazione dei fanciulli e delle sue norme, Platone torna a occuparsi della musica (essa è infatti per Platone utile all’educazione dell’anima62), argomento affrontato già nei libri precedenti, indicando (VII 802 a), fra le altre cose, come canti e danze (ᾠδάς καὶ ὀρχήσεις) vadano ordinati (καθίσθασθαι).
102Molte sono le composizioni musicali e le danze lasciate dagli antichi. Tra queste, dice Platone, sono da conservare solo quelle che a un attento esame appaiano convenienti (VII 802 a). A compiere questa cernita saranno designati uomini di età superiore ai cinquant’anni i quali manterranno, fra le opere tramandate, solo quelle che essi giudicheranno adatte allo stato, respingendo, o in alcuni casi modificando, con l’ausilio di poeti e musici, quelle che sembreranno loro inadeguate (VII 802 b-c).
103Quante fra le composizioni musicali si presteranno a essere ordinate secondo le intenzioni del legislatore, diventeranno molto migliori di quanto non fossero prima, senza per questo essere meno piacevoli. Il piacere, continua Platone, è infatti comune a tutte le composizioni musicali (τò δ’ ἡδὺ κοινòν πάσαις), che quindi non si differenziano per il fatto di dare o no piacere, ma solo per il fatto che alcune rendono migliori, altre invece peggiori (VII 802 c-d).
104Se poi a dare piacere, che è dunque prerogativa di tutte le composizioni musicali, sono le prime (quelle che rendono migliori) o le seconde (quelle che rendono peggiori), questo dipende dall’educazione ricevuta: “se la musica in cui un uomo è vissuto dall’infanzia fino all’età della maturità e della ragionevolezza è una musica temperata e disciplinata, costui, ascoltando quella di diverso carattere, la odierà e la chiamerà non degna di un uomo libero; chi invece è stato allevato conoscendo solo la musica più comune e zuccherosa, costui dirà che quella contraria a questa è fredda e sgradevole”63.
105Dal passo riportato si evince come Platone fosse convinto assertore dell’esistenza di uno stretto legame fra educazione e gusti musicali, non contemplando nemmeno la possibilità, ammessa invece da Aristosseno sulla base della vicenda di Telesia di Tebe, che chi è stato educato a un certo tipo di musica possa essere, anche per poco tempo, affascinato da una musica di carattere opposto.
106Nonostante questa differenza, sembra possibile avvicinare il passo platonico al frammento di Aristosseno in esame che, richiamando la vicenda di Telesia di Tebe, proprio la forza dell’educazione, destinata a prevalere (anche in campo musicale) su qualsiasi passeggera suggestione, vuole sottolineare.
107La vicenda del tebano Telesia è dunque per Aristosseno da leggere come prova del rapporto strutturale esistente tra buona educazione e buona musica e quindi dell’assoluto bisogno di educare alla musica nel giusto modo.
108Esiste infatti, per Aristosseno, una musica eticamente buona e una al contrario cattiva (come la ‘musica nuova’); l’educazione ha la facoltà di influenzare il gusto e quindi di condizionare la pratica musicale: è allora evidente che il legislatore debba per Aristosseno – come accadeva nella ammirata Mantinea e come sarebbe dovuto accadere nello stato ideale di Platone – provvedere a indirizzare l’educazione dei fanciulli verso la buona musica, musica che secondo Aristosseno deve pertanto, come si è già avuto modo di rilevare, essere materia di disposizioni legislative, quindi di attività politica.
109L’esperienza fatta da Telesia di Tebe è da Aristosseno interpretata anche come prova della inconciliabilità fra musica antica e ‘nuova’.
110La musica antica è, dice senza esitazioni Aristosseno, la καλλίστη μουσική e da ammirare sono i suoi rappresentanti, a cominciare da Pindaro64.
111Accanto a Pindaro Aristosseno ricorda, fra gli altri, Dionisio di Tebe, musico di fama, maestro di musica di Epaminonda secondo Cornelio Nepote (dunque attivo tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C.), forse da indentificare – la cronologia lo consente – nel Διονύσιος indicato nelle fonti come padre di Antigenidas, il rinomato auleta tebano attivo nel primo quarto del IV secolo a.C.65.
112Al nome di Dionisio fa seguito quello di Lampros, noto anche da altre fonti.
113Cornelio Nepote (Epam. 2, 2) menziona Lampros accanto a Damone dicendo che i loro nomi pervulgata sunt; Platone, per bocca di Socrate, lo ricorda, secondo Ateneo (XI 506 f) ironicamente, come maestro di musica, a quanto pare non di primo piano, nel Menesseno (236 a), affiancando al suo nome quello di Antifonte di Ramnunte. Di Lampros, morto da non molto tempo, e dei suoi gusti musicali, si parla in tono beffardo in un frammento incertae fabulae di Frinico (fr. 74 K.-A.), rappresentante della commedia antica attivo, per quanto è dato ricavare dalle fonti66, fra il 429/8 e il 405 a.C.67 Ateneo (I 20 e) infine e la Vita Sophoclis (3 = TrGF, IV, T 1), versione abbreviata di una biografia sofloclea dal carattere aneddotico risalente a quanto sembra a Satiro, noto soprattutto nella veste di biografo di Euripide, ricordano Lampros in qualità di maestro di musica e danza di un Sofocle ancora παῖς.
114Che queste fonti intendano fare riferimento a uno stesso personaggio, è tra gli studiosi oggetto di discussione.
115Secondo H. Abert68, ragioni cronologiche impediscono di identificare il Lampros menzionato dal comico Frinico, da Platone, da Aristosseno e da Cornelio Nepote, con l’omonimo Lampros maestro di musica e danza di Sofocle ricordato da Ateneo e nella Vita Sophoclis: la data di nascita di Sofocle (il 497/6 a.C. secondo il Marmor Parium69) fa infatti, per Abert, risalire l’attività di questo Lampros a epoca troppo alta perché risulti poi compatibile con le indicazioni cronologiche deducibili dalle altre testimonianze conservatesi su di lui, che ne mettono il nome in relazione con quelli di Damone, nato intorno al 500 a.C.70, e di Antifonte di Ramnunte, nato al tempo delle guerre persiane, forse intorno al 480 a.C.71, l’anno della vittoria di Salamina, dopo la quale – si racconta nella Vita Sophoclis – Sofocle fu scelto per la sua bellezza e l’abilità già conseguita nella danza e nella musica, a guidare il coro dei giovani che eseguirono il peana della vittoria.
116La conclusione dell’Abert è pertanto che si tratti di due personaggi diversi e che Ateneo e la Vita Sophoclis abbiano confuso Lampros con il più antico Lamprokles, musico attivo all’inizio del V secolo a.C. ricordato anch’egli da Frinico (fr. 78 K.-A.) e nel quale sarebbe a suo giudizio da identificare il maestro di Sofocle.
117Di parere diverso dall’Abert è D. Restani, propensa a credere che le fonti, incluse Ateneo e la Vita Sophoclis, facciano tutte riferimento a uno stesso personaggio72.
118Il Barker73 ipotizza invece, senza però indicare sulla base di quali elementi, che una distinzione vada fatta tra il Lampros ricordato da Frinico e l’omonimo personaggio cui accenna Platone.
119La distinzione ipotizzata dal Barker appare per la verità ingiustificata. Se infatti comprensibili sono i dubbi espressi da H. Abert circa la possibilità che il Lampros ricordato da Platone e dalle altre fonti sia effettivamente il maestro di musica e di danza di Sofocle menzionato da Ateneo e dalla Vita Sophoclis, non c’è nulla che lasci pensare che le fonti (dunque anche Frinico e Platone) in cui questo nome compare, facciano riferimento a personaggi diversi, inquadrandolo tutte (salvo ovviamente Ateneo e la Vita Sophoclis) in un un coerente orizzonte cronologico (il V secolo a.C.).
120Certamente da escludere, sulla base della testimonianza di Frinico, è la possibilità di identificare il Lampros menzionato in queste fonti con il Lampros di Erythrai che la Suda ricorda come uno dei maestri di Aristosseno.
121Da ultimo Aristosseno ricorda, tra i rappresentanti della musica antica, Pratina di Fliunte74, poeta attivo fra il VI e il V secolo a.C., primo autore di drammi satireschi secondo la Suda, ma anche conoscitore e studioso di musica dai gusti tradizionalisti (dunque gradito ad Aristosseno), come dimostra un suo complesso e assai discusso componimento (fr. 708 Page = TrGF, I, 4 F 3), dal testimone Ateneo definito un iporchema, in cui si critica la performance di un coro, biasimata per la danza scomposta e non disciplinata che la accompagnava e, ancora di più, per le licenze concesse agli auleti, e dunque alla musica, rispetto al canto75.
122A Pindaro, Dionisio di Tebe, Lampros, Pratina, Aristosseno oppone Filosseno e Timoteo, esponenti della ‘musica nuova’, caratterizzata nel frammento come musica σκηνικὴ καὶ ποικίλη.
123Con σκηνικός, aggettivo di non frequente impiego attestato per lo più in fonti epigrafiche76, Aristosseno sottolinea, anche in questo frammento, il legame fra θέατρα e ‘musica nuova’, sentita dunque come musica ‘teatrale’77, fatta cioè per il teatro, ovvero per il compiacimento del suo pubblico.
124Con l’aggettivo ποικίλος invece, termine proprio del lessico della tessitura78 approdato al linguaggio della musica attraverso aree semantiche diverse79, per la prima volta impiegato in riferimento alla musica da Pindaro80, Aristosseno allude a una di quelle che si sono dette essere le tendenze di fondo della ‘musica nuova’: la varietà delle sue linee melodiche.
125Questo aspetto della ‘musica nuova’ è rimarcato di nuovo da Aristosseno trattando dei componimenti di Filosseno e Timoteo più amati da Telesia: a caratterizzarli è infatti la varietà melodica (sono ποικιλώτατα) e la ricerca costante di innovazioni, la καινοτομία, termine quest’ultimo utilizzato anche nel lessico politico per indicare le possibili innovazioni all’interno di uno stato81 e pertanto inviso, si deve presumere, ai pitagorici, assertori, come testimonia lo stesso Aristosseno, di una assoluta fedeltà τοῖς πατρίοις ἔθεσί τε καὶ νομίμοις82.
4. Athen. XIV 632 a = Aristox. fr. 124 Wehrli
126La ‘musica nuova’ è il tema affrontato da Aristosseno in un altro frammento ancora: si tratta del notissimo frammento 124 della silloge del Wehrli, sicuramente uno dei frammenti aristossenici più conosciuti.
127Il frammento è citato da Ateneo, che indica anche l’opera di Aristosseno da cui la citazione proviene: si tratta dei miscellanei Σύμμικτα συμποτικά, o forse Σύμμικτοι συμποτικοί, potendosi sottintendere, nell’espressione usata da Ateneo (ἐν τοῖς Σύμμικτοις συμποτικοῖς), anche un maschile come λόγοι ο διάλογοι.
