Introduzione
p. 1-21
Texte intégral
Il manoscritto
1Nel corso di una mia ricognizione del materiale manoscritto della Biblioteca dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, con sede a Roma in Palazzo Venezia, riguardante la sezione viaggiatori francesi, è venuta in evidenza la relazione di viaggio del P. François Eyrard: Voyage court, agréable et utile fait par Mr. Eyrard, prêtre de la Congrégation de la Mission Détaillé à Mgr. de Nicolaï, Évêque de Cahors en forme de lettres 1787.
2Il manoscritto cartaceo, contrassegnato nel catalogo col n. 10, per errata numerazione delle pagine risulta di cc. 434; in realtà si compone di cc. 534. Esso è vergato con inchiostro nero ed è tuttora sufficientemente nitido, il tratto è chiaro e sicuro, rare le correzioni interlineari o marginali, apparentemente autografe, volte per lo più a rendere agile lo stile in sede di revisione del testo.
3La grafia è quella tipica del secolo XVIII ed è di lettura relativamente agevole; le difficoltà incontrate sono state, per la massima parte, superate.
4Il volume, di mm. 165 X 100, è legato in pelle marrone ornata da fregi in oro.
5Esso fa parte del fondo «acquisti e doni» e appartiene ad una serie di volumi dello stesso carattere assegnati alla Biblioteca dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1929.
6Il testo è privo di particolari segni di riconoscimento, i quali possano consentire di risalire ad una sua originaria provenienza; si ignora perciò quando, e in quali circostanze sia giunto in Italia, e le sue vicende successive.
L’autore
7Le ricerche condotte, sia presso l’archivio storico della Casa della Missione al Collegio Leoniano, sia presso quello della Maison-mère des Lazaristes1 a Parigi, mi inducono ad individuare l’autore del manoscritto in un François Eyrard, membro della suddetta congregazione, nato a Bordeaux, in rue Gainier, il 27 febbraio 1741 e morto a Cahors2 il 2 aprile 18023.
8Di origini borghesi, figlio unico di François, armatore di Bordeaux, e di Marguerite Viguier, egli avvertì, fin dalla sua giovinezza, un’inclinazione naturale per gli studi e il desiderio di abbracciare lo stato ecclesiastico, vocazione in un primo tempo contrastata dalla famiglia, che avrebbe voluto avviarlo verso una diversa carriera.
9Ricevuto nel Seminario interno della Missione di Cahors il 2 maggio 1772, egli pronunciava i voti in quella stessa città due anni dopo, il 3 maggio 1774. Da quel momento i suoi interessi si rivolgono quasi esclusivamente all’opera di formazione e di preparazione dei giovani, nella sua qualità di direttore del seminario minore di Cahors4 prima, e di diversi istituti del luogo, da lui fondati, in un secondo tempo.
10Particolarmente interessato ai problemi educativi, egli affronta la questione della riforma dell’istruzione in uno scritto — unico suo lavoro a stampa — in cui versa le sue esperienze personali. Esso viene pubblicato a Parigi, presso Berton, nel 1786: Observations sur l’éducation publique pour servir de réponse aux questions proposées par M.M. les Agents généraux de France à Messeigneurs les archevêques et évêques de l’église gallicane.
11Mentre è superiore del seminario minore di Cahors, gli giunge la proposta di nomina a vescovo di Ajaccio, che egli non accetta. Chiede invece al padre generale dei Lazzaristi di essere inviato, con altri missionari, nell’isola di Madagascar. Mons. de Nicolaï,5 che, nella sua qualità di vescovo di Cahors, aveva avuto modo di apprezzare l’Eyrard nella sua azione educativa, interviene affinché la sua diocesi non sia privata di un aiuto così prezioso. Per lungo tempo l’attività di François Eyrard si esplica a Cahors e nella sua diocesi. «Le bien public exige absolument qu’on ne néglige point le soin des petites villes. Elles peuplent les capitales de bons sujets», egli aveva osservato.6
12La nomina a superiore della Casa della Missione di Notre-Dame-de-la-Rose7 è del 24.9.1786. Il 29.9.1787 egli è nominato superiore della Casa della Missione di Toulouse8 Da queste due sedi, di ritorno da un viaggio in Italia, l’Eyrard invia le lettere, che qui di seguito si riportano, a Mons. de Nicolaï. Il 22 ottobre 1788 è destinato superiore a Castres in un’altra Casa della Missione9.
13Oltre al viaggio in Italia risulta che egli ne abbia compiuti altri in Germania, in Svizzera e in Olanda, alla ricerca, secondo Justin Gary,10 di aiuti finanziari per le istituzioni che gli stavano a cuore.
14La stessa fonte riferisce di molteplici viaggi a Parigi, «où il avait accès auprès des princes même, surtout chez le duc de Penthièvre et le prince de Condé»11.
15L’Eyrard accenna poi ad altre visite da lui rese a Mons. de Beaumont12, arcivescovo di quella città, al quale egli confidava le difficoltà incontrate nell’impostare il proprio lavoro13.
16Gli anni della Rivoluzione segnano una svolta definitiva nella sua attività. Come tanti sacerdoti che si erano rifiutati di prestare giuramento, egli prende la via dell’esilio in Spagna — non si conosce la data della sua partenza — dove il re Carlo IV riteneva suo dovere di coscienza interessarsi alla causa di Luigi XVI e della religione in Francia, e si stabilisce a Barcellona, dove esisteva, fin dal 1704, una Casa della Missione.
