L’alsos/lucus, forma idealtipica artemidea: il caso di Ippolito
p. 69-75
Résumés
L’ipotesi qui presentata tende a definire un modello idealtipicodell’alsos-lucus quale. squale forma cultuale intermedia tra la hyle-silva e il kepos-hortus, in stretta connessione di significati con l’insieme dei contenuti religiosi in esso presenti: l’ambito di Artemis, legato per antonomasia alla transizione. A conferma di questa ipotesi è l’intreccio narrativo che coinvolge le vicende dei giovani Ippolitoe Oreste, che dal bosco di Nemi, consacrato ad Artemis-Diana, si risolvono nello hieron di Trezene-Atene, all’ombra delle di vinità “centrali” Apollo-Atena.
The hypothesis here presented tends to define a ideal-typical model of the alsos-lucus as intermediate form between the hyle-silva and the kepos-hortus, in close connection of meanings with the whole of the religious contents present in it: the sphere of Artemis, linked by antonomasia to the transition. This hypothesis is confirmed by the narrative plot that involves the vicissitudes of the young Hippolytus and Orestes, which from the forest of Nemi, consecrated to Artemis-Diana, are resolved in the hieron of Τroezen-Athens, in the shadow of the “central” gods, Apollo-Athena.
Texte intégral
1In:Les bois sacrés. Actes du colloque international de Naples. Collection du Centre Jean Bérard, 10, 1993,69-75.
2L’alsos definisce uno spazio sacro1. Più spesso evoca l’immagine di uno spazio boscoso2, ma può anche denotare uno spazio non alberato, dunque un temenos3. In ogni caso, ha sempre implicazioni con il religiosoe con fatti cultuali, anche in assenza di strutture ad esso associate come il tempio ο l’altare.
3Non troppo distante dall’alsos la rappresentazione del termine latino lucus4, il cui significato, anche se non l’unico, è “boschetto sacro”. Ma, discussioni di grammatici antichi, fondate sulla connessione morfologica con i termini dell’ambito semantico della “luce”(lux, lucere, presenti anche nella composizione di altri termini affini: conlucare, lucar, ecc.), aprirebbero ad una interpretazione alternativa giocata sulla presenza/assenza dell’elemento lux nella struttura lucus, per cui il riferimento più che a bosco sarebbe a radura nel bosco5.
4Ma comunque, sia l’alsos che il lucus solo se inseriti in un sistema più ampio di significati omologhi ed opposti, possono avere una collocazione propria.
5Questa necessità di comprensionee distinzione era già in una glossa di Servio6, che per recuperare il significato di nemus aveva bisogno di differenziarlo da altra realtà boschiva: «C’è differenza tra bosco(nemus), foresta(silva) e bosco sacro(lucus). Infatti, lucus definisce uno spazio boschivo cultuale(lucus est arborum multitude cum religione); con il termine nemus si caratterizza uno spazio boschivo regolato(nemus composita multitudo arborum), la silva è connotata dal suo essere vegetazione arbustiva estesae non coltivata(silva diffusa et inculta)». Da Servio parrebbe dunque, che mentre nemus e silva fungono da termini rappresentanti due modalità distinte ed opposte(nemus composita multitude arborum/silva diffusa et inculta), cioè la relativa estensionee spontaneità della vegetazione del nemus si misurerebbe su quella fitta intricatae selvaggia della silva, il lucus caratterizzato dalla dominanza del sacro, assente negli altri due spazi, assumerebbe una posizione intermedia.
6Il valore funzionale di una distinzione tra questi termini lungo una direttrice natura-cultura, viene esaltato quando in essa si inserisca il polo cultura estremo, che ha la sua manifestazione nelle realtà kepos/hortus. Qui, si intende non solo applicare la struttura triadica di Servio alla analo-ga realtà greca, ma al contempo proporre una sua ridefinizione. Infatti, mentre il polo “natura” avrebbe in questo ambito la silva coincidente con la hyle greca, noi proporremmo un’equivalenza per il termine medio tra la coppia alsos/lucus (spazi boschivi sacri)e nemos / nemus (spazi composita multitudo arborum) — l’equivalenza funzionale lucus/nemus, infatti, nonostante Servio, non lascia dubbi: l’’epiteto della Diana Nemorensis7, non legato al toponimo, ma al nemus, ne è conferma. Del resto, l’analisi che proponiamo nel seguito, del rapporto tra Artemise l’alsos, varrà come ulteriore prova. Il polo cultura troverebbe la sua manifesta espressione nellarealtà kepos/hortus.