128Ateneo riporta il frammento a conclusione di una lunga riflessione sui mutamenti che hanno interessato nel corso del tempo la pratica musicale. Nel frammento Aristosseno leva il suo lamento per la decadenza della musica dei suoi tempi rispetto quella del passato:
διόπερ Ἀριστόξενος ἐν τοῖς Συμμίκτοις συμποτικοῖς· “ὅμοιον, φησί, ποιοῦμεν τοῖς Ποσειδωνιάταις τοῖς ἐν τῷ Τυρρηνικῷ κόλπῳ κατοικοῦσιν, οἷς συνέβη τὰ μὲν ἐξ ἀρχῆς Ἕλλησιν οὗσιν ἐκβεβαρβαρῶσθαι Τυρρηνοῖς [ἢ Ῥωμαίοις: Wilamowitz, expunxit] γεγονόσι, καὶ τήν τε φωνὴν μεταβεβληκέναι τά τε λοιπὰ τῶν ἐπιτηδευμάτων, ἄγειν δὲ μίαν αὐτοὺς τῶν ἑορτῶν τῶν Ἑλληνικῶν ἔτι καὶ νῦν, ἐν ᾗ συνιόντες ἀναμιμνήσκονται τῶν ἀχαῖων ἐκείνων ὀνομάτων τε καὶ νομίμων, καὶ ἀπολοφυράμενοι πρòς ἀλλήλους καὶ ἀποδακρύσαντες ἀπέρχονται. οὕτω δὴ οὖν, φησί, καὶ ἡμεῖς, ἐπειδὴν καὶ τὰ θέατρα ἐκβεβαρβάρωται καὶ εἰς μεγάλην διαφθορὰν προελήλυθεν ἡ πάνδημος αὕτη μουσική, καθ’ αὑτοὺς γενόμενοι ἀναμιμ νησκóμεθα οἵα ἦν ἡ μουσική”, ταῦτα μέν ὁ Ἀριστόξενος.
Perciò Aristosseno ἐν τοῖς Συμμίκτοις συμποτικοῖς dice: “noi ci comportiamo come i Poseidoniati che abitano sul golfo tirrenico. A costoro, che in origine erano greci, è accaduto di essersi barbarizzati divenendo tirreni [o romani], e di aver cambiato la lingua e gli altri costumi, e di celebrare ancora oggi una sola festa greca convenendo nella quale richiamano alla memoria quell’antica lingua e gli istituti di un tempo, e compiangendosi a vicenda e dopo aver versato lacrime se ne vanno. Così dunque – dice Aristosseno – anche noi, dopo che i teatri si sono imbarbariti e questa musica tutta è caduta in grande corruzione, rimasti fra noi in pochi ricordiamoci quale era la vera musica”. Queste sono le parole di Aristosseno.
129Tra i frammenti aristossenici superstiti, è certamente questo il frammento che più ha destato interesse tra gli studiosi.
130L’attenzione degli studiosi si è concentrata quasi esclusivamente sulle parole in esso dedicate da Aristosseno alla vicenda storica di Poseidonia83, città di Magna Grecia che con la sua nostalgia per la grecità perduta, forniva un suggestivo termine di paragone ad Aristosseno, intenzionato a dare espressione alla nostalgia che egli provava per la musica del passato.
131Interesse immediato di Aristosseno è infatti quello di parlare della decadenza della musica, come si evince dallo stesso contesto atenaico in cui il frammento è inserito: una disamina dei mutamenti che nel corso del tempo la musica ha conosciuto, tutta costruita su materiale aristossenico.
132Proprio sul contesto del frammento aristossenico si intende concentrare l’attenzione. Questo per diverse ragioni: in primo luogo è il contesto, più che il frammento vero e proprio, a consentire di fare luce ulteriormente sulle ragioni della critica rivolta da Aristosseno alla ‘musica nuova’, l’argomento cioè di cui si sta trattando; la decadenza della musica è inoltre il tema centrale del frammento, rispetto al quale, il riferimento alla vicenda di Poseidonia, certo molto significativo, resta comunque un esempio, un elemento accessorio, sul quale studiosi autorevoli hanno peraltro già detto tutto quanto a mio avviso possibile.
133Il frammento di Aristosseno trova posto nel XIV libro dei Deipnosofisti di Ateneo, dedicato per buona parte (616 e-639 a) alla musica84.
134Della musica si prendono in questo libro in esame aspetti diversi.
135Si comincia con quello che D. Restani85 ha definito una sorta di “manualetto sull’aulos” (una rassegna, condotta attraverso l’ausilio delle fonti letterarie, delle diverse opinioni esistenti intorno a questo strumento), per passare poi alla enumerazione dei diversi tipi di αὐλήσεις e delle varie ᾠδαί eseguite con accompagnamento dell’aulo.
136Si continua con un’ampia trattazione dedicata a ῥαψῳδοί, ἱλαρῳδοί, μαγῳδοί, λυσιῳδοί e simili fino ad arrivare ai δεικηλισταί della Laconia, in altre località chiamati φαλλοφόροι, αὐτοκάβδαλες, φλύακες, σοφισταί ο anche ἐθελονταί, nome dato loro a Tebe, città nota ad Ateneo per il fatto di chiamare molte cose con nomi speciali non in uso altrove86 (621 f).
137L’esibizione del citarodo Amebeo, arrivato in ritardo al simposio (622 d-e), fa sì che il discorso si sposti sul tema della potenza della musica e dei suoi effetti (in questa sezione rientra un catalogo dei diversi modi musicali ripreso dal Περὶ μουσικῆς di Eraclide Pontico) e quindi sui mutamenti che hanno interessato la musica nel corso del tempo (623 e-628 b, 631 e-633 f).
138Completano il quadro un catalogo di danze (628 c-631 e), inserito all’interno della sezione dedicata agli effetti della musica, un lungo catalogo di strumenti musicali (633 f-637 f) e una più breve rassegna su alcuni famosi interpreti (637 f-639 a).
139In questa piccola enciclopedia sulla musica che il Wentzel87, sulla scia dell’ampio studio del Bapp sulle fonti musicologiche di Ateneo88, riteneva, alla pari di tutte le altre sezioni di contenuto musicale presenti nell’opera di Ateneo, fosse stata elaborata da Ateneo attingendo a un’ampia opera di carattere compilativo sulla musica non definibile più precisamente89, Aristosseno viene citato più volte e in contesti diversi90.
140Quanto qui interessa di questa enciclopedia musicale, è la lunga riflessione sulle trasformazioni prodottesi nel corso del tempo nella pratica musicale (631 e-f), a suggello della quale il frammento 124 Wehrli di Aristosseno è riportato.
141Il Rohde, nel suo studio sulle fonti di Polluce, sottolineava come tutta questa riflessione sui cambiamenti della musica dovesse essere attribuita ad Aristosseno91. Ad Aristosseno del resto, il Rohde riteneva che Ateneo si rifacesse in tutte quelle parti di questa lunga sezione sulla musica contenuta nel libro XIV della sua opera, in cui si tratta dell’indole virile della musica antica92, vera e propria ἐπ’ἀνδρείαν προτροπή93.
142Anche il Bapp, che pure nel suo fondamentale studio prima ricordato sulle fonti di Ateneo in rebus musicis lyricisque non nascondeva perplessità in merito alle tesi del Rohde, riconosceva l’ascendenza aristossenica dell’intero brano atenaico sulle trasformazioni della musica94.
143Una semplice lettura di questo brano non lascia dubbi sul fatto che la sua fonte sia da individuare in un autore:
interessato al tema delle innovazioni che, a partire dalla metà del V secolo a.C., erano state introdotte nella musica suscitando, come si è visto, non poche reazioni polemiche;
incline a condividere tali polemiche, non nascondendo la sua predilezione per la musica antica rispetto quella dei suoi tempi.
144II nome di Aristosseno risponde indubbiamente bene a entrambi i requisiti e, inoltre, argomenti tipici (ma anche scelte lessicali) della critica elaborata da Aristosseno nei confronti della ‘musica nuova’, quali sono emersi dall’analisi dei due frammenti già esaminati, si lasciano senza difficoltà individuare in questa riflessione conservataci da Ateneo sui mutamenti che la musica ha conosciuto nel corso del tempo:
τò δὲ παλαιòν ἐτηρεῖτο περὶ τὴν μουσικὴν τò καλòν καὶ παντ’ εἶχη κατὰ τὴν τέχνην τòν οἰκεῖον αὑτοῖς κόσμον. διόπερ ἦσαν ἴδιοι καθ’ ἑκάστην ἁρμονίαν αὐλοί καὶ ἑκάστοις αὐλητῶν ὑπῆρχον αὐλοὶ ἑκαστῃ ἁρμονίᾳ πρόσφοροι ἐν τοῖς ἀγῶσι· Πρόνομος δ’ ὁ Θηβαῖος πρῶτος ηὔλησεν ἀπò τῶν αὐτῶν αὐλῶν πάσας τὰς ἁρμονίας. νῦν δὲ εἰκῇ καὶ ἀλόγως ἅπτονται τῆς μουσικῆς. καὶ πάλαι μὲν τò παρὰ τοῖς ὄχλοις εὐδοκιμεῖν σημεῖον ἦν κακοτεχνίας· ὅθεν καὶ Ἀσωπόδωρος ὁ Φλιάσιος κροταλιζομένου ποτέ τινος τῶν αὐλητῶν διατρίβων αὐτòς ἔτι ἐν τῷ ὑποσκηνίῳ “τί τοῦτ’; εἶπεν, δῆλον ὅτι μέγα κακòν γέγονεν”, ὡς οὐκ ἂν ἄλλως ἐν τοῖς πολλοῖς εὐδοκιμήσαντoς (οἶδα δέ τινας τοῦθ’ ἱστορήσαντας ὡς Ἀντιγενείδου εἰπόντος). καίτοι οἱ καθ’ ἡμᾶς γε τέλος ποιοῦνται τῆς τέχνης τὴν παρὰ τοῖς θεάτροις εὐημερίαν.
145Il brano di Ateneo ruota tutto intorno a un concetto: la musica del tempo antico, indicato con un generico παλαιόν, si differenzia (ed è superiore) da quella contemporanea (νῦν), contemporanea ovviamente all’autore che Ateneo utilizza come fonte (secondo ogni probabilità Aristosseno).
146La differenza che esiste fra passato e presente in relazione alla musica, viene presa in esame secondo due aspetti:
il diverso carattere che la ‘musica nuova’ ha rispetto quella antica, conseguenza di un diverso modo di intendere la musica stessa;
la diversa considerazione che, νῦν, chi fa musica mostra di avere, rispetto a quanto accadeva in passato, per il giudizio del pubblico.
147Come primo tratto caratterizzante la musica del tempo antico, quella tradizionale, si indica la cura che questa rivolgeva al τò καλόν, espressione di difficile traduzione, addirittura intraducibile secondo il Barker95.
148L’uso di καλός è infatti vario in greco e certamente non limitato alla sola sfera estetica96.
149Il Grundmann97 indica come significato fondamentale di καλός quello di ‘organicamente sano, adatto, abile’. È da questo significato che deriva a suo avviso l’accezione di ‘bello’, inteso come fisicamente piacevole, affascinante, che per καλός, quanto meno impiegato in riferimento a persone, è nell’antichità primaria.
150Partendo da quello che il Grundmann indica come significato fondamentale dell’aggettivo, si può, seguendo lo Chantraine, capire in che modo καλός possa assumere anche una valenza etica, designando ciò che è buono, accezione con cui ricorre, limitatamente al neutro, già nella lingua di Omero: dire che una cosa è καλός, significa, infatti, dire che è in buono stato, che è adatta all’uso che se ne deve fare e in questo senso buona98.