17Tutte le testimonianze lo mostrano attento alle sofferenze dei preti rifugiati. Si veda quanto scrive J. Delbrel: «M. Eyrard de la Congrégation de la Mission fut pendant la Révolution en Espagne l’apôtre attitré du clergé français refugié, auquel il prêcha de fréquentes retraites»14. E il Sabatié: «Le père Eyrard lazariste se fit remarquer par ses démarches pour recevoir les émigrés, leur trouver un refuge et les visiter à travers les provinces»15.
18Nel momento in cui può finalmente rientrare in Francia, la sua salute è estremamente precaria, ma la sua prima cura è di occuparsi dei poveri ricoverati nell’ospedale della città. Quando muore il 2 agosto del 1802 lo circonda la fama di santo. La coerenza, una qualità che appare evidente ad ogni pagina delle sue lettere, egli l’ha vissuta fino in fondo e questo spiega come il vivace viaggiatore, attento e curioso davanti a tutto ciò che la realtà italiana poteva presentargli, si sia trasformato, in seguito alle vicende dei tempi, in un mistico.
Carattere dell’opera
19Il testo è costituito da una raccolta di venticinque lettere, inviate dall’autore non a un destinatario fittizio, ma a Mons. Louis-Marie de Nicolai, vescovo di Cahors, per informarlo dettagliatamente su quanto di notevole egli ha personalmente visto e conosciuto durante un viaggio effettuato in Italia. Le lettere, scritte tutte al ritorno in patria, sulla scorta evidente di appunti presi durante il viaggio, sono scaglionate tra il 17 novembre 1787 e il 18 ottobre 1788 e hanno come intestazione di luogo, la prima La Rose, le altre Toulouse, recando le date intervallate di quindici giorni. Motivi di economia — dato l’alto costo della spedizione della corrispondenza dall’estero — e inoltre probabili motivi di riservatezza possono aver consigliato all’autore questo comportamento.
20Egli non precisa lo scopo del suo viaggio; all’inizio delle sue note si limita a scrivere all’illustre prelato: «Monseigneur, vous savez les motifs de mon voyage» e non va oltre. Nel corso della corrispondenza egli afferma genericamente di essere venuto per «s’instruire des affaires de religion». Le lettere lo mostrano attento ai problemi del ceto ecclesiastico, per cui si può supporre che egli abbia voluto rendersi conto personalmente dello stato morale e materiale delle case della Congregazione della Missione in Italia, soprattutto di quelle che si trovavano nei territori dell’impero di Giuseppe IL A Roma in quell’epoca si stava istruendo il processo per la beatificazione di Benoît-Joseph Labre, che si concluderà, dopo numerose polemiche, nel 1790. L’Eyrard ottiene di esaminare gli atti del processo; tra essi c’è anche una sua testimonianza su un fatto «extraordinaire et peut-être miraculeux» accaduto nella diocesi di Cahors, tre anni prima. Oltre a questi motivi, ragioni di studio possono averlo spinto al viaggio; nella sua relazione egli confida il suo intendimento di raccogliere in Italia dei documenti per portare a termine alcuni studi di carattere teologico; nei confratelli della casa della Missione di Montecitorio egli trova validi aiuti.
21Il P. Eyrard insiste sul carattere di diretta derivazione dello scritto da un’esperienza vissuta: «Vous n’exigez pas de moi», egli afferma, «un détail historique de l’Italie, vous connaissez des auteurs à qui presque rien n’a échappé. Ce sont mes avantures que vous désirez de savoir. Je serai fidèle à vous rendre compte de tout, en me retraçant à moi-même le voyage le plus instructif et le plus agréable que j’aie fait». E i mesi del suo soggiorno in Italia sono da lui rivissuti mentre scrive: egli li rivede e li propone al suo interlocutore.
22L’itinerario del viaggio, della durata di due mesi e mezzo, si snoda lungo il percorso classico seguito da coloro che si recavano in Italia quasi per una sorta di pellegrinaggio; è limitato cioè alle regioni centro-settentrionali. Roma, alla quale giunge a piccole tappe, e Loreto ne costituiscono i termini fissi, le mete essenziali.
23Di epistolario l’opera ha solo la forma esteriore: essa fa infatti piuttosto pensare a un diario, in cui l’autore annoti, in uno stile agile, disteso, familiare, ma sempre rigoroso, incontri, avvenimenti, senza omettere di riferire curiosità e incidenti accadutigli: ogni aspetto della realtà italiana attrae la sua attenzione. Il gusto per l’eclettico, la sensibilità verso i problemi di una società in evoluzione, mostrano come egli possa essere considerato non immune dall’imperante enciclopedismo. Riflessioni su usi, costumi, consumi, atteggiamenti, mode culturali, scelte teologiche, con particolare riguardo al progrediente culto del Sacro Cuore, considerazioni su singoli personaggi e su molteplici fenomeni sociali e religiosi si mescolano in un quadro vivace, permeato di alacre curiosità intellettuale e di sereno distacco critico. Scopo dell’Eyrard è infatti quello di fornire un quadro aperto e fluido del mondo settecentesco italiano e in particolare di una Roma descritta nei suoi aspetti più vari, talora anche i più contingenti e più quotidiani.
24Collocate in ordine cronologico, le lettere contengono numerosi riferimenti a fatti sicuramente databili e si integrano in una struttura ricca di considerazioni di ogni ordine, offrendo nell’insieme un complesso di riferimenti per ricostruire un momento particolare della realtà italiana. Va precisato tuttavia che non si tratta di una vera e propria inchiesta, né di una semplice cronaca, anche se le attestazioni dell’autore sono datate e localizzate con precisione. Ciascuna lettera si riferisce a un preciso argomento, ma tra le varie parti dell’epistolario esiste una stretta correlazione logica. Il testo evidenzia il tracciato di un cammino materiale e indica in pari tempo con chiarezza il punto di vista dal quale l’autore si è posto. Quello che più interessa all’Eyrard, dei personaggi che avvicina, sono le idee e i molteplici modi di vita, ma soprattutto le forme di espressione della loro religiosità. Egli non si limita a riferire in maniera distaccata gli avvenimenti: essi trovano un’eco nella sua interiorità. Se niente di quanto è italiano lascia indifferente questo viaggiatore, l’occasione immediata è sempre trascesa: una pensosa partecipazione penetra il racconto.
