Parte III. Il soggiorno a mantinea
p. 64-99
Texte intégral
1. La cronologia
1Del soggiorno di Aristosseno a Mantinea si ha notizia dalla Suda.
2Nessuna indicazione la Suda fornisce circa la cronologia di questo soggiorno. Il silenzio della Suda a riguardo faceva scrivere al Mahne, verso la fine del XVIII secolo, che “qua de causa aut quo tempore se huc (scil. Mantineam) contulerit Aristoxenus, quod reliqui auctores de eo silent, certo dici nequit”1.
3Generalmente nulla viene detto in proposito dagli studiosi, anche in tempi più recenti2. In Zeller-Mondolfo per esempio, restando sulle generali, si dice solo che “Aristosseno, nella sua giovinezza, visse a Mantinea”3.
4Datazioni più precise per questo soggiorno mantineese di Aristosseno, sono state avanzate solo dal Millier e dal Laloy, senza però addurre argomentazioni a loro sostegno.
5Il Müller4 riteneva che il soggiorno di Aristosseno a Mantinea fosse da collocare fra il 343 e il 333 a.C. e che dunque fosse posteriore a quello corinzio per il quale il 344/3 a.C. rappresenta, come si è visto, il sicuro terminus post quem. Ad anni intorno al 343 a.C. assegnava la presenza di Aristosseno a Mantinea G. Fougères5. Una datazione del soggiorno mantineese intorno al 340 a.C. è stata infine seguita da R. Winnington-Ingram6.
6Diversamente dal Müller, il Laloy7 pensava che Aristosseno fosse stato prima a Mantinea, città dove dovette rimanere a lungo, e che da Mantinea fosse poi passato a Corinto, luogo dell’incontro con Dionisio II: lo studioso francese suggerisce in questo modo per il soggiorno mantineese una datazione intorno al 350 a.C.
7Già R. Westphal per la verità, ricostruendo, nella sua poderosa opera dedicata ad Aristosseno, anteriore a quella del Laloy, la biografia del tarantino, aveva ritenuto il soggiorno mantineese precedente a quello corinzio. Lo studioso tedesco non propone per il soggiorno a Mantinea una datazione precisa. Dalla lettura di quanto scrive però, emerge come certo il fatto che lo considerasse anteriore a quello corinzio e si è inoltre autorizzati a presumere che una sua collocazione in anni intorno al 350 a.C., non gli dovesse sembrare improbabile, visto che egli credeva a due distinti soggiorni di Aristosseno nel Peloponneso (il primo a Mantinea, il secondo, dopo il 344/3 a.C., a Corinto), intervallati da un non meglio precisato numero di anni trascorsi da Aristosseno nelle natie terre occidentali8.
8Non si riescono a trovare elementi che consentano di stabilire, almeno con certezza, se Aristosseno sia stato prima a Mantinea o a Corinto. Da quanto però la Suda dice sui maestri di Aristosseno, se messo in rapporto con altre testimonianze, sembra si possano ricavare indizi che rendono quanto meno preferibile la datazione del soggiorno suggerita dal Laloy9.
9Non ci sono dubbi sul fatto che la Suda ricordi i nomi dei maestri di Aristosseno in successione cronologica, scandendo in questo modo le varie fasi della sua biografia intellettuale: Aristosseno è passato dagli insegnamenti del padre, Spintharos, e dell’oscuro Lampros di Erythrai, suoi maestri in campo più strettamente musicale, a quelli di Senofilo, anch’egli μουσικός, e infine di Aristotele, personaggi ai quali risale la sua preparazione filosofica.
10Ora, da Aristosseno stesso si apprende che Senofilo visse ad Atene molto a lungo, senza soffrire degli acciacchi che normalmente si accompagnano alla vecchiaia10. È probabile che Aristosseno sia stato discepolo di Senofilo proprio ad Atene11, la città dove poi rimane alla scuola di Aristotele. Di Aristotele. Aristosseno sarà stato, come si è detto, uno dei primi discepoli, frequentandone la scuola per molti anni, forse fin dalla sua fondazione, datata – teste Diogene Laerzio (V 1, 10) – al 335/4 a.C., se, stando a quanto dice la Suda, poté aspirare (o si potè pensare che avesse aspirato), una volta morto Aristotele, alla direzione del Liceo12. Se si combinano insieme questi dati, la successione più verosimile dei soggiorni di Aristosseno in Grecia sembra essere la seguente: Mantinea - Corinto - Atene.
11Pare allora ragionevole se non altro supporre che Aristosseno sia arrivato a Mantinea intorno al 350 a.C., per passare poi, sicuramente dopo il 344/3 a.C., a Corinto e infine ad Atene, dove sarà stato per un certo periodo allievo di Senofilo e quindi, a partire dal 335 a.C. o poco dopo, di Aristotele.
2. Le ragioni
12Nel secolo scorso, studiosi come R. Westphal e G. Fougères, spiegarono il soggiorno di Aristosseno a Mantinea mettendolo in relazione con la rinomanza in ambito orchestico e musicale di questa città come di tutta l’Arcadia, patria di musici e compositori famosi quali, ad esempio, Agelaos di Tegea, Echembrotos, Klonas13.
13Richiamandosi – sembra in verità non fondatamente – alla testimonianza della Suda, il Westphal indicava anzi in Mantinea il luogo in cui Aristosseno avrebbe almeno in parte ricevuto la sua prima formazione musicale per opera del padre, Spintharos, “che forse qui a Mantinea si era temporaneamente stabilito insieme al figlio”14.
14Nella sua tesi Aristoxène de Tarente, disciple d’Aristote et la musique de l’antiquité, pubblicata nel 1904, L. Laloy accoglieva l’opinione dei suoi predecessori, prospettando però anche altre ipotesi a suo parere in grado di fare luce sulle ragioni del soggiorno mantineese di Aristosseno15.
15Lo studioso affermava per esempio di non trovare affatto strano che Aristosseno avesse soggiornato a Mantinea, città del Peloponneso, in considerazione della sua provenienza da Taranto, fondazione coloniale dorica per eccellenza che “amava sottolineare, persino nei nomi dei corsi d’acqua che la lambivano, la sua parentela con Sparta”. La scelta di Mantinea potrebbe poi a suo avviso essere stata determinata anche dai rapporti di amicizia intercorsi fra Spintharos, padre di Aristosseno, ed Epaminonda, dei quali dà notizia Plutarco in due passi citati precedentemente16. Questa amicizia avrebbe fatto di Aristosseno, secondo il Laloy, il benvenuto nella città, Mantinea appunto, che a Epaminonda doveva la liberazione dal giogo spartano.
16Le ipotesi del Laloy appaiono subito poco pertinenti a spiegare le ragioni del soggiorno mantineese di Aristosseno.
17Se inoltre si ripercorre la storia di Mantinea, e più in particolare quella dei suoi rapporti con Sparta e con Tebe, non sarà difficile sollevare obiezioni contro di esse.
18Spingono in tal senso, in primo luogo, gli altalenanti e in più di una circostanza non pacifici rapporti tra Sparta e Mantinea17, città di tradizioni democratiche18, destinati a incrinarsi progressivamente nel corso del V secolo a.C., momento di “radicalizzazione dello scontro politico in Grecia”19.
19La sempre più profonda opposizione fra le due città culmina nel 385 a.C., quando Sparta. all’indomani della pace di Antalcida, impone agli abitanti di Mantinea una costituzione di stampo oligarchico e soprattutto li costringe a distruggere la loro città e a tornare a vivere κατὰ κώμας, annullando in questo modo il sinecismo che aveva portato alla nascita dello stato mantìneese20.
20Il diecismo di Mantinea è una prova – sottolinea la Burelli Bergese21 – della preoccupante minaccia che Mantinea costituiva per Sparta. Non casualmente, quando Mantinea in seguito alla battaglia di Leuttra viene rifondata, gli Spartani cercano, invano, mediante un’ambasceria guidata da Agesilao, di subordinare al loro assenso la rinascita della città arcadica, che finisce per assumere un significato politico antispartano22. E sempre Sparta non esita di lì a poco a intervenire militarmente contro Mantinea per vendicare l’azione di quest’ultima nei confronti della tradizionale nemica Tegea23.
21La tormentata storia delle relazioni fra Sparta, madrepatria di Taranto, e Mantinea. rende poco probabile l’ipotesi del Laloy secondo la quale Aristosseno si sarebbe recato a Mantinea pensando di trovarvi buona ospitalità in nome di un rapporto Sparta-Mantinea la cui natura lo studioso non esplicita in modo chiaro (intende forse una sorta di συγγένεια?) e che peraltro coinvolge due città dalle relazioni tradizionalmente non facili.
22Del Laloy non convince nemmeno l’idea che Aristosseno si sia recato a Mantinea confidando nella buona accoglienza che qui gli sarebbe stata riservata in quanto figlio di Spintharos, amico di quell’Epaminonda cui Mantinea, desiderosa di “sopravvivere politicamente”24, doveva la sua rinascita. A smentire questa idea è la storia stessa delle relazioni tebano-mantineesi.
23Certamente sulla scia del successo tebano a Leuttra, i Mantineesi si liberano dalla sottomissione a Sparta inaugurata dal diecismo e possono quindi rifondare la loro città nel 370 a.C. Pausania attribuisce direttamente a Epaminonda l’iniziativa del nuovo sinecismo di Mantinea25; per Senofonte invece, il nuovo sinecismo è il frutto di una decisione degli abitanti di Mantinea, che, “visto che si consideravano ormai come pienamente autonomi, si riunirono tutti e decretarono di rendere di nuovo una Mantinea e di fortificare la città”26.
24Secondo il Moggi è forse esagerato quanto dice Pausania, ma è comunque certo che i Tebani abbiano preso parte attiva alla ricostruzione di Mantinea, che dovette riscuotere generale consenso in virtù della tradizionale politica antispartana della città27.
25I buoni rapporti fra Mantinea e Tebe cominciano però presto a deteriorarsi a causa della politica nazionalista intrapresa da Licomede di Mantinea, leader della Lega arcadica nata sulla scia della risurrezione di Mantinea. Questi esortava senza posa gli Arcadi – come si legge in Senofonte (hel. VII 1, 23-24) – a essere finalmente consapevoli della loro potenza e a non riconoscere passivamente ai Tebani quel dominio su di essi che era stato prima esercitato da Sparta.
26La politica nazionalista di Licomede fu portata avanti da quanti guidarono la Lega dopo di lui e che erano del resto tutti uomini di sua fiducia28. Le relazioni con Tebe ne risultano compromesse: οἱ μὲν δὴ Θεβαῖοι – scrive Senofonte (hel. VII 1, 26) – διὰ ταῦτα ὑποφθόνως καὶ οὐκέτι φιλικῶς εἶχον πρòς τοὺς Ἀρκάδας.
27La morte di Licomede, ucciso nel 367 a.C. da avversari politici mentre faceva ritorno a Mantinea da Atene, dove si era recato in cerca di appoggi nel caso di un ormai probabile scontro con Tebe, segna l’inizio di un periodo di decadenza per la Lega arcadica, caratterizzato da lotte intestine fra le stesse città federali che finiscono per dividersi in due fazioni: una gravitante intorno a Tegea e Megalopoli, e una ruotante invece intorno a Mantinea.
28Se Tegea e Megalopoli restano legate a Epaminonda, Mantinea e la maggior parte delle altre città arcadiche assumono verso Tebe posizioni fortemente ostili che degenerano sempre più, fino ad arrivare allo scontro29: nell’estate del 362 a.C. Epaminonda invia infatti da Tegea le sue truppe contro Mantinea che si era intanto guadagnata l’appoggio, oltre che dell’Elide, dell’Acaia e di Fliunte, anche dei peggiori nemici dei Beoti, gli Ateniesi e gli Spartani, persuadendoli a combattere al suo fianco30.
29Nel corso del IV secolo a.C. dunque, Mantinea dà alla sua politica estera un orientamento antitebano. Questo porta a un suo avvicinamento alla nemica Sparta che è biasimato da Pausania31, ma che studiosi come il Fougères o il Beloch hanno dimostrato, attraverso l’analisi delle fonti che ne danno notizia, non essere stato per la città arcadica così umiliante come altri avevano ritenuto32.
30La battaglia combattuta sull’altopiano di Mantinea, il cui “esito militare e politico fu quello della più grande incertezza”33, sancisce di fatto l’esistenza di due distinte leghe arcadiche: una Lega arcadica settentrionale, con Mantinea come centro principale, e una Lega arcadica meridionale, filotebana, ruotante intorno a Tegea e Megalopoli.
31Mantinea rimane su posizioni antitebane. Se ne ha una prova quando, in occasione del conflitto scoppiato all’indomani della battaglia del 362 a.C. fra alcune città arcadiche e Megalopoli, Mantinea è sentita dalle prime come la naturale alleata, mentre Tebe invia truppe in aiuto dei Megalopolitani34.
32Pacifici si mantengono invece i rapporti fra Mantinea e Sparta: nel 352/1 a.C., scoppiata una guerra tra Sparta e Megalopoli che porta gli Spartani a invadere il territorio dei Megalopolitani, gli Spartani e i loro alleati si accampano nei pressi di Mantinea, segno del fatto che dovevano all’epoca ancora esistere buoni rapporti fra la loro città e Mantinea, mentre ostili erano le relazioni tra Mantinea e Megalopoli, alleata di Tebe35.
33L’orientamento antitebano assunto e mantenuto dalla politica estera di Mantinea, rende poco probabile l’idea del Laloy secondo la quale Aristosseno si sarebbe recato nella città arcadica pensando di poter qui vantare l’amicizia fra suo padre ed Epaminonda, col tempo divenuto nemico dei Mantineesi. Al momento dell’arrivo di Aristosseno a Mantinea, verosimilmente da collocare nei primi anni del decennio 350-340 a.C., il ricordo di quanto Epaminonda ormai venti anni prima aveva fatto per la città, non doveva essere più così vivo come è presupposto dall’ipotesi del Laloy, offuscato inoltre dalla svolta in senso antitebano della politica estera mantineese.
34La natura e la dinamica delle relazioni di Mantinea con Sparta e con Tebe, si oppone dunque alle ipotesi del Laloy circa le ragioni del soggiorno mantineese di Aristosseno. Queste ipotesi del resto, pur volendo prescindere dalle difficoltà concrete cui vanno incontro e che si è cercato di illustrare, non riescono di per sé a spiegare perché Aristosseno abbia scelto per il suo soggiorno in Grecia una città come Mantinea né quale significato questo soggiorno abbia avuto nella sua biografia spirituale.
35È questo il motivo per cui non sembra si debba riconoscere una rilevanza particolare all’esistenza (constatando la quale una obiezione al discorso portato avanti in queste pagine potrebbe essere mossa), all’epoca della presenza di Aristosseno a Mantinea, di relazioni pacifiche fra la città arcadica e Sparta: ammettendo pure, cosa peraltro alquanto improbabile, che questi occasionali rapporti pacifici abbiano potuto cancellare l’“antilacedonismo”36 più volte affiorante nella vicenda storica mantineese, essi non riescono a dare spiegazione delle ragioni del soggiorno di Aristosseno nella città arcadica, impedendo di conseguenza di coglierne il significato.
36Sembra pertanto opportuno rifarsi al Westphal e al Fougères, mettendo la presenza a Mantinea di Aristosseno, avviato dal padre allo studio della musica, in immediata relazione con la fama che questa città e l’Arcadia tutta, “véritable civilisation de la musique”37, avevano in campo musicale.
37Un passo in avanti rispetto ai due studiosi ora menzionati, ai fini di una più piena comprensione del significato che il soggiorno a Mantinea assume in un’indagine sulla formazione spirituale e culturale di Aristosseno, può essere fatto attraverso una analisi delle tradizioni musicali arcadiche e mantineesi, volta a vedere se esse esibiscano una caratterizzazione particolare, cosa non difficile in una musica come quella greca che si presenta, soprattutto in epoca arcaica, quale insieme di tradizioni regionali in vario modo caratterizzate38.
3. L’Arcadia e la musica
38Nel IV libro delle Storie, per spiegare il comportamento feroce degli abitanti dell’arcadica Cineta al tempo della guerra sociale (220-217 a.C.), Polibio inserisce un’ampia digressione sul carattere degli Arcadi e sul ruolo della musica nel mondo arcadico39. Buona parte di questa che Polibio stesso (IV 21, 12) definisce una ἐκτροπή, una digressione appunto, è citata, nel complesso fedelmente, da Ateneo (XIV 626), trattando della valenza terapeutica della musica40.
39La crudeltà che distingue i Cineti dagli altri Arcadi, noti per la φιλοξενία e la φιλανθρωπία dei loro costumi e usi. e ancora di più per il rispetto verso gli dei, è dovuta, secondo Polibio (IV 20, 3), al fatto che essi hanno abbandonato le istituzioni introdotte in Arcadia ὑπò τῶν ἀρχαίων, prime fra tutte la musica41.
40La musica è per Polibio vera e propria istituzione arcadica o, per meglio dire, pan-arcadica, non esclusiva dunque di singole città, e antichissima, risalente a quegli antichi Ἀρκάδες nei quali la tradizione greca indica i più antichi abitanti dell’Ellade42.
41In polemica con Eforo e con la sua concezione puramente edonistica della musica, Polibio (IV 20, 4-5) sostiene l’utilità pragmatica (ὄφελος) della pratica musicale43 per tutti gli uomini e particolarmente per gli Arcadi, per i quali essa è addirittura necessaria (ἀναγκαῖον). Non a caso, fin dai tempi più antichi, gli Arcadi hanno riservato alla musica un posto particolare “nella loro vita pubblica in tutte le sue manifestazioni”, εἰς τὴν ὅλην πολιτείαν, un’espressione questa che è già di per sé indizio di una particolare caratterizzazione delle tradizioni musicali arcadiche (IV 20, 7).
42La musica è elemento centrale anche del sistema educativo arcadico, cosa che suscita meraviglia in quanti del modus vivendi arcadico conoscono l’austerità (IV 20, 7).