7La necessità di operare distinzioni è funzionale alla definizione di una griglia sia pur elementare, che faccia da sostegno al passaggio da un discorso eminentemente tipologico delle realtà hyle, silva,ecc., ad una connessione di questi spazi così distinti, con realtà di tipo storico-religioso.
8Su queste premesse ritengo che lo spazio cultuale proprio di Artemis/Diana sia quello rappresentato dai termini medi del sistema precedente dell’alsos/lucus8.
9Anzi, ribaltando le priorità, faccio l’ipotesi che siano le funzioni propriedi Artemis/Diana a decidere su unaforma specifica di alsos/lucus ad essa consacrato.
10Se è così, l’alsosllucus — non contenitore vuoto, modalità neutra dello spazio sacro/contesto cultuale astratto, ma mediazione di significati anch’esso —, se spazio di Artemis/Diana, conserva la massima distanza dalla struttura kepos/hortus, luogo privilegiato degli ambiti cultuali tipici di Aphrodite9.
11Infatti, Artemis/Diana10, che “abita” spazi non urbani — ο comunque, periferici rispetto ad un centro dato — i cui contesti del la zona sacra sono già delimitati da frontiere naturali (laghi, monti, selve, paludi), gode di una “naturale” difesa del suo territorio.
12Si può pensare così, che sia proprio questa “selvaticità” del suo ambiente, questa maggiore contiguità con lo spazio “natura”, a determinare l’assenza di prescrizionie divieti dominanti gli alse / luci consacrati ad altre divinità11.
13Come pure, si può presumere che i “fatti”, i protagonisti, gli intrecci, gli eventi, giocati all’interno dell’alsos/ lucus in generale, dell’alsos / lucus artemideo in particolare, abbiano qualità diversee specifiche.
14Inoltre, il riconoscimento di una realtà funzionalee strutturale della categoria alsos/ lucus, annullerebbe decisamente tentazioni di lettura, se mai ancora ve ne fossero, in senso evolutivo della pratica del sentimento religioso dalla selva all’alsos, al temenos, allo hieron, ecc.12
15Ma, tornando ad Artemis, ritieniamo che il suo universo di significati si riproduca coerente ed omologo negli spazi ad essa designatie nelle corrispondenti funzioni. Questi sono connotanti su un piano simbolico generazionale/ sociale come aree di limite, passaggio, margine, conciliazione/strutturazione dei conflitti, propri di forme di transizione dal prepolitico al politico. Si tratta dunque della definizione di uno “spazio intermedio” per eccellenza. Si deve allora ipotizzare che vi sia come forma ideale, adeguata a queste qualità funzionali, il contenitore alsos/ lucus, i cui analoghi valori di significato venivano indicati nella casistica individuata precedentemente.
16Ad esemplificazione di questa ipotesi, si sceglierà una costellazione di alse con determinate caratteristiche: sono tutti consacrati ad Artemis; sono topograficamente emblematici delle localizzazioni tipiche degli spazi artemidei ed adeguati alle funzioni attribuite a questa divinità; sono “abitati” centralmente dall’eroe Ippolito ο da altre figure mitichee categorie che ugualmente designano i significatie le funzioni dell’ambito artemideo. Si tratta di:
- alsos consacrato ad Artemis fuori Trezene;
- alsos di Artemis Saronia presso la palude Febea;
- alsos di Asclepio ad Epidauro;
- alsos di Artemis/Diana a Nemi, presso Al icia;
- alsos di Artemis Aitolis al Timavo; il confronto però vorrà misurarsi pure con delle strutture di hiera, che recuperano gli stessi motivi ed eroi, in una composizione ormai risolta;
- gli spazi sacri della città di Trezene.
17Ma entriamo in una più dettagliata analisi di questi luoghi.