25Uomo di buona cultura e di grande umanità, mosso da un bisogno di intellettuale chiarezza, il P. Eyrard si è sforzato di fornire da varie angolature una visione dell’epoca il più possibile obiettiva, cercando di non dimenticare nessuno dei problemi essenziali o delle suggestioni emergenti. Pur non contenendo particolari elementi di novità rispetto alle indagini di altri scrittori coevi, questa narrazione offre un reale interesse storiografico, poiché lo scrittore considera gli avvenimenti del suo tempo da un punto di vista diverso. Si tratta di una prospettiva autonoma che potrà essere valutata come elemento non secondario per un ripensamento sul significato di questo periodo. Mentre in molti testi di viaggiatori stranieri di quel tempo, da Montesquieu al Misson, da Caylus al Dupaty, da Duclos a Roland de la Platière, la visione storica includeva spesso toni di accusa sociale, era volta cioè a mettere in risalto quasi esclusivamente gli aspetti negativi dell’epoca — la neghittosità e l’ignavia dei romani, il troppo grande contrasto tra fasto e straccioneria, l’eccesso di assistenza, che provocava forme di parassitismo e di stagnazione economica e sociale — l’angolo visuale, da cui si pone l’Eyrard, gli permette di porre in luce altri aspetti della Roma papale. Oggi lo si definirebbe un apologeta. Le riflessioni sulla Curia, sullo stato morale e religioso dell’Urbe sono certamente quelle di un non-giansenista. Prevale un giudizio favorevole al Papato e anche all’opera svolta in passato dai Gesuiti; le stesse valutazioni su Roma sono nel complesso positive.
26Sicuro di sé, della validità delle sue convinzioni, fermo e indipendente nei suoi giudizi e in quelli che ritiene punti inderogabili del magistero ufficiale, egli non cede né al gusto per le generalizzazioni, né ad un certo assolutismo nel formulare le proprie opinioni, sempre sorretto da una intelligenza pragmatica e da un robusto senso pratico; egli sa che il «relativo» domina le cose umane e che i giudizi degli uomini variano nel tempo.
27La sua analisi appare sempre improntata a una razionale serenità, caratterizzata da un’amabile saggezza, che lo porta a contemperare e ad ammorbidire talune impressioni. Ne consegue un discorso lineare, sorretto da una coerenza interiore, sia che egli si soffermi su questioni particolari, sia che si diffonda su tematiche di carattere generale. La narrazione non appare mai filtrata attraverso schemi retorici, come di sovente accade per queste relazioni di viaggio; le impressioni sono spesso fresche e immediate e ciò fa sì che, dopo due secoli e tanti sconvolgimenti, questo scritto conservi un suo ben chiaro e distinto significato anche come documento umano.
28Se l’ambito cronologico del racconto è da restringere ad un breve periodo, vi è tuttavia una serie di motivi che rendono l’indagine di singolare interesse. Come è noto, si tratta di uno dei momenti più difficili e dolorosi per la Chiesa, travagliata da incomprensioni e da un bisogno di rinnovamento e di riesame di tante sue posizioni, un’epoca di crescente anticristianesimo, in cui si affermano correnti di pensiero molto diverse; un periodo di profondi dissidi politici, filosofici e sociali. Anche a Roma, nel periodo storico considerato, inizia una trasformazione, che interessa tutta la cultura e la società nelle loro molteplici espressioni. Il cardinale de Bernis, che ha rappresentato per tanti anni il re di Francia presso la corte papale, annota che il popolo non è ancora preso dalle idee false, ma che queste si sono diffuse fra gli artisti e nella borghesia e cominciano a penetrare nelle classi superiori. La stessa vita religiosa appare condizionata a vari livelli; le istruzioni del re di Francia ai suoi ambasciatori si esprimono nel senso di operare una riduzione a «giusti» limiti della potenza romana. La Chiesa si trova quindi a doversi difendere dal duplice attacco dell’assolutismo e dell’illuminismo.
29Chi ha scritto il Voyage non solo si è servito di fonti dirette, ma le ha usate con discernimento. Se l’Eyrard ha escluso dalla sua esposizione tutto ciò di cui non ha avuto esperienza personale, si è però soffermato con grande cura su quanto è stato oggetto della sua osservazione durante il viaggio. La possibilità di intrattenere relazioni a vari livelli non gli è mancata. La frequentazione e lo scambio di idee con alti personaggi gli forniscono materia di riflessione e gli consentono di penetrare più a fondo entro alcuni punti nevralgici del tessuto ecclesiastico. Se si sofferma a descrivere gli aspetti più solenni e splendidi della Roma papale, egli non dimentica di parlare anche degli umili, di religiose e di preti semplici, umani, fedeli alla propria vocazione.
30L’onesta ricerca del vero, la finezza psicologica di molte osservazioni, un sottile umorismo in un clima di profonda serenità, sono tratti che caratterizzano le pagine di questo diario. A lettura conclusa, si ha l’impressione di conoscere, almeno in certa misura, l’animo di questo lazzarista, che chiuse la sua esistenza opponendo alla bufera della Rivoluzione e alle incertezze dei tempi nuovi, la sua costante carità e la sua cristiana, serena sopportazione.