151Questa valenza etica si applica con il tempo anche a καλός usato quale epiteto di persone, che assume così l’accezione di ‘buono’, ‘nobile’, un uso quest’ultimo di cui, secondo lo Smothers, sulla scorta del LSJ, i primi esempi sicuri sono da individuare nel greco del Nuovo Testamento99. E alla fine destinata a prevalere è proprio questa valenza etica di καλός, che in essa trova nel greco moderno il suo significato usuale100.
152Nel passo atenaico, τò καλόν, è dunque espressione certo ricca di implicazioni morali, indicando sì la bellezza, il bello, non però disgiunto da un’idea di eccellenza morale, di “moral fitness”, riprendendo l’espressione dello Smothers101. In considerazione di ciò, credo, il Barker finisce per tradurre il τò καλόν usato in Ateneo con “noble beauty”. Non molto diversamente intende l’espressione il Gulick che, nell’edizione di Ateneo da lui curata per la collezione dei classici della Loeb, dà del passo la seguente traduzione: “in olden times the feeling for nobility was always maintained in the art of music”.
153Indipendentemente dalla traduzione che si ritiene più consona, ciò che la fonte seguita da Ateneo con questa espressione intende sottolineare, è l’attenzione un tempo riservata, oltre che alla piacevolezza da un punto di vista estetico, alle implicazioni di carattere etico che si ritengono proprie della musica. E proprio questa attenzione, è, a suo avviso, uno dei motivi di ammirazione per la musica antica.
154In questa musica, si prosegue in Ateneo, ogni elemento manteneva l’ordine che gli era proprio secondo i principi della τέχνη: per questa ragione, ad esempio, esistevano auli speciali per ciascuna armonia e, nelle competizioni, ogni auleta disponeva di auli diversi adatti a ciascuna delle armonie da eseguire.
155La musica antica si distingueva dunque dalla ‘nuova’, caratterizzata dalle μεταβολαί [il “mutamento o passaggio”, nell’ambito di uno stesso componimento, “da un tono (τόνος), genere (γένος) o sistema (σύστημα) ad un altro”102] e, più in generale, come si è detto, da una ποικιλία biasimata da Aristosseno nell’analizzato frammento su Telesia di Tebe.
156Come responsabile di questa ποικιλία tipica della ‘musica nuova’, Ateneo indica Pronomo di Tebe, compositore103 e auleta famoso attivo nella seconda metà del V secolo a.C. che un epigramma funerario anonimo ricorda come il primo fra gli auleti di Tebe, città che di auleti era patria per eccellenza104.
157Pronomo, dice Ateneo (ossia la sua fonte), è stato infatti il primo a suonare tutte le armonie sullo stesso tipo di aulo, concependo – teste Pausania (IX 12, 5) – auli in grado di eseguire il modo dorico così come il frigio e il lidio, senza che si dovesse quindi più ricorrere a strumenti differenti per l’esecuzione di ciascuna armonia.
158Con questa riforma legata al suo nome, e consistente di fatto nel dotare l’aulo di fori supplementari che l’auleta mediante delle chiavi di chiusura poteva aprire o chiudere conformemente all’armonia da eseguire105, divenivano facili le μεταβολαί gradite ai rappresentanti della ‘musica nuova’: non fa meraviglia allora che la fonte seguita da Ateneo abbia per essa parole di biasimo.
159La ‘musica nuova’ con le sue caratteristiche, quale per esempio la ποικιλία, viene pertanto meno alla fedeltà ai principi della τέχνη di cui Aristosseno si è visto, commentando il fr. 70 Wehrli, essere stato costante e convinto difensore.
160Il modo di fare musica è dunque con il tempo cambiato, si dice in Ateneo: se un tempo nel fare musica si aveva cura del τò καλόν, si rispettavano i principi della τέχνη, ora (vale a dire nell’età della fonte di Ateneo), in seguito alle innovazioni, si fa musica εἰκῇ καὶ ἀλόγως, “a caso e in modo irrazionale, senza alcun principio”.
161La coloritura aristossenica di quest’espressione, anch’essa di non certo facile resa, non era sfuggita al Rohde106, che giustamente richiamava in proposito un passo del capitolo 32 del De musica dello pseudo Plutarco (1142 e, = p. 28, 1-3 Ziegler), tutto, come si è visto, di ascendenza aristossenica: l’assenza di norme in materia di educazione musicale, lamentava in questo passo Aristosseno-pseudo Plutarco, ha come conseguenza che “la maggior parte delle persone impara a caso” – e il termine usato è proprio εἰκῇ – “ciò che al maestro e all’allievo piace rispettivamente insegnare e apprendere”.
162Biasimando la musica del suo tempo come musica fatta ‘a caso’, Aristosseno (credo sia ormai evidente che è possibile indicare con sicurezza in Aristosseno la fonte del brano atenaico in esame), intende ancora una volta (si pensi al capitolo 32 del De musica o al fr. 76 Wehrli prima analizzato) sottolineare la necessità che la musica sia disciplinata, che diventi cioè oggetto di disposizioni di legge. Tutto questo ovviamente a motivo dei risvolti etici e quindi politici che si ritengono essere propri della musica: fare musica ‘a caso’ può significare, infatti, fare una musica senza principi, che, persa la consapevolezza degli effetti che è capace di avere sull’anima degli ascoltatori, può risultare eticamente cattiva. Tale è per Aristosseno la ‘musica nuova’, da lui pertanto respinta, prima che per ragioni di ordine tecnico o estetico, in nome di considerazioni di carattere etico.
163Nell’ottica di Aristosseno dunque, la decadenza della ‘musica nuova’ rispetto quella antica, non è vista semplicemente come conseguenza delle scelte tecniche fatte dai suoi rappresentanti: bensì è da ricondurre a una causa più profonda: il venire meno, in essa riflesso, dell’attenzione che un tempo si aveva per i risvolti etici del fatto musicale, i quali rendono necessaria una legislazione in materia.
164A essere cambiato è non solo il modo di fare musica, ma anche l’atteggiamento dei musici nei confronti del pubblico e del suo giudizio, altro tema caro ad Aristosseno critico della ‘musica nuova’.
165All’influenza che sui musici e sulle loro scelte ha con il tempo assunto il giudizio del pubblico, è dedicata la parte conclusiva del brano di Ateneo.
166Anticamente (πάλαι) i musicisti non avevano in alcuna considerazione il giudizio del pubblico, reputando anzi l’essere celebri presso il grande pubblico una prova della scarsa qualità della propria τέχνη.
167Così ad esempio, Asopodoros di Fliunte (o Antigenidas, secondo un’altra versione dell’aneddoto107), udendo una volta gli applausi che un auleta aveva ricevuto da parte del pubblico, ne giudicò l’esibizione, che non aveva potuto seguire direttamente, un vero e proprio disastro (μέγα κακόν): solo in questo modo si poteva spiegare, evidentemente, l’apprezzamento mostrato dal pubblico.
168I musici moderni (οἱ καθ’ ἡμᾶς), al contrario di Asopodoros, antepongono il giudizio del pubblico alla stessa τέχνη cui attribuiscono, come unico fine, τὴν παρὰ τοῖς θεάτροις εὐημερίαν, il successo decretato dai teatri108.
169Gli argomenti portanti della critica aristossenica alla ‘musica nuova’ sono dunque tutti facilmente ravvisabili nel brano atenaico: il biasimo per i musici-demagoghi preoccupati solo di compiacere il pubblico, la condanna di una musica che vuole unicamente dilettare, dimentica delle sue finalità etiche e paideutiche, e ancora, riprenderido le parole del Rohde109, il “vulgi contemptus” e la “theatricae musae vituperatio”, argomentazioni queste ultime di sapore politico e tipiche di un conservatore.
170L’ascendenza aristossenica che anche il passo atenaico sui rapporti tra μουσικοί e pubblico esibisce, rilevabile sul piano sia contenutistico che lessicale110, rende difficile accettare l’interpretazione datane dal Bapp111.
171Lo studioso riteneva infatti che il passo introdotto da οἱ καθ’ ἡμᾶς dovesse essere attribuito a un autore posteriore ad Aristosseno, probabilmente l’autore di quel Περὶ μουσικῆς che a suo giudizio sarebbe la fonte intermedia fra Aristosseno e Ateneo. Questo anonimo autore opporrebbe dunque, secondo il Bapp, i musici del suo tempo (οἱ καθ’ ἡμᾶς) a quelli dell’epoca di Aristosseno.
172Alla interpretazione del Bapp si oppone però, oltre che la patina chiaramente aristossenica del passo, la logica stessa secondo la quale è costruito l’intero brano di Ateneo, tutto basato sul contrasto fra musica antica e musica moderna, vale a dire la musica contemporanea all’autore che Ateneo utilizza come fonte e che può essere identificato, secondo ogni probabilità, in Aristosseno.
173Se infatti nella prima parte del brano, dedicata alle trasformazioni nel modo di intendere la musica, si contrappone, a un tempo antico non meglio definito (παλαιόν) in cui si aveva cura nel fare musica del τò καλόν, rispettando i principi della τέχνη, l’età di Aristosseno, nella quale invece si fa musica εἰκῇ καὶ ἀλόγως, è ovvio che anche trattando del modo in cui nel corso del tempo è cambiato l’atteggiamento dei μουσικοί verso il giudizio del pubblico, il confronto sia sempre fra l’epoca di Aristosseno (οἱ καθ’ ἡμᾶς) e un sempre indefinito tempo antico (πάλαι), apparendo invece privo di senso un confronto tra l’età di Aristosseno e un’epoca più recente.
174Ad Aristosseno il Bapp riteneva fosse da attribuire l’aneddoto su Asopodoros di Fliunte, che il Gulick invece, in una nota di commento al passo di Ateneo, ha con cautela ricondotto a una fonte più tarda di Aristosseno, forse della fine del III secolo a.C.112.
175Ora, di Asopodoros non si conosce quasi nulla, a cominciare dalla cronologia.
176Ateneo lo ricorda altrove (X 445 b, XIV 639 a) come autore rispettivamente di καταλογάδην ἴαμβοι in cui si rifaceva a un altrettanto oscuro Antheas di Lindo, e di scritti περὶ τòν Ἔρωτα, una sorta di “Liebeserzählungen” in prosa secondo il Rohde113.
177Nel passo in esame, Ateneo (ossia la sua fonte) suggerisce piuttosto un legame, non meglio definibile, fra Asopodoros e il teatro: Asopodoros, forse un μουσικός secondo lo Schmid114 e il Gulick115, è infatti ritratto nell’attesa di esibirsi non lontano dalla scena116, così da poter ascoltare gli applausi riscossi da un anonimo auleta al termine della sua performance.
178Il Müller ha a ragione sottolineato che non può esserci un grande divario cronologico fra Asopodoros e Antigenidas (attivo all’incirca nel primo quarto del IV secolo a.C.) se i loro nomi possono essere posti in relazione a uno stesso aneddoto117. Questo aneddoto, come ancora il Müller ha evidenziato, si inserisce del resto bene in un contesto di IV secolo a.C., epoca in cui la pratica della musica antica, benché declinante, era ancora viva, così da esserci ancora alcuni μουσικοί come Asopodoros che, contrariamente alla tendenza prevalente, consideravano il grande successo di pubblico un σημεῖον κακοτεχνίας.
179Gli argomenti addotti dal Müller paiono calzanti e rendono poco convincente una datazione dell’aneddoto su Asopodoros in epoca più tarda, spingendo invece a collocarlo in un orizzonte cronologico di IV secolo a.C., senza che questo significhi poi necessariamente una sua derivazione da Aristosseno, cosa però sicuramente molto probabile, essendo Aristosseno la fonte, diretta o indiretta che sia, dell’intero brano di Ateneo.