43Presso gli Arcadi lo studio della musica è infatti obbligatorio sia per i παῖδες – generalmente sono così indicati i fanciulli a partire dai 12-13 anni44 – che per i giovani fino al trentesimo anno di età, tappa importante questa nella vita dell’uomo greco45, da Senofonte (mem. I 2, 35) indicata come linea di demarcazione fra la νεότης e l’età adulta. In particolare, Polibio (IV 20, 7) dice che l’educazione musicale è in Arcadia obbligatoria παισὶν οὖσιν ἀλλὰ καὶ νεανίσκοις γενομένοις, dove νεανίσκοι γενέσθαι è espressione sovente impiegata nelle fonti letterarie di epoca ellenistica per indicare il raggiungimento della maggiore età46. I νεανίσκοι menzionati da Polibio sono dunque in generale dei giovani che hanno probabilmente più di 18 anni e certamente meno di trenta.
44Per la verità, in Arcadia, i fanciulli, già prima di aver compiuto i dodici anni (questo è forse il significato dell’espressione παῖδες ἐκ νηπίων usata da Polibio a IV 20, 8), sono abituati a cantare inni e peani per celebrare κατὰ τὰ πάτρια, secondo dunque quanto prescrive la tradizione, eroi e dei della propria città (τοὺς ἐπιχωρίους ἥρωας καὶ θεούς). In una fase successiva sono impegnati (IV 20, 9) nell’apprendimento dei nomoi citarodici47 di Filosseno di Citera e di Timoteo di Mileto, rappresentanti della ‘musica nuova’ attivi tra V e IV secolo a.C., dai loro contemporanei giudicati dei rivoluzionari e con il tempo evidentemente divenuti classici da studiare48.
45Non mancano agli Arcadi le occasioni in cui dare prova di quanto appreso in campo musicale.
46Παῖδες e νεανίσκοι si esibiscono infatti annualmente – dice Polibio (IV 20, 9) –, acccompagnati da suonatori di aulo professionisti, in gare (ἀγῶνες) di danza corale: i παῖδες in agoni παιδικοί, i νεανίσκοι in “agoni chiamati virili” (τοὺς τῶν ἀνδρῶν λεγομένους). Dal contesto in cui se ne fa menzione, emerge la valenza paideutica riconosciuta a questi agoni tra cori di danzatori, formati, come di consueto nel mondo greco49, da membri omogenei per età, in perfetta coerenza con una παιδεία quale quella arcadica che, faceva rilevare A. Brelich50, la terminologia usata da Polibio in questo lungo excursus in cui si parla di νήπιοι, παῖδες, νεανίσκοι e νέοι, indica come organizzata secondo un sistema di classi di età.
47Annualmente hanno luogo in Arcadia anche esibizioni di νέοι, termine che nelle fonti letterarie spesso manca di un significato tecnico preciso alludendo genericamente a giovani51, forse, nel passo di Polibio (IV 20, 12), di età superiore ai νεανίσκοι.
48Essi, dice Polibio, ogni anno ἐπιδείκνυνται, verbo che richiama sostantivi quali ἐπίδειξις ο ἀπόδειξις, indicanti in età ellenistica pubbliche e frequenti esibizioni o prove di alunni e maestri delle quali in alcuni luoghi si sono conservati, ora integri ora frammentari, cataloghi che ne registrano i nomi dei vincitori e grazie ai quali si ha conoscenza degli insegnamenti impartiti nella scuola dell’epoca52.
49Nei teatri, dunque in luoghi pubblici, si svolgono, al cospetto dei loro concittadini, le esibizioni dei νέοι, organizzate – teste ancora Polibio – per iniziativa e a spese della città (μετὰ κοινῆς ἐπιστροφῆς καὶ δαπάνης).
50Queste esibizioni dei νέοι, dal carattere assolutamente pubblico e senza dubbio rappresentanti un momento importante nella vita della collettività, consistono in ἐμβατήρια e ὀρχήσεις.
51Polibio parla di ἐμβατήρια eseguiti con accompagnamento dell’aulo e μετὰ τάξεως, particolare quest’ultimo che rende preferibile l’interpretazione di ἐμβατήρια come marce militari ritmate, accompagnate da musica e forse da canti marziali, dal ritmo probabilmente anapestico, piuttosto che come soli ἐμβατήρια μέλη ο ᾄσματα53.
52I νέοι si esibiscono anche in ὀρχήσεις54. Questo particolare, come l’esistenza prima ricordata di gare di danza per παῖδες e νεανίσκοι, lascia pensare a un insegnamento regolare, organizzato della danza, impartito, ancora al tempo di Polibio, ai giovani arcadi; cosa questa singolare, ricevendo di norma i giovani in epoca ellenistica solo un occasionale addestramento alla danza, sentita – evidentemente non nella conservatrice Arcadia – come qualcosa di ludico, una forma di spettacolo che non ci si degna di apprendere in modo sistematico e che si lascia piuttosto ai professionisti55.
53Il Brelich, che leggeva tutto l’excursus di Polibio come riflesso di antiche pratiche iniziatiche, quali sopravvivono, ovviamente modificandosi nel corso del tempo, nelle aree più conservatrici del mondo greco o culturalmente meno sviluppate (un esempio è fornito da Sparta e da Creta, non a caso associate da Polibio agli Arcadi in nome dell’utilità pragmatica riconosciuta alla musica), interpreta l’esibizione dei νέοι come cerimonia conclusiva del processo di iniziazione. I νέοι, a suo avviso dei neoiniziati, danno prova davanti alla comunità riunita in teatro per l’occasione, sia dell’abilità conseguita nella danza, esempio – sottolinea giustamente Brelich – di agilità come anche di forza e resistenza fisica (Polibio associa del resto alle ὀρχήσεις dei νέοι l’idea del πόνος), sia della avvenuta acquisizione di una preparazione militare (ecco gli ἐμβατήρια), che li rende pronti a cimentarsi nella guerra: le ἐπιδείξεις dei νέοι arcadi non sarebbero insomma altro che “operazioni” e “azioni rituali” cui questi neo-iniziati si sottopongono per dimostrare di possedere ciò che si richiedeva agli adulti nella cui “società” stanno per essere integrati, divenendo in questo modo “membri effettivi del gruppo”56.
54Si condivida o meno la lettura brelichiana del brano di Polibio, che personalmente trovo convincente e sulla quale non pare però questo il contesto per soffermarsi ulteriormente, indubbia è la compresenza, nella esibizione dei νέοι, di aspetto orchestico-musicale e militare.
55La παιδεία di cui i νέοι sono espressione, è dunque un mix in cui si combinano armoniosamente educazione musicale, attività ginnica, logicamente indispensabile all’orchestica, e istruzione militare, componente quest’ultima di grande rilievo nella formazione dei montanari dell’Arcadia, celebrata come terra di abili guerrieri già nell’iliadico catalogo delle navi57 e, nel corso di tutta la storia dei Greci, inesauribile serbatoio di mercenari58.
56Si è detto finora che la musica è, stando a Polibio, una istituzione pan-arcadica, che degli Arcadi pervade tutta la πολιτεία, che è centrale nel loro sistema educativo.
57Ora, l’importanza che gli Arcadi assegnano alla musica si evince anche in altre circostanze della loro esistenza su cui informa Polibio (IV 20, 10-11): durante le συνουσίαι per esempio, i partecipanti si intrattengono non tanto ascoltando cantori fatti venire per l’occasione, quanto cantando essi stessi, dietro ordini che a turno vicendevolmente si danno (ἀνὰ μέρος ᾄδειν ἀλλήλοις προστάττοντες). Non è possibile sottrarsi a questa esibizione canora. Non si ha infatti come giustificazione cui appellarsi il fatto di non saper cantare, in quanto tutti, da fanciulli, sono stati costretti a imparare (διὰ τò κατ’ ἀνάγκην πάντας μανθάνειν) né, d’altro canto, si sarà nemmeno pensato di tirarsi indietro a un tale ‘invito’, essendo questo gesto considerato αἰσχρόν, una vergogna, mentre nulla di cui vergognarsi c’è per gli Arcadi nel riconoscere la propria ignoranza in qualsiasi altro campo del sapere.
58Polibio parla di συνουσίαι, un termine questo che, quando non inserito in un contesto specifico, indica genericamente l’essere, lo stare, il ritrovarsi insieme.
59L’occasione della συνουσία può essere rappresentata da un simposio e in tal caso il termine è spesso accompagnato da espressioni come ἐν οἴνῳ, ἐν τοῖς πότοις59, che pongono l’accento sull’aspetto qualificante di questa espressione della commensalità greca quale è il simposio: il bere si intende, tratto distintivo del simposio rispetto all’altra forma della commensalità greca di epoca storica, il δεῖπνον, in cui si consumano sia cibi che bevande e al quale il simposio fa seguito dopo che si sono rimosse le tavole con i resti del pasto, si è pulito il pavimento e sono state portate nello ἀνδρών le δεύτεραι τράπεζαι su cui si dispongono quei cibi leggeri (dolci, frutta, miele, noci, ecc.) che accompagneranno il bere60.
60Di natura conviviale sono le συνουσίαι di cui parla Polibio: un indizio ne è il fatto che in relazione a esse si parli di ἀκροάματα, termine – come il latino acroama – che propriamente indica audizioni di poesia, di musica, in altre parole di “tutto ciò che diletta l’udito”61 (“quod auditur” è definito nel TGL), ma che spesso (per esempio proprio nel passo polibiano), per metonimia, è usato per designare “ipsa persona quae auditur”. l’esecutore del pezzo62: cantori, attori, più in generale musici, ascoltati in occasioni che, stando alle fonti, sono di natura generalmente (anche se non necessariamente) conviviale63.
61Due aspetti che di queste συνουσίαι Polibio evidenzia, consentono di avvicinarle ai simposi: l’esistenza di una regolamentazione al loro interno64 e il canto a turno, secondo un preciso avvicendamento, dei partecipanti, un tratto questo caratterizzante, quanto meno fino a buona parte del V secolo a.C., il simposio greco, la cui persistenza in Arcadia, ancora al tempo di Polibio, è da imputare al carattere conservatore e periferico della cultura di questa regione65.
62La natura simposiale o, se non si vuole usare un termine certamente impegnativo come questo, conviviale, delle συνουσίαι arcadiche di cui parla Polibio, era posta in rilievo dal Brelich che sottolineava come non si trattasse di “pranzetti privati”, quanto piuttosto di qualcosa di simile ai συσσίτια di Sparta e delle città cretesi66. A “sospettarlo”, si è spinti, secondo il Brelich, dall’esistenza in esse di una precisa regolamentazione, tale da prevedere, secondo un preciso ordine, la performance canora di tutti i partecipanti.
63L’elaborazione di una precettistica conviviale dal carattere rituale, di una rigida regolamentazione da rispettare (per cui si deve ad esempio mischiare il vino con l’acqua secondo prescritte quantità, usare determinati oggetti, parlare in un certo ordine, ecc.), è in realtà, come già detto, una caratteristica del simposio greco, momento – fa notare bene il Pellizer67 – in cui si possono ignorare le leggi di norma regolanti la vita della comunità, sostituite però, quasi fossero state sospese, da altre leggi che è l’occasione del simposio a creare e che i partecipanti ad esso accettano di seguire.
64Non è dunque quella della loro regolamentazione, un’argomentazione valida per suffragare il carattere pubblico delle συνουσίαι arcadiche di cui parla Polibio, a favore del quale (l’idea del Brelich pare quindi assolutamente condivisibile) depongono piuttosto:
il contesto stesso in cui il passo polibiano sulle συνουσίαι si inserisce, tutto volto a illustrare l’uso che gli Arcadi da sempre fanno della musica εἰς τὴν ὅλην πολιτείαν e ricco come è di riferimenti a circostanze, tutte di carattere pubblico, in cui gli Arcadi danno prova della loro perizia musicale;
il fatto che Ateneo (XIV 626c), nella sua citazione dell’excursus polibiano, qualifichi significativamente queste συνουσίαι come “quelle che sono κοιναί”, una definizione simile a quella che dei συσσίτια danno le fonti lessicografiche più tarde68.
65La centralità della musica nel mondo arcadico, con una peculiare caratterizzazione, è assodata. Di essa Polibio fornisce spiegazione, convinto che tutte le usanze da lui ricordate e nelle quali la musica riveste un ruolo centrale, non possano essere state anticamente introdotte τρυφῆς καὶ περιουσίας χάριν (IV 21, 1).
66Queste usanze si spiegano tutte con il fatto che, nella musica, gli antichi Arcadi hanno individuato un rimedio contro la durezza e l’austerità del loro temperamento69, conseguenza naturale dello squallore della regione in cui abitano e del suo clima inclemente. Polibio applica in questo modo agli Arcadi “l’idea” – familiare al pensiero etnografico antico70 – “che esiste uno stretto legame, come condizionamento più o meno forte, fra uomo e luogo”71, per cui le condizioni climatico-ambientali di una regione incidono sul carattere e sul modo di vivere dei suoi abitanti, o, detto più elegantemente, “la natura dei luoghi crea i comportamenti e fissa i tipi etnici”72.
67Con l’intento di addolcire e di mitigare (μαλάττειν καί κιρνᾶν) la propria indole, gli Arcadi coltivano da sempre con passione lo studio della musica così come73, mediante l’istituzione di assemblee comuni e di numerosi sacrifici (συνόδους κοινὰς καί θυσίας πλείστας), hanno cercato di far maturare tra loro quei legami sociali che la natura della regione da essi abitata ostacola, costringendoli a vivere separati, ciascuno per proprio conto74 (IV 21, 1-4). La musica è stata allora per gli Arcadi, in virtù del potere psicagogico che ad essa attribuiscono, fattore di civilizzazione e dagli Arcadi – teste Polibio – è sentita come fatto pubblico, componente della vita della comunità alla pari delle assemblee e delle θυσίαι, la cui conoscenza è necessaria se alla vita della comunità si vuole prendere parte.
68Gli abitanti di Cineta, che hanno abbandonato lo studio della musica, sono non a caso ripiombati in una esistenza selvaggia, bestiale, un θηριώδης βίος (l’espressione non è casuale: Polibio IV 21,6 dice espressamente che essi ἀπεθηριώθησαν) che li porta a essere trattati con avversione da parte delle altre città arcadiche, prima fra tutte Mantinea, le quali, dietro questa avversione, celano un sentimento di paura che la vicenda di Cineta in realtà esercita su di esse e che esse tentano di esorcizzare: paura che – come avvenuto per Cineta – la linea di demarcazione che separa vita selvaggia e civiltà, venga meno anche per loro, facendole precipitare dalla raggiunta civiltà nella sauvagerie75.
69Quest’ultima pare uno spettro, una minaccia costantemente presente e gravante sulla vita delle città arcadiche, così che l’arcade Polibio, volendo chiarire perché abbia inserito il suo lungo excursus nella narrazione, dice che esso, oltre a difendere la buona reputazione degli Arcadi che il comportamento dei Cineti può danneggiare, serve soprattutto a impedire che altri Arcadi trascurino la musica, la sola cosa che pare preservarli dalla ἀγριότης.
70La testimonianza polibiana è certo prova del fatto che l’Arcadia, meta del soggiorno di Aristosseno, non è solo una terra dalle tradizioni musicali forti e antiche. Essa è una terra che assegna alla musica capacità psicagogiche, grande importanza paideutica e una precisa caratterizzazione in senso etico-politico, tale da evocare, secondo il Walbank76, lo stato ideale di Platone.
71Non fa in questo eccezione Mantinea. il cui nome è nelle fonti antiche associato in primo luogo alla danza.
4. Mantinea e l’orchestica
4.1. La tradizione letteraria
72Tra le fonti letterarie sull’orchestica di Mantinea, figura un breve frammento proprio di Aristosseno (fr. 112 Wehrli) citato da Ateneo, autore la cui opera conserva la maggior parte dei frammenti aristossenici superstiti di argomento orchestico77:
ὀρχήσεις δὲ ἐθνικαὶ αἵδε, Λακωνικαὶ Τροιζήνιαι Ἐπιζεφύριοι Κρητικαὶ Ἰωνικαὶ Μανχινικαί, ἃς προκρίνει Ἀρισχόξενος διὰ τὴν τῶν χειρῶν κίνησιν.
Ateneo enumera, forse attingendo ad Aristosseno. diverse danze nazionali tra cui prevalenti sono quelle associate a popoli di stirpe dorica. Su queste danze, salvo quelle dei Mantineesi, Ateneo non fornisce alcuna indicazione78.
73Ad Aristosseno Ateneo deve, se non tutto l’elenco delle ὀρχήσεις ἐθνικαί ricordate, certamente l’indicazione della κίνησις τῶν χειρῶν, il movimento delle mani, come aspetto caratteristico delle danze mantineesi che Aristosseno – il quale sarà stato diretto spettatore di queste danze durante il suo soggiorno nella città arcadica – apprezzava particolarmente.
74Mantinea è dunque, stando al frammento citato, terra di ὀρχήσεις. Dal frammento si apprende anche che queste ὀρχήσεις mantineesi erano gradite ad Aristosseno in virtù di quello che pare un loro tratto peculiare, i movimenti delle mani dei danzatori, per la verità generalmente assai numerosi e vari nelle antiche danze greche, tanto che, per esempio, Luciano chiama talvolta i danzatori χειρίσοφοι ed Esichio attesta l’impiego del termine χειρονόμος come sinonimo di ὀρχηστής79.
75La predilezione che questi movimenti delle mani ispirano in Aristosseno verso le danze mantineesi, può essere compresa alla luce dell’idea che gli antichi Greci avevano della danza: un movimento armonioso del corpo in ogni sua parte. Proprio questo era anzi, secondo Socrate80, il suo pregio: non lasciare nessuna parte del corpo inattiva, così da consentire lo sviluppo equilibrato dell’intero organismo. Questa varietà di movimenti, in cui era coinvolta ogni parte del corpo, incluse le mani, è conseguenza del carattere fortemente mimetico proprio della danza greca antica, τέχνη, scrive Platone, prodotta dalla “imitazione delle parole mediante i gesti”81.
76Alla danza gli Arcadi, e i Mantineesi in particolare, sono associati anche in un passo della Anabasi di Senofonte82 poi ripreso da Ateneo (I 15 e-f) per illustrare la danza iporchematica e riassunto da Massimo di Tiro (XXII 4).