181-La tradizione trezenia13 conosce l’infelice sorte di Ippolito, figlio illegittimo di Teseoe della regina delle Amazzoni, destinato a spostarsi dall’Attica a Τrezene,e a diventare lì, re. Ma, a Trezene, arriverà in esilio Teseo con Fedra per purificarsi dell’uccisione dei Pallantidi; Fedra conoscerà Ippolito. Di qui, le disgrazie dell’eroe. A lui infatti, fatale sarà il rapporto esclusivo con la sfera di Artemis, che determinerà esiti autodistruttivi per la sua identità, minacciata da furori, vendette, morte, provocati dall’ira di Aphrodite, i cui ambiti l’eroe assolutamente aveva disdegnato. Infatti, Ippolito, eroe artemideo per eccel lenza, è perduto nella sua incapacità di differenziarsi come individuo umano nel rapporto con la divinità. Come Artemis Parthenos, «ha in orrore l’idea di un lettoe quanto può rifiuta le donnee le nozze»14. Come Artemis Selvatica — che non ama la città, ma abita altri spazi —, ugualmente «passa le sue giornate al fianco della vergine, trail verdee la boscaglia, con i cani a cacciare le fiere»15 È dunque, non differentemente da Artemis Agrotera. Ippolito si pone ai “margini” del suo contesto a Trezene. Egli è pais, è cacciatore, vive lo spazio della hyle e dell’eschatia, celebra così, il suo rapporto cultuale con la Divinità nello spazio dell’a/ms, leimon akeratos, dove «nessun pastore mai vi conduce la greggia a pascolare, nè ferro mai vi scese»16. Ivi l’eroe raccoglie fiori per farne ghirlande da offrire alla dea, vivendo un rapporto con la divinità di speciale ed esclusiva contiguità: è questo che lo perderà rispetto ad Aphrodite.
192-Infatti, è per l’ira della dea che gli eventi precipitano: l’innamoramento della matrigna, Fedra, sarà lo strumento della vendetta; l’infelice, respinta nei suoi trasgressivi desideri amorosi per il giovane figliastro, si impiccherà per il disonore vissuto, non senza aver lasciato un messaggio al marito, Teseo, in cui si accusava Ippolito di averle usato violenza. La immediatae furente reazione di Teseo determinerà l’esilio di Ippolitoe la sua morte, travolto dai cavalli imbizzarriti da prodigi divini per volere di Aphrodite.
20Questo esito si compie non lontano dal tempioe alsos di Artemis Saronia17, così denominato dal re Saron. Anche dalla tradizione trezenia sappiamo che l’albero nel quale il carro di Ippolito si ribaltò causandone la morte, presso la laguna Febea, è il rachos, ulivo selvatico, definito streptos “contorto”, perchè la briglie andarono ad impigliarsi in esso. Il mito legato a questo re leggendario conservae riproduce i dettagli tipici artemidei: tempioe alsos non distanti da un mare paludoso; il protagonista, il re, appassionato cacciatore, è preso dal desiderio di raggiungere una cerva. Nel seguire l’animale che si era rifugiato in mare per trovarvi scampo, aveva nuotato a lungo, finchè stanco, era morto inghiottito dalle onde. Sepolto nel bosco della dea, la palude sarà chiamata dal suo nome. La funzione di Artemis «située là où les zones opposée se recoupent et interfèrent, où leurs limites nettes s’effacent, semble rappeler la fragilité des frontières et souligner, par l’incertitude même dont elles sont marquées, la nécessité de les respecter strictment»18.
21Del resto il tema del katapontismos iniziatico presente nel logos del re cacciatore — che annega così perdendosi —, in cui si allude proprio alla dimensione del passaggio, della trasformazione, trova confronti con il motivo che si conserva in maniera analoga nel mito di Ippolito, che muore, rinasce, diventa altro.
223-Infatti è nel bosco sacro di Asclepio19, che avviene una20 delle possibili “trasformazioni” di Ippolito. Qui, in questo spazio sacro, segnato dal divieto di nascitae di morte, dove era prevista un’area sacra ad Artemis, Ippolito può ritrovare una nuova forma — segnalando qui come anche la guarigione rientri nelle funzioni artemidee, perchè area di limite, di passaggio, che può ri solversi solo attraverso la mediazione di divinità che presiedono a questi ambiti. Si è mutata la sua identità: non è più ilpais Ippolito, ma si è trasformato nel solitario geron, Virbio21, per sempre custode del bosco di Diana.
23Perciò, ad Epidauro, nell’alsos di Asclepio tra le stele di individui guariti dal dio, c’è n’è una antica22, che attesta la dedica di Ippolito di venti cavalli. L’iscrizione confermerebbe la tradizione degli Aricini che raccontano che Ippolito morì per le maledizioni di Teseo, fu risuscitato da Asclepio, andò ad Aricia dove regnòe consacrò un recinto ad Artemis. Lì si svolgeva la monomachia per il sacerdozio della dea aperto unicamente a schiavi fuggitivi.