L’itinerario del Padre Eyrard
31Il racconto del viaggio in Italia dell’Eyrard è distribuito, come si è detto, in venticinque lettere, ma la narrazione non subisce soluzione di continuità nei passaggi da una lettera all’altra, sicché essa ha una sua unitarietà anche formale e, in conformità a questa impostazione, viene qui riassunta in un’unica sequenza.
32Nel tardo pomeriggio del 19 luglio 178716, dopo aver assistito alla festa in onore di san Vincenzo de’ Paoli, il P. Eyrard, in compagnia di due confratelli francesi e di uno italiano parte da La Rose giungendo a Nizza, via mare, da Antibes, il 2 agosto. «Ce port», annota, «paroît très peu de chose à ceux qui sont accoutumés à en voir d’autres beaucoup plus grands, mais il doit être très précieux au prince de Piémont parce qu’il n’en a pas d’autres». Da questa città, seguendo il percorso abituale dei corrieri, che portano le lettere da Parigi a Roma, la compagnia riparte alla volta di Genova e poi di Lerici. Come specifica il P. Eyrard nella seconda lettera, i quattro confratelli sono muniti di «un voyageur en quatre volumes17, un atlas géographique d’Italie, qui renfermoit le plan exa[c]t de la pluspart des villes, un dictionnaire géographique, un manuel, etc. ».
33«Vents, écueils, pirates, je ne craignois rien», confida l’Eyrard, ed è questa una delle rare volte in cui cede al piacere di fissare le apparenze della natura: le acque del mare che luccicano al chiarore della luna, la costa che si scopre gradatamente alla luce dell’aurora, il movimento del porto. La città di Genova si presenta infine in tutta la sua estensione: «elle forme un superbe amphithéâtre qui en impose».
34Ospite di una Casa della Missione — è il 6 agosto — l’Eyrard trova, la sera stessa del suo arrivo, il modo di mostrare la sua dottrina in una discussione di carattere teologico su Cristo e il problema della libertà.
35Il primo contatto con l’Italia è quello di un turista attratto dagli aspetti più diversi, anche marginali, della vita corrente. Genova lo interessa per le sue chiese e i suoi palazzi, ma soprattutto per la vita che vi si svolge: le strade chiassose della città ligure gli offrono uno spettacolo vivo e vario. Lo colpisce in particolare il gran numero di edifici di pubblica utilità, l’inizio di una vera e propria attività industriale accanto a varie forme di artigianato, dall’oreficeria alla scultura.
36Dopo adeguati rifornimenti di scorte alimentari, il viaggio viene ripreso, ancora via mare, con meta Lerici. Il quadro che si presenta ai viaggiatori è particolarmente suggestivo, degno, dice l’Eyrard, del pennello di un Vernet. Una volta sbarcato, il paesaggio incanta per un attimo lo scrittore: «les vignes vont d’un arbre à l’autre, à la hauteur de quatre pieds, et sont disposées comme si on avoit voulu faire des guirlandes que le moindre vent peut faire voltiger».
37Breve sosta a Sarzana, ospiti di un seminario della Congregazione. Massa, Carrara, Viareggio, Pisa sono altre tappe dell’itinerario. L’autore sottolinea a questo punto di aver «respiré», nel giro di poche ore, in quattro diversi stati: infatti Sarzana apparteneva alla repubblica di Genova, Massa e Carrara al ducato di Modena, Viareggio alla repubblica di Lucca, Pisa al granducato di Toscana.
38La visita di quest’ultima città è per l’Eyrard piena di attrattive; egli si sofferma nella cattedrale, ammirandone la struttura e i particolari; lo disturba tuttavia il sistema di illuminazione. «On avoit distribué dans l’église plus de quatre mille[s] cierges qui devoient brûler pendant le troisième nocturne de l’office de l’Assomption. Avec ces décorations cette église n’offre pas un coup d’œil agréable parce que les murailles en paraissent trop fumées». Di fronte alla cattedrale è il battistero; la visione si ammorbidisce e si fonde nel ricordo di immagini familiari: «sa coupole est dans la même proportion que les calotes de la cathédrale de Cahors». La descrizione della Torre di Pisa si accompagna ad una personale spiegazione che denota una certa attenzione e perizia in ordine ai fenomeni scientifici, i quali vengono evidenziati lungo l’intero racconto ogni volta che se ne presenti l’occasione: «les marches sont horizontales, comme si on avoit prévu cette forte inclinaison».
39La comitiva perviene infine a Firenze il 14 agosto e vi si trattiene due giorni. L’impressione che l’autore ne riceve è quella di una città in cui l’operosità degli abitanti sia molto rallentata. «Il semble que cette capitale de la Toscane touche à l’inaction actuelle des rivales auxquelles elle a imposé sa loi». Con compiacimento l’autore annota invece che «il paroît que le grand Duc qui règne maintenant n’aime guère le faste».
40Sulla descrizione dei monumenti l’Eyrard non si sofferma a lungo: alcune notizie e osservazioni sullo stato della Galleria degli Uffizi, di recente accresciuta e riordinata per disposizione del Granduca di Toscana, sono tuttavia di grande interesse.