180E proprio dando la parola ad Aristosseno, ormai citato κατὰ λέξιν. Ateneo conclude questa lunga riflessione sui mutamenti che hanno interessato nel corso del tempo la pratica musicale, tutta di ascendenza aristossenica (se ripresa dai Σύμμικτα o da altri scritti aristossenici, non si può stabilire) e dalla quale si evince bene l’attenzione rivolta da Aristosseno alla valenza etica riconosciuta alla musica, implicante, chiaramente, la necessità di farne oggetto di attività politica.
5. Conclusioni
181I frammenti aristossenici presi in esame, testimoniano l’interesse nutrito da Aristosseno per il tema della ‘musica nuova’, interesse che in qualche modo sorprende.
182Della ‘musica nuova’ Aristosseno scrive infatti in un’epoca in cui questa appariva ormai vincente sulla musica tradizionale, un’epoca in cui il nuovo stile musicale aveva finito per affermarsi risolutamente118, imponendosi al punto che i suoi esponenti sono considerati dei classici da studiare e sempre meno oggetto di curiosità e di attenzione sono le innovazioni legate ai loro nomi.
183Significativi in questo senso paiono i risultati raggiunti dalla diligente indagine condotta dal Nesselrath sulle testimonianze relative ai rappresentanti della ‘musica nuova’ fornite dai poeti della cosiddetta commedia di mezzo119.
184Il Nesselrath120 riesce convincentemente a dimostrare che nei frammenti dei poeti della commedia di mezzo è ancora presente la parodia dei cultori della ‘musica nuova’ (specialmente dei ditirambografi), cui si affianca quella dei poeti tragici del IV secolo a.C. (come per esempio Cheremone) più sensibili al loro influsso.
185Se però i poeti della commedia antica rivolgevano la loro parodia (e i loro attacchi), oltre che alle scelte linguistiche e stilistiche, anche agli aspetti musicali, per l’epoca rivoluzionari, del cosiddetto ‘nuovo ditirambo’, i rappresentanti della mese concentrano l’attenzione quasi esclusivamente sulla lingua dei ditirambografi oggetto della loro parodia. Di essa, i poeti della mese riprendono, spesso accentuandoli, i tratti distintivi, primo fra tutti la complessità, la ricercatezza, che stride – un contrasto questo ovviamente voluto in quanto capace di produrre sicuri effetti comici – con la bassa estrazione sociale dei personaggi (schiavi, cuochi, ecc.) in bocca ai quali queste espressioni raffinate sono poste.
186L’analisi condotta dal Nesselrath pone dunque bene in evidenza come, all’epoca della cosiddetta commedia di mezzo, spunti alla parodia da parte dei comici vengano offerti dalla lingua dei poeti rappresentanti della ‘musica nuova’ piuttosto che dalle loro scelte musicali, evidentemente perché queste si erano radicate, avevano smarrito la loro portata rivoluzionaria, perdendo di conseguenza agli occhi dei critici ogni interesse. È quasi superfluo aggiungere a questo punto che mancano, sempre stando all’attenta ricerca del Nesselrath121, tracce di parodia della ‘musica nuova’ e dei suoi seguaci nella commedia νέα, parca del resto di riferimenti a fatti o personaggi concreti e più incline a prediligere “temi universali”: l’amore, l’amicizia, il ruolo della τύχη nella vita degli uomini122.
187La progressiva affermazione della ‘musica nuova’, sempre meno oggetto di scandalo quale dovette invece apparire all’epoca di Aristofane o dello stesso Platone, avrà influito anche, congiuntamente alle ricordate motivazioni teoriche, sulla disponibilità che verso di essa mostra di avere Aristotele.
188A differenza di quest’ultimo, Aristosseno, benché testimone dell’ormai consumatosi declino della musica tradizionale, rivestendo gli abiti del laudator temporis acti, non risparmia critiche alla trionfante ‘musica nuova’: i frammenti analizzati non lasciano infatti dubbi sulla sua avversione al nuovo gusto musicale123.
189Ciò che in queste pagine conclusive si intende mettere in rilievo, sono le ragioni di questa avversione, quali emergono quanto meno dai testi aristossenici sull’argomento conservatisi e presi in esame (la perdita di enorme parte dell’opera aristossenica deve essere costante monito alla prudenza in ogni affermazione) e che del resto, commentando i testi, sono già state evidenziate.
190Non trovo facile, sulla base dei testi aristossenici fatti oggetto di indagine, dire quali siano, da un punto di vista tecnico, le ragioni che motivano la predilezione accordata da Aristosseno alla musica tradizionale rispetto quella ‘nuova’. Osservazioni di carattere tecnico, infatti, non sono avanzate nei frammenti studiati se non in modo marginale: non condivisibili sembrano pertanto le affermazioni del Lasserre quando asserisce, tra le altre cose, che Aristosseno respinge la ‘musica nuova’ unicamente “pour une certaine probité artistique”, per ragioni dunque di ordine esclusivamente artistico, tecnico124.
191Le motivazioni del biasimo espresso da Aristosseno nei confronti della ‘musica nuova’ sembrano piuttosto da ricercare nel carattere di quest’ultima, diverso da quello della musica tradizionale e al quale le scelte tecniche fatte dai suoi esponenti risultano subordinate. È a causa del suo carattere che Aristosseno critica e rifiuta la ‘musica nuova’, trascurando questa le finalità etiche e paideutiche che la musica, con il suo potere psicagogico, a suo avviso possiede e che rendono necessario disciplinarla, anche attraverso l’azione del legislatore.
192Ciò che Aristosseno frequentemente condanna della ‘musica nuova’, è il fatto che essa non assolve quel ruolo educativo che alla musica egli ritiene competa e al quale la ‘musica nuova’ antepone il compiacimento del pubblico nei θέατρα, un pubblico peraltro variegato, non “sottoposto ad alcuna selezione sociale”125.
193Di questo Aristosseno si lamenta nei frammenti analizzati così come in un capitolo (il capitolo 27) del De musica pseudoplutarcheo, sulla cui matrice aristossenica già H. Abert non nutriva dubbi126.
194La celebrazione della musica tradizionale è, infatti, in questo capitolo aristossenico del De musica, celebrazione, non di una musica tecnicamente, artisticamente migliore di quella moderna; bensì di una musica rivolta unicamente “al culto degli dei e all’educazione dei giovani” (πρός τε θεῶν τιμὴν καὶ τὴν τῶν νέων παίδευσιν) e alla quale la ‘musica nuova’ è contrapposta in quanto musica dimentica del suo παιδευτικòς τρόπος e asservita ai gusti del pubblico dei teatri.
195La critica di Aristosseno al nuovo stile musicale tiene certo conto anche dei suoi aspetti tecnici, ma solo in quanto essi sono espressione, riflesso del profondo scollamento avvenuto tra la musica e le istituzioni educative della πόλις: la ‘musica nuova’ persegue finalità puramente edonistiche, non vuole avere alcun intento paideutico, annulla ogni suo legame con la vita della πόλις e con la formazione dell’individuo-cittadino. È per tutte queste ragioni che Aristosseno la biasima, coerentemente con la sua non nascosta ammirazione per i costumi musicali di Mantinea, città dalle tradizioni musicali dalla evidente caratterizzazione in senso etico-politico, e con l’ambiente (quello architeo) in cui la sua formazione spirituale (e musicale) ha inizio e nel quale studio della musica ed esercizio della attività politica sono, a cominciare già dall’esperienza personale di Archita, in stretta connessione.
196Nel criticare la ‘musica nuova’ Aristosseno risulta così vicino, come notava già W. Jaeger127, a Platone, da Aristosseno altrimenti poco amato128 e dal quale pure diverge nel giudizio espresso in merito a singole ἁρμονίαι129: assai simili, infatti, sono nei due autori le ragioni della critica da entrambi rivolta alle innovazioni musicali, gli argomenti cui ricorrono per esprimerle nonché il lessico impiegato, nel quale, a termini propri del linguaggio musicale si affiancano termini propri del lessico etico e politico.
197In senso etico e politico si connotano infatti, come più volte evidenziato, i termini scelti da Aristosseno per indicare caratteristiche vuoi della musica tradizionale vuoi della ‘nuova’; e ancora ‘politica’ è l’immagine che Aristosseno dà dei μουσικοί della sua epoca, assimilati più di una volta a demagoghi preoccupati solo di guadagnarsi il favore dei πολλοί frequentatori dei θέατρα, artefici in questo modo della cattiva teatrocrazia. di quel regime cioè di “signoria del pubblico incolto”130, esito, secondo l’attenta analisi platonica, della progressiva degenerazione della democrazia ateneise131.
6. Aristosseno studioso della ‘musica nuova’
198Il passo degli Elementa Harmonica e i frammenti analizzati non lasciano dubbi sul conservatorismo di Aristosseno in qualità di critico musicale.
199Ora, dal paradossografo Apollonio (mir. 40 = ARISTOX. fr. 117 Wehrli) si apprende che Aristosseno, forse nell’ambito di una raccolta di profili biografici dei ditirambografi132, compose una biografia di Teleste di Selinunte, esponente della ‘musica nuova’ attivo tra V e IV secolo a.C., autore di ditirambi di successo nonché interessato a questioni inerenti la storia della musica (per esempio l’invenzione e l’introduzione in Grecia dell’armonia lidia) o degli strumenti musicali (come l’aulo o la magadis), che costuiscono talvolta materia della sua produzione lirica133.
200Secondo il Gevaert, il fatto che Aristosseno abbia scritto una biografia di Teleste di Selinunte, dimostrerebbe che il suo giudizio sulla ‘musica nuova’ non era poi così negativo come dalla lettura dei frammenti sull’argomento si è portati a pensare134. Altra possibilità che sempre il Gevaert prospetta per dare spiegazione della composizione di quest’opera su Teleste, ritenenuta evidentemente cosa singolare per un denigratore della ‘musica nuova’, è che l’opinione di Aristosseno sulle innovazioni musicali sia mutata con il passare del tempo: negli anni giovanili, quando, secondo il Gevaert (in base a quali elementi lo si possa affermare, resta però oscuro), la biografia di Teleste sarebbe stata scritta, Aristosseno avrebbe in sostanza avuto sulla ‘musica nuova’ idee molto diverse da quelle maturate successivamente135.
201La composizione da parte di Aristosseno di una biografia dell’innovatore Teleste è motivo di stupore anche per il Wehrli: “Teleste” – scrive infatti lo studioso – “deve certo essere il ditirambografo, sebbene sorprenda il fatto che Aristosseno abbia dato l’onore di essere oggetto di un’opera monografica a un rappresentante della musica moderna da lui osteggiata”136.
202Ingiustificata appare la meraviglia del Wehrli così come non necessarie paiono le ipotesi, per la verità non ben fondate, del Gevaert.
203L’attenzione che Aristosseno rivolge, verosimilmente nell’ambito di uno scritto monografico sul ditirambo, a rappresentanti della ‘musica nuova’ come Teleste, nulla toglie infatti, a mio avviso, al giudizio negativo che egli dà delle loro opere e delle loro innovazioni.