77Al termine di un banchetto offerto dai mercenari greci al seguito di Ciro ad ambasciatori dei Paflagoni giunti al loro accampamento per stipulare con essi una tregua (infatti πολεμικώτατα πρὸς ἀλλήλους εἶχον), cantato il peana, hanno luogo delle danze molto apprezzate dai Paflagoni83.
78Il passo di Senofonte è dunque da leggere in primo luogo come riflesso del carattere ludico, di svago per occasioni conviviali, che la danza nel mondo greco, logicamente secondo forme e tempi non ovunque uguali, assume, smarrendo, in una sorta di “processo designifìcante”84, il proprio originario carattere (bellico, religioso, ecc.)85.
79I primi a cimentarsi nella danza sono alcuni Traci che, armati, eseguono al suono dell’aldo una danza culminante in un duello simulato così realistico, da far credere ai Paflagoni che uno dei due danzatori, quello caduto al suolo, sia morto veramente (an. VI 1, 5-6). Dopo i Traci, Eniani e Magneti eseguono, sempre indossando le armi, e sempre al suono dell’aulo, la καρπαία, una danza – o, per meglio dire, una vera e propria pantomima – di cui da Senofonte si apprende che esisteva più di una versione e che rappresentava un contadino intento ad arare e un ladro che cercava di rubargli i buoi: probabile erede di antiche danze armate con valore apotropaico volte a proteggere il raccolto da ogni sorta di pericoli86 (an. VI 1, 7-8). Un piacevole spettacolo ai Paflagoni è offerto poi da un misio che si cimenta dapprima in finti combattimenti contro avversari immaginari, quindi nella “danza persiana” (τò Περσικόν), “battendo gli scudi, piegandosi sulle ginocchia e rialzandosi”. Il tutto πρòς τòν αὐλόν (an. VI 1, 9-10).
80È quindi la volta dei Mantineesi che, insieme ad altri Arcadi, “alzatisi in piedi coperti da capo a piedi della più bella armatura che avevano potuto trovare, avanzano a passo cadenzato secondo il ritmo enoplio al suono dell’aulo e intonano il peana e danzano come si fa nelle processioni ai templi degli dei”87. La danza dei Mantineesi è seguita dalla esibizione in una pirrica di una ὀρχηστρίς arcade88 (an. VI 1, 12).
81Senofonte fornisce diverse informazioni sulla danza eseguita dai Mantineesi, senza fare però riferimento a quei movimenti delle mani che, nelle danze mantineesi, Aristosseno apprezzava.
82La danza dei Mantineesi descritta da Senofonte, è in primo luogo una danza armata, danzata cioè da uomini in armi: dello stesso genere sono tutte le altre danze eseguite per i Paflagoni dai mercenari greci. È una danza corale e regolata dal ritmo enoplio, εἶδος ῥυθμοῦ secondo il quale si danzava “scuotendo le armi”89. È accompagnata dall’aulo, dal canto del peana e simile a una processione.
83A differenza delle altre danze descritte da Senofonte, non ha carattere mimetico. Meno espressiva rispetto a queste90, è piuttosto somigliante a una processione in onore degli dei, caratterizzata da movimenti collettivi di uomini in armi, di tipo, si potrebbe dire, ‘falangitico’.
84Il Poursat, studiando le raffigurazioni di danze armate sulla ceramica attica, ha individuato numerose raffigurazioni di uomini in armi che, senza eseguire movimenti particolari, si muovono in processione alla presenza di un suonatore di arilo, unico indizio del fatto che le si possa identificare con scene di danza91. Qualcosa di simile a queste marce di armati è la danza dei Mantineesi di cui parla Senofonte.
85Esse, pur non avendo carattere propriamente bellico, quale sembra per esempio essere inizialmente proprio della pirrica, riproduzione con i suoi movimenti di un vero e proprio combattimento92, sono in qualche modo connesse con la pratica militare: fonti letterarie e iconografiche forniscono infatti testimonianza della presenza sul campo di battaglia di auleti93, elemento caratteristico del combattimento oplitico94.
86Con il suono del loro strumento, essi dovevano non solo, e forse non tanto, incitare al combattimento, quanto accompagnare i movimenti degli armati, cadenzarne la marcia facendo sì in questo modo che si mantenesse all’interno della falange la τάξις, elemento essenziale della tattica oplitica, la cui principale novità consiste nell’aver trasformato il combattimento da azione riguardante due singoli individui in azione collettiva, così che “la decisione del combattimento non dipende più da una serie di scontri singolari, e specialmente di duelli di carri, ma dall’urto di due linee di fanti in ordine serrato”95.
87Quanto Senofonte dice sulla danza eseguita dai Mantineesi, fa andare il pensiero agli ἐμβατήρια eseguiti – fonte Polibio (IV 20, 12) – μετ’ αὐλοῦ καὶ τάξεως, verosimilmente accompagnati da canti marziali, in cui si esibivano, tra gli Arcadi, i νέοι96. La danza eseguita dai Mantineesi appare quasi una forma particolare di questi ἐμβατήρια e, come essi, esibisce (almeno originariamente) una connotazione militare97, cosa non strana vista la ricordata perizia degli Arcadi nell’attività bellica, nella quale si segnalano proprio i Mantineesi, ritenuti da Eforo98 εὑρεταί della ὁπλομαχία e da Ermippo, il biografo di età ellenistica, delle μονομαχίαι99.
88Se si è propensi a riconoscere alla danza che i Mantineesi eseguono al cospetto dei Paflagoni una connotazione militare, è certo da escludere, stando almeno a Senofonte, che prevedesse, come al contrario la danza dei Traci o alcune di quelle in cui si cimenta il misio, finti combattimenti contro avversari vuoi reali vuoi immaginari100. Essa è simile a quelle marce ritmate dal carattere processionale compiute da uomini in armi101, delle quali, come già detto, si hanno raffigurazioni vascolari e che rientravano a giudizio degli antichi nel campo delle danze armate: come di danze armate, infatti, Platone parla nelle Leggi delle processioni (πρόσοδοι, stesso termine usato da Senofonte a proposito della danza dei Mantineesi) e dei corteggi (πομπαί) che i giovani, armati (μεθ’ ὅπλων τε καὶ ἵππων), sin da piccoli dovranno eseguire nel suo stato ideale in onore di tutti gli dei, “scandendo al ritmo più o meno veloce della danza e della marcia le loro suppliche agli dei e ai figli degli dei”102. Funzione bellica ed eortologica – fa notare P. Scarpi103 – si fondono per Platone in queste processioni che servono “per prepararsi alle necessità della guerra e per le feste”104.
89Il citato passo di Platone è inoltre interessante in quanto testimonianza della valenza cultuale propria dell’orchestica armata105, specialmente nella forma di danze/marce dal carattere processionale in onore di diverse divinità106, accompagnate dal canto del peana o di uno dei vari canti processionali107 eseguiti al ritmo della musica, per lo più dell’aulo (in fonti sia letterarie che iconografiche è testimoniato l’impiego anche di strumenti cordofoni, talvolta suonati insieme all’aulo108), che nello stesso tempo serviva a regolare il passo dei partecipanti109.
90Accanto a queste danze/marce ora ricordate trova la sua più consona collocazione la danza dei Mantineesi descritta da Senofonte, che possiede dunque, quanto meno inizialmente, connotazione militare ma anche valore religioso.
91È Senofonte stesso a suggerirlo paragonandola a πρόσοδοι πρòς τοὺς θεούς e dando notizia del suo accompagnamento con un canto associato alla sfera cultuale quale il peana110, componente caratteristica e dell’orchestica religiosa e della pratica militare: costume diffuso nel mondo greco, è infatti l’intonazione del peana nell’imminenza del combattimento e dopo il conseguimento della vittoria, con funzione, rispettivamente, di preghiera propiziatoria e di ringraziamento, ma anche di grido di battaglia o di canto di giubilo per la vittoria111.
4.2. Una testimonianza iconografica?
92Alle testimonianze di Aristosseno e di Senofonte sul legame esistente tra Mantinea e la danza, se ne può aggiungere, secondo L. Lacroix, un’altra di diversa natura.
93In un articolo del 1967, lo studioso ha infatti proposto di vedere nel personaggio barbuto e curiosamente abbigliato che compare sul D/ di alcune monete mantineesi coniate dopo la rifondazione della città nel 370 a.C., un danzatore in costume arcade impegnato in una danza armata.
94Il Lacroix respingeva così l’interpretazione di questo tipo monetale risalente allo Svoronos112, e poi generalmente accolta113, secondo la quale esso sarebbe da mettere in relazione con la saga odissiaca, dovendosi quindi riconoscere nello strano personaggio Odisseo, giunto, come gli era stato profetizzato da Tiresia114, tra genti “che non sanno del mare”, che “non conoscono navi dalle gote purpuree né i maneggevoli remi che sono per le navi le ali”, espressioni con le quali Tiresia avrebbe dunque voluto indicare gli Arcadi.
95Odisseo sarebbe raffigurato secondo lo Svoronos nell’atto di piantare nel terreno, seguendo le prescrizioni di Tiresia (Od. XI 129-131), il suo “maneggevole remo” (εὐῆρες ἐρετμόν), per poi compiere sacrifici a Poseidone, il cui altare, sormontato dai busti dei Dioscuri, suoi ministri venerati a Mantinea115, lo Svoronos ritiene sia raffigurato sul R/ delle stesse monete116.
96A sostegno della sua lesi, lo Svoronos richiamava le numerose tradizioni antiche da cui emerge il legame fra la coppia Odisseo-Penelope e il mondo arcadico117.
97Le obiezioni sollevate dal Lacroix alla tesi dello Svoronos sono diverse e di diversa natura:
gli Arcadi, al tempo della spedizione contro Troia, hanno conosciuto il mare imbarcandosi su navi date loro da Agamennone118;
secondo Apollodoro (VII 34) Odisseo sacrifica a Poseidone nella terra dei Tesprozi;
l’oggetto che il personaggio raffigurato sulle monete ha in mano, somiglia molto più a un giavellotto, elemento caratteristico dell’armatura arcadica, che a un remo, il quale, per come è impugnato, non potrebbe del resto essere piantato nel terreno;
la veste che il personaggio indossa (una tunica serrata in vita da una cintura) e il copricapo che ha in testa, ricordano molto da vicino l’abbigliamento tipico di contadini e pastori arcadi noti da diverse statuette bronzee.
98Il personaggio raffigurato sulle monete non può allora a giudizio del Lacroix, sia per il giavellotto che con ogni probabilità ha in mano, sia per ciò che indossa, che essere un arcade119.
99La posizione delle ginocchia poi, visibilmente flesse, suggerirebbe di identificarlo con un danzatore ritratto nella esecuzione di una danza, evidentemente armata.
100Un altro particolare è a questo riguardo sottolineato dal Lacroix120: la veste del personaggio appare sollevata all’altezza della vita, cosa che a suo parere si può spiegare ipotizzando che abbia appena eseguito un salto in alto, movimento caratteristico (ma non certo non esclusivo) della pirrica121, danza armata per antonomasia (tanto che il termine πυρρίχη può essere impiegato per designare la categoria tutta delle danze armate) conosciuta in Arcadia122.
101Assolutamente singolare – fa ancora notare il Lacroix123 – è poi la forma delle scarpe indossate dal personaggio, che, con la loro punta ricurva, somigliano per lo studioso a dei serpenti, animali che avevano un particolare significato per i Mantineesi (il Lacroix ricorda il corso d’acqua chiamato Ophis – ὄφις è in greco il serpente – che bagnava il territorio della città e il ruolo attribuito al serpente in una leggenda di fondazione riferita da Pausania) come per tutti gli Arcadi, in quanto simbolo della autoctonia, vanto della razza arcadica124.
102Con queste emissioni monetali, non casualmente posteriori al 370 a.C., i Mantineesi avrebbero voluto, secondo il Lacroix125, celebrare la rinascita della loro città con le sue istituzioni (tale era appunto la danza) e i suoi culti (quello dei Dioscuri), nonché la formazione della Lega arcadica, il cui leader, Licomede, fa della autoctonia arcade un elemento portante della sua politica nazionalista, avendone compresa l’importanza come strumento di propaganda e come “collante”126 della neonata lega.
103Non ho la competenza necessaria per esprimere un giudizio sugli argomenti del Lacroix, la cui tesi è accolta da P. Borgeaud127 e, sebbene non si esprima apertamente in merito, dalla Burelli Bergese128. Resta comunque un dato di fatto la particolare attitudine alla danza che la tradizione antica riconosce ai Mantineesi, cosa che non meraviglia essendo essi degli Arcadi, Arcadi che, ancora in età ellenistica – teste Polibio – lasciavano spazio alla danza nella loro παιδεία.
104È su queste basi che l’erudizione antica collegherà, in una tradizione respinta come μυθώδης da Plutarco (Nu. 13, 7), il nome dei Salii, gli antichi sacerdoti romani capaci di eseguire complesse danze rituali, a un Salius compagno di Enea, mantineese, secondo Polemone di Ilio (FHG, III, fr. 37), tegeate, secondo Virgilio (Aen. V 298), più in generale arcade secondo Servio (Aen. VIII 285) e Varrone (ap. Isid. orig. XVIII 50), che, giunto in Italia, avrebbe insegnato la danza alla gioventù romana129.
5. Fare musica a Mantinea
5.1. La tradizione letteraria
105Sulle tradizioni musicali di Mantinea e la loro caratterizzazione, informa un passo significativo del dialogo pseudoplutarcheo De musica130.
106I Mantineesi sono menzionati nel capitolo 32 con il quale ha inizio la sezione conclusiva dell’opera, dedicata al tema dell’educazione musicale. Molto è il materiale aristossenico in essa confluito: Aristosseno è del resto, con Glauco di Reggio ed Eraclide Pontico, una delle principali fonti del dialogo.
107Proprio Aristosseno è con buona probabilità la fonte ultima seguita dall’autore del dialogo nel capitolo 32.
108“Se dunque uno vuole coltivare la musica in modo bello e saggio, imiti fedelmente lo stile antico”131: questo è l’incipit del capitolo 32 che viene con esso a collegarsi in modo evidente, e senza alcuna soluzione di continuità, al capitolo precedente in cui, sulla scia di Aristosseno, espressamente citato come fonte, si tratta del contrasto, che si dimostra essere inconciliabile, fra la musica antica e quella moderna, rispettivamente rappresentate da Pindaro e da Filosseno di Citera e delle quali la prima è considerata superiore132.
109L’incipit stesso del capitolo 32 e l’assoluta continuità che quest’ incipit stabilisce tra esso e il capitolo precedente, sono convincenti indizi della sua dipendenza dalla medesima fonte seguita dallo pseudo Plutarco per il capitolo 31: Aristosseno.
110Un indizio della matrice aristossenica del capitolo 32, è ravvisabile anche nel consiglio che viene dato all’aspirante μουσικός e che fa seguito alla raccomandazione rivoltagli di seguire τὸν ἀρχαῖον τρόπον: lo si invita ad affiancare alla μουσική lo studio di altre discipline (μαθήματα), a cominciare dalla filosofia, la quale è anzi da considerare come guida, essendo essa acconcia a giudicare il μέτρoν conveniente (πρέπον) e utile (χρήσιμον) alla musica133.
111Questo invito suona congeniale ad Aristosseno, musicus idemque philosophas per dirla con Cicerone134 e i cui discepoli – fonte Porfirio – sono detti aver dato direttamente prova dell’importanza della filosofia, soprattutto di quella degli antichi, nello studio della musica135. Da notare è anche la presenza nel passo delle nozioni di μέτρον e di πρέπον, familiari agli ambienti cui rimonta la formazione filosofica di Aristosseno: colorito pitagorico ha infatti la nozione di μέτρυν, componente essenziale – teste lo stesso Aristosseno136 – del βίος πυθαγορικός; centrale in ambiente peripatetico è la nozione del πρέπον, parametro di giudizio etico ed estetico applicato alla musica da Eraclide Pontico137.
112Ai suggerimenti rivolti a chi voglia coltivare la musica, segue, secondo il testo stabilito – sulla scorta di un intervento del Westphal138 sul testo tradito – nell’edizione del De musica curata da H. Weil e T. Reinach139, l’indicazione delle tre parti (μέρη) che nella μουσική si distinguono: la άρμονική, la ῤυθμική e la μετρική. Nell’edizione Bernardakis140 dell’operetta come in quella curata da F. Lasserre141 e, infine, in quella approntata da K. Ziegler per la collezione teubneriana142, si preferisce invece seguire il testo dei manoscritti, secondo il quale le tre parti εἰς ἃ διῄρηται τὴν καθόλου διαίρεσιν ἡ πᾶσα μουσική sono, non gli ambiti costituenti la μουσική, bensì i tre generi armonici fondamentali: diatonico, cromatico ed enarmonico143.
113Colui che si avvicina alla μουσική, asserisce lo pseudo Plutarco se si segue il testo edito dal Lasserre e dallo Ziegler, “occorre che conosca la forma di composizione che fa uso di ciascuno di essi e che sia padrone della interpretazione dei pezzi composti secondo questi”144.
114Accogliendo – come il contesto spinge a fare – questo testo, si ricava una ulteriore prova della ascendenza aristossenica del capitolo.
115L’importanza che viene in esso assegnata ai generi armonici, è infatti in linea con l’ampiezza della trattazione – cronologicamente la prima quanto a sistematicità145 – che ad essi Aristosseno riserva negli Elemento Harmonica.
116Aristossenica è inoltre la classificazione esposta dei generi armonici146, indizio per il Lasserre di un ritorno da parte dell’autore del dialogo alla fonte principale del capitolo, anche dal Lasserre individuata in Aristosseno, dopo la rapida osservazione sul rapporto fra musica e filosofia e sulla subordinazione della prima alla seconda, che allo studioso pareva fuori posto e addirittura rivelatrice di un rapido mutamento di fonte147.
117A luce degli elementi addotti, sembra possibile ritenere certa la derivazione del capitolo 32 del De musica da Aristosseno. Ancora più interessante risulta dunque, tenendo conto del fatto che Aristosseno soggiornò a Mantinea, il riferimento ai Mantineesi presente in questo capitolo, lì dove si tratta dell’insegnamento della musica.