41Significative le considerazioni che l’Eyrard svolge su alcune questioni religiose dell’epoca: si tratta di un momento in cui anche nel Granducato di Toscana i rapporti tra Stato e Chiesa si presentano complessi. Mons. Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia e di Prato, uno dei più noti rappresentanti del giansenismo italiano, come è noto, l’anno precedente, aveva organizzato un Sinodo, «dans lequel il sem bloit qu’il mît les prêtres au niveau des évêques, relativement aux décisions de foi», scrive il P. Eyrard, riferendosi ad una delle affermazioni di tesi conciliatoriste di quel consesso. Nel 1787, poche settimane prima dell’arrivo dell’Eyrard, Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, aveva indetto a Firenze un nuovo Sinodo, il cui fine doveva essere quello di preparare la materia per un Concilio «nazionale». Ma le nuove tesi di riforma erano ben presto apparse prive di ogni possibilità di attuazione. Dei diciassette vescovi convocati, solo quelli di Colle e di Chiusi avevano approvato le decisioni del Sinodo di Pistoia. Gli altri, rimasti legati «à l’ancienne doctrine de l’Église», avevano manifestato il loro dissenso. «J’ai eu occasion de voir quelqu’un qui a figuré dans cette espèce de Concile. Si les autres évêques lui ressemblent je ne crois pas qu’ils soient propres à servir les desseins de la politique», egli commenta. L’audace, quanto discutibile politica riformatrice di Pietro Leopoldo, non condivisa dalla maggioranza dei vescovi né dal popolo, doveva necessariamente subire una svolta.
42Dopo Firenze è la volta di Siena, dove ha avuto luogo una ben diversa «assemblée». Sono i giorni che seguono a quelli del Palio dei barberi e la città conserva un particolare aspetto di festa. Siena lo incanta, con la sua piazza simile ad una «immense coquille», come dice l’Eyrard, servendosi di una immagine comunemente usata dai viaggiatori dell’epoca18, con la cattedrale, l’ospedale e il giardino botanico.
43Il passaggio dagli Stati di Toscana a quelli del Papa è salutato da un imperioso boullaré, boullaré, che suona sgradito agli orecchi del viaggiatore. I suoi tentativi di evitare che i bauli siano ispezionati e sigillati vanno a vuoto, ma danno luogo ad una graziosa scena comica.
44Avendo costeggiato — seguendo il percorso della via Cassia — il lago di Bolsena e attraversato Montefiascone e Viterbo, «assez grande ville fameuse par ses eaux», i viaggiatori entrano a Roma il 21 agosto per la porta del Popolo, che era l’ingresso più importante e più frequentato della città.
45Le lettere riportano impressioni cariche di entusiasmo: «Elle possède elle seule ce qu’on ne trouve qu’en partie chez les autres nations, et ce qu’elle offre en détail est au-dessus de tout ce que les autres peuvent représenter en général». Roma rappresenta per l’autore un punto di riferimento essenziale, che gli consente, anche culturalmente, di allargare il proprio orizzonte e di acquisire nuove prospettive. A Roma «un homme de lettres sans connaissance et sans ressource aura l’usage de tous les livres qu’il voudra. Les bibliothèques lui sont toujours ouvertes, non seulement dans tous les monastères et chez certains cardinaux, mais encore chez certains prélats et plusieurs orateurs». Il nostro viaggiatore si guarda intorno per riconoscere che, se quello che l’attrae è «le sacré», vi è «bien du beau dans le profane».
46La Roma che interessa l’Eyrard non è tuttavia quella delle antiche vestigia. Il tema delle rovine19, che è stato una sorta di catalizzatore per una certa forma di sensibilità, soprattutto durante la seconda metà del Settecento, è da lui ignorato: egli non condivide l’interesse, che giudica eccessivo, degli studiosi e degli intellettuali contemporanei per gli scavi. E delle opere d’arte mostra di ammirare quasi esclusivamente quelle costruite in funzione della fede. Il suo itinerario romano comporta la visita a numerose chiese — fra cui le sette privilegiate20 — dove spesso assiste ad importanti e belle cerimonie, che egli descrive con grande ampiezza e favore. Ben diversa sappiamo essere a tale proposito l’opinione del Dupaty: «elles n’ont aucun intérêt, elles sont sans dignité, sans bienséance, sans pompe»21. Non tutto però è gradevole, neanche per il P. Eyrard. Nella chiesa di San Luigi dei Francesi egli rimane colpito negativamente dalla voce dei cantori: «les voix parurent désagréables: c’étoit cependant la chapelle du Pape. Après avoir entendu leur manière de chanter je ne voulus plus de plein chant donné par les Italiens eunuques», egli commenta.
47Dopo aver sottolineato la pompa che accompagna le cerimonie della Chiesa romana, l’Eyrard osserva che «le train que ces princes de l’Église mènent dans ces sortes de cérémonies est le seul faste qui accompagne leurs places». Gli onori connessi al pontificato comportano indubbiamente molte implicazioni e preoccupazioni; questo lo induce a concludere, con un accento elegiaco, che richiama in qualche modo alcuni toni della poesia di Du Bellay del periodo romano: «Heureux ceux qui peuvent vivre sans tout ce cérémonial!». In questo alternarsi di dati di cronaca e di note di rievocazione ingenua e talora di momenti contemplativi sta il vero carattere del racconto.
48Dopo la visita ai preti della Regia Chiesa di San Luigi dei Francesi, il P. Eyrard inizia una serie di visite ufficiali. Una delle prime è quella al Pontefice. Egli viene ricevuto il 29 agosto: il Papa lo accoglie con molta affabilità, «sans appareil», e si intrattiene con lui in una lunga conversazione accettando di buon grado la tesi su san Paolino che egli gli presenta. Lo rivedrà al momento di partire. L’Eyrard visita inoltre il Collegio Romano probabilmente il 24 agosto, il Collegio di Propaganda, i preti di Picpus francesi, i Minimi della Trinità dei Monti — punto di riferimento importante per la cultura romana —, il postulatore della causa del beato Benoît-Joseph Labre, membri del Santo Uffizio e varie personalità del mondo ecclesiastico. Dappertutto incontra gentilezza. «Chanoines et curés, carmes et minimes, missionnaires de deux maisons, avocats et secrétaires, tous s’offroient de nous accompagner».