244-Infatti, era lì, a Nemi, non distante da Aricia, incassato tra le montagnee il lago, il lucus di Diana-Hecate-Trivia23, dove si possono immaginare vissuti rituali foschie cruenti, sul modello di quelli per l’Artemis Taurica24, perchè lì Oreste avrebbe portato dalla Tauride lo xoanon della dea, per purificarsi della colpa del matricidioe liberarsi della follia25. Infatti, in questo spazio di asylia, protetto da norme esternee regolato sul tempo astorico del mito, si rifugia Oreste, follee vagante perchè matricida, alla ricerca di una sua integrazione impossibile, se non attraverso una ennesima trasgressione: il furto della statua cultuale della Artemis Taurica in terra barbara.
25Lì si rifugia, resuscitato, ma trasformato, Ippolito26, tracotante giovane cacciatore, fedele seguace di Artemis, perduto dalla sua incapacità di “crescere”.
26Ed a Nemi si rifugia l’inconsolabile ninfa Egeria27, mitica compagna del re Numa, per consumare il lutto vedovile. Nella pratica rituale viene, infatti, a segnalare una dominanza della sfera femminile, l’uso rituale del luogo da parte di gruppi di donne che propiziavano tappe della propria vita femminile: l’adolescenza, il matrimonio, il parto28.
27Ma accanto a queste funzioni femminili emerge nel Incus di Nemi la singolare “arcaica” pratica rituale del “re del bosco”, secondo cui sono previsti duelli per la supremazia sul territorio, su cui si f ondae si celebra la precarietà assoluta del rex nemorensis, schiavo fuggitivo29. Questi infatti, domina, finchè domina, perchè nella sua vita incombe la potenziale continua minaccia di nuovi potenziali aggressori che siano riusciti a spezzare un ramo da un certo albero del bosco sacro,e lì, pericolosamente risiede, accanto ad altre figure di analogo spessore funzionale, che la tradizione mitica conoscee riferisce allo stesso ambito cultuale, segnate tutte dallo stesso carattere di precarietàe marginalità: presenza di fanciulle, donne partorienti, tradizioni di eroi adolescenti, il giovane Oreste, l’efebo Ippolito.
28Mi riferisco, oltre al già accennato vagante fuggitivo folle Oreste, ad Ippolito, destinato a vagare in esilio anch’esso, ma accolto dalla dea che lo difenderà da ulteriori prove nascondendolo nel bosco di Nemi. sotto altre spoglie, non più giovane tracotante cacciatore, ma anziano solitario individuo; sotto altro nome, non più Ippolito, ma Virbio. Infatti di Ippolito, a Nemi, resta solo segno nel divieto di accesso nel bosco sacro ai cavalli, causa della morte,e nel suo “doppio”, Virbio.
295-Ma i cavalli, vietati nell’alsos aricino, perchè fonte di morte per Ippolito, dominano nel mito legato all’alsos per Artemis Aitolis30. Presso i Veneti, si onora Diomede sacrificando a lui un cavallo biancoe consacrando nei pressi del suo santuario al Timavo, due boschi, uno per Artemis Aitolis. uno per Hera Argiva. Lì. raccontano si realizzasse «il divenire pacifiche delle bestie selvagge,e il vivere insieme nello stesso branco di cervi con i lupi in questi boschi sacri, il tollerare che gli uomini si avvicininoe li carezzino, ο il cessare di essere inseguite dai cani qualora vi si rifugino». Il mito raccontava di un lupo catturato da cacciatori, poi riscattato da uno dei notabili del paese, che aveva garantito per lui. Il lupo riconoscente avrebbe guidato nelle stalle del benefattore un gruppo di cavalle non marchiate. A ricordo di questo evento il notabile fece marchiare le cavalle con l’immagine di un lupo. Da quel tempo in poi, le cavalle furono famose per la loro velocità, più che per la bellezzae si impedì che le femmine di questa razza di cavalli, chiamati lykophoroi, si vendessero all’esterno, inficiandone la purezza.