118L’insegnamento della musica (μάθησις τῶν περὶ τὴν μουσικὴν) è, dice Aristosseno-pseudo Plutarco, ἐθισμός, un fatto di abitudine (“routinier” nella traduzione del Lasserre), non essendo mai stato messo in luce per quale ragione l’allievo debba apprendere ciascuna delle cose che gli vengono insegnate.
119Non è stato mai fissato nemmeno il numero dei τρόποι148 πρòς τὴν τοιαύτην ἀγωγήν τε καὶ μάθησιν, un’espressione quest’ultima che dà prova della dipendenza dello pseudo Plutarco ancora da Aristosseno: nel capitolo precedente, di dichiarata derivazione aristossenica, si trova attribuita ad Aristosseno la stessa distinzione fra ἀγωγή e μάθησις, ossia, si potrebbe dire, fra educazione e istruzione149.
120In mancanza di norme precise, “la maggior parte delle persone impara a caso ciò che al maestro e all’allievo piace rispettivamente insegnare e apprendere: ci sono però popoli assennati che respingono questo metodo di giudizio mancante di ogni sistematicità, come per esempio gli Spartani anticamente, i Mantineesi e i Pelleni: questi infatti, scelto un solo τρόπος musicale o al massimo quei pochi che sembravano loro adatti a correggere il carattere, solo questa musica coltivavano”150.
121Questi popoli che, solo ponendoli in diversa successione (Mantineesi-Spartani-Pelleni), menziona anche un frammento del primo libro del De musica di Filodemo151, in un contesto che corrisponde a quello dello pseudo Plutarco152, hanno dunque regolamentato l’educazione musicale limitando l’apprendimento a pochi τρόποι musicali; questo a motivo della capacità – in genere nota come dottrina dell’ethos musicale153 – encoursriconosciuta alla musica di agire sull’anima e quindi sull’indole e sui costumi di chi ascolta, implicante ovviamente una distinzione fra una musica buona da coltivare e una cattiva da evitare.
122Gli unici τρόποι ammessi sono chiaramente quelli che si ritiene esplichino questa capacità di azione in senso positivo, suscitando cioè in chi ascolta nobili sentimenti, così da produrre una ἐπανόρθωσις τῶν ἠθῶν, quasi un’espressione idiomatica questa (o simili, con ἐπανόρθωσις – ο ἐπανόρθωμα ο ἐπανορθωτικός – connesso a τρόπος o a ψυχή) che, significativamente, compare frequentemente nelle fonti in connessione con riflessioni sulla musica di matrice pitagorica154, a indicare la potenzialità della musica di raddrizzare, di correggere il carattere una volta allontanatosi dalla corretta disposizione155.
123A questo scopo è finalizzata, risulta quasi strumentale la scelta dei τρόποι da apprendere fatta da Mantineesi, Spartani e Pelleni, scelta nella quale non sarà stato evidentemente tenuto in particolare considerazione il loro pregio da un punto di vista squisitamente estetico-musicale156.
124È evidente che Aristosseno-pseudo Plutarco guarda con favore a questi popoli (li giudica infatti συνετοί) e alla loro, se si vuole, censoria παιδεία musicale. Critico è invece nei confronti del costume dominante presso gli altri popoli, quelli che lasciano l’insegnamento della musica al caso, senza preoccuparsi di fissare alcuna regolamentazione in materia, della quale Aristosseno-pseudo Plutarco mostra al contrario di avvertire l’esigenza.
125Il passo dello pseudo Plutarco testimonia dunque che Aristosseno, fiducioso – come si è visto commentando il fr. 6 Wehrli – nel potere psicagogico della musica, condivideva l’idea della necessità di una legislazione in ambito musicale: di rendere cioè la musica oggetto di disposizioni di legge e quindi di attività politica.
126Nel passo dello pseudo Plutarco sembra lecito scorgere l’invito, la raccomandazione da parte di Aristosseno a fare proprio, nell’insegnamento della musica, il modello di παιδεία offerto dai popoli che sono chiamati in causa. Non pare pertanto azzardato dire che nel passo in questione c’è, da parte di Aristosseno, la formulazione di un programma educativo preciso e non – come credeva invece il Lasserre157 – la sola espressione di valutazioni personali.
127Se questa lettura del passo può forse essere criticata come scaturita da una semplice suggestione, un dato oggettivo che dal passo emerge, è l’ammirazione da parte di Aristosseno per i costumi musicali mantineesi (non solo allora per le danze) in virtù della loro peculiare caratterizzazione158.
128Quanto a questa, è significativo che il nome di Mantinea sia posto, nel passo dello pseudo Plutarco, accanto a quello di Sparta, insieme a Lesbo uno dei centri più importanti nel panorama musicale della Grecia arcaica, in grado di attrarre poeti e musici di diversa provenienza: dal lesbio Terpandro a Taleta di Gortina, promotore insieme ad altri autori, tutti di origine straniera, i cui nomi riferisce lo pseudo Plutarco159, della cosiddetta seconda κατάστασις musicale spartana.
129Sparta è inoltre ambiente in cui diffuso, giù all’inizio del VII secolo a.C.160, e particolarmente curato, era l’insegnamento della musica161 e che riconosceva alla musica una specifica valenza sociale e politica, in virtù – riecheggiando le parole usate da Plutarco (Lyc. 4, 3) a proposito delle ᾠδαί di Taleta – della’capacità ad essa attribuita di rendere gli animi amanti della virtù e così disposti alla obbedienza e alla concordia162.
130Su queste basi sono potute nascere le tradizioni relative alle figure di Terpandro e Taleta che con i loro carmi avrebbero liberato Sparta dai conflitti interni che la travagliavano163; così come la connessione, evidenziata nelle fonti, tra l’attività dei numerosi musici operanti a Sparta fra VII e VI secolo a.C. e le principali feste cittadine, segno di uno stretto legame fra musica e vita civica, di interesse per la musica come fatto pubblico: a Terpandro, autore della prima κατάστασις musicale a Sparta164, si tende ad esempio ad ascrivere l’introduzione nelle feste Carnee di agoni citarodici165 dei quali Ellanico (FGrHist 4 F 85a = Terp. test. 1 Gostoli) lo ricorda come il primo vincitore; ai promotori della seconda κατάστασις musicale, lo pseudo Plutarco (de mus. 9, 1134 C = p. 8, 14-17 Ziegler) assegna l’introduzione e l’ordinamento, nella festa delle Gimnopedie, di agoni musicali.
131Ai nomi di questi ultimi, nel medesimo passo dello pseudo Plutarco, è legato anche l’ordinamento della festa argiva degli Ἐνδυμάτια e delle Ἀποδείξεις arcadiche, da A. Brelich identificate – sulla scorta del Latte – nella discussa cerimonia descritta da Polibio (IV 20, 12) durante la quale i νέοι arcadi ἐπιδείκνυνται166.
132Quest’ultima notizia data dallo pseudo Plutarco, oltre a essere una ulteriore testimonianza dell’importanza riconosciuta alla musica in Arcadia come elemento della vita civica, riflette un legame strutturale ravvisabile tra mondo arcadico e spartano, entrambi attenti alla educazione musicale (e militare) dei giovani e inclini ad assegnare alla musica, in virtù del suo potere psicagogico, una precisa valenza etico-politica.
133I Mantineesi non costituiscono eccezione rispetto al gruppo etnico (gli Arcadi) cui appartengono e in senso ‘arcadico’ sono caratterizzate – teste il passo analizzato del De musica – le loro tradizioni musicali che Aristosseno-pseudo Plutarco può per questo motivo avvicinare a quelle spartane e che, proprio a ragione della loro peculiare caratterizzazione, apprezza.
134Un portato della valenza etico-politica riconosciuta alla musica e quindi della sua necessaria regolamentazione, è chiaramente la difesa delle forme musicali tradizionali contro ogni tendenza innovatrice che potrebbe rivelarsi nefasta.
135Se non si conosce nulla della musica di Pellene, è invece ben noto il conservatorismo in campo musicale degli Spartani, contrari a qualsiasi innovazione che potesse alterare il sistema musicale tradizionale. Non senza un certo vanto gli Spartani ricordavano – fonte Ateneo (XIV 628 b) – “di aver salvato per ben tre volte la musica quando questa si stava corrompendo”, alludendo a provvedimenti adottati dagli efori contro le innovazioni introdotte nella musica da Terpandro, Frinide di Mitilene e soprattutto da Timoteo di Mileto167, innovatore per eccellenza di cui Pausania (III 12, 10) dice che gli Spartani conservavano la cetra appesa, come una sorta di ex-voto, nella Σκιάς, enigmatico edificio circolare nel quale Pausania, sempre nello stesso passo, afferma che ancora alla sua epoca gli Spartani ἐκκλησιάζουσι168.
136Anche le tradizioni musicali mantineesi dovettero essere di tendenze conservatrici: di Mantinea è infatti quel Tirteo che lo pseudo Plutarco, probabilmente sempre sulla scorta di Aristosseno, ricorda insieme agli altrettanto oscuri Andrea di Corinto e Trasillo di Fliunte e ad anonimi ἕτεροι πολλοί, come esponente di una corrente musicale fortemente conservatrice, ostile a ogni tipo di innovazione169.
5.2. Una testimonianza iconografica
137Archeologi francesi rinvennero nel 1887 a Mantinea, riutilizzate, capovolte, nel pavimento di una chiesa bizantina, tre lastre marmoree con bassorilievi170.
138Due di queste lastre recano figure delle Muse (in numero di sei), ritratte ognuna a sé stante, con in mano strumenti musicali e una un rotolo papiraceo.
139Sulla terza lastra è invece raffigurato l’agone musicale fra Apollo e il satiro Marsia171, grande “evento sonoro mitico”172 variamente narrato nelle fonti antiche e in vario modo interpretato dagli studiosi moderni173, destinato ad avere lunga vita nella storia dell’arte figurativa174.
140Apollo, che già si è esibito, è seduto su di una roccia e regge con la mano sinistra una cetra di grandi dimensioni e riccamente decorata175. Più di uno studioso, descrivendo la scena, ha posto in evidenza come il dio appaia immerso in una quiete profonda che probabilmente gli deriva dalla certezza della vittoria176. La divinità assiste impassibile alla esibizione di Marsia che, contrariamente ad Apollo assai concitato177, è raffigurato sulla destra della lastra intento a suonare l’aulo (si tratta ovviamente dell’aulo doppio, costituito cioè da due canne di uguale o diversa lunghezza suonate insieme, molto più ricorrente nella tradizione greca rispetto all’aulo monocanna). Verso Marsia avanza minaccioso con un coltello in mano un’altra importante figura della vicenda mitica: lo schiavo scita, allusione alla terribile sorte che attende Marsia (finisce infatti impiccato e scoiato), raffigurata, come osservato dal Clairmont178, principalmente in immagini di epoca tardoellenistica e romana.
141È opinione pressoché concorde degli studiosi che un passo di Pausania faccia luce sulla natura di queste lastre.
142Pausania descrive in questo passo un “tempio duplice” di Mantinea costituito di due ambienti separati da un muro. In essi si custodivano rispettivamente una statua di Asclepio, opera di Alcamene (attivo tra il 440 e il 400 a.C. circa), e un gruppo scultoreo raffigurante Leto e i suoi figli, realizzato da Prassitele “tre generazioni dopo Alcamene”. Sul basamento di quest’ultimo, aggiunge Pausania, sono raffigurate le Muse e Marsia che suona l’aulo179.
143Non è stato certo difficile per gli studiosi collegare al passo di Pausania le lastre rinvenute dagli archeologi francesi, unanimemente considerate (salvo recenti eccezioni180) come il rivestimento del basamento del perduto gruppo scultoreo prassitelico.
144Pausania attribuisce esplicitamente a Prassitele gli ἀγάλματα di Leto, Apollo e Artemide, soggetti che i Mantineesi avranno commissionato a Prassitele – la cui bottega era certo nota in Arcadia dopo che il padre Cefisodoto aveva realizzato per la neonata città di Megalopoli (368/7 a.C.) un gruppo scultoreo raffigurante Zeus assiso in trono con ai lati la personificazione della città e Artemide Soteira181 – in quanto l’artista doveva conoscerli bene, avendo forse già realizzato la triade apollinea per il tempio di Apollo Prostaterios a Megara182 e la statua di Leto per il santuario argivo della dea183. Nel passo di Pausania non sono invece direttamente associati al nome di Prassitele i rilievi delle lastre del basamento, dagli studiosi moderni concordemente considerati “workshop products”184, opera cioè di maestranze attive nella bottega del maestro.
145Quanto alla datazione dell’opera, la triade da Pausania attribuita a Prassitele è assegnata, negli studi più recenti, ad anni intorno al 350 a.C. Più tardi sono generalmente considerati i rilievi delle lastre del basamento, per i quali L. Todisco185, insieme ad altri studiosi, ritiene che si possa accogliere la datazione data loro già da M. Wegner186, vale a dire il decennio 330-320 a.C.187.
146Nulla resta della triade realizzata, stando a Pausania, da Prassitele. Una ipotesi può tuttavia essere formulata circa l’ἄγαλμα di Apollo: molto probabilmente la divinità era raffigurata nella veste di citaredo, con quello strumento, la cetra, di cui essa è indicata nelle fonti188 quale mitica inventrice e che nelle testimonianze iconografiche, è, insieme alla lira, l’altro strumento cordofono per eccellenza nel mondo greco189, suo caratteristico attributo190.
147A suggerirlo sono monete mantineesi di età imperiale (severiana) recanti al R/ la figura di Apollo stante rivestito di una lunga tunica e con in mano il plettro e la cetra191. L’Apollo di queste monete mantineesi è infatti molto simile a quello che compare su monete megaresi, anch’esse di età severiana, le quali esibiscono al R/ la raffigurazione della già menzionata triade realizzata da Prassitele per la città: Apollo in costume da citaredo, con il plettro nella mano destra e la cetra nella sinistra, campeggia fra Leto e Artemide, quest’ultima ritratta come cacciatrice, con l’arco nella mano sinistra e con la mano destra portata verso la spalla per prendere la freccia dalla faretra192.
148Si può ragionevolmente supporre che i gruppi scultorei di analogo soggetto realizzati da Prassitele per le due città fossero simili193 e che dunque nel gruppo di Mantinea le divinità fossero disposte come in quello di Megara, con Apollo in posizione centrale e raffigurato come citaredo.
149Se tutto questo è vero, e se si ammette la pertinenza delle lastre al gruppo scultoreo realizzato da Prassitele di cui parla Pausania, si stabilisce un chiaro rapporto tra la statua cultuale di Apollo e i rilievi delle lastre del basamento: queste ultime, come fa notare A. Corso194, raffigurando l’agone musicale tra Apollo e Marsia al cospetto delle Muse, conclusosi con la vittoria del dio, celebrano Apollo nella sua veste di citaredo, in accordo dunque con la statua cultuale che sormontava il basamento.
150Una celebrazione di Apollo e più ancora della cetra: questo parrebbe essere in definitiva il monumento ‘prassitelico’ con le sue immagini di contenuto ‘sonoro’195.
151Per esso, collocato in una città dalle famose, antiche e peculiarmente caratterizzate tradizioni orchestiche e musicali, quasi si impone una lettura che con queste tradizioni cerchi di metterlo in rapporto.
152Una lettura in questi termini del monumento è stata in effetti proposta in tempi diversi da diversi studiosi196 e pare – soprattutto in considerazione della sua ormai più accreditata datazione – più persuasiva della interpretazione come “politisches Monument”: espressione cioè, in virtù dello stretto legame esistente nella tradizione antica fra l’auletica e la Beozia197, di sentimenti antitebani, forti a Mantinea nel corso del IV secolo a.C.198.
153Più di uno studioso ha dunque parlato del monumento ‘prassitelico’ come di una espressione dell’ideologia musicale di Mantinea, senza però motivare affermazioni di così generale portata.
154Un’eccezione sembra rappresentata da G. Fougères. Lo studioso, nel suo ancora fondamentale Mantinée et l’Arcadie orientale, proponeva di collegare il monumento ‘prassitelico’ e soprattutto la scelta per esso di un soggetto quale l’agone fra Apollo e Marsia, al vivace dibattito critico sviluppatosi intorno alla ‘musica nuova’, espressione solitamente usata per indicare le innovazioni che a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. interessano la musica greca determinandone una trasformazione199.
155Le fonti antiche – come meglio si vedrà nel capitolo seguente – indicano nella πολυχορδία. nell’impiego cioè di strutture melodiche più ricche di suoni di quelle tradizionali, una delle tendenze di fondo della ‘musica nuova’. È evidentemente questa tendenza della ‘musica nuova’ all’uso di molti suoni, che porta il Fougères a stabilire una connessione fra le innovazioni musicali e l’aulo, strumento dalle molte potenzialità espressive (πάμφωνος lo definisce Pindaro200, πολυχορδότατος Platone201) la cui musica, con la sua vasta gamma di suoni, esponenti del nuovo gusto musicale (come, tra gli altri, Frinide di Mitilene, Melanippide di Melo, Timoteo di Mileto) cercano di imitare con la cetra202 aumentandone il numero delle corde, così da estendere e variare il suo ambito tonale e da ottenere con essa la stessa πολυφωνία possibile con l’aulo203.
156Le dispute che le innovazioni musicali suscitano tra quanti le apprezzano e quanti invece contro di esse difendono la musica tradizionale, diventano nell’ottica del Fougères dispute tra sostenitori rispettivamente dell’aulo e della cetra. La eco di queste dispute sarebbe con ritardo arrivata per Fougères nella periferica Arcadia e quindi a Mantinea che, coerentemente con le sue tradizioni musicali conservatrici, in esse si sarebbe inserita, celebrando, attraverso il monumento ‘prassitelico’, la propria musica, quella tradizionale, quale era sentita la musica della cetra.
157Le ipotesi del Fougères sono certo suggestive. È però forse possibile avanzare una spiegazione del monumento ‘prassitelico’, sempre in termini di ideologia musicale, più semplice di quella proposta dal Fougères, che non chiami in causa la ‘musica nuova’ e le sue innovazioni e che soprattutto non implichi una tanto netta opposizione fra cetra e aulo.