49Il Padre Eyrard è attratto anche da altri aspetti della realtà, come l’amministrazione della giustizia. I tribunali a Roma sono, come è noto, in quell’epoca nelle mani del potere ecclesiastico. Per esercitare la magistratura occorre infatti aver ricevuto gli ordini sacri e questo è uno dei motivi dell’eccessivo afflusso di persone all’ordine ecclesiastico e di malcontento da parte di chi vede così restringersi di diritto e di fatto la possibilità di accedere a determinate cariche. L’Eyrard si attarda a meditare con atteggiamento critico sul fatto che molti assumono lo stato ecclesiastico spinti quasi esclusivamente dal desiderio di beneficiare dei privilegi connessi con l’attività giudiziaria e dalla speranza di trovare un protettore, e osserva che, a simiglianza di tutte le cose di questo mondo, un attimo può essere sufficiente a vanificare ogni aspettativa. «Tel qui s’est avancé à la faveur d’un vent favorable, se voit bientôt après repoussé dans un sens tout contraire», egli dice, ben consapevole del fluttuare dei giudizi umani. Egli osserva ancora come accada che, alla morte di un papa, due partiti si contrappongano e, servendosi di un’analogia, li paragona a due piatti di una bilancia, di cui l’uno non può elevarsi senza che l’altro si abbassi. Questo fatto porta l’autore a concludere che sarebbe opportuno tenerne conto, farne una forma di difesa contro l’ambizione. Ma c’è di più; dato il mutare delle opinioni, spesso accade che si sia «plus malheureux sous celui qu’on souhaite que sous celui qu’on craint» e cita come esempio il fatto che «les jésuites tressaillirent de joie lorsqu’ils entendirent proclamer le cardinal Ganganelli, mais ils éprouvèrent bientôt les revers que tout le monde sait».
50Dopo varie considerazioni sui ministri del Papa, l’Eyrard si sofferma a descrivere le case romane della Missione, in particolare quella di Monte Cavallo che lo ospita, ricca di un grande giardino coltivato ad aranci22, un tempo dei Gesuiti. La casa di Montecitorio23 «a beaucoup moins d’agrément, mais elle nourrit un plus grand nombre de missionnaires», di diverse nazioni e di anche di diversi colori: «j’y vis pour la première fois un more en soutane», nota il nostro viaggiatore e commenta: «je ne le trouvai pas trop joli garçon».
51Recatosi nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola, per rendere omaggio alla tomba di san Paolino, egli legge su dei manifesti la sentenza di scomunica contro alcuni abitanti di Roma, i quali non hanno assolto al precetto pasquale. Essi sono in tutto una decina. A quell’epoca infatti i parroci di Roma, complessivamente una novantina, erano tenuti, alcuni giorni dopo Pasqua, a fare la lista dei parrocchiani «refrattari» e il giorno della festa di San Bartolomeo24 tutte le liste erano pubblicate con un decreto di scomunica del Papa e affisse nella chiesa che porta il nome del santo25.
52In ordine alla frequenza nelle chiese, il P. Eyrard osserva che essa appare piuttosto intensa: vi affluiscono non solo i romani, ma anche gli stranieri e gli stessi protestanti, i quali ostentano un particolare contegno. «On y voit des protestants, mais ils se cachent et cherchent à paraître catholiques, parce qu’ils sentent que cet attribut est nécessaire à l’Église et qu’on ne peut l’obtenir que lorsqu’on est uni à l’Église de Rome». Altre osservazioni riguardano il modo di condursi degli Ebrei, degli increduli, dei libertini.
53Il culto alla Vergine e i processi di beatificazione che si svolgono in quell’epoca, sono pure oggetto di riflessione da parte dello scrittore. Ulteriori annotazioni riguardano i membri del Santo Uffizio, sui quali corrono voci spiacevoli. L’Eyrard non dà credito a tali accuse. «J’ai eu occasion», egli dice, «de voir assez familièrement des premiers juges du Saint-Office; les uns m’ont paru trop aimables pour se faire une loi de persécuter les malheureux, et les autres m’ont tellement paru remplis de science et de religion que je n’aurois point de peine à m’en remettre à leur jugement dans les causes les plus difficiles».
54Una colpa dei rilassati costumi è ascritta ai parrucchieri per signora, i quali, mentre attendono alla realizzazione delle acconciature, approfittano per reclamizzare libri immorali. «C’est chez eux que les étudians s’abonnent pour avoir des mauvais ouvrages; c’est eux qui sont les courtiers en fait de livres corrompus et qui les communiquent aux deux sexes, afin d’entretenir le feu des passions».
55I caffè sono numerosi a Roma; vi si incontrano per lo più dei letterati. «Je n’y ai vu pas un religieux», si affretta a precisare il P. Eyrard.
56A Roma la vita è molto intensa, il viaggiatore passa da piazza Navona e osserva che essa «est mieux tenue et mieux fournie qu’aucune des places de Paris»; un altro giorno invece il suo interesse è attratto dall’estrazione del lotto, che si svolgeva con una cerimonia pubblica all’interno della Curia Innocenziana26.
57Lasciata Roma il 10 settembre, egli prende la via di Loreto, la via Flaminia. Lungo il cammino egli non si imbatte che in mercanti, missionari o pellegrini. Il timore della malaria endemica nella campagna, che era uno dei mali più temuti dell’epoca, incalza la comitiva.