204Questa attenzione trova piuttosto possibile spiegazione nell’interesse con il quale Aristosseno guardava in generale al modo in cui concretamente si faceva musica137, a maggior ragione nella sua epoca, epoca nella quale, come si è già avuto modo di dire, il nuovo stile musicale aveva finito per consolidarsi, per radicarsi, al punto che le opere dei suoi rappresentanti sono considerate dei classici da studiare.
205Un indizio significativo della considerazione in cui Aristosseno teneva la pratica musicale, il modo cioè in cui in concreto quotidianamente si faceva musica, viene dalla sua riflessione teorica in materia di ritmica138.
206Una delle principali conseguenze delle innovazioni musicali è, come già detto, la rottura dell’intimo legame esistente tra elemento musicale ed elemento verbale, tra musica e parola.
207Se infatti elemento musicale ed elemento verbale erano tradizionalmente connessi in un rapporto che vedeva la subordinazione del primo al secondo, con la musica tenuta quindi ad adeguarsi alla parola, vale a dire alla struttura metrico-ritmica del verso, così che in un certo senso “il poeta, componendo il testo, indicava già il ritmo della melodia”139, in seguito alle innovazioni, l’elemento musicale si rende autonomo dall’elemento verbale che finisce anzi per esserne sopraffatto.
208A dispetto degli ammonimenti di Platone a comporre la musica in funzione del testo140, le innovazioni fanno sì che la musica si svincoli dal testo e che il ritmo della musica si affranchi quindi dal ritmo del metro, fino a modificarne, ad esempio con l’allungamento delle sillabe brevi o con la protrazione delle lunghe contro la norma che ne stabiliva l’equivalenza con due sillabe brevi, i valori temporali, così da rendere isocrone strutture metriche tra loro invece anisocrone141.
209“Ritmica della musica” e “ritmica del verso”142 finiscono per risultare in questo modo due cose distinte, come testimonierebbero, secondo B. Gentili143, i versi dei Persiani (vv. 229-231 Page) in cui Timoteo si vanta di avere accresciuto le potenzialità espressive della cetra μέτροις / ῥυθμοῖς τ’ ἑνδεκακρουμάτοις, “con i metri e con i ritmi dagli undici suoni”, realtà sentite dunque dal poeta come diverse.
210Ora, autori come Platone, in parte sulla scorta di Damone, ma ancora lo stesso Aristotele, benché conoscitori delle innovazioni musicali e consapevoli delle loro conseguenze, considerano entrambi144 unità di misura del ritmo musicale la sillaba, vale a dire l’unità di misura del ritmo metrico, come se tra ritmo musicale e ritmo metrico ci fosse ancora quel rapporto di identità quale esisteva prima che le innovazioni prendessero a scardinarlo.
211Aristosseno non riconosce più nella sillaba l’unità di misura del ritmo musicale, teoria questa che certo conosce ma che sente insoddisfacente145.
212Distinti sul piano concettuale ῥυθμός e ῥυθμιζόμενον, ritmo e ritmabile146, tra loro legati in un rapporto dal Pöhlmann147 convincentemente assimilato a quello per Aristotele esistente tra εἶδος e ὕλη, Aristosseno introduce infatti una nuova unità di misura per il ritmo musicale: il πρῶτος χρόνος o tempo primo148, nozione poi ripresa da tutti i teorici di epoca successiva149.
213A questo Aristosseno è evidentemente spinto dalla piena consapevolezza della avvenuta rottura tra ritmo metrico e ritmo musicale, che ovviamente impediva di continuare ad assumere per entrambi una medesima unità di misura.
214È da questa consapevolezza che deriva ad Aristosseno la necessità, per misurare il ritmo musicale, ormai distintosi dal ritmo metrico, di ricorrere a una unità di misura nuova, autonoma, quale egli trova nel concetto astratto di tempo primo, sancendo in questo modo sul piano teorico “quella frattura fra ritmo metrico (o tout court metrica) e ritmo musicale (o tout court musica) le cui prime avvisaglie sul piano pragmatico si erano manifestate già nella seconda metà del V secolo”150, con i componimenti – si può aggiungere – dei rappresentanti della ‘musica nuova’.
215Particolarmente significative sono, per il nostro discorso, le parole citate del Pretagostini: attraverso di esse infatti, si profila l’interesse da parte di Aristosseno verso la pratica musicale ed emerge lo stretto rapporto che Aristosseno riteneva esistente tra pratica musicale e riflessione teorica sulla musica, differenziandosi in questo nettamente da Platone, sostenitore di un’interpretazione puramente numerica della musica, assolutamente astratta e che nulla deve concedere all’esperienza151.
216Proprio nell’introduzione del concetto di tempo primo, il rapporto sentito da Aristosseno tra pratica musicale e riflessione teorica sulla musica trova espressione. L’introduzione del πρῶτος χρόνος è infatti, a luce di quanto detto, una sorta di portato dell’attenzione rivolta da Aristosseno alla pratica musicale, in questo caso quella dei suoi tempi, che le innovazioni di autori come Timoteo o come il biografato Teleste ha fatto proprie; ma è anche, allo stesso tempo, una prova di come Aristosseno lasci che la pratica musicale influenzi la sua elaborazione teorica.
217A differenza di Platone o dello stesso Aristotele, i quali, indicando nella sillaba l’unità di misura del ritmo musicale, dimostrano di non prendere atto delle innovazioni musicali e dei mutamenti da queste apportati alla pratica musicale – forse perché verso di essa, quanto meno Platone, ben poco interesse avevano –, Aristosseno, attento al modo in cui nella pratica si faceva musica e alle implicazioni che sul piano teorico questo poteva e a suo avviso doveva avere, è portato a studiare, fermo restando il suo negativo giudizio nei loro confronti, gli autori più rappresentativi del nuovo gusto musicale (come per esempio Teleste di Selinunte) e le loro innovazioni. E ancora, costruendo la sua speculazione teorica sulla musica partendo dalla pratica musicale, induttivamente quindi, per dirla con la Henderson152, proprio alla principale conseguenza di queste innovazioni, il divorzio tra “ritmica della musica” e “ritmica del verso”, provvede a dare, con l’introduzione della nozione di tempo primo, un fondamento teorico.
218In conclusione: è l’importanza che Aristosseno attribuisce, nella elaborazione della sua riflessione teorica sulla musica, alla pratica musicale, a portarlo a studiare il fenomeno della ‘musica nuova’ e i suoi esponenti e a farlo approdare, un po’, mutatis mutandis, come sarebbe accaduto all’anonimo autore della pseudosenofontea Costituzione degli Ateniesi secondo il suggestivo ritratto tracciatone da S. Mazzarino153, a conclusioni teoriche che con i suoi ideali musicali contrastavano.
Notes de bas de page
1 Cfr. Henderson [1957] pp. 387-9.
2 Cfr. Aristox. harm. I 2 Meibom = p. 6, 6-9 Da Rios; [Plut.] de mus. 34, 1143 d = pp. 28, 29-29, 7 Ziegler.
3 Cfr. Procl. in Tim. III 192 a, p. 169, 16-31 Diehl (cui corrisponde, parzialmente, Aristox. test. 110 Da Rios).
4 L’uso da parte di Aristosseno di questo termine in relazione alla pratica musicale della sua epoca, fa rientrare il passo riportato in una lunga serie di passi di autori antichi, raccolti da Borthwick [1968] p. 61, in cui termini propri del lessico culinario sono applicati alla musica, così come può accadere – è sempre il Borthwick a segnalarlo – che termini del lessico musicale siano applicati alla attività del cucinare.
5 Cfr. per es. Anonymus Bellermanni I 26.
6 Οἱ δ’ ἄνανδροι καὶ διατεθρυμμένοι τὰ ὦτα δι’ ἀμουσίαν καὶ απειροκαλίαν.
7 Quaest. conv. VII 8, 1, 711c = Aristox. fr. 83 Wehrli: οὕς φησιν Ἀριστόξενος χολὴν ἐμεῖν ὅταν ἐναρμονίου ἀκούσωσιν.
8 Per la datazione dell’orazione si veda Maisano [1995] pp. 107-9, 977.
9 Nel frammento così come figura nella silloge del Wehrli, si legge a questo punto τοῖς μαθηταῖς, dativo, in luogo dell’accusativo τοὺς μαθητάς, lezione questa fornita dal codice Ambrosiano (Ambr. gr. I 22 sup.), testimone unico dell’Oratio XXXIII come di diverse altre orazioni temistiane (1, 11, 13, 28, 29, 34). II dativo τοῖς μαθηταῖς è emendamento attribuito dagli editori di Temistio a J. Hardouin, un gesuita di origine bretone curatore della prima edizione completa delle orazioni di Temistio pubblicata a Parigi nel 1684. L’Hardouin non fece in realtà che portare a termine il lavoro iniziato – e interrotto solo per il sopraggiungere della morte – da D. Petau, anch’egli gesuita, studiosodi Temistio e curatore di due edizioni dei suoi discorsi pubblicate rispettivamente nel 1613 e nel 1618, quando ancora non si conosceva l’Ambrosiano e quindi ignoti erano i discorsi di cui questo codice è l’unico testimone. Fu proprio il Petau a individuare per primo il codice Ambrosiano, databile agli inizi del XV secolo e proveniente dalla biblioteca dell’umanista Vincenzo Pinelli. Di questo codice il Petau commissionò subito una copia, eseguita da scrivani milanesi professionisti, allo scopo di preparare una nuova edizione dei discorsi di Temistio, logicamente più completa delle precedenti. Morto il Petau, l’Hardouin ne portò avanti, senza molta convinzione e interesse (si veda in merito Maisano [1974] cui si è debitori per quanto scritto in questa nota), il lavoro, fino alla pubblicazione nel 1684. Il lavoro dell’Hardouin consisté sostanzialmente nel tradurre l’Oratio XXXIII, l’unica non tradotta dal Petau, e nel fornire di commento le orazioni pubblicate allora per la prima volta, ossia quelle contenute nell’Ambrosiano. Non intervenne l’Hardouin invece sul testo, rispettando, anche per le orazioni inedite, le scelte già fatte dal Petau. Maisano [1995] p. 74 non esita pertanto a definire “ingannevole” la sigla Hard, che compare nelle edizioni di Temistio, visto che il testo greco è quello stabilito dal Petau. A quest’ultimo, che, occorre ricordarlo, non vide mai direttamente il codice Ambrosiano, lavorando sempre su un apografo, anche se di ottima qualità, sarà allora da attribuire il dativo τοῖς μαθηταῖς del nostro frammento 70, mantenuto dal Wehrli sulla scorta del Mahne e del Müller. Questi studiosi però, come del resto lo stesso Petau, curiosamente non modificano – cosa necessaria scrivendo τοῖς μαθηταῖς – l’accusativo ἀφεμένους che garantisce la bontà della lezione dell’Ambrosiano (l’accusativo τοὺς μαθητάς dunque), seguita nelle principali edizione temistiane, da quella del Dindorf (Themistii Orationes, ex codice mediolanensi emendatae a W. Dindorf, Lipsiae 1832, rist. an. Hildesheim 1961), che ebbe modo di lavorare direttamente sul testo dell’Ambrosiano, all’edizione teubneriana curata dal Downey e dal Norman (Themistii Orationes quae supersunt, recensuit H. Schenkl†, opus consummavit G. Downey et A.F. Norman, 3 voll., Lipsiae 1965-1974). Non si vede del resto la ragione per cui si dovrebbe correggere il testo dell’Ambrosiano: ἐπικελεύειν, spesso costruito con il dativo (è proprio, forse, questo uso di ἐπικελεύειν che può spiegare l’emendamento del Petau τοῖς μαθηταῖς?), può infatti essere seguito anche dall’accusativo della persona (cfr. LSJ, s.v.).