158A tale scopo occorre ripensare al passo del De musica pseudoplutarcheo sui costumi musicali di Mantinea che è stato oggetto di ampia analisi: di esso il monumento ‘prassitelico’, celebrando la cetra e la sua musica, sembra la traduzione nel linguaggio delle immagini.
159Dal passo del De musica si apprende che i Mantineesi, riconoscendo, non diversamente dagli Arcadi tutti, potere psicagogico alla musica, hanno ritenuto opportuno regolamentarne l’insegnamento, ammettendo nella propria παιδεία musicale esclusivamente i τρόποι ritenuti capaci di influenzare gli animi degli ascoltatori positivamente, correggendone il carattere.
160Ora, la cetra è strumento dalle limitate potenzialità espressive, certamente più limitate di quelle dell’aulo, strumento la cui musica è invece – come appena si è detto – caratterizzata da grande varietà di suoni e il quale, soprattutto grazie ai perfezionamenti tecnici ad esso apportati da Pronomo di Tebe, compositore e auleta famoso attivo nella seconda metà del V secolo a.C.204, consentiva la esecuzione di tutte le άρμονίαι.
161Uno strumento di questo genere non doveva risultare gradito ai Mantineesi. Con la sua πολυχορδία infatti, l’aulo contrastava con la regolamentazione che essi avevano dato all’insegnamento della musica e che, dall’aldo, avrebbe finito per essere vanificata: con l’aulo sarebbe stato possibile eseguire anche i τρόποι musicali che la πόλις aveva escluso dalla sua παιδεία. Non a caso l’aulo è risolutamente bandito pure dalla città ideale di Platone, nella quale, non diversamente da quanto si verificava a Mantinea, a ben poche ἁρμονίαι (solo la dorica e la frigia) si sarebbe, nei desideri del filosofo, dovuto riconoscere legittimità.
162Il monumento ‘prassitelico’ con le sue immagini ‘sonore’, risulterebbe così testimonianza iconografica dei costumi musicali di Mantinea, e in particolare della avversione della città nei confronti di una musica, quale quella dcll’aulo, che si sottraeva a ogni regolamentazione.
163Ad esprimere questa avversione, dovette ai Mantineesi apparire idoneo un soggetto quale la contesa fra Apollo e Marsia, vicenda mitica dai significati in assoluto più diversi (contrasto fra musica divina e umana, fra musica greca e barbara205, esempio di ὕβρις punita206, ecc.) e nella quale una componente fondamentale della μουσική, l’agone207, si concretizza: le fonti letterarie, da Platone (Rp. III 399 E) ad Aristide Quintiliano (II 19, p. 91, 23-27 Winnington-Ingram), non mancano infatti di testimoniare come questo episodio mitico fosse sentito funzionale a screditare l’aulo e la sua musica208.
164Esemplificativo in tal senso è un passo dal sapore aneddotico della Vita di Alcibiade di Plutarco209, dagli studiosi210 letto come espressione nella tradizione letteraria di una ostilità verso l’aulo e la sua musica maturata, a partire dalla metà del V secolo a.C., in ambienti dell’élite ateniese e della quale il Nordquist ha proposto di scorgere un riflesso nella progressiva scomparsa della figura dell’auleta dalle raffigurazioni vascolari di scene di sacrifici211.
165Dell’aneddoto Plutarco (Alc. 2, 7) fa in un certo senso l’αἴτιον della scomparsa dell’aulo dall’insegnamento musicale di norma impartito ai giovani di Atene212.
166Alcibiade, ancora bambino (Plutarco dice infatti che l’episodio si verificò quando Alcibiade εἰς τò µανθάνειν ἧκε, cosa che, per i bambini che potevano avere accesso all’istruzione, accadeva tra i cinque e i sette anni213), si rifiuta di apprendere a suonare l’aulo, “ritenendo quella disciplina ignobile e indegna di un uomo libero”. Si volge quindi al patrimonio mitico tradizionale e in esso trova referenti che danno al suo rifiuto autorevole sostegno: uno di essi è proprio la sorte toccata all’auleta Marsia, vinto e “scorticato” (ἐκδέρειν è il verbo che usa Plutarco) da Apollo214.
6. Conclusioni
167L’analisi delle tradizioni musicali arcadiche e di quelle mantineesi in particolare. condotta con l’ausilio di testimonianze di diversa natura, letterarie e iconografiche, evidenzia una loro peculiare caratterizzazione, consentendo così di dire che Mantinea, e con essa l’Arcadia tutta, è un ambiente dalle tradizioni musicali (e orchestiche) non soltanto solide e antiche, ma anche caratterizzate in un senso ben preciso.
168Mantinea, come tutto il mondo arcadico, riconosce alla musica, in virtù della fiducia nutrita nella sua capacità di azione sull’anima di chi ascolta, un importante ruolo etico (può destare o, nel caso siano solo sopiti, risvegliare nell’ascoltatore determinati sentimenti), sociale e politico (agendo sull’animo degli ascoltatori, la musica finisce per incidere sui loro comportamenti): di qui la necessità di regolamentare, ovviamente in modo conforme a questi presupposti, il suo insegnamento.
169Date queste premesse, non stupisce certo il conservatorismo al quale le tradizioni musicali mantineesi sono improntate e che, essendo tali premesse valide per l’Arcadia tutta, sembra legittimo ritenere un elemento distintivo del gusto musicale arcadico in generale215, coerentemente del resto con il carattere conservatore che l’Arcadia, terra dall’“alto livello di conservazione delle tradizioni”216, manifesta per esempio nel suo dialetto (l’arcado-cipriota è dei dialetti di epoca storica quello che più di altri richiama il greco miceneo217), nella vita politica (penso al tardo emergere in Arcadia della struttura cittadina e alla persistenza della βασιλεία218), nel suo universo religioso (il pensiero corre ad esempio ai culti arcadici, studiati da P. Lévêque, di singolari divinità dall’aspetto teriomorfo e dai nomi spesso segreti, con caratteristiche che evocano la religiosità di secondo millennio219).
170Nell’analisi svolta delle tradizioni musicali e orchestiche di Mantinea, un contributo fondamentale è venuto da Aristosseno.
171È Aristosseno infatti a informare su un particolare caratteristico delle ὀρχήσεις mantineesi e di matrice aristossenica sono pure le notizie sulla musica di Mantinea presenti nel De musica pseudoplutarcheo.
172È evidente allora che Aristosseno era interessato alle danze e alla musica della πόλις in cui ha soggiornato, tanto da farne, probabilmente, l’oggetto di un’indagine, forse non ignorata da Polibio nella sua lunga ἐκτροπή sul ruolo della musica nel mondo arcadico220.
173Della musica mantineese (ma anche della danza) si apprende, dalla stesse testimonianze aristosseniche, che Aristosseno fu, oltre che studioso e conoscitore, un ammiratore; e questo a motivo non della rinomanza e della antichità di questa musica, quanto della particolare caratterizzazione in senso etico-politico da essa esibita e della quale egli, Aristosseno, è per noi il principale testimone.
174Non si può a questo punto nutrire alcun dubbio sul fatto che:
la scelta di Mantinea come meta di viaggio e luogo di soggiorno in Grecia, non sia stata nella vita di Aristosseno casuale, bensì determinata dalla volontà di studiarne in loco le tradizioni musicali e orchestiche;
questa volontà non è da ricollegare semplicemente alla fama e alla antichità di queste tradizioni (come in generale di quelle arcadiche). Essa è piuttosto da mettere senza esitazioni in rapporto con la loro specifica caratterizzazione, elemento, a mio modo di vedere, che spiega sia perché Aristosseno le ammiri sia perché voglia studiarle facendosene loro diretto testimone. In altre parole: Aristosseno va a Mantinea perché qui (come in tutta l’Arcadia) si faceva musica, la si faceva dai tempi più antichi e soprattutto la si faceva ancora in un certo modo, cosa che evidentemente non accadeva più a Sparta, i cui saggi costumi musicali sono infatti, per Aristosseno-pseudo Plutarco, qualcosa che appartiene al passato della città221.
175Va riconosciuto che già il Fougères si muoveva in parte in questa direzione, collegando la presenza di Aristosseno a Mantinea al desiderio di conoscerne la musica e ponendo in rilievo l’orientamento conservatore di questa, consono, faceva notare lo studioso, ad Aristosseno, che non perde occasione-come si vedrà nel capitolo seguente-per lodare la tecnica musicale degli antichi, ritenuta superiore a quella dei suoi tempi222.
176Il Fougères non arriva comunque alla conclusione che il materiale disponibile sembra autorizzare: se Aristosseno desidera studiare le tradizioni musicali di Mantinea, tanto da recarsi in questa città e soggiornarvi per un certo numero di anni, è perché queste tradizioni erano caratterizzate nel modo che si è prima detto.
177Proprio per quanto attiene alla loro caratterizzazione, criticabile appare l’importanza che il Fougères assegna al loro conservatorismo. Non è, infatti, il conservatorismo ciò che connota la musica di Mantinea, quanto l’incisivo ruolo etico, sociale e politico che ad essa i Mantineesi, riconoscendole capacità psicagogiche, assegnano, tanto da considerarla materia di cui il legislatore deve occuparsi.
178Il conservatorismo è solo un portato, una conseguenza dell’elemento caratterizzante la musica mantineese che è la valenza etica, sociale, politica ad essa attribuita in virtù del suo presunto potere pscicagogico. È questa valenza che esercita forte fascino su Aristosseno, fiducioso, come si è visto, nell’azione della musica sull’anima degli ascoltatori, formatosi in ambienti, quali quelli pitagorici, certamente connessi – a che titolo è difficile dire e diverse sono le posizioni degli studiosi al riguardo223 – con la dottrina dell’ethos musicale; e allo studio della musica avviato dal padre, Spintharos, personaggio assai vicino all’entourage di Archita, di colui cioè nella cui esperienza confluiscono studio della musica, diretto esercizio dell’attività politica nonché doti di abile comandante militare.
179Il soggiorno a Mantinea e la dichiarata ammirazione per le sue tradizioni musicali e orchestiche, è allora un dato, sì puramente biografico, ma indicativo delle potenzialità paideutiche che per Aristosseno sono proprie della musica, dei rapporti che a suo avviso intercorrevano fra musica, etica e attività politica e, allo stesso tempo, dell’influenza avuta su di lui dall’ambiente pitagorico-architeo, primo canale della sua formazione. Questo ambiente avrà infatti indirettamente giocato un ruolo importante nella decisione di Aristosseno di partire per Mantinea, in considerazione certo del carattere esibito dalle tradizioni orchestiche e musicali di questa città; ma anche, forse, del modus vivendi arcadico in senso più ampio, del quale il ruolo assegnato alla musica è un aspetto particolare.
180Quest’ultimo costituisce, come già si è avuto modo di rilevare, un punto di contatto fra l’Arcadia e il mondo spartano, espressione per eccellenza del cosiddetto modo di vita dorico.
181Ora, non è difficile ravvisare tra le due realtà altre affinità, quali ad esempio un’organizzazione della società secondo classi di età rispondente a precise esigenze di carattere politico e militare; la probabile presenza di un cammino iniziatico poliennale; un modus vivendi austero e lontano dagli eccessi; lo spazio riservato nella παιδεία all’educazione fisica e all’attività ginnica; l’attenzione rivolta alla istruzione militare dei giovani.
182Il mondo arcadico può quindi essere avvicinato quel modello dorico e spartano che con i suoi tratti caratteristici (esistenza di pratiche iniziatiche, comuniSmo dei beni, importanza riconosciuta ai valori militari, atletismo, moderazione nel mangiare e nel bere, ecc.) sembra aver influenzato, come gli studiosi non hanno mancato di sottolineare224, l’azione di Pitagora – buon conoscitore del resto, stando alle fonti225, di leggi e costumi in voga a Sparta e a Creta –, l’organizzazione della setta pitagorica e lo stesso βίος πυθαγορικός, senza che in questo faccia eccezione il pitagorismo tarantino di IV secolo a.C., nel quale è ben ravvisabile “la tendenza a sposare tendenze e misure politiche ispirate al pitagorismo con richiami ai modelli dorici e spartani”226.
183E anzi, agli occhi di Aristosseno, formatosi in ambienti pitagorici vicini ad Archita, l’Arcadia, più o meno intorno alla metà del IV secolo a.C., incarnava questo modello più di quanto all’epoca non facesse la stessa Sparta, percorsa, già all’indomani della fine della guerra del Peloponneso, da profondi fermenti di inquietudine227.
184È se non altro ragionevole supporre che all’origine del soggiorno di Aristosseno a Mantinea ci fosse un interesse – che gli viene dagli ambienti pitagorici in cui la sua prima formazione si compie – non limitato alle sole tradizioni musicali e orchestiche di questa città, se non nella misura in cui esse erano espressione di un determinato modus vivendi. Significativa è in tal senso una notizia fornita da Filodemo nel De pietate, “veritable thesaurus of citations of lost authors and works”228: Aristosseno scrisse un’intera opera dedicata agli ἔθη Μαντινέων, un’opera in cui la sua analisi non era certamente circoscritta alle sole tradizioni musicali della città229.
185Già da quanto detto, si può desumere che a quest’analisi Aristosseno si avvicinava con un sentimento di ammirazione verso quello che ne era l’oggetto. A conferma di ciò, viene l’associazione al nome del tarantino, sempre da parte di Filodemo (piet. col. XII N = col. IX Ο, 1-2, p. 123 Schober = Aristox. fr. 45, I Wehrli), anche di un ἐγκώμιον Μαντινέων che, sia esso o meno un’opera indipendente230, è comunque indicativo della prospettiva con cui a Mantinea e ai suoi costumi, non solo quelli musicali, Aristosseno guardava.
Notes de bas de page
1 Mahne [1793] p. 12.
2 Cfr. per es. Ziegler [1964]; Barker [1996]; Zaminer [1996]. Curiosamente, in Wehrli [1968] e [1983] non si fa menzione del soggiorno mantineese.
3 Zeller-Mondolfo, II, 6, p. 457, n. 34.
4 Cfr. FHG, II, p. 269.
5 Cfr. Fougères [1898] p. 348.
6 Cfr. Higgins-Winnington-Ingram [1965] p. 69.
7 Cfr. Laloy [1904] p. 11.
8 Cfr. Westphal [1883-1893] II, pp. IV-V. La tesi del Westphal dei due soggiorni di Aristosseno nel Peloponneso è ricordata da Jan [1896] col. 1057, che non si pronuncia in merito, e fatta propria da Macran [1902] p. 86. In tempi più recenti è stata ripresa da Michaelides [1978] p. 33.
9 La cautela delle mie affermazioni deriva dalla impossibilità di addurre argomenti che consentano un risoluto rifiuto della tesi del Müller.
10 Aristox. fr. 20a Wehrli apud [Luc.] de long. 18: Ξενόφιλος δὲ ὁ μουσικός, ὥς φησιν Ἀριστόξενος, προσοχὼν τῇ Πυθαγόρου φιλοσοφίᾳ ὑπὲρ τὰ πέντε καὶ ἑκατòν ἔτη Ἀθήνησιν ἐβίωσε; Aristox. fr. 20b Wehrli apud Val. Max. VIII 13, ext. 3: biennio minor (scil. Gorgia Leontino) Xenophilus Chalcidensis Pythagoricus, sedfelicitate non inferior, si quidem, ut ait Aristoxenus musicus, omnis immani incommodi expers in summo perfectissimae doctrinae splendore exstinctus est; ma cfr. anche Plin. nat. VII 168.
11 Di quest’avviso sono anche Ziegler [1964] e Barrer [1996] p. 169.
12 Scriveva Mahne [1793] p. 14: “praeterea non unum aut duo annos Aristotelis discipulus fuisse videtur (scil. Aristoxenus), sed diu apud ipsum degisse, quia hahuit μεγάλην δόξαν ἐν τοῖς ἀκροαταῖς τοῦ Ἀριστοτέλους”.
13 Già Μahne [1793] p. 12 per la verità, a voler esser precisi, scriveva, con non poca cautela, che Aristosseno “Mantineam petierit ad ediscendam Arcadum musicam. quippe hi [gli Arcades], ut ex historicis novimus, huius artis [lu musica] peritissimi habebantur”. Su Agelaos di Tegea si veda Kirchner [1894]; su Echembrotos, Crusius [1905] e West [1974] pp. 4-7, 13; su Klonas infine, tegeate secondo gli Arcadi, ma tebano secondo i Beoti, Abert [1921].
14 Westphal [1883-1893] II, p. IV.
15 Scriveva infatti Laloy [1904] p. 7 che “le long séjour à Mantinée dont parie Suidas peut s’expliquer de plus d’une manière”.
16 Plut, de gen. Socr. 592 f e de recta rat. aud. 39 b.
17 A riguardo si veda Larsen [1968] pp. 180-95; Meyer [1969]; Amit [1973] pp. 121-2.
18 Cfr. Thuc. V 29, 1; Arist. pol. VI 1318b 21-32.
19 Musti [1989] p. 395.
20 Sul sinecismo di Mantinea si veda Moggi [1976] pp. 140-56; Burelli Bergese [1995] pp. 94-7. Sul diecismo Cfr. Xen. hel. V 2, 1-7; Isocr. IV 126, VIII 100; Plat. symp. 193 A; Polyb. IV 27, 6; Diod. XV 5, 4.
21 Cfr. Burelli Bergese [1995] p. 96.
22 Cfr. Xen. hel. VI 5, 4-5.
23 Cfr. Xen. hel. VI 5, 10-20.
24 Burelli Bergese [1995] p. 96.
25 Paus. VIII 8, 10: Μαντινέας δὲ ἐκ τῶν κωμῶν κατάξειν ἐς τὴν πατρίδα ἔμελλον Θεβαῖοι μετὰ το ἐργον τò ἐν Λεύκτροις; IX 14, 4: Μαντινέας δὲ κατὰ κώμας ὑπò Ἀγησιπόλιδος διῳκισμένους ἐς τὴν ἀρχαίαν συνήγαγεν αὖθις πόλιν.
26 Xen. hel. VI 5, 3: ἐξ ὧν δὴ καὶ οί Μαντινεῖς, ὡς ἤδη αὐτόνομοι παντάπασιν ὄντες, συνῆλθóν τε πάντες καὶ ἐψηφίσαντο μίαν πάλιν τὴν Μαντίνειαν ποιεῖν καὶ τειχίζειν τὴν πόλιν.