58Toccate Narni, Spoleto, Foligno, Tolentino, Macerata, dove è ospite di una casa della Missione, il P. Eyrard giunge a Loreto, e ivi incontra l’antico confessore di Benoît-Joseph Labre. Dopo aver ascoltato la messa, celebrata dal cardinale Garampi, egli prende la via di Ancona, «le plus joli port de mer des états du Pape». Passando per Senigallia, Pesaro — in questa città si intrattiene a lungo con il cardinale Doria Pamphilj — e Rimini, che porta ancora i segni di un recente terremoto, l’autore giunge a Bologna, dove è ospite dei confratelli. «Nous fûmes heureux de trouver de tems en tems sur notre route des maisons dans lesquelles nous n’avions rien à craindre», confessa il padre Eyrard. La prima persona che vede, appena entrato in Bologna, è il cardinale di York, che egli aveva già incontrato durante il viaggio a Civita Castellana; «il paroissoit convalescent et venoit de respirer en pleine campagne». In questa città la sua versatile attenzione lo porta a visitare e ad apprezzare il celebre teatro anatomico. «On a porté cette science à sa plus haute perfection», nota l’Eyrard. Invece il giardino botanico dell’Università lo delude.
59Scartato il primitivo progetto di proseguire per la Francia attraverso Reggio, Parma, Piacenza e Torino, per motivi non esplicitamente dichiarati, egli decide di raggiungere Venezia. Passata la notte a Ferrara in una casa della Missione, il 24 settembre tocca Rovigo e Padova. La sera stessa sale su di una imbarcazione e giunge nella Serenissima «au lever di soleil» del 25 settembre. Brevi note pittoresche e alcune di carattere sociologico arricchiscono la descrizione del soggiorno veneziano. Il viaggio viene ripreso, con un tempo particolarmente inclemente, attraverso Vicenza, Verona, Mantova, Cremona. In questa città l’autore riceve testimonianze di confratelli missionari. Questi lamentano gli effetti della riforma di Giuseppe II in tema di assetto di case religiose. «Nous sommes des membres qu’on a retranchés du corps. On nous fait souffrir ici bien des peines». Ma appena annotate queste lamentele, l’autore chiude il discorso senza commenti, e la fretta di raggiungere Piacenza diventa anche la fretta di esaurire l’argomento senza ulteriori approfondimenti. Nel ducato di Parma, a Piacenza, è ospite del Collegio Alberoni; traversata la Trebbia, la comitiva si trova ben presto «dans les terres de l’Empereur»; al confine viene effettuata la visita daziaria: «tout fut pesé, tout paya des droits jusques aux reliques et aux bréviaires», e pesa la minaccia che all’uscita si ripeta la stessa scena. La breve interruzione del viaggio consente al P. Eyrard di guardarsi un momento intorno: i campi sono coltivati a riso. «Je voyais passer de tems en tems d’immenses troupeaux de vaches accompagnées par des gardiens qui portoient sur les épaules une longue tresse de jonc extrêmement fourni pour les garantir de la pluie. Ces hommes sembloient des sauvages». Dopo Lodi, visitata rapidamente, la comitiva giunge a Milano e vi si trattiene qualche giorno. L’Eyrard rimane particolarmente colpito dalla vista del duomo: «la plus belle église d’Italie après celle de Saint-Pierre». Il cattivo tempo ha fatto straripare il Ticino, si decide così di allungare la strada per passare il Po su di un ponte volante. A Broni entrano negli stati del re di Sardegna: «nous causâmes plus librement, car nous étions en Piémont», nota l’Eyrard, come se il Piemonte fosse quasi la Francia. Sono i legami dinastici (la consorte del principe di Piemonte e nuora del re Vittorio Amedeo III era sorella di re Luigi XVI; due figlie del re di Sardegna erano cognate dello stesso Luigi XVI) e linguistici, che inducevano un francese a queste riflessioni.
60Dopo la sosta a Broni, l’Eyrard raggiunge Torino il 7 ottobre. Le ultime due città del regno sardo toccate dall’autore del manoscritto sono Susa e Chambéry. Tra le due città l’ardua salita del Moncenisio è occasione di una colorita descrizione. Probabilmente il 10 o l’11 ottobre l’Eyrard giunge a Lione. Ha così fine il suo rapido viaggio in terra italiana.
61L’ultima considerazione del lazzarista francese è spirituale: egli benedice Dio per averlo ricondotto sano e salvo al paese natale e per aver lasciato al suo ricordo motivi validi «pour nous engager à le servir».
Notes de bas de page
1 La Congregazione della Missione (altrimenti detta dei Lazzaristi C.M., così chiamati dall’antico priorato di Saint-Lazare, una delle loro prime sedi) è una società di vita in comune senza voti pubblici quale la volle espressamente il fondatore, Vincenzo de’ Paoli. Fini della congregazione: la carità, la riforma del clero, la direzione delle figlie di carità.
2 Sede vescovile, capoluogo del dipartimento del Lot.
3 I dati biografici che riguardano il P. François Eyrard mi sono stati forniti dal P. Luigi Vagaggini, archivista del Collegio Leoniano di Roma. Notizie biografiche sul P. F. Eyrard sono contenute in E. Rosset, Notices bibliographiques sur les écrivains de la Congrégation de la Missione par un prêtre de la même Congrégation, Angoulême 1878, pp. 93-94.
4 I Lazzaristi si trovavano nel seminario maggiore, fondato a Cahors da Alain de Solminihac nel 1643; prima della Rivoluzione essi diressero anche il seminario minore.
5 Louis-Marie de Nicolaï (1729-1791), vescovo di Cahors dal 1777 al 1791. Fu consacrato vescovo a Parigi da Cristophe de Beaumont, arcivescovo di quella città.