30Non possiamo qui seguire le molteplici tracce simboliche che legano questi elementi alla figura di Artemis, ma ci limitiamo a riprendere solo rapidissime suggestioni dalla ricca analisi interpretativa di E. Lepore relativa a questo blocco di tradizioni: il racconto in tutti i suoi dettagli riproduce un tipico scenario artemideo «dal l’ammansirsi di fieree il vivere pacificamente di bestie appartenenti a categorie normalmente distinte ο antitetiche, come il lasciarsi avvicinaree accarezzare dagli uomini nel bosco sacro che lì diviene asilo della selvaggina braccatae lì risparmiata dai cani». Infatti, oltre al paesaggio familiare ad Artemis (un porto, un magnifico bosco, sette sorgenti di acqua fluviale), «l’aition che segue, sul notabile amante di farsi garantee la gratitudine del lupo riscattato ai cacciatorie convogliarne le cavai le selvagge, dando luogo alla razza equina dei lykophoroi, rientra nell’ambito di una “domesticità” animale ο dell’addomesticamentoe si connette all’allevamento, aggiogamento ο altro addestramento equino — familiare alla sfera eroicae agli attributi di Diomedee suoi antenati —,e non estranei neppure ad Artemis, specie quella arcadica, che sa “ammansire” (Hemera, Hemerasia».31
31A controverifica dell’assunto iniziale su cui si è costruito questo insieme di “evidenze”, è indispensabile ora confrontarsi con ambiti cultuali non più di alse, ma di hiera, nei quali tornano gli stessi eroi protagonisti dei vari contesti cultuali trattati, ma qui sistemati in un sistema di relazioni reciproche: Oreste nello spazio cultuale dell’agora/Ippolito nel santuario extra-urbano:
326 - La tradizione di Diomedee le connessioni con l’ambito equino, nella tradizione trezenia, infatti, ha dei percorsi che finiscono per coinvolgere ancora Ippolito ed il suo culto: Diomede avrebbe consacrato un famoso recinto ad Ippolito, al quale avrebbe sacrificato per primo. I Τrezeni negano quest’ultimo fatto, affermando che I ppol ito avrebbe il sacerdozio a vita,e che nei ritual i prematrimoniali per le parthenoi, il taglio di una ciocca di capelli sarebbe dedicato ad Ippolito. Negano che l’eroe sia morto trascinato dai cavalli, perciò non ne mostrano la tomba32.
33E’ancora nella tradizione trezenia, quella che esclude la diramazione latina del culto, dove Ippolito ha un grosso spazio cultualee dove avviene una interessante commistione con la tradizione di Oreste “contaminato”; nuclei mitici questi che pure avevamo trovati accostati nell’ambito cultuale di Nemi.
34Le connessioni cavallo/Ippolito/Oreste/sfera artemi-dea, proprie della tradizione aricina, tornano sempre in ambito trezenio, sempre in riferimento ad un culto artemideo, quello dell’Artemis Lykeia, il cui tempio sull’agora sarebbe stato fatto da Ippolito; davanti al tempio c’era una pietra sacra, dove sedettero nove uomini di Trezene per purificare Oreste dell’omicidio della madre. Non lontano da questo spazio cultuale il santuario di Apolloe la cosiddetta “tenda” di Oreste, dove fu alloggiato l’eroe prima che si fosse purificato, perchè nessuno dei cittadini voleva accoglierlo contaminato. Lì, infatti, fu purificato. Dagli strumenti della purificazione sotterrati germogliò una pianta di alloro (segno della mediazione apollinea). Trai mezzi utilizzati, l’acqua dell’hippokrene, dettaappunto “fonte del cavallo”. Non distante il tempio di Artemis Soteira33.
35Accoglimento cultuale anche per Ippolito, infatti Artemis, che non aveva potuto evitare che il funesto volere di Aphrodite si compisse — perchè «legge è tra gli dei che nessuno intervenga nella volontà altrui»34 —, potrà solo vendicarsi colpendo il fedele più amato della dea rivale, ma anche riservare al suo fedele seguace memoria eterna presso i Trezeni, istituire un suo culto, decidere una forma di devozione, che tutte le fanciulle prima del matrimonio gli dovranno: la consacrazione di una ciocca di capelli nel suo tempio come se fosse un nume (allusione a rituali di iniziazione femminile come a Nemi).