10 Questa sembra essere l’unica traduzione possibile della proposizione conclusiva se si mantiene inalterato il testo di Temistio, sulla cui bontà dei dubbi sono stati sollevati (si veda a tal proposito l’apparato critico dell’edizione teubneriana). La traduzione di Maisano [1995] p. 979 (“non è possibile nello stesso tempo essere gradito alle folle e seguire un’arte antica”) e quella settecentesca di Mahne [1793] pp. 166-7 (“cum fieri non possit, ut quis acceptus fit multitudini, et idem antiquiore simili doctrina excultus”), poi ripresa dal Müller, presuppongono un testo diverso, non potendosi altrimenti collegare il femminile ἐπιστήμη al maschile ἀρχαῖον, che corrisponde del resto al precedente ἀρεστόν. Per l’uso di ἐπιστήμη seguito dalla indicazione, talvolta sottintesa, della τέχνη in questione, esempi si possono trovare in LSJ. s.v.
11 Cfr. per es. Mahne [1793] pp. 166-7; Westphal [1883-1893] II, p. 229; Weil-Reinach [1900] p. 53.
12 Sul legame di Temistio con la letteratura classica, si veda per es. Colpi [1987] che, da un attento esame della utilizzazione degli autori classici nelle opere di Temistio, conclude (p. 21) quanto segue: “die klassische Literatur erfüllt bei ihm nicht nur die Aufgabe des ‘delectare’, sondern vielmehr noch die des ‘prodesse’. Themistios greift auf sie zurück, um eine Lösung für die ihm gestellten Probleme zu finden, und er greift auf sie zurück, um den einmal eingeschlagenen Weg, den einmal gefällten Entscheid zu rechtfertigen”.
13 Cfr. Dagron [1968] pp. 14-6.
14 Si veda in proposito Downey [1955] pp. 297-307; Downey [1957] pp. 56-61; Dagron [1968] pp. 36-48.
15 Maisano [1986] p. 32. Il confronto, cui si fa riferimento nel testo, tra Prodico di Ceo e Gorgia, celebri sofisti da una parte, e Socrate dall’altra, è sviluppato da Temistio, e risolto a tutto vantaggio di Socrate, nella parte iniziale dell’Oratio XXIV, prolusione ad un corso tenuto a Nicomedia nella quale Temistio illustra le caratteristiche del suo insegnamento con l’intento di spingere gli allievi a seguire le sue lezioni piuttosto che quelle dei vari sofisti dell’epoca.
16 Cfr. in particolare XXXIII 3, 365 a-d.
17 Nel TGL l’aggettivo ἐπιτερπής è definito come “delectationem et voluptatem afferens”. Sul suo significato attivo si veda Zumbach [1955] p. 22.
18 Cfr. Latacz [1966] pp. 217-8.
19 Per gli esempi si veda LSJ, s.v.
20 Cerri [1976] pp. 33-4.
21 Cfr. DELG, s.v. τέρπομαι.
22 Cfr. per es. Aristox. frr. 42a-c, 113 Wehrli (rispettivamente sulla differenza di significato tra i sostantivi αἰδώς e αἰσχύνη e tra i verbi ῥύεσθαι e ἐρύεσθαι).
23 Prodico (84 a 19 D.-K.) distingueva in particolare le ἡδοναί in χαρά, εὐφροσύνη e τέρψις, nome quest’ultimo dato al piacere δι’ ὤτων, ottenuto mediante l’udito.
24 Cfr. Guarducci [1959-1960] pp. 281-3; Guarducci [1978] pp. 397-402.
25 Le fonti si troveranno tutte indicate in Abert [19682] pp. 106, 157.
26 Μαλθακός e μαλακός si ritengono comunemente legati per formazione: si veda in proposito, oltre ovviamente ai principali dizionari etimologici, Ηaμρ [1970] pp. 6-7.
27 Cfr. Westphal [1883-1893] II, p. 230.
28 Cfr. Lorenz [1914]; Tromp De Ruiter [1931], entrambi ancora fondamentali. Utili sono anche Le Déaut [1964] e Hunger [1963], quest’ultimo soprattutto per l’uso del termine φιλανθρωπία in etàbizantina.
29 Cfr. Ferguson [1958] p. 104.
30 Si tratta di Plat. Euthyph. 3 d e Xen. mem. IV 3, 7.
31 Cfr. per es. Arist. EN. VIII 1155a 16-21.
32 Φιλανθρωπία è in esso ad esempio la dote di chi si segnala nel sostenere le liturgie imposte dalla legge nonché una delle virtù proprie del monarca di epoca ellenistica, quella alla quale i sudditi fanno appello nell’avanzargli richieste e in nome della quale il sovrano risponde a queste richieste (si veda in proposito Schubart [1937] pp. 10-1; Sinclair [1993] pp. 387-8; Hiltbrunner [1994] col. 721).
33 Cfr. Snell [198211] p. 355 (“freundliche Gesinnung” nell’originale tedesco).
34 Cfr. Wehrli [1975] p. 129 (“Menschenfreundlichkeit”).
35 Cfr. Festugière [1944-19543] II, p. 301 (“bienveillance et bienfaisance”).
36 Cfr. Festugière [1944-19543] II, pp. 301-9; in proposito si veda anche Ferguson [1958] p. 108.
37 Gallavotti [19875] p. 151.
38 Gallavotti [19875] p. 151. Le testimonianze dell’impiego di φιλάνθρωπος con questa accezione nel IV secolo a.C., si potranno trovare raccolte nei contributi della De Montmollin ([1965] p. 22) e della Ricciardelli Apicella ([1971-1972] pp. 390-1 e [1993] pp. 894-5). Già Hirzel [1912] p. 26 alludeva a questo possibile impiego di φιλάνθρωπος scrivendo che “alles, was Menschen nützlich, ihnen angenehm und ergotzlich ist, kann in griechischer Sprache [...] mit feinem Ausdruck als philanthropisch bezeichnet werden”.
39 Tromp De Ruiter [1931] p. 299.
40 Cfr. pol. V 1313b 40-41.
41 Cfr. per es. Ballériaux [1996].
42 Cfr. Garzya [1989] pp. 543-4.
43 Mus. IV, col. X 1-6 Kemke = IV 5 pp. 49-50 Neubecker.
44 Cfr. Schol. Pind. P. I 21.
45 In Plut. comp. Aristoph. et Men. compenti. 853 b θυμελικόν è impiegato per definire lo stile di Aristofane in opposizione a quello di Menandro.
46 Cfr. Düring [1955] p. 435.
47 Lasserre [1954] p. 162.
48 Θεματικόν è mantenuto anche nelle edizioni del De musica del Bernardakis e dello Ziegler.
49 Cfr. Düring [1955] p. 435.
50 Cfr. LSJ, s.v
51 Cfr. Apollon. Dysc. adv. p. 121, 5 Schneider, pron. p. 110, 24 Schneider, synt. II 14, pp. 136-137; 18, pp. 139-140; 24, pp. 143-144 Uhlig; Etym. Magn. s.v. ἄμφω, p. 91, 33-35; s.v. γίνω, p. 232, 20-23; s.v. ἐγώ, p. 314, 26-33; s.v. οἱ νεῴι, p. 616, 36-40 Gaisford.
52 Cfr. LSJ, s.v.; Bailly, s.v.
53 Non convince l’ipotesi prospettata da Maisano [1995] p. 778, n. 2, secondo la quale φιλάνθρωπος, nel passo dello pseudo Plutarco, non sarebbe tanto una caratteristica dello stile musicale dei moderni quanto piuttosto il nome di un particolare modo musciale. Di questo presunto modo φιλάνθρωπος infatti, ad una ricerca condotta su buona parte degli scritti teorici di argomento musicale conservatisi (il Papiro Hibeh, il De musica di Filodemo, la sezione dedicata alla musica nei Problemata pseudoaristotelici, il De musica di Aristide Quintiliano, gli Elementa Harmonica di Tolemeo e il commento ad essi di Porfirio, la Εἰσαγωγὴ ἁρμονική dell’aristossenico Cleonide, il De musica di Boezio) nonché sulle sezioni dedicate alla musica presenti nelle opere di Ateneo, Sesto Empirico, Teone di Smirne e Marziano Capella, non si riesce a trovare altra menzione.
54 Da un esame della maggior parte delle traduzioni fomite per il passo in questione dello pseudo Plutarco, risulta evidente che questa è l’interpretazione generalmente seguita per esso dagli studiosi, inclini tutti a conservare il θεματικός dei manoscritti. Eccone alcuni esempi: “sie folgten der Manier, welche die Gunst der Menge erwirbt und jetzt als diejenige bezeichnet wird, welche in den Agonen den Preis davon trägt” (R. Westphal); i moderni “followed a popular style, the now so-called prize-style” (I. Düring); i moderni hanno perseguito quello stile “den man jetzt menschenfreundlich und zum Kampfpreis gehörig nennt” (L. Richter); i moderni “pursued the style nowadays called popular and profiteering” (A. Barker).
55 Barner [1889] p. 5.
56 Cfr. Aristox. fr. 35 Wehrli (περί δὲ ἀρχόντων καὶ ἀρχομένων οὕτως ἐφρόνουν, τοὺς μὲν γὰρ ἄρχοντας ἒφασκον οὐ μόνον ἐπιστήμονας ἀλλὰ καὶ φιλανθρώπους δεῖν εἶναι, καὶ τοὺς ἀρχομένους οὐ μόνον πειθηνίους, ἀλλὰ καὶ φιλάρχοντας) e ancora, per es., [Archyt.] de lege, ap. Stob. IV 5, 61, pp. 218-219 Wachsmuth-Hense; Ecphant. de regn., ap. Stob. IV 7, 64, p. 276 Wachsmuth-Hense nonché i cosiddetti proemi delle leggi di Caronda e Zaleuco, citati sempre da Stobeo (IV 2, 24, pp. 149-155 Wachsmuth-Hense e IV 2, 19, pp. 123-127 Wachsmuth-Hense), testi di cui gli studiosi hanno ampiamente evidenziato l’ispirazione pitagorica (si veda in proposito Cordano [1978]; i testi dei proemi si possono ora leggere anche in Thesleff, pp. 59-63, 225-9).
57 Questa la definizione di διόρθωσις nel lessico medico secondo il TGL, s.v.
58 Sull’impiego di διαστροφή nel lessico etico e sull’antitesi, in questo ambito, διαστρέφειν / ὀρθοῦν, si veda Grilli [1963].
59 Bailly, s.v.
60 Questo pare il significato più pertinente per διόρθωσις e διαστροφή nel passo in questione, accolto nelle traduzioni del Barker (GMW, I, p. 238) e del Lasserre ([1954] p. 145). Arbitraria e non suffragata dalle fonti, sembra invece l’interpretazione dei due termini (“success or failure”) data nell’edizione loebiana del De musica.
61 Cfr. Rispoli [1974] p. 63.
62 Cfr. Plat. leg. VII 795 d.
63 Plat. leg. VII 802 c-d: ἐν ᾑ γὰρ ἂν ἐκ παίδων τις μέχρι τῆς ἑστηκυίας τε καὶ ἔμφρονος ἡλικίας διαβιῷ, σώφρονι μὲν μούσῃ καὶ τεταγμένῃ, ἀκούων ἀεί τῆς ἐναντίας, μισεῖ καὶ ἀνελεύθερον αὐτὴν προσαγορεύει, τραφεὶς δ’ἐν τῇ κοινῇ καὶ γλυκείᾳ, ψυχρὰν καὶ ἀηδῆ τὴν ταύτῃ ἐναντίαν εἶναί φησιν.