27 Cfr. Moggi [1976] p. 254.
28 Xen. bel. VII 1, 24 dice infatti che gli Arcadi, pieni di ammirazione per Licomede, ἄρχοντας ἔταττον οὕστινας ἐκεῖνος (cioè Licomede) κελεύοι.
29 Per una dettagliata ricostruzione degli avvenimenti si veda Fougères [1898] pp. 452-64.
30 Cfr. Xen. bel. VII 5, 3; Diod. XV 82, 4. Per il testo dell’alleanza fra Arcadia, Elide, Acaia, Fliunte e Atene si veda Tod. II, no 144, pp. 134-8.
31 VIII 8, 10: κατελθόντες (scil. οἱ Μαντινεῖς) δὲ οὐ τὰ πάντα ἐγένοντο δίκαιοι. Un velato tono di riprovazione nei confronti di Mantinea si può cogliere anche in Plut. Ages. 34, 3: ἐπεὶ γὰρ οἱ Μαντινεῖς αὖθις ἀπέστησαν τῶν Θεβαίων καὶ μετεπέμποντο τοὺς Λακεδαιμονίους.
32 Cfr. Fougères [1898] pp. 463-4; GG, ΙΙΙ, 1, p. 205.
33 Musti [1989] p. 560.
34 Cfr. Diod. XV 94, 2: οἱ μὲν ἐκ τῶν πολισμάτων ἠξίουν αὐτοῖς βοηθεῖν Μαντινεῖς καὶ τῶν ἄλλων Ἀρκάδων τινάς, ἔτι δὲ Ἠλείους καὶ τοὺς ἄλλους τοὺς μετεσχηκότας τοῖς Μαντινεῦσι συμμαχίας. οί δὲ Μεγαλυπολῖται τοὺς Θηβαίους παρεκάλουν συμμαχεῖν.
35 Cfr. Diod. XVI 39, 3.
36 Burelli Bergese [1995] ρ. 96.
37 Così definisce l’Arcadia Lasserre [1954] p. 32.
38 Sul regionalismo nella musica greca arcaica hanno richiamato l’attenzione in tempi non lontani Comotti [19912], pp. 18, 27 e West [1992] p. 334.
39 Polyb. IV 20-21. Il testo del lungo excursus di Polibio è fornito in appendice. Non mi è stato possibile prendere visione dell’articolo di D. Speelman, indicato in bibliografia, ad esso dedicato.
40 La citazione di Ateneo, nonostante la sua complessiva fedeltà, mi sembra possa essere causa di un travisamento del contesto in cui la digressione è inserita da Polibio. Stando ad Ateneo, pare infatti che intento di Polibio fosse solo quello di illustrare, in polemica con Eforo, gli effetti benefici della musica in battaglia e nell’educazione dei giovani. Il riferimento ai Cineti con cui la citazione si conclude, resta pertanto non chiaro. L’impossibilità di risalire dalla citazione al suo contesto originario, è una frequente conseguenza della prospettiva ‘settoriale’ con cui Ateneo legge le opere degli storici. Sull’argomento si veda Zecchini [1989]; Ambaglio [1990].
41 Che Polibio parli di istituzioni arcadiche, e che la musica rientri fra queste, è quanto dimostrato con argomenti convincenti da Brelich [1969] pp. 209-14.
42 Cfr. per es. Strabo VIII 8, 1. Sulla antichità degli Arcadi e della regione arcadica, cfr. Hartog [1983] pp. 162-8; Burelli Bergese [1995] pp. 61-89.
43 Polibio parla di μουσική o, per essere più precisi, di vera μουσική, espressione questa con la quale, secondo alcuni studiosi (Schweighauser per esempio), si vuole indicare la sola musica, secondo invece altri (come Wehrli), l’insieme di musica e poesia. Da escludere è, credo, che Polibio usi il termine nella semplice accezione di canto (così riteneva invece Scala [1890] p. 20, n. 2).
44 Sullo spinoso problema delle categorie di età si veda Moretti [1981].
45 Cfr. Brelich [1969] ρ. 211.
46 Cfr. Sacco [1979]. Sulla nozione di νεανίσκος più in generale, si veda Cantarella [1988] pp. 48-55.
47 Gli studiosi si sono interrogati circa la menzione fatta da Polibio di nomoi in relazione a Filosseno, noto come autore di ditirambi. Per alcune possibili spiegazioni si veda Winnington-Ingram [1988] p. 261, n. 34; West [1992] p. 382, n. 110.
48 Come ben sottolineato in Higgins-Winnington-Ingram [1965] p. 68, n. 49, il “normale processo per cui i rivoluzionari di una generazione diventano i classici di un’altra”, è convincente spiegazione della presenza di questi autori, noti come innovatori, nel programma di studio dei giovani Arcadi.
49 Cfr. Reisch [1899 a] col. 2434.
50 Cfr. Brelich [1969] p. 211.
51 Cfr. Forbes [1933] p. 5.
52 Cfr. Nilsson [1955] pp. 42-9; Moretti [1981] pp. 481-2.
53 Quest’ultima è l’interpretazione data al termine per es. da Mauersberger, I,2, s.v. ἐμβατήριος; per l’altra interpretazione cfr. Walbank [1957-1979] I. pp. 468-9 e ora Ceccarelli [1998] p. 17.
54 Ceccarelli [1998] p. 17 ritiene plausibile che si tratti di danze armate.
55 Cfr. Marrou [19713] pp. 190-1. Nei cataloghi poc’anzi menzionati dei vincitori delle frequenti competizioni per studenti e insegnanti, non pare, quanto meno sulla base della documentazione raccolta da Moretti [1981] p. 481, esserci traccia di gare di danza.
56 Le citazioni contenute nel testo sono riprese dalla definizione di sistema iniziatico proposta da Scarpi [1979] p. 82.
57 Cfr. Hom. Il. II 604, 611. Per una analisi dei versi del catalogo dedicati agli ᾿Aρκάδες, si veda Burelli Bergese [1995] pp. 38-41.
58 Nella seconda metà del V secolo a.C.. il poeta comico Ermippo (fr. 63 K.-A.) indica nei mercenari il prodotto tipico dell’Arcadia e un altro poeta comico, Platone, la cui attività è contemporanea a quella di Aristofane, ricorre ffr. 106 K.-A.) a quel proverbio – Ἀρκάδας μιμεῖσθαι – che l’Arcadia si guadagna proprio in quanto patria per eccellenza di mercenari (su questo proverbio cfr. Suda s.v. Ἀρκάδας, A 3946 Adler: CPG, I, pp. 47-8). Dalle opere classiche sul mercenariato nel mondo greco (Parke [1933]; Griffith [1935]; Launey [1949-1950] come dalla recente monografia sull’argomento di M. Bettalli, si evince facilmente che quando si ricorre a eserciti mercenari, quasi sempre a fare la parte del leone sono gli Arcadi; i quali è quanto fondatamente ipotizza propio Bettalli [1995] p. 27 nel tentativo di spiegare perché il mestiere di mercenario sia nel mondo greco tipico di alcuni popoli –, nella loro “povertà ‘comunitaria’”, vedono nel mercenariato una forma di attività economica. Sul legame posto in evidenza nella tradizione antica fra genti di montagna, o comunque loro prossime, e attività bellica, si rimanda ad alcune belle pagine di Giardina [1989] (in partic. le pp. 78-84).
59 Cfr. per es. Plat. leg. II 652 a; Isocr. I 32, XV 286.
60 La distinzione elaborata nel mondo greco tra momento del mangiare e momento del bere, è posta in evidenza in tutti i principali studi sul simposio: tra i tanti, si veda per es. Murray [1990] p. 6; Murray [1991] pp. 226-7. Sul significato di questa distinzione e dei due momenti del banchetto e del simposio, si sofferma Valenza Mele [1986] pp. 342-3.
61 Così Ruggiero, Diz. Epigr., I, s.v. acroama.
62 Questo uso pro agente è anzi il più frequente in latino (cfr. TLL, I, s.v.).
63 Cfr. Mau [1894].
64 Sulla regolamentazione del simposio cfr., tra gli altri, Lissarrague [1989] pp. 25, 34-5.
65 Per una analisi diacronica dei rapporti tra poesia e simposio, fondamentale è l’introduzione scritta da M. Vetta per il reading su Poesia e simposio nella Grecia antica (sostanzialmente ripresa in Vetta [1992]). Sulle modalità del canto a simposio si veda Vetta [1984]; sulle cause della sua scomparsa nelle aree culturalmente più progredite del mondo greco, dove è soppiantato per lo più da letture di pezzi teatrali affidate ad attori professionisti, pagine suggestive sono in Pasquali [1934] (in partic. le pp. 344-8).
66 Cfr. Brelich [1969] p. 211. Sui συσσίτια come forma di commensalità interessante la comunità civica, dunque la sfera comunitaria, istituzionale, e sul loro rapporto con il συμπóσιον, pratica dal carattere piuttosto privato, si veda Lombardo [1988].
67 Cfr. Pellizer [1990] p. 178.
68 Cfr. per es. Phot. s.v. συσσιτίαι, p. 191 Naber; Etym. Magn. s.v. συσσίτιον, p. 736,49-50 Gaisford.
69 Analogamente, secondo Plut. Pel. 19, 1, oἱ νομοθέται (dei Tebani) τò φύσει θυμοειδὲς αὐτῶν καὶ ἄκρατον ἀνιέναι καὶ ἀνυγραίνειν εὐθὺς ἐκ παίδων βουλόμενοι, πολὺν μὲν ἀνεμίξαντο καὶ σπουδῇ καὶ παιδιᾷ πάσῃ τὸν αὐλόν, εἰς τιμὴν καὶ προεδρίαν ἄγοντες.
70 Fonti in proposito sono raccolte in Panessa [1991] I, pp. 123-53.
71 Sechi [1990] p. 157.
72 Giardina [1989] p. 79. L’ampia diffusione di questa idea (su cui si veda anche Trüdinger [1918]; Musti [1985]) nel pensiero antico, documentata dalle fonti, fa sì che non la si possa riferire a un sistema di pensiero in particolare come invece faceva Hirzel [1877-1883] II, pp. 891-5, ricollegando la digressione di Polibio a fonti stoiche sulla base di alcuni passi ciceroniani da cui emerge un legame fra la dottrina del determinismo ambientale e il pensiero stoico.
73 Questa espressione mi è suggerita dal sintagma πρòς τούτοις presente in Polyb. IV 21, 3.
74 Cfr. Borgeaud [1979] pp. 25-6.
75 Su questo aspetto, presente nella digressione di Polibio, si veda Borgeaud [1979] p. 37; Hartog [1983]; Vernant [1990] p. 144; Loraux [1995] pp. 302-3.
76 Cfr. Walbank [1947] pp. 180-1.
77 Ad Aristosseno (cfr. frr. 104.105 Wehrli) è attribuito un Περὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, probabilmente titolo di una parte di un Περὶ χορῶν in più libri (cfr. fr. 107 Wehrli) in cui Aristosseno doveva trattare, fra le altre cose, delle diverse specie di danze drammatiche: la ἐμμέλεια, danza tragica, la κόρδαξ, danza comica, e infine la σίκιννις, danza σατυρική per Aristosseno di origine cretese (cfr. frr. 104-107 Wehrli; sulle danze drammatiche si veda da ultimo Delavaud-Roux [1994] pp. 141-79 per le danze nel teatro tragico e Delavaud-Roux [1995] pp. 117-50 per quelle della commedia e del dramma satiresco). La stessa distinzione tra queste tre forme di danze drammatiche si trova in Psell.(?) de trag. 11 che, secondo gli studiosi (cfr. Browning [1961] p. 81; Perusino [1993] p. 87), dipenderebbe da Aristosseno. Di danza Aristosseno si occupava anche in un’opera in più libri intitolata Συγκρίσεις, della quale si conserva in Ateneo un frammento (il fr. 109 Wehrli) in cui Aristosseno abbozza un confronto fra σπουδαῖαι καὶ φαῦλαι ὀρχήσεις in uso presso Greci e barbari, indizio di una classificazione delle danze determinala da valutazioni di tipo etico, non diversa dunque da quella elaborata da Plat. leg. VII 814 e. Gli altri frammenti aristossenici superstiti di argomento orchestico trattano delle origini della pirrica, danza armata per eccellenza (fr. 103 Wehrli), e della γυμνοπαιδικὴ ὄρχησις (fr. 108 Wehrli).
78 Da altre fonti è possibile ricavare informazioni solo sulle danze laconiche e sulle molte danze cretesi: cfr. Prudhommeau [1965] I, pp. 326-9. Su Creta quale ‘culla’ di numerose danze, cfr. Delavaud-Roux [1993] pp. 58, 171; Ceccarelli [1998] p. 108 e la bibliografia ulteriore ivi citata.
79 Cfr. Luc. de salt. 69, Lex. 14, rhet. praec. 17; Hsch. s.v. χειρονόμος. L’uso frequente delle mani è un aspetto della danza greca antica posto in evidenza in quasi tutti i lavori sull’argomento (si veda in proposito già Emmanuel [1895]). Una interessante ricostruzione dei vari movimenti delle mani, delle braccia e addirittura delle dita noti alla danza greca, condotta sulla base delle fonti letterarie e con l’indispensabile ausilio di quelle iconografiche, è fornita da Prudhommeau [1965] I, pp. 287-9. Alle testimonianze letterarie raccolte a riguardo dalla Prudhommeau (pp. 286-8), si possono aggiungere Athen. IV 134 b; Luc. de salt. 63; Plut. de lib. et aegr. 8.
80 Cfr. Xen. symp. II 16, 22; Athen. I 21 A.
81 Plat. leg. VII 816 A: διὸ μίμησις τῶν λεγομένων σχήμασι γενομένη τὴν ὀρχηστικὴν ἐξηργάσατο τέχνην σύμπασαν. Sul mimetismo della danza greca antica cfr. anche Arist. poet. 1447a25-29; Luc. de salt. 63-68.
82 Cfr. Xen. an. VI 1, 1-13.
83 Ceccarelli [1998] p. 21 mette in rilievo come le danze descritte da Senofonte – non a caso, forse, eseguite tutte da rappresentanti di aree marginali del mondo greco – siano calate in un contesto che non è quello loro proprio, cosa che. per un processo di ricontestualizzazione, le carica di un significato nuovo.
84 Riprendo questa, a mio avviso, felice espressione da Scarpi [1979] p. 79 che ne fa uso in relazione alla pirrica.
85 Su questo processo di profanizzazione della danza greca si veda Delavaud-Roux [1993] pp. 129-63.
86 Così Séchan [1930] p. 89. Sulla probabile funzione apotropaica originariamente propria delle danze armate, cfr. Delavaud-Roux [1993].
87 An. VI 1, 11: ἐπὶ δὲ τούτῳ οἱ Μαντινεῖς καὶ ἄλλοι τινὲς τῶν Ἀρκάδων ἀναστάντες ἐξωπλισάμενοι ὡς ἐδύναντο κάλλιστα ῇσάν τε ἐν ῥυθμῷ πρὸς τὸν ἐνόπλιον ῥυθμòν αὐλούμενον καὶ ἐπαιάνισαν καὶ ὠρχήσαντο ὥσπερ ἐν ταῖς πρòς τοὺς θεοὺς προσόδοις.
88 L’esecuzione di pirriche da parte di donne, soprattutto in contesti conviviali, è per Delavaud-Roux [1993] p. 130 uno degli indizi della progressiva trasformazione della danza greca in una forma di spettacolo. Sulle pirriche femminili, iconograficamente documentate a partire dal 470/60 a.C. fino alla fine del V secolo a.C., si veda Ceccarelli [1998] pp. 60-7.
89 Cfr. Sch. vet. Aristoph. nub. 65la, p. 143 Holwerda.
90 Così Fitton [1973] p. 262.
91 Cfr. Poursat [1968], Agli esempi individuati dal Poursat sono da affiancare quelli segnalati da Brommer [1989] pp. 492-4.
92 Sulla pirrica cfr. Delavaud-Roux [1987]; Delavaud-Roux [1993] pp. 75-106 ma soprattutto Ceccarelli [1998], testo che a lungo resterà punto di riferimento obbligato sull’argomento.
93 Cfr. Thuc. V 70; Plut. Lyc. 22.5; Polyaen. I 10 che sembrano limitare questa istituzione dell’auleta sul campo di battaglia al mondo spartano (così fa, tra gli studiosi moderni, Snodgrass [1967] p. 68). Polyb. IV 20.6 ne fa menzione in riferimento anche ai Cretesi. Fonti iconografiche – si pensi alla Olpe Chigi – ne dimostrano la presenza pure nel mondo corinzio (cfr. in proposito Lorimer [1947] pp. 81-2.93-6; Wegner [1963] p. 78; Salmon [1977] p. 89), così da poter pensare (questa è in particolare l’ipotesi avanzata da Lorimer [1947] p. 82) a un elemento caratterizzante le comunità doriche del Peloponneso e di Creta. Altro strumento utilizzato in ambito militare, soprattutto, data la sua sonorità, per dare segnali, è la salpinx (si veda in merito Krentz [1991]; Nordquist [1992] pp. 146-9; West [1992] pp. 118-9).
94 Cfr. a riguardo Detienne [1968].
95 Marrou [19712] p. 41.
96 Secondo Wheeler [1982] p. 229, Polibio, parlando degli ἐμβατήρια, si sarebbe addirittura rifatto alla testimonianza di Senofonte sulla danza dei Mantineesi.
97 Sulla connotazione militare degli ἐμβατήρια cfr., tra gli altri, già Séchan [1904] p. 1033.
98 FGrHist 70 F 54.
99 Hermip. fr. 83 Wehrii (Sch.Ar., Supplbd. I).
100 Diversamente Fougères [1898] pp. 349-54; Borgeaud [1979] p. 40, n. 110.
101 Cfr. Ceccarelli [1998] p. 21.
102 Plat. leg. VII 796 c: τοῖς δὲ που παισὶν εὐθύς τε καὶ ὅσον ἄν χρόνον μήπω εἰς πόλεμον ἴωσιν, πᾶσι θεοῖς προσόδους τε καὶ πομπὰς ποιουμένους μεθ’ ὅπλων τε καὶ ἵππων ἀεὶ κοσμεῖσθαι δέον ἂν εἴη, θάττους τε καὶ βραδυτέρας ἐν ὀρχήσεσι καὶ ἐν πορείᾳ τὰς ἱκετείας ποιουμένους πρòς θεούς τε καὶ θεῶν παῖδας.