36Questa la tradizione che Euripide riportae che trova conferma in quella recuperata da Pausania in ambito trezenio: ad Ippolito è attestata la dedica di un recinto sacro, una statua antica, un tempio; l’eroe Diomede sarebbe stato il primo ad aver sacrificato al giovane; sarebbe prevista la carica sacerdotale a vita per il suo cultoe sacrifici annuali tra cui il rituale di iniziazione femminile prematrimoniale delle giovani fanciulle.
37Nel suo spazio sacro, Apollo ha un ruolo nella soluzione dell’intreccio mitico dell’eroe Ippolito, il tempio di Apollo Epibaterios, dedicato da Diomede; dall’altra parte del recinto uno stadio detto di Ippolito, al di sopra di esso il tempio di Aphrodite Kataskopia; di qui, Fedra spiava Ippolito che faceva ginnastica. Lei disperatamente innamorata, si sfogava con le foglie di mirto di un cespuglio non distante, bucherellandole con lo spillone dei suoi capelli. Ancora, lì è la tomba di Fedra, non lontano dal monumento di Ippolito,e dal cespuglio di mirto — il cui valore simbolico è estremamente pregnantee coerente a questo contesto —,e la statua di Ippolito come vogliono i Τrezeni,e non di Asclepio secondo “altre” identificazioni,e la casa di Ippolito.
38Qui, dunque, Ippolito è divinizzato, Diomede è il sacerdote, oltre ad essere il dedicante di tempio ad Apollo, si onora Aphroditee anche Fedra ha un posto nella memoria cultuale; Asclepioe la sua mediazione che porterebbero ad Aricia-Virbio, sono cancellati. Infatti, in questa versione locale del racconto non può esserci posto per la tradizione della morte di Ippolito trascinato dai cavalli (quella aricina), tanto che i Trezeni negano l’esistenza della sua tomba, anche se — a detta di Pausania —, debbano conoscerla. Ritengono, invece, che la costellazione celeste, detta dell’auriga, sia proprio Ippolito, che avrebbe ottenuto questo onore per privilegio divino35 (non è un modo analogo allo spostamento di Ippolito sotto false spoglie, non più eterno caduco individuo a Nemi, il proiettarlo sotto altra eterna forma, ma altrove?).
39Dunque, questo blocco di tradizione privilegiando la divinizzazione nel santuario extra-urbano a Trezene di Ippolito come esito della sua morte, si connota come alternativo al filone di Epidauro-Aricia, da dove parte il nodo mitico Ippolito — mediazione Asclepio-Virbio,e Oreste-Tauride-Aricia.
40La topografia di questi spazi, così come si rappresenta nella tradizione trazenia, infatti, è connotata dalla negazione di esiti differenti delle storia di Ippolito,e dalla sistemazione risolta di questo intreccio mitico: spazi in cui convivono bene i protagonisti del conflitto mitico.
41Così come avviene rispetto alla tradizione mitica relativa alla purificazione di Oreste, secondo la quale, sempre in ambito trezenio. passa per forme “civilizzate” che prefigurano un ambito cittadino all’interno del quale si compionoe risolvono i conflitti rispetto alla polis, grazie ai nove andres a Τrezene (non diversamente dal la soluzione ateniese che propone per la purificazione di Oreste l’istituzione del tribunale cittadino dell’Areopago in alternativa al percorso taurico).
42Questa è la composizione della città — spazio per antonomasia, della cultura —, che ha pianificato, sistemato, integrate le sue contraddizioni elaborandole con un livello di simbolizzazione più alto, ma che soprattutto guarda ad altre soluzioni come non compiute (forse, perchè legate alla forma dello “spazio intermedio artemideo” dell’alsos?).
43Il ventaglio di miti artemidei, connessi alla struttura alsos, qui proposti, evidenzia delle costanti: contesti spazialmente ai “margini” rispetto ad un “centro” costituito; storie di eroi coinvolti in certo tipo di difficoltà, da cui si evidenzia la precarietà del loro statuto. Tutto questo insieme di dati, conferma la distinzione triadica proposta all’inizio. In particolare rafforza la nostra ipotesi che vuole connotare lo spazio cultuale alsos / lucus come rappresentazione per antonomasia dello “spazio intermedio” e della sua equivalenza ai termini nemos / nemus. In tutto questo risulta la mediazione cultuale legata alle qualità funzionali specifiche degli ambiti artemidei.