64 Sulla fondatezza della rappresentazione di Pindaro quale emblema della musica tradizionale, comune nella storiografia musicale antica, solleva dubbi Privitera [1977] pp. 32-3.
65 Cfr. Nep. Epam. 2, 1: Nam et citharizare et cantare ad chordarum sonum doctus est a Dionysio, qui non minore fuit in musicis gloria quam Damon aut Lamprus, quorum pervulgata sunt nomina; Harp. s.v. Ἀντιγενίδας, A 152, p. 28 Keaney: Λυσίας ἐν τῷ Πρòς Νικάρχον τòν αὐλητήν, εἰ γνήσιος, υἱòς οὗτος ἦν Διονυσίου, ἐνδοξότατος αὐλητής; AB. I, p. 410: Ἀντιγενίδας· ἐνδοξότατος γέγονεν αὐλητής, υἱòς Διονύσου.
66 Cfr. per esse Körte [1941].
67 Un’interessante interpretazione del frammento di Frinico, secondo la quale le raffinatezze della ‘musica nuova’ sarebbero state addirittura mortifere per un musico dai gusti tradizionali quali Lampros, è stata proposta da Restani [1983] pp. 187-90.
68 Cfr. Abert [1924].
69 Cfr. FGrHist 239 A 56 (Sofocle riporta la sua prima vittoria nel 469/8 a.C. all’età di 28 anni), A 64 (Sofocle muore nel 406/5 a.C. dopo aver vissuto 92 anni).
70 Si veda al riguardo Wallace [1991] p. 41, n. 34.
71 Cfr. Thalheim [1894] col. 2527.
72 Cfr. Restani [1983] pp. 157, n. 65, 189.
73 Cfr. GMW, I, p. 238, n. 208.
74 Che Aristosseno, nel frammento, menzioni effettivamente Pratina, è cosa su cui avanza dubbi Pickard Cambridge [19622] p. 68, n. 1.
75 Le testimonianze su Pratina e i frammenti conservatisi possono leggersi in TrGF, I, pp. 79-84; per una loro analisi si veda Stoessl [1954]. Ampia è in particolare la bibliografia sull’iporchema di Pratina: molti sono infatti i problemi che questo testo pone, ben analizzati da Napolitano.
76 Cfr. LSJ, s.v.
77 Questo il significato di σκηνικός stando ai principali lessici etimologici (cfr. DELG, s.v. σκηνή: ‘théâtral’, ‘de la scène’; Frisk, s.v. σκηνή: ‘zur Bühne gehörig’).
78 Sul legame fra musica e tessitura nel mondo greco, e dunque tra lessico musicale e lessico tessile, si veda Restani [1995a].
79 Su questo fenomeno, interessante anche altri termini del lessico musicale, cfr. Restani [1983].
80 Cfr. O. III 8, IV 2, VI 86; N. IV 14, V 42, VIII 15; fr. 72 Puech e, in proposito, Kaimio [1978] pp. 149-50.
81 Cfr. Plat. leg. XII 950 a; Arist. pol. V 1305b 41-42, VI 1316b 18-19; Polyb. XIII 1, 2, XV 30, 1, XXV 2, 8.
82 Cfr. Aristox. frr. 33-34 Wehrli su cui si veda Camassa [1976-1977].
83 Cfr., tra gli altri, Fraschetti [1981]; Torelli [1988] pp. 96-8; Bowersock [1992]; Asheri [1996] p. 91.
84 Sulle sezioni dell’opera di Ateneo dedicate alla musica, e più in particolare sul valore dei Deipnosofisti per chi voglia scrivere una storia della musica greca, si veda rispettivamente Pohlmann [1973]; Anderson [1991a].
85 Restani [1988] p. 27.
86 Un’altra “terra classica di un vocabolario differenziato”, per dirla con Vidal-Naquet [1988] p. 196, è Creta.
87 Cfr. Wentzel [1896] col. 2033.
88 Bapp [1885].
89 Scriveva infatti Bapp [1885] p. 106: “unum opus περὶ μουσικῆς vel similiter inscriptum toti huic disputationi subesse, quae inest in capitibus 18-26. 31-33” (= 623 e-629 d, 631 e-633 e).
90 Nella sezione dedicata alle varie ᾠδαί eseguite con accompagnamento dell’aulo, Aristosseno è citato due volte: in relazione all’origine del nome del canto chiamato καλύκη (619 d = Aristox. fr. 89 Wehrli) e dell’ἀγὼν ᾠδῆς delle fanciulle noto come ἁρπαλύκη (619 e = Aristox. fr. 129 Wehrli). Entrambi derivererebbero i loro nomi da quelli di due fanciulle protagoniste di storie d’amore infelici. Aristosseno è citato di nuovo (620 e = Aristox. fr. 111 Wehrli) a proposito della sottile differenza da lui stabilita fra il μαγῳδός (l’attore che interpreta ruoli maschili e femminili) e il λυσιῳδός (colui che interpreta ruoli femminili in costumi maschili), identificati invece nel Περὶ μουσικῆς di Aristocle (II secolo a.C.) la cui opinione è riferita da Ateneo subito prima di quella di Aristosseno (il passo di Ateneo è in parte ripreso da Eustath. in Od. XIII 134). Di Aristosseno è poi riferita l’opinione circa la differenza fra ἱλαρῳδία e μαγῳδία. imitazione parodistica una della tragedia, l’altra della commedia, e sul l’origine del nome μαγῳδία (621 c-d = Aristox. fr. 110 Wehrli; si veda in merito anche il passo eustaziano prima citato). Trattando dell’origine dell’armonia frigia e delle sue proprietà terapeutiche. Ateneo cita nuovamente Aristosseno che attribuiva l’invenzione di questa armonia al frigio Hyagnis (624 h = Aristox. fr. 78 Wehrli). Quattro volte, come già si è avuto modo di ricordare, compare il nome di Aristosseno nel catalogo delle danze (630 b = Aristox. fr. 107 Wehrli; 630 e-f = Aristox. fr. 103 Wehrli; 631 b-c = Aristox. fr. 108 Wehrli; 631 d-e = Aristox. fr. 109 Wehrli) e ancora quattro citazioni da Aristosseno si contano nel catalogo degli strumenti musicali, più precisamente nell’ambito della discussione sulla natura (strumento a fiato o a corda?) della μάγαδις (634 c-d = Aristox. fr. 100 Wehrli; 634 e-f = Aristox. fr. 101 Wehrli; 635 b = Aristox. fr. 99 Wehrli; 635 e = Aristox. fr. 98 Wehrli). Aristosseno è infine citato testualmente nella sezione dedicata a interpreti e performances famose, a proposito di Οἰνώπας (Οἰνώνας secondo l’edizione loebiana di Ateneo curata dal Gulick, che fa dunque propria la correzione dell’Hiller al testo dei manoscritti mantenuto invece nell’edizione teubneriana edita dal Kaibel) che “per primo parodiò le citarodie, in seguito imitato dall’acheo Polyektos e da Diocle di Cineta” (638 b = Aristox. fr. 136 Wehrli). Sempre da Aristosseno deriva allora probabilmente la menzione di Οἰνώπας in Athen. I 19 f-20 a = Aristox. fr. 135 Wehrli.
91 Cfr. Rohde [1870] p. 44 per il quale, in Athen. XIV 631 e-f, non c’è “nulla che non possa essere stato detto da Aristosseno”, a suo giudizio noto ad Ateneo attraverso una fonte intermedia che egli ipotizza essere il peripatetico Cameleonte (dubbi su questa sua ipotesi sono espressi da Bapp [1885] p. 104).
92 In particolare, Rohde [1870] riteneva che da Aristosseno derivassero: i capitoli 23, 24 e 25 (= 626 f-628 f), definiti un vero e proprio “cento Aristoxeneus” (p. 37); l’idea della connessione fra statuaria antica e danza (629 b-c); buona parte del catalogo delle danze e, infine, le considerazioni sulla “praestantia” della musica antica e la “pravitas” della moderna che precedono il catalogo degli strumenti musicali (p. 45).
93 Così è definita in Athen. XIV 627 a.
94 Cfr. Bapp [1885] p. 106.
95 Cfr. GMW, I, p. 291, n. 158.
96 Cfr. per es. Schwartz [1951] pp. 25-7; Grassi [1962] pp. 40-8.
97 Cfr. Grundmann [1969] coll. 5-9.
98 Cfr. DELG, s.v καλός. L’accezione di καλός su cui si sofferma Chantraine, emerge bene per es. in Xen. symp. 5, 4.
99 Cfr. Smothers [1947]. Si veda in proposito, oltre ai lessici del Nuovo Testamento (come il Bauer ο il Moulton) e al lessico patristico del Lampe, Grundmann [1969] coll. 31-47 e Bertram [1969], sull’uso di καλός rispettivamente nel Nuovo Testamento e nella letteratura cristiana più antica. Numerosi sono gli esempi che i due studiosi possono addurre di καλός usato quale sinonimo di ἀγαθός, mentre sono piuttosto ὡραῖος ed εὔμορφος ad esssere impiegati, nei testi da essi presi in esame, per indicare la bellezza esteriore.
100 Cfr. Kretschmer [1934]. Secondo Smothers [1947] p. 6, il definitivo mutamento semantico di καλός, dall’accezione di ‘bello’ a quella di ‘buono’, si è compiuto già in epoca bizantina, come dimostrerebbe la traduzione del Menone platonico fatta da Enrico Aristippo, attivo nella Sicilia del XII secolo. L’aggettivo καλός è infatti reso dal traduttore sempre, indipendentemente dall’uso che ne fa Platone, con bonus, pregiudicando talvolta l’esatta comprensione dell’originale greco. Una traduzione del genere si può spiegare, a parere dello Smothers, solo ammettendo che nel greco conosciuto all’epoca in cui fu eseguita, l’accezione di ‘bello’ per καλός era venuta meno del tutto.
101 Smothers [1947] p. 2.
102 La definizione di μεταβολαί è ripresa da Restani [1983] p. 158.
103 Che Pronomo fosse anche compositore si ricava da Paus. IV 27, 7 che ricorda come, in occasione della fondazione di Messene (369 a.C.), si lavorasse “senz’altro accompagnamento musicale che non fosse quello di flauti beoti e argivi, e tra i canti (μέλη) di Sacada e Pronomo si creò in quella circostanza una vivissima gara” (trad. di D. Musti).
104 APl. 28: Ἑλλὰς μὲν Θήβας πρυτέρας προὔκρινεν ἐν αὐλοῖς· / Θῆβαι δὲ Πρόνομoν, παῖδα τòν Οἰνιάδου. Sulla cosiddetta ‘scuola di aulos’ tebana e su Pronomo si veda Roesch [1989]. West [1992] p. 366, n. 4 ricorda i nomi di diversi auleti tebani attivi ad Atene tra la seconda metà del V e l’inizio del IV secolo a.C.