103 Cfr. Scarti [1979] pp. 88-9.
104 Plat. leg. VII 796 c. Sul ruolo della danza armata nella città platonica cfr. Ceccarelli [1998] pp. 17-8.
105 Sul valore cultuale della danza greca, e quindi anche delle danze armate, si veda da ultimo Lonsdale [1993].
106 Cfr. in proposito Delavaud-Roux [1993] pp. 109-19.
107 Su questi canti si veda per es. Grandolini [1991].
108 Cfr. Haldane [1966] pp. 99-101; Nordquist [1992] pp. 146-51.
109 Con analoga funzione la musica dell’aulo accompagnava i movimenti, oltre che, come già detto, dei soldati, anche per esempio degli atleti, sia nella preparazione di esercizi ginnici in palestra che durante lo svolgimento delle gare vere e proprie. A riguardo si veda Vos [1986].
110 Cfr. Käppel [1992] pp. 54-62, 322-41.
111 Cfr. Kendrick-Pritchett [1971-1991] I, pp. 105-8; Lonis [1979] pp. 117-28; Käppel [1992] pp. 45-6, 300-10.
112 Cfr. Svoronos [1888].
113 Cfr. per es. Head, pp. 449-50; Babelon, II,3, pp. 638-46.
114 Cfr. Hom. Od. XI 121-134. I versi riportati subito di seguito nel testo sono citati nella traduzione di G.A. Privitera.
115 Cfr. Paus. VIII 9, 2.
116 Il Babelon che, come si è detto, condivide l’interpretazione data dallo Svoronos del tipo monetale raffigurato sul D/ di queste emissioni mantineesi, propone invece di interpretarne il tipo monetale del R/ come raffigurazione della tomba-sarcofago dell’eponimo Arcas.
117 Cfr. a riguardo Fougères [1898] pp. 240-51.
118 Cfr. Hom. Il. IΙ 610-614.
119 Lacroix [1967] p. 306: “Costume et armement s’accordent à nous montrer que nous sommes en présence d’un Arcadien de bonne souche”.
120 Cfr. Lacroix [1967] pp. 306-7.
121 Cfr. Plat. leg. VII 815 A.
122 Cfr. Xeni. an. VI 1, 12.
123 Cfr. Lacroix [1967] p. 309.
124 Cfr. in proposito Borgeaud [1979] pp. 19-23; Burelli Bergese [1995] pp. 61-89.
125 Cfr. Lacroix [1967] pp. 310-1.
126 Burelli Bergese [1995] p. 71.
127 Cfr. Borgeaud [1979] p. 40.
128 Cfr. Burelli Bergese [1995] p. 72, n. 70.
129 In proposito si veda ora Ceccarelli [1998] pp. 150-6.
130 Il Περὶ μουσικῆς è una breve opera in 44 capitoli. La sua struttura è quella di un dialogo fra tre personaggi (Onesicrate, Soterichos e Lisia) svoltosi al termine di un banchetto. L’operetta è stata tramandata tra i Moralia di Plutarco ma la critica è ormai persuasa della sua non autenticità, a favore della quale si adducono soprattutto elementi di carattere formale, così riassunti da Gostoli [1991] p. 435; “la frequenza dello iato, l’assenza di aumento nel piuccheperfetto, la citazione di passi di altri autori così ampli da occupare interi capitoli”. Essi, continua la Gostoli, “sono sembrati tutti elementi capaci di differenziare questo trattato dalle altre opere sicuramente plutarchee. Parimenti,” – scrive ancora la studiosa – “la mancanza di consequenzialità nel concatenamento delle idee, riscontrabile in qualche parte del dialogo, è apparsa in contraddizione con lo stile di Plutarco”. Quanto all’epoca di composizione, l’operetta, secondo Lasserre [ 1954] p. 104, sarebbe da datare tra il 170 e il 300 d.C.
131 [Plut.] de mus. 32, 1142c = p. 27, 16-17 Ziegler: Εἰ οὖν τις βούλεται μουσικῇ καλῶς καὶ κεκριμένως χρῆσθαι, τὸν ἀρχαῖον ἀπομιμείσθω τρόπον.
132 Cfr. [Ρlut.] de mus. 31 = Aristox. fr. 76 Wehrli.
133 [Plut.] de mus. 32, 1142 C-D = p. 27,17-21 Ziegler: ἀλλὰ μὴν καὶ τοῖς ἄλλοις αὐτὴν μαθήμασιν ἀναπληρούτω καὶ φιλοσοφίαν ἐπιστησάτω παιδαγωγόν· αὕτη γὰρ ἱκανὴ κρῖναι τò μουσικῇ πρέπον καὶ τò χρήσιμον.
134 Tusc. I 10, 19 = Aristox. fr. 120a Wehrli.
135 Porph. in harm. p. 4,18-21 Düring: σχεδὸν γὰρ ἐν πᾶσιν, οἷς συνέγραψε, τοιοῦτος οὐδὲ τò γεγυμνᾶσθαι καὶ πολλήν ἕξιν ἐν τοῖς μαθήμασιν ἔχειν, ἀλλὰ καὶ τò ἐκ φιλοσοφίας μάλιστα τῆς τῶν παλαιῶν ὡρμῆσθαι, ἀφ’ ἧς καὶ οἱ Πυθαγόρειοι καὶ οἱ Ἀριστοξένειοι τò ἐπιστημονικὸν ἐν ταῖς θεωρίαις συνηύξησαν. Μουσική e filosofia sono generalmente in un rapporto di intima connessione nel pensiero antico (si veda in proposito per es. Goblot [1898] e quanto scritto ben più recentemente da R.W. Wallace nelle pagine introduttive a Wallace-MacLachlan [1991]): per Platone (Phaed. 61 a) la filosofia è essa stessa una forma altissima di μουσική e a entrambe deve dedicarsi colui che ha cura della propria anima e del proprio corpo se vuole davvero essere καλὸς καὶ ἀγαθός (così Plat. Tim. 88 c). Sui rapporti tra la musica e le altre discipline cfr. Aristid. Quint. I 1, pp. 1-2 Winnnigton-Ingram.
136 Cfr. Aristox. fr. 35 Wehrli, dove si ricorda che i pitagorici insegnavano ὡς ἡ μὲν τάξις καὶ συμμετρία καλὰ καὶ σύμφορα, ἡ δ’ ἀταξία καὶ ἀσυμμετρία αἰσχρά τε καὶ ἀσύμφορα.
137 Cfr. Heraclid. Pont. fr. 162 Wehrli. Sul concetto di πρέπον si veda Pohlenz [1933].
138 Cfr. Westphal [1865].
139 Weil-Reinach [1900].
140 Bernardakis [1895].
141 Lasserre [1954]. Sul testo del Lasserre si basa la traduzione italiana del dialogo, corredata di commento, di Gamberini [1979], i cui non pochi limiti sono bene evidenziati da Comotti [1989].
142 Ziegler [1966].
143 Il concetto di genere (γένος) armonico pare sia stato introdotto da Aristosseno che. proprio con l’enumerazione dei diversi γένη armonici, dà inizio allo studio dell’armonica. Per una trattazione dettagliata, e al tempo stesso particolarmente chiara, di questa importante nozione della musica greca antica, si veda Franchi [1979] pp. 645-7.
144 [Plut.] de mus. 32, 1 142 d = p. 27, 20-25 Ziegler: Τριῶν γὰρ ὄντων μερῶν εἰς ἃ διῄρηται τὴν καθόλου διαίρεσιν ἡ πᾶσα μουσικῇ, διατόνου, χρώματος, ἁρμονίας, ἐπιστήμονα χρὴ εἶναι τῆς τούτοις χρωμένης ποιήσεως τòν μουσικῇ προσίοντα καὶ τῆς ἑρμενείας τῆς τὰ πεποιημένα παραδιδούσης ἐπήβολον.
145 Così Comotti [19913] pp. 84-5.
146 Cfr. Aristox. harm. I 19 Meibom = pp. 24, 16-25, 4 Da Rios: ἐχόμενον δ’ ἂν εἴη τῶν εἰρημένων τò καθόλου λεγόμενον μέλος διελεῖν εἰς ὅσα φαίνεται γένη διαιρεῖσθαι. φαίνεται δ’ εἰς τρία· πᾶν γὰρ τò λαμβανóμενον μέλος [τῶν] εἰς τò ἡρμοσμένον ἤτοι διάτονόν ἐστιν ἢ χρωματικòν ἢ ἐναρμόνιον. πρῶτον μὲν οὖν καὶ πρεσβύτατον αὐτῶν θετέον τò διάτονον, πρῶτον γὰρ αὐτοῦ ἡ τοῦ ἀνθρώπου φύσις προστυγχάνει, δεύτερον δὲ τò χρωματικόν, τρίτον δὲ καὶ ἀνώτατον τò ἐναρμόνιον, τελευταίῳ γὰρ αὐτῷ καὶ μόλις μετὰ πολλοῦ πόνου συνεθίζεται ἡ αἴσθησις.
147 Cfr. Lasserre [1954] p. 175.
148 Del termine non si dà volutamente traduzione. La sua accezione nel lessico musicale non risulta infatti chiara, comparendo esso nelle fonti – come evidenzia Michaelides [1978] p. 344 – quale sinonimo talvolta di τόνος, talvolta di ἁμονία (sull’impiego confuso dei termini tecnici del lessico musicale nelle stesse opere teoriche, si veda già Sachs [1943] pp. 216, 235). Secondo A. Barker (GMW, I, p. 239, n. 213), nel passo dello pseudo Plutarco, si designa forse con esso un “technically specifiable melodic genre”.
149 [Plut.] de mus. 31, 1142 b = p. 26, 19-20 Ziegler = Aristox. fr. 76 Wehrli: ὅτι δὲ παρὰ τὰς ἀγωγὰς καὶ τὰς μαθήσεις διóρθωσις ἢ διαστροφὴ γίνεται, δῆλον Ἀριστόξενος ἐποίησε.
150 [Plut.] de mus. 32, 1142 e = p. 28, 1-7 Ziegler: ἀλλ’ οἱ μὲν πολλοὶ εἰκῇ μανθάνουσιν ὃ ἂν τῷ διδάσκοντι ἢ τῷ μανθάνοντι ἀρέσῃ· οἱ δὲ συνετοὶ τò εἰκῇ ἀοδοκιμάζουσιν, ὥσπερ Λακεδαιμόνιοι τò παλαιòν καὶ Μαντινεῖς καὶ Πελληνεῖς· ἔνα γάρ τινα τρόπον ἢ παντελῶς ὀλίγους ἐκλεξάμενοι, οὓς ᾤοντο πρòς τὴν τῶν ἠθῶν ἐπανόρθωσιν ἁρμόττειν, αὐτῇ τῇ μουσικῇ ἐχρῶντο.
151 Philod. mus. I fr. 9, p. 141 Rispoli (si intende fare riferimento a Rispoli [1969]).
152 Cfr. Rispoli [1969] pp. 133-8, 141-2. La concordanza ravvisabile, non solo in questo caso, tra parti dell’opera di Filodemo e parti di matrice aristossenica del dialogo dello pseudo Plutarco, sarebbe per Abert [19682] pp. 35-6 prova del fatto che Filodemo disponeva degli scritti di Aristosseno dai quali derivererebbe le sue informazioni sulle dottrine musicali di ambiente peripatetico. Diversamente, per Rispoli [1969] p. 136, Filodemo e lo pseudo Plutarco sono tra loro interdipendenti ma attingono a una fonte comune: il trattato De musica di Diogene di Babilonia, filosofo stoico del II secolo a.C., unica fonte dell’opera filodemea che sia possibile individuare “con assoluta certezza”, come scrive Rispoli [1974] p. 57, e che a sua volta utilizzava ampiamente scritti peripatetici (cfr. in proposito Rispoli [1974] pp. 77-8).
153 Sulla Ethoslehre, fondamentale indirizzo dell’estetica musicale antica, si veda, oltre naturalmente ad Abert [19682], ancora oggi testo di obbligato riferimento sull’argomento, Rossi [1988 a].
154 Cfr. per es. Strabo I 2, 3. = Aristox. fr. 123 Wehrli (pitagorica e aristossenica è la definizione dei musici come παιδευτικοὶ καὶ ἐπανορθωτικοὶ τῶν ἠθῶν), X 3, 10 (i pitagorici e Platone considerano la musica, opera degli dei, ἐπανορθωτικòν τοῦ voῦ); Sext. Emp. adv. mathem. VI 23 (Pitagora riconosce, per averlo sperimentato in prima persona, che gli auleti possono sortire migliore risultato dei filosofi πρὸς ἐπανόρθωσιν τῶν ἠθῶν); Ιαμβl. Pyth. 64 (Pitagora, attraverso la musica, corregge – ἐπανορθούμενος – stati d’animo non buoni), 114 (Pitagora ha fatto della ἐπανόρθωσις τῶν ανθρωπίνων ἠθῶν τε καὶ βίων, realizzata con la musica, un mezzo di grandissimo giovamento); Tim. Locr. 82, 104 b [μωσικά (secondo Baltes [1972] p. 227 non si intende con esso la sola musica, ma l’arte delle Muse in senso più ampio) e filosofia sono state poste ἐπὶ τᾷ τᾶς ψυχᾶς ἐπανορθώσει ὑπò τῶν ἐθέων τε καὶ νόμων]. Un altro esempio ancora di riferimento ad ambito pitagorico della nozione di ἐπανόρθωσις τῶν ἠθῶν ottenuta con la musica, si ha in Philod. mus. IV, col. XXX 24 Kemke = IV 19, p. 78 Neubecker, passo in cui Filodemo polemizza con degli stoici che hanno sostenuto, attingendo alle opere di alcuni pitagorici (cfr. mus. IV, col. XXX 16-19 Kemke = IV 21, p. 80 Neubecker), la utilità della musica ε[ἰ]ς α[ὐτ]ὴν ἀρε[τῶ]ν περιποίησ[ι]ν καὶ τῶν ἠθῶν ἐπανόρθωσι[ν (per il testo si segue Neubecker [1986] cui si rimanda per un più dettagliato commento dei passi).
155 Sul concetto di ἐπανόρθωσις, intesa come possibilità di correzione propria di quanti nella loro disonestà non hanno ancora raggiunto un livello tale da non consentire redenzione, cfr. Arist. EN. IX 1165b l8-20.
156 Tra i τρόποι ammessi avrà certo trovato posto il dorico, il modo della ἀνδρεία e della σεμνότης (per le fonti cfr. Abert [19682] pp. 80-3), l’unico ammesso, insieme al frigio, nella città ideale di Platone (cfr. Plat. rp. III 399 c).
157 Cfr. Lasserre [1954] pp. 94-5 che infatti, tra le altre cose, scrive: “on n’ose davantage inférer de l’éloge des habitants de Mantinée enseignant les seuls modes musicaux qu’ils estimaient propres à redresser les mœurs qu’Aristoxène recommandait aux maîtres de musique le même éclectisme”.
158 Diversamente, Lasserre [1954] p. 32 pare ricondurre questa ammirazione alla sola antichità delle tradizioni musicali mantineesi.
159 [Plut.] de mus. 9, 1134 B = p. 8, 11-14 Ziegler: Τής δε δευτέρας Θαλήτας τε ὁ Γορτύνιος καὶ Ξενόδαμος ὁ Κυθήριος καὶ Ξενόκριτος ὁ Λοκρòς καὶ Πολύμνηστος ὁ Κολοφώνιος καὶ Σακάδας ὁ Αργεῖος μάλιστα αἰτίαν ἕχουσιν ἡγεμόνες γενέσθαι.
160 Cfr. Lasserre [1954] p. 22.
161 A riguardo cfr. Marrou [19713] pp. 43-4.
162 In poche ma dense pagine, Gostoli [1988] ha messo bene in luce la molteplicità di funzioni assegnate alla musica nella cultura spartana arcaica, laddove gli autori antichi tendono a sottolinearne quasi unicamente il suo legame con la preparazione militare dei cittadini. Sulla musica quale elemento della ‘Spartan legend’ si veda Tigerstedt [1965-1978] I, pp. 39-44.
163 Cfr. in proposito Gostoli [1990] pp. XIII-XIV.
164 Cfr. [Plut.] de mus. 9, 1134 B = p. 8,9-10 Ziegler.
165 Cfr. in merito Gostoli [1990] p. XIV.
166 Cfr. Brelich [1969] p. 187. L’identificazione di queste due ricorrenze è accolta anche da Kotsidu [1991] p. 18.
167 Cfr. Plut. Agis 10, 7-8, quom. quis suos in virt. sent. prof. 84 a, apopht. Lac. 220 c, inst. Lac. 238 c-d; Dio. Chr. XXXII 67, XXXIII 57. Boeth. mus. I 1, pp. 182, 7-183, 10 Friedlein cita un vero e proprio decreto emesso dagli Spartani contro Timoteo e le sue innovazioni.
168 Sulla Σκιάς si veda Musti-Torelli [1991] p. 205.
169 [Plut.] de mus. 21, 1137 F-1138 A = pp. 16, 26-17, 1 Ziegler: Ὁ αὐτὸς δὲ λόγος καὶ περί Τυρταίου τε τοῦ Μαντινέως καὶ Ἀνδρέα τοῦ Κορινθίου καὶ Θρασύλλου τοῦ Φλιασίου καὶ ἐτέρων πολλῶν, οὓς πάντας ἴσμεν διὰ προαίρεσιν ἀπεσχημένους χρώματός τε καὶ μεταβολῆς καὶ πολυχορδίας καὶ ἄλλων πολλῶν ἐν μέσῳ ὄντων ῥυθμῶν τε καὶ ἁρμονιῶν καὶ λέξεων καὶ μελοποιίας καὶ ἐρμηνείας. Evidente risulta dall’incipit il rimando al capitolo precedente che si conclude con la menzione di Pankrates, autore del IV secolo a.C. seguace – come Tirteo, Andrea, Trasillo e gli ἕτεροι πολλοί – dello stile antico di Pindaro e Simonide. Al IV secolo a.C. appartengono anche Telefane di Megara e gli altri autori e musici ricordati nel corso del capitolo 21. Si è quindi spinti a collocare nella stessa epoca anche i non meglio noti Tirteo, Andrea e Trasillo. Di tutti questi personaggi lo pseudo Plutarco avrà con ogni probabilità preso notizia dal loro contemporaneo Aristosseno.