Bibliographie
Abbreviazioni bibliografiche
Vernant 1990: VERNANT (J. -P.), Figures, idoles, masques. Paris, 1990.
Lepore 1984: LEPORE (E.), Artemis Laphria dall’Etoliaal Veneto (a proposito di Strabone V, 1, 9 C215).In: Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2. Naples, 1984 (Cahiers du Centre Jean Bérard, 9), 109-113.
Notes de bas de page
1 Cfr. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque.I. Paris, 1968, s. v. alsos; H. Frisk, Griechisches Etymologisches Worterbuch. I. Heidelberg, 1960, s. v. alsos.
2 Hesych., s. v. alsos.
3 Cfr. Thesauruslinguae grecae, s. v. alsos.
4 Cfr. Thesaurus linguae latinae, s. v. lucus; cfr. Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine. 4e éd, Paris, 1959 (4e tirage, 1985), s. v. lucus; Daremberg-Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, s. v. lucus; Serv., ad Verg., Aen., I, 310; I, 441.
5 Cfr. Thesaurus linguae latinae, l. c. Per una discussione sulla rilevanza teorico-filosofica relativa alla derivazione del termine lucus, cfr. L. Amoroso, La Lichtung di Heidegger come lucus a (non) lucendo. In;Il pensiero debole (dir. G. Vattimo e P. A. Rovatti). Milano 1983, 137-163.
6 Serv., ad Verg., Aen., I, 310.
7 Cfr., Cato, Orig., fr. 68 Peter; Fest., p. 128 L. ; CIL, XIV, 2213.
8 Serv., ad Verg., Georg., III, 332.
9 Cfr. M. Venturi Ferriolo, Eros e Afrodite. Alle origini dell’idea di giardino. In; Il giardino. Idea Natura Realtà (dir. A. Tagliolini e M. Venturi Ferriolo). Milano, 1987, 55-74.
10 Cfr. J. -P. Vernant, La mort dans les yeux.Paris, 1985; Vernant 1990.
11 Cfr. D. E. Birge, Sacred groves in the ancient Greek world. Diss. Berkeley, 1982.
12 Al contrario, la contestualità della struttura alsos ad altri spazi, sede di fatti cultuali, inseriti tutti in un insieme più ampio, che è la città, bene si evidenzia da Platone, Leggi, VI, 631c. Infatti, in questa opera, dove si confrontano i possibili modelli di città, nella sezione dedicata alle leggi che disciplinano il culto religioso, si fa riferimento al problema delle acque che non devono danneggiare, ma anzi essere convogliate per l’uso pubblico, e si indica che «dove ci sia nelle vicinanze qualche bosco(alsos) ο luogo sacro(temenos), essi lo abbelliscano, indirizzando ai luoghi sacri degli dei, i corsi d’acqua per mezzo di irrigazioni in tutte le stagioni».
13 Eu., Hipp., 68 ss. ; Paus, I, 22, 2. Cfr. P. Vidal-Naquet, Note sur la place et le statut des étrangers dans la tragédie athénienne. In: L’étranger dans le monde grec (R. Lomis éd.). II. Nancy, 1992 (Travaux et Mémoires: études anciennes, 7), 297-311.
14 Eu., Hipp., 14.
15 Eu., Hipp., 17-18.
16 Eu., Hipp., 72 ss.
17 Paus., II, 32, 10.
18 Paus., II, 30,7. Cfr., Vernant 1990, 141-144.
19 Paus., II. 27, 1
20 cfr. Eu., Hipp., 1427 ss; Paus., II, 32, 1.