6 François Eyrard, Observations cit., p. 36.
7 Nella diocesi di Agen. Essa fu fondata dalla duchessa d’Aiguillon: Marie Magdaleine de Vignerot (1604-1675), nipote del cardinale di Richelieu, duchessa d’Aiguillon dal 1638, nota per le sue numerose opere di carità.
8 Toulouse contava in quell’epoca quattro seminari, fra cui quello delle Missioni, diretto dai Lazzaristi. Cfr. Histoire Générale de Languedoc, IV, 1872, p. 349.
9 Notizia fornitami, insieme con altre sull’Eyrard, dal p. Raymond Chalumeau, archivista della Maison-mère dei Lazzaristi di Parigi.
10 Cfr. Justin Gary, Notices sur le clargé de Cahors pendant la Révolution, Cahors 1897, pp. 43-44.
11 Ibid., p. 44.
12 Christophe de Beaumont du Repairet (1703-1781), arcivescovo di Parigi dal 1746 al 1781.
13 Cfr. Eyrard, Observations cit., p. 96.
14 Cfr. J. Delbrel, Le recrutement du clargé pendant la Révolution. Recrutement sacerdotal, 1910, p. 296 n. 3.
15 A.-C. Sabatié, La Déportation Révolutionnaire du clergé français, Paris 1916, I, p. 184.
16 II viaggio ha inizio insolitamente in piena estate; la maggior parte dei viaggi in Italia avevano più comunemente in quell’epoca inizio in autunno.
17 Si tratta probabilmente del giornale di viaggio di De Rogissart et Havard, Les délices de l’Italie, contenant une description exacte du pais, des principales villes, de toutes les Antiquités et de toutes les raretés qui s’y trouvent. Ouvrage enrichi d’un très grand nombre de figures en taille-douce, Paris 1704, in quattro volumi. Un altro diario di viaggio in quattro volumi apparso nella stessa epoca è: Observations sur l’Italie par deux gentilshommes suédois, pubblicato nel 1764 e ripubblicato nel 1774.
18 Cfr. G. Ricci, Gli incunaboli del Baedeker, Siena e le prime guide del viaggio borghese, in Ricerche storiche, VII, luglio-dicembre 1977, n. 2, p. 346, citato da L. Di Mauro, Annali, 1982, p. 381. In questo testo vengono segnalati tra i numerosi plagi presenti in una serie di guide d’Italia scritte nel ’700, quella appunto della immagine della piazza di Siena che richiamarebbe la forma della conchiglia, immagine che si trova a partire dal Voyage d’Italie di Charles Nicolas Cochin del 1758, sia nella Description historique et critique de l’Italie di Jerome Richard del 1766, come in numerosi resoconti di viaggi dell’epoca apparsi spesso anonimi, fra cui si ricorda la Description historique de l’Italie, en forme de dictionnaire, apparsa nel 1766 all’Aia.
19 Cfr. R. Negri, Gusto e poesia delle rovine in Italia tra il Sette e l’Ottocento, Milano 1967.
20 E cioè le quattro basiliche giubilari: S. Maria Maggiore, S. Paolo, S. Giovanni in Laterano, S. Pietro, oltre a S. Lorenzo, S. Croce in Gerusalemme, S. Sebastiano. Tale devozione ha avuto inizio con il Giubileo del 1575.
21 C.-M. Dupaty, Lettres sur l’Italie en 1785, Paris 1801, XCI, p. 109.
22 La casa di Monte Cavallo al Quirinale fu affidata da papa Clemente XIV, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, ai Missionari, che la tennero dal 1773 al 1814.
23 I preti della Missione ottennero nel 1659 — per l’intervento del cardinale Durazzo — una stabile dimora in Roma nel palazzo di proprietà del card. Nicolò Guidi di Bagno, in Piazza Montecitorio. Tra la fine del ’600 e la metà del ’700 la «Casa della Missione» assunse la sua struttura definitiva. Dopo il 1870 non fu lasciata ai Vincenziani che una piccola parte dello stabile, di cui furono espropriati nel 1913 dal governo italiano. Trasferitisi in un primo tempo nell’edificio annesso alla chiesa di S. Apollinare, presero definitiva dimora nel 1920 nel Collegio Leoniano ai Prati di Castello. Tra i grandi benefattori della «Casa della Missione» di Roma al suo sorgere va ricordata Maria Maddalena de Vignerot de Pontcourly, duchessa d’Aiguillon (1604-1675). (Cfr. Saint Vincent de Paul, Correspondance, Entretiens, Documents, Correspondance, tome I (1607-1639), a cura di P. Coste, Paris 1920, p. 598). Memori dei grandi benefici ricevuti, i Missionari le dedicarono una lapide nella Casa di Montecitorio, lapide che fu poi trasferita, come le altre, nell’attuale sede. Cfr. A. Arata, Tre secoli di vita romana della «Casa della Missione», Roma 1943; L. Vagaggini, Fonti dell’Archivio della Congregazione della Missione al Collegio Leoniano, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, Roma 1977.
24 La festa di S. Bartolomeo cade il 24 agosto.
25 Con altro spirito il Dupaty (op. cit., p. 80) riferisce tale avvenimento, prova, egli commenta, del dispotismo civile e religioso dei parroci: «Tous les catholiques sont obligés de communier à Pâques. Sous quelle peine? De ne pas communier, sous peine d’excommunication!».
26 Le norme riguardanti questo gioco erano contenute nel Bando Generale sopra il nuovo appalto di Lotti di Roma e Stato Ecclesiastico del 19 agosto 1743.
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Les tableaux d’Italie de Friedrich Johann Lorenz Meyer (Darstellungen aus Italien, 1792)
Friedrich Johann Lorenz Meyer Elisabeth Chevallier (éd.) Elisabeth Chevallier (trad.)
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