170 Belle fotografie delle lastre in Todisco [1993] come in Rizzo [1932] tavv. CXXX-CXXXII.
171 Nelle fonti (cfr. per esse Jessen [1894-1897]; Burckhardt [1930]) Marsia è generalmente definito sileno o satiro e associato alla Frigia. Fonti di epoca tarda lo caratterizzano come pastore o lo mettono in relazione con il mondo pastorale. A questo mondo lo avvicina anche la tradizione che ne fa l’inventore della syrinx, lo strumento musicale che è simbolo del mondo pastorale e attributo caratteristico di Pan, figura che, come ha rilevato Thiemer [1979] pp. 63-4, sembra sovrapporsi a quella di Marsia.
172 Questa è la felice definizione che Restani [1995] p. 9 applica a racconti aventi come protagonisti personaggi mitici e incentrati intorno a fatti sonori.
173 Diverse interpretazioni sono riferite in Vogel [1964] pp. 36-41, sostanzialmente ripreso da Thiemer [1979] pp. 55-61.
174 Cfr. Wyss [1996].
175 Sulle diverse tipologie statuarie di Apollo citaredo si veda Flashar [1992].
176 Cfr. per es. Rizzo [1932] p. 86; Corso [ 1988] p. 168; Wyss [1996] p. 20.
177 Daltrop [1980] p. 10 fa osservare come il fatto di essere concitato sia una caratteristica riscontrabile sovente nelle raffigurazioni di Marsia. Sulla iconografia di Marsia normalmente seguita in età classica, cfr. Wyss [1996] p. 25.
178 Cfr. Clairmont [1957] p. 176; si veda anche Vogel [1964] p. 34. Sulla iconografia di Marsia impiccato cfr. da ultimo Weis [1992].
179 Paus. VIII 9, 1: ἔστι δὲ Μαντινεῦσι ναòς διπλοῦς μάλιστα που κατὰ μέσον τοίχῳ διειργόμενος· τοῦ ναοῦ δε τῇ μὲν ἄγαλμά ἐστιν Ἀσκληπιοῦ, τέχνη Ἀλκαμένους, τò δὲ ἔτερον Λητοῦς ἐστιν ἱερòν καὶ τῶν παίδων· Πραξιτέλης δὲ τὰ ἀγάλματα εἰργάσατο τρίτῃ μετὰ Ἀλκαμένην ὕστερον γενεᾷ. τούτων πεποιημένα ἐστὶν ἐπὶ τῷ βάθρῳ Μοῦσαι καὶ Μαρσύας αύλῶν. Il plurale Μοῦσαι è correzione introdotta dallo Jahn (la tradizione manoscritta reca Μοῦσα) e adottata in tutte le edizioni pausaniane. Alcuni studiosi (come per esempio Brommer [1950] pp. 97-8), ritenendo la correzione superflua, hanno poco convincentemente ipotizzato che Pausania abbia scambiato Apollo seduto per una Musa. Sulla struttura del santuario di cui parla Pausania, si veda Jost [1985] pp. 124-5.
180 Ajootian [1996] p. 124, sulla base delle difficoltà che a suo parere si incontrano nell’immaginare la originaria disposizione delle lastre (scrive infatti che “how they” – cioè le lastre – “actually adorned a base remains a puzzle”), ha avanzato l’ipotesi che esse facessero parte di un fregio appartenente a un monumento coregico. Osservazioni in buona sostanza simili a quelle della Ajootian, avanza anche Sismondo Ridgway [1997] pp. 205-9, incline a pensare che “no connection exists, despite the apparent similarity of the subject, between the statue base described in the second century A.C. and the Mantineia reliefs” e che dunque “no connection would exist between the Mantineia reliefs and Praxiteles or his workshop”.
181 Cfr. Paus. VIII 30, 10.
182 Cfr. Paus. I 44, 2.
183 Cfr. Paus. II 21, 8.
184 Ajootian [1996] p. 123.
185 Cfr. Todisco [1993] p. 73.
186 Cfr. Wegner [1963] p. 106. Una datazione più alta (di uno o due decenni) di quella proposta dal Wegner, è assegnata ai rilievi da Sismondo Ridgway [1997] p. 208.
187 In Higgins-Winnington-Ingram [1965] pp. 68-9 si dimostra che a una datazione dei rilievi più tarda della metà del IV secolo (i due studiosi non propongono una cronologia più precisa) si arrivi anche attraverso la attenta analisi degli strumenti musicali così come in essi sono raffigurati. Per una più dettagliata trattazione della cronologia dell’opera così come della esatta definizione del ruolo avuto nella sua realizzazione da Prassitele o della sua originaria struttura, non resta altro da fare che rinviare alla copiosa bibliografia esistente, in gran parte indicata da Corso [1988] p. 234, n. 1062; Todisco [1993] tav. 289; Ajootian [1996] pp. 122-4; Sismondo Ridgway [1997] pp. 230-3, nn. 50-9.
188 Cfr. per es. Pind. P. V 65; HAp. 131.
189 Le differenze di fabbricazione e di impiego esistenti tra la cetra e la lira sono evidenziate nelle sezioni dedicate agli strumenti musicali presenti in tutte le opere generali sulla musica greca (ma si veda per es. anche Comotti [1988] p. 46). Una spiegazione succinta di queste differenze, che ha però il pregio della chiarezza, fornisce Bélis [1989] p. 46.
190 Per un’ampia analisi delle fonti iconografiche cfr. Sarti [1992]; Sarti [1993] pp. 27-8; da consultare è anche Lopinto [1995], È un dato ormai acquisito, grazie a studi condotti su fonti letterarie e iconografiche (per ricordarne solo alcuni: McIntosh Snyder [1979]; Queyrel [1984]; Maas-McIntosh Snyder [1989]; Restani [1991]), il carattere non esclusivo del rapporto fra divinità e strumenti musicali, così da far venire meno, per esempio, la diffusa idea di una rigida connessione fra immaginario apollineo e strumenti cordofoni da una parte e immaginario dionisiaco e strumenti aerofoni (l’aulo in primo luogo) e a percussione (τύμπανα, κρόταλα, ecc.) dall’altra.
191 Cfr. BMC, Peloponnesus, tav. XXXV, 7-8; NCP, tav. S, XVI.
192 Cfr. NCP, tavv. A, X, FF, II; Lacroix [1949] pp. 302-3, tav. XXVII, 1. Nella monetazione megarese di età imperiale il tipo dell’Apollo citaredo compare anche da solo: cfr. BMC, Attica-Megara-Aegina, tav. XXII, 17; NCP tavv. A, IX, FF, I.
193 Cfr. Musti-Beschi [19872] p. 437.
194 Cfr. Corso [1988] p. 166.
195 Interessanti riflessioni di carattere metodologico sulla interpretazione di questo tipo di immagini e le prospettive che offre, sono in Seebass [1983].
196 Cfr. per es. Fougères [1898] p. 560; Rizzo [1932] p. 86; Schauenburg [1958] pp. 56-7: Jost [1985] p. 492; Corso [1989] p. 109: Beschi [1991] p. 40.
197 Cfr. Plut. Pel. 19, 1; Athen. IV 184 D; Roesch [1989].
198 Cfr. Fougères [1898] pp. 560-1: Lippold [1950] p. 238; Meyer [1983] pp. 46-50. Non è certo casuale che questi studiosi che, con maggiore o minore convinzione, danno una interpretazione ‘politica’ del monumento, optino per una sua datazione alta, considerandolo anteriore alla metà del IV secolo (intorno al 366 a.C. il Fougères, al 362 a.C. il Lippold), così da inquadrarlo in un momento di forte ostilità tra Mantinea e Tehe.
199 Cfr. Fougères [1898] p. 560. Alla ‘musica nuova’ e al dibattito da essa suscitato, è dedicata ampia parte della sezione successiva del lavoro.
200 O. VII 12, I. V 27.
201 Rp. III 399 d.
202 Cfr. in proposito Plat. leg. III 700 D.
203 A riguardo cfr. Abert [1920] coll. 1763-4.
204 Le fonti su Pronomo sono raccolte e discusse in Geisau [1957].
205 Da non poche testimonianze, raccolte e studiate da Thiemer [1979] pp. 50-2 e passim, risulta evidente che i Greci sentivano l’aulo come strumento straniero, connesso in particolare con la Frigia. Sulla genesi della κιθάρα si veda Sarti [1993].
206 Alla vicenda di Marsia così intesa (in proposito si veda per es. Besciii [1991a], p. 40), si può avvicinare un altro “evento sonoro mitico”: la storia del cantore e citaredo trace Tamiri su cui si veda ora, per l’attenzione rivolta ai suoi aspetti ‘sonori’, Cillo [1993]; Arias [1995].
207 Sul ruolo della componente agonale nella musica greca cfr. Barker [1995], studio della cui versione originale non si è riusciti ad avere conoscenza diretta.
208 È quanto si fa ben notare in Leclercq-Neveu [1989] p. 267. Come argomento a loro favore, i denigratori dell’aulo potevano addurre anche la normale associazione dello strumento con sileni e satiri (cfr. in merito Paquette [1984]), figure che, attraverso un esame della documentazione sia letteraria che iconografica, Lasserre [1973] ha dimostrato essere sentite, a partire dall’età arcaica, “comme l’anti-paradigme de la bienséance, comme le Struwelpeter de l’éducation aux bonnes manières”.
209 Plut. Alc. 2, 5-7. Si tratta di uno dei tanti aneddoti riferiti da Plutarco nei capitoli (1-12) sull’infanzia e la giovinezza di Alcibiade, volti a illustrare il carattere del personaggio (in proposito cfr. Hatzfeld [19512] pp. 59-60; Ellis [1989] pp. 17-20; sull’impianto e le fonti della biografia plutarchea di Alcibiade, si veda Prandi [1993] pp. 281-92). L’episodio è, in modo in parte diverso, riportato anche da Gell. XV 17 che indica come propria fonte il Commentarium di Pamphila di Epidauro, erudita attiva a Roma al tempo di Nerone. L’episodio è costruito intorno a una tradizione (l’avversione di Alcibiade per lo studio dell’aulo) seguita anche in Plat. Alc. I 106 e, con la quale contrasta la notizia di un Alcibiade che impara a suonare l’aulo da Pronomo di Tebe. A fornire quest’ultima è, si può dire non casualmente, Duride di Santo (FGrHist 76 F 29), autore che vantava una discendenza da Alcibiade (cfr. Plut. Alc. 32) ma i cui frammenti su questo personaggio riflettono, come sottolinea Prandi [1993] pp. 275-6, “una sorta di anticonformismo, di predilezione per la variante anomala”.
210 Cfr. per es. Huchzermeyer [1931] pp. 57-9: Wegner [1963] p. 11: West [1992] p. 105.
211 Cfr. Nordquist [1992] pp. 155-66.
212 Si veda in proposito Reinach [1904] p. 2084; Wegner [1963] p. 13; Marrou [19713] pp. 186-7.
213 Per le fonti in proposito cfr. Beck [1964] p. 95.
214 L’altro episodio mitico richiamato da Alcibiade come illustre esempio di biasimo nei confronti dell’aldo, è anch’esso parte della saga di Marsia. Di questa costituisce secondo gli studiosi (cfr. per es. Jessen [1894-1897] coll. 2440-1; Huchzermeyer [1931] p. 61) un nucleo più recente rispetto quello della contesa con Apollo, della quale diviene, come dimostrano fonti letterarie di età imperiale (Ov. fast. VI 695-710; Hyg. fab. 165 per citarne alcune) e tardoantica (Fulg. myth. III 9, pp. 73-7 Helm) nonché sarcofagi di età romana con rilievi raffiguranti la storia di Marsia (cfr. Robert [1904] pp. 242-67, tavv. LXIII-LXIX; Wyss [1996] pp. 22-4), una sorta di prologo. Protagonista dell’episodio, narrato secondo versioni che nei particolari differiscono, è Atena: la dea, inventrice dell’aulo secondo una tradizione di probabile matrice beotica (cfr. Pino. P. XII: Corinn. fr. 668 Page), dopo aver visto, specchiandosi nell’acqua, come il suo volto si deformasse nel suonare lo strumento, lo avrebbe gettato via. A raccoglierlo sarebbe stato Marsia che, divenutone esperto, avrebbe poi sfidato Apollo. La tradizione di Atena che getta via l’aulo, si sa essere stata accolta nel ditirambo Μαρσύας composto da Melanippide di Melo intorno alla metà del V secolo a.C. con il quale, proprio a causa sua, polemizza secondo ogni probabilità (cfr. Comotti [1980]) un altro ditirambografo, Teleste di Selinunte (per una diversa opinione al riguardo si veda Lasserre [1954] p. 84). Più o meno nella stessa epoca, la medesima tradizione trova espressione nel gruppo scultoreo realizzato da Mirone per l’Acropoli di Atene, noto da molte copie e raffigurazioni vascolari (cfr. Weis [1979]; Daltrop [1980]): in esso, modello tenuto ben presente – anche da chi ha eseguito i rilievi delle lastre mantineesi – nella posteriore iconografia di Marsia (cfr. in proposito Froning [1971] pp. 300-1; Corso [1989]), si rappresentava la dea che, gettato via l’aulo, guarda Marsia pronto a raccoglierlo. Da questi ultimi dati si evince facilmente che con la metà del V secolo a.C. Marsia diviene, per dirla con Metzger [1951] p. 163), “un des personnages favoris du répertoire artistique et poétique des Athéniens”: oltre che nell’opera letteraria di Melanippide e nel gruppo scultoreo di Mirone, le sue vicende (soprattutto la gara con Apollo) compaiono infatti anche nella pittura vascolare di cui diventano soggetto ricorrente (cfr. Weis [1992a]). Diverse sono state logicamente le spiegazioni che gli studiosi hanno dato di questo successo: cfr. per es. Metzger [1951] pp. 163-8; Boardman [1956]; Schauenburg [1958] pp. 58-9; Queyrel [1984] p. 146; Wyss [1996] pp. 19-20.
215 Il naturale processo per cui autori ritenuti rivoluzionari alla loro epoca diventano con il tempo dei classici da studiare, fa sì che non contrasti con questo conservatorismo il fatto che a un certo punto, come testimonia Polyb. IV 20, 9, nel programma di studio dei giovani arcadi si faccia posto ai componimenti innovatori di Filosseno di Citera e di Timoteo di Mileto, cosa che Fougères [1898] p. 347 giudicava invece “curieux”.
216 Burelli Bergese [1995] p. 31.
217 Su questa vexata quaestio si veda da ultimo Burelli Bergese [1995] pp. 10-2 che affronta l’argomento nell’ambito di una trattazione (pp. 9-38) del più complesso e ampio problema della possibile individuazione di fossili micenei nel patrimonio mitico-cultuale dell’Arcadia.
218 Si veda in proposito Drews [1983] pp. 71-4; Carlier [1984] pp. 405-7; Burelli Bergese [1995] pp. 26-31.
219 Cfr. Lévêque [1961]. Altri studi condotti su culti e miti arcadici e sui loro possibili corrispondenti micenei, sono indicati in Burelli Bergese [1995] p. 32, n. 133.
220 Cfr. Rispoli [1969] pp. 141-2.
221 In [Plut.] de mus. 32, 1142 E = p. 28, 4 Ziegler si specifica che i Lacedemoni τò παλαιόν costituivano un di popolo συνετός in materia di costumi musicali.
222 Cfr. Fougères [1898] pp. 347-8.
223 Cfr., volendo solo fare qualche esempio, Abert [19682] pp. 3-9; Vetter [1954] col. 1581; Dorino [1956] pp. 313-6; Comotti [19912] p. 33; West [1992] pp. 31-4, 246-53; Anderson [1994] p. 143.
224 Cfr. sull’argomento soprattutto gli studi sul pitagorismo di A. Mele ([1981]; [1981a]; [1984] pp. 54-55). Più in particolare sui rapporti fra la cosiddetta ‘politique pythagoricienne’ e il sistema politico spartano, si veda Ollier [1933] pp. 197-206; Tigerstedt [1965-1978] I, pp. 231-3.
225 Iust. XX 4, 4, Val. Max. VIII 7, 2 e Iambl. Pyth. 25 parlano addirittura di un soggiorno di Pitagora a Sparta e a Creta, con l’intento di studiarne di persona i costumi e le leggi. Secondo Ollier [1933] pp. 202-3 e Tigerstedt [1965-1978] I, p. 232, questi autori rifletterebbero una tradizione risalente, per il primo, ai pitagorici di Fliunte, per il secondo, almeno parzialmente, a Dicearco di Messina. Le fonti sui viaggi di Pitagora sono raccolte e discusse in Cuccioli Melloni [1969] pp. 20-1.
226 Mele [1981] p. 83.
227 Cfr. Musti [1989] pp. 502-8; Mossé-Schnapp-Gourbeillon [1997] pp. 296-9.
228 Così Obbink [1995] p. 205. Per un elenco quanto più possibile completo, sebbene non esaustivo, dei titoli di opere di altri autori citati da Filodemo nel Περὶ εὐσεβείας, si veda ora Delattre [1996].
229 Cfr. Philod. piet. col. XI N = col. VIII O, 12-15, p. 122 Schober = Aristox. fr. 45, I Wehrli (si fa riferimento a Schober [1988]).
230 Scrive a ragione Wehrli [1983] p. 541 che “Μαντινέων ἔθη und Μαντινέων ἐγκώμιον [...] konnen trotz der Überlieferung der beiden Titel bei Philodem […] ein und dieselbe Schrift gewesen sein”.
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En Grèce et en Grande Grèce. Archéologie, espace et sociétés
Quatre conférences au Collège de France (Paris, 2014)
Emanuele Greco Annie Schnapp-Gourbeillon (trad.)
2020