21 Verg., Aen.,VI, 776 ss. ; Ovid., Metam., XV, 537 ss.
22 Paus., II, 27, 4.
23 Verg., Aen., VII, 516 e Serv., ad loc. ·, Prop., II, 32, 9 ss. Il complesso cultuale di Nemi è stato oggetto di studi, che con approcci differenti ne hanno illuminato degli aspetti, particolarmente quelli archeologici, con una oggettiva difficoltà a recuperare tradizioni scritte su Nemi, se non attraverso l’ottica romana che decisamente ha filtrato e taciuto; e, sul piano cultuale, attraverso il confronto/confusione/ rivendicazione delle tradizioni della Diana Aventinensis. Infatti, va riconosciuto che la fortuna del culto di Diana a Nemi è fortemente condizionata dalle alterne vicende politiche, piuttosto che religiose, che coinvolgono i rapporti tra la Lega Latina che si va costituendo, e Roma. E non è improbabile che proprio la singolarità del rituale del rex nemorensis fosse dietro alla motivazione di sostituire il culto di Diana a quello di Giove Laziale, venerato come divinità comune dei Latini sulla cima del monte Albano. La “sostituzione” si può cercare di datare attraverso un passo delle Origines di Catone, in cui c’è la dedica del magistrato del santuario e dei popoli che venivano a far parte della Lega; l’assenza di Roma rimanda ad un periodo di conflitto tra la città e la Lega latina prima dello scontro al lago Regillo (498/97a. C.) e forse al periodo di scontro tra i Romani e la Lega, quando proprio ad Aricia nel 504 a. C., ci fu la battaglia che vide contrapposti i Latini e il tiranno Aristodemo di Cuma contro Romani ed Etruschi. È possibile che la rifondazione della Lega intorno al culto di Diana sia proprio una conseguenza di questo episodio. La realizzazione del nuovo santuario va dunque collocata intorno al 500 a. C.. È probabile che in ciò fosse determinante sia l’importanza di Aricia e del culto dell’antica regalità latina, che la volontà di contrapporsi al santuario federale creato da Servio Tullio intorno al tempio di Diana Aventinensis. In questa occasione la Diana di Aricia si ellenizzò con l’introduzione di miti di origine greca che riconoscevano in essa la Artemis Tauropolos scitica colllegandola dunque, con Ifigenia e con Oreste, che sarebbe stato sepolto lì. Così pure un altro mito identificava una divinità locale minore, Virbio, con Ippolito. E probabile che in questa importazione ci sia stato l’influsso di Cuma. Ancora nel I secolo d. C., la pratica cultuale dell’insolita carica di Rex nemorensis del bosco sacro a Diana, concessa presumibilmente allo schiavo fuggitivo che l’avesse guadagnata sfidando a duello il precedente detentore schiavo anch’esso, doveva essere di qualche rilievo e non relitto cultuale privo di forza rituale in un contesto ormai mutato, se l’imperatore Caligola, insofferente della ormai troppo lunga detenzione del titolo dell’attuale rex, paga un gladiatore di notevole prestanza fisica, per ucciderlo (Suet., Cal., 35, 3) Ed è ancora luogo di rifugio per l’imperatore Claudio per espiare il presunto incesto vissuto con la nipote Agrippina (Tac., Αnn., XII, 8.). Cfr. F. Coarelli, Santuari dei Lazio in età repubblicana. Roma, 1987, part, il capitolo 7,“Nemus Aricinum”, alla cui bibliografia rimando; A. Mele, Aristodemo, Cuma e il Lazio. In: Etruria e il Lazio arcaico, Atti dell’Incontro di Studio, Roma, 1986. Roma, 1987 (Quaderni del Centro di Studi per l’Archeologia Etrusco-italica, 15). part. 172 ss.
24 Hyg., fab. 261; Strabo, V, 3, 12 (239) ss; Serv., ad Verg., Aen., I, 116; VI, 136; Lucano, III, 86; Ovid., Metam., XV, 485 ss.
25 Eu., I. T.. 79-92; Serv., adVerg., Aen., I, 116.
26 Verg., Aen, I, 776 e schol.a Verg., v. 761 ; Ovid., Metani., XV. 537 ss.
27 Strabo, V, 3, 12; Ovid., Metani., X, 485 ss. ; Ovid., Fast., III, 261 ss.
28 Prop., II, 32, 9; Ovid., Fast., III, 269 ss; Stat., Silv., III, 1, 56 ss. Cfr. presenza di oggetti votivi nell’area sacra (vulve, falli, statuette di madri con lattanti).
29 Serv., ad Verg., Aen., VI 136.
30 Strab, V, 1,9; cfr. E. Lepore, Diomede. In: L’Epos greco in Occidente. Atti del XIX Convegno di Taranto, Taranto 1979. Napoli 1980, 113-132; Lepore 1984.
31 Lepore 1984, 111-112.
32 Paus., II, 32, 1.
33 Paus., II, 31, 1; 8; 9; 4.
34 Eu., Hipp., 1328-30; 1416 ss.
35 Paus., II, 32, 1 -4. Cfr. il commento a cura di M. Torelli e D. Musti a Pausania. in: Guida della Grecia. II. Milano 1986.
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