105 Cfr. Comotti [1988] p. 50; West [1992] p. 87.
106 Cfr. Rohde [1870] p. 44.
107 La notizia dell’esistenza di una seconda versione dell’aneddoto con protagonista Antigenidas di Tebe, è da attribuire secondo Bapp [1885] p. 106, all’autore che a suo avviso fa da intermediario fra Aristosseno e Ateneo: “Confidentius opinor” – scrive infatti il Bapp – “loqueretur Aristoxenus Antigenidae aequalis admiratorque”. Il Bapp intendeva in questo modo prendere le distanze dal Rohde che aveva invece attribuito questa notizia ad Aristosseno, admirator di Antigenidas anche a suo parere, come dimostrerebbe un passo dell’apologista Taziano vissuto nel II secolo. d.C. (or. 24 = Aristox. fr. 77 Wehrli): “De Antigenida” – scrive Rohde [1870] p. 44 – “quem magis decebat confidenter aliquid edicere, quam Aristoxenum, quem diligentissime illius coluisse memoriam Tatianus testatur?” Nell’economia complessiva del brano di Ateneo, la menzione di una versione dell’aneddoto alternativa a quella che ne indicava come protagonista Asopodoros, ha in effetti i caratteri di un’aggiunta, da Ateneo probabilmente ripresa da una fonte diversa da quella seguita nel resto del brano. Le ragioni che inducono a non ricondurre questa ‘aggiunta’ ad Aristosseno, fonte principale del brano atenaico, sembrano però altre rispetto quelle suggerite dal Bapp. Credo sia infatti da rilevare che il passo di Taziano richiamato dal Rohde, dica semplicemente che Aristosseno si interessò, più precisamente ‘si occupò’ (πολυπραγμονεῖν) di Antigenidas, senza che da questo si possa ricavare nulla circa il giudizio che Aristosseno aveva di Antigenidas e della sua musica, contrariamente a quanto invece ritengono tanto il Rohde quanto il Bapp. Le notizie che le fonti forniscono su Antigenidas poi (apprezzamento e familiarità con i componimenti di Filosseno, abitudine di indossare in scena costumi appariscenti per essere notato, compiacimento esibito per la ricercatezza della sua musica e così via), fanno piuttosto pensare, come suggerito del resto dal Wehrli (Sch. Ar. II, p. 72), che Aristosseno fosse tutt’altro che un suo ammiratore. Sulla base di queste stesse notizie, sembra anche poco verosimile che un virtuoso come Antigenidas fosse protagonista di un aneddoto quale quello riferito da Ateneo. Poco credibile è dunque la versione alternativa dell’aneddoto in cui è chiamato in causa Antigenidas: essa potrà allora essere spiegata attribuendola a un autore di epoca tarda, evidentemente poco informato sui gusti del famoso auleta tebano. In sostanza, credo sia condivisibile la conclusione cui giunge il Bapp (la notizia circa l’esistenza di una seconda versione dell’aneddoto con Antigenidas protagonista è un’aggiunta che Ateneo ricava da un autore che non è Aristosseno), non però l’argomentazione con cui è sostenuta (Aristosseno, contemporaneo e ammiratore di Antigenidas, ne avrebbe parlato con un tono diverso).
108 Paus. IX 12, 6 = Pron. fr. 767 Page ricorda per esempio che Pronomo di Tebe, al fine di affascinare gli spettatori, ricorreva anche alla mimica facciale e a movimenti del corpo. Non a caso, direbbe Aristosseno, la sua musica sedusse soprattutto le folle, stando a quanto riferisce ancora Paus. IX 12, 5. Sulla popolarità di Pronomo presso il grande pubblico cfr. Kemp [1966].
109 Rohde [1870] p. 44.
110 Mi riferisco in particolare all’espressione οἱ καθ’ ἡμᾶς con la quale sono in Ateneo indicati i seguaci del gusto musicale moderno: espressioni simili compaiono infatti in relazione ad essi in capitoli di matrice aristossenica del De musica dello pseudo Plutarco (cfr. per es. [Plut.] de mus. 12, 1135 d = p. 10, 22-23 Ziegler: oἱ κατὰ ταύτην τὴν ἡλικίαν γεγονότες ποιηταί).
111 Cfr. Bapp [1885] p. 106.
112 Cfr. Gulick [1927-1961] VI, p. 409. Contrariamente al Bapp, anche Dörpfeld-Reisch [1896] p. 300 ritenevano che l’aneddoto su Asopodoros derivasse ad Ateneo da una fonte di epoca ellenistica.
113 Cfr. Rohde [19143] p. 265, n. 1.
114 Cfr. Schmid [1896].
115 Cfr. Gulick [1927-1961] VI, p. 409.
116 Nel passo di Ateneo si dice che Asopodoros aspettava ἐν τῷ ὑποσκηνίῳ, termine questo di discussa interpretazione. Nel LSJ si definisce ὑποσκήνιον ‘room under the stage’, adducendo come esempio proprio il passo di Ateneo in questione. Al passo di Ateneo rimanda anche Bailly, che similmente definisce ὑποσκήνιον la ‘partie inférieure de la σκηνή’, strutturata su tre piani nei teatri di epoca ellenistica. Navarre [1925] p. 21 definisce lo ὑποσκήνιον una “chambre située sous le proskenion” comunicante con l’interno della scena; in Ledoux-Castinel [1982] pp. 55-6, ὑποσκήνιον è invece definito come il “rez-de-chaussée” della σκηνή, formato da uno o più ambienti e comunicante con il piano superiore ο λογεῖον. Nel TGL, sulla base di una testimonianza di Polluce (IV 123-124), si definisce invece ὑποσκήνιον come “locum scenae proprie sic dictae, ab anteriore parte, proximum, partim a fronte, partim ab utroque latere”. Sempre nel TGL si riporta anche la tesi del Sommerbrodt, secondo la quale si possono assegnare al termine due distinti significati: 1) “locus sub pulpito sive logeo situs, cuius anteriorem partem quae sola conspiciebatur, orchestrae conterminam, parvis signis atque columnis exornatam fuisse dicit Pollux” (il riferimento è a Poll. IV 124); 2) “locus post scenam situs, quo spectat frequens locutio ὑπò σκηνήν vel τὰ ὑπò σκηνήν”. Questo secondo significato di spazio post scaenam e non sub scaena, è, secondo il Sommerbrodt, quello che il termine ha nel passo di Ateneo in questione: “nec Asopodorum sub scaena versatum esse probabile videri’. Analoga interpretazione del termine nel passo di Ateneo viene data da Müller [1898] pp. 63-4, che propende anzi a riconoscere a ὑποσκήνιον il solo significato di “Raum hinter der Skenenfront” e non quello di spazio “unter der Bühne” (in questo senso si veda anche Joerden [1971] p. 374). Secondo Dörpfeld-Reisch [1896] pp. 299-301 infine, il passo di Ateneo è uno dei pochi in cui il termine ὑποσκήνιον compare con un significato chiaro, non oscillante tra quelle che sono riconosciute come le sue due possibili accezioni, vale a dire quella di spazio interno alla scena (Innenraum der Skene) e quella di spazio dietro la scena (Hinterraum der Skene), opposto dunque al proscenio: nel passo di Ateneo il termine designa infatti, secondo i due studiosi, la sala in cui gli attori aspettano il loro turno (la “Schauspielersaale”) situata “hinter dem Proskenion” e dalla quale Asopodoros non riesce a seguire la performance del misterioso auleta nei particolari, ma può invece udire senza difficoltà gli applausi tributatigli dagli spettatori.
117 Cfr. Müller [1898] pp. 62-5.
118 Nel fr. 70 Wehrli. non casualmente viene detto da Temistio che “Aristosseno cercava di dare nuovo vigore” a una musica ἤδη θηλυνομένη, “ormai effeminata”, segno del fatto che la riflessione di Aristosseno sulla ‘musica nuova’ si compie in un’epoca in cui il processo di trasformazione della musica può ritenersi compiuto.
119 La nozione di commedia di mezzo, e quindi la consueta tripartizione della produzione comica greca, è oggetto di discussione tra gli studiosi, divisi fra quanti sono propensi a ritenerla rispondente a effettive differenze di tecnica drammatica, di stile, di contenuti, e quanti invece sono inclini ad attribuirla alla tradizione grammaticale. Per una sintetica esposizione di queste diverse posizioni, si veda Mastromarco [1992] p. 343.
120 Cfr. Nesselrath [1990] pp. 243-65.
121 Cfr. Nesselrath [1990] p. 265.
122 Mastromarco [1992] p. 342.
123 Qualche riserva in proposito è invece espressa da Riethmüller [1989] p. 237.
124 Cfr. Lasserre [1954] p. 93.
125 Così Lanza [1977] p. 10.
126 Cfr. Abert [19682] p. 35.
127 Cfr. Jaeger [1953-1959] III, p. 418, n. 179.
128 Cfr. Aristox. frr. 43, 62, 67, 68, 131 Wehrli.
129 Cfr. per es. Aristox. fr. 82 Wehrli su cui si veda Lasserre [1954] p. 93 e Wallace [1991] p. 43.
130 Jaeger [1953-1959] III, p. 419.
131 Cfr. Plat. leg. III 700 a-701 b.
132 Questa l’opinione del Wehrli (Sch. Αr., II, p. 83).
133 Si veda in proposito Comotti [1980] e [1993].
134 Cfr. Gevaert [1875-1881] II, p. 483.
135 Cfr. Gevaert [1875-1881] II, p. 576.
136 Sch. Ar., II, p. 83.
137 Sull’interesse di Aristosseno verso gli aspetti pragmatici dell’esperienza musicale piuttosto che verso astratte analisi matematiche della musica, si veda quanto scrive Pretagostini [1998] pp. 628-30.
138 Preziosi in proposito sono gli studi di B. Gentili (per es. [1950], [1979], [1988]) nonché Pretagostini [1993a].
139 Gentili [1950] p. 33.
140 Cfr. per es. Plat. rp. III 398 d, III 400 d.
141 Cfr. in proposito Gentili [1979] pp. 685-7. Un altro complesso fenomeno da cui si inferisce l’avvenuta rottura del rapporto tra elemento musicale ed elemento verbale, è quello dell’infrazione, documentata soprattutto dai testi corredati di notazione musicale, della norma che prevedeva, per la sillaba accentata, un’intonazione più alta rispetto quella delle sillabe atone della stessa parola. In merito si veda Comotti [1977] e [1989c].
142 Riprendo queste espressioni da Gentili [1979] p. 682.
143 Cfr. Gentili [1988] p. 10.
144 Cfr. Plat. Crat. 424 c, rp. III 400 b; Arist. metaph. XIV 1087b 36.
145 Cfr. Aristox. ap. Psell. intr. rhythm. 1 = Pearson [1990] p. 20.
146 Cfr. Aristox. rhythm. II 3 (= Pearson [1990] p. 2).
147 Cfr. Pohlmann [1960] p. 32.
148 Cfr. Aristox. rhythm. II 10, 12 (= Pearson [1990] pp. 6, 8).
149 Cfr. per es. Aristid. Quint. I 13, p. 32, 4 sgg. Winnington-Ingram.
150 Pretagostini [1993a] p. 386.
151 Cfr. Plat. rp. VII 530 d-531 e che non esita a rimproverare a quegli stessi pitagorici, cui viene concordemente attribuita nella tradizione (per le fonti cfr. Burkert [1972] p. 371) una matematizzazione dei fenomeni musicali, un eccessivo empirismo nel loro approccio allo studio della musica.
152 Cfr. Henderson [1957] p. 343.
153 Cfr. Mazzarino [1966] I, pp. 300-8.
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