L’iconografia come contributo alla definizione di officine e ambiti di produzione
p. 175-186
Texte intégral
1Il problema del significato e della funzione che le immagini assumono nei diversi contesti, come abbiamo cercato di sottolineare nell’introduzione, è uno degli aspetti fondamentali della più recente ricerca iconografica. Diversi contributi1 hanno portato l’attenzione su come lo studio dei terni e delle iconografie e, più in particolare, l’analisi e la messa in sistema dei segni specifici usati in un corpus omogeneo di immagini possano contribuire a definire ambiti culturali diversificati. Su questo aspetto della ricerca iconografica si soffermerà in maniera più approfondita nel suo intervento Claude Pouzadoux; il mio contributo vuole essere invece complementare alle problematiche emerse nella discussione sull’approccio stilistico alla ceramica apula e portare l’attenzione su come l’individuazione di un patrimonio figurativo, costituito da terni, schemi iconografici e modi della composizione possa contribuire alla definizione di officine ed ambiti di produzione.
2È chiaro che soprattutto per quanto attiene alla prima fase della produzione italiota, la formazione di un linguaggio chiaramente riferibile all’Italia meridionale è strettamente legata al problema della circolazione e dell’uso dei “modelli” attici. Questo problema si inserisce nel quadro di una più ampia e complessa dinamica tra produttori e destinatari dei vasi ligurati ed investe da un lato Atene e il suo mercato occidentale, ma parallelamente gli ateliers dell’Italia meridionale rispetto alla propria committenza, coloniale ed indigena. Il tentativo di definire dei trend di distribuzione sia per la ceramica attica che per quella italiota, anche nelle pubblicazioni più recenti, in realtà non consente di delineare in maniera precisa una specificità nella circolazione, almeno se noi fermiamo la nostra attenzione solo sullanalisi quantitativa dei dati e non passiamo anche ad un’analisi qualitativa che provi a definire la funzionalità di questa distribuzione in ambiti diversificati. Spesso si è portati a collegare l’inizio dell’esperienza artigianale in Magna Grecia alla diminuzione delle importazioni attiche nei centri occidentali; in realtà i due fenomeni non sembrano in relazione tra loro, anche perchè appare ormai evidente che le officine italiote sono attestate già intorno alla metà del V secolo, momento di massima espansione delle esportazioni ateniesi, ed anche i rinvenimenti più recenti mostrano come spesso le due produzioni coesistano e lavorino per la stessa committenza.
3Questa consapevolezza ci deve far riflettere su come interpretare il “modello” attico rispetto alla produzione italiota. Questo, a mio avviso, non costituisce un inseme unitario né è propriamente definibile come modello, ma piuttosto va inteso come un patrimonio figurativo e compositivo, esso stesso diversificato ed in continua evoluzione, al quale partecipano, spesso anche in maniera dialettica, le esperienze artigianali messe in atto nelle officine dell’Italia meridionale.
4Vale la pena di riprendere, anche se marginalmente, alcune considerazioni che ho già esposto in un’altra sede2 riguardo all’eclettismo nel linguaggio figurativo della produzione protoitaliota. Questa infatti, a mio awiso, si configura come una rielaborazione e un assemblaggio di stili e unità formali differenti, ciascuno dei quali trova un preciso parallelo nel sapere tecnico, formale ed iconografico frutto di esperienze artigianali di differenti officine attiche che coesistono. Non entro nel merito di esemplificazioni anche perché questo problema è stato già esposto in questa stessa sede in maniera sostanziale da A. Pontrandolfo; mi preme pero ribadire che un linguaggio eclettico, costituito da esperienze artigianali differenti è presente, nello stesso momento cronologico, sia nella produzione attica sia nelle officine definite “protoapule” e “protolucane”. Tale riflessione suggerisce che oggi una discussione ed un riesame della ceramica apula non possono prescindere da un’analisi più globale di tutta la ceramica presente in Occidente a partire dalla metà del V secolo a.C. In questa ottica analisi stilistica e analisi iconografica, pur condotte autonomamente, devono costantemente entrare in gioco tra loro e soprattutto è necessario, di volta in volta, analizzare i risultati ottenuti in relazione ai contesti di rinvenimento. Infatti, se da un lato, rintracciare l’uso di stilemi e unità formali differenti, spesso in stretta relazione con le diverse esperienze artigianali attiche, aiuta a comprendere il livello di conoscenza e di assimilazione di un sapere tecnico e formale, dall’altro puntualizzare i problemi relativi all’adozione dei terni, deglii schemi figurativi e dei modi della composizione individua e definisce in maniera ancora più specifica il linguaggio di una produzione omogenea. La possibilità di verificare una corrispondenza precisa tra terni e schemi figurativi attici e quelli della ceramica italiota non significa pertanto indicare una derivazione supina da un modello, ma cercare di cogliere il patrimonio figurativo e culturale cui entrambe le produzioni partecipano.
5Vorrei portare come esemplificazione alcuni vasi, attribuiti dal Trendall al Pittore della nascita di Dioniso e, sulla sua scia, sempre collocato all’inizio dello stile ornato in un periodo cronologico compreso tra la fine del V secolo ed il primo quarto del IV secolo3. La produzione di questo pittore, a mio parere, mostra stringenti legami con la ceramica attica, sia nella scelta dei terni e delle iconografie, sia rispetto alle aree interessate dalla circolazione di questi prodotti. In particolare nel caso del cratere rinvenuto a Ceglie che dà il nome al pittore4 (fig. 1), va sottolineato che il tema è raramente rappresentato nella ceramica attica ed è noto in quella italiota solo da questo vaso; questo dato forse già offre un primo spunto di riflessione sull’intenzionalità della scelta del soggetto. Lo schema utilizzato dal pittore italiota per mettere in scena la nascita di Dioniso – Zeus seduto dalle cui gambe spunta la figura di un fanciullo a mezzo busto, coronato di edera, che tende le braccia verso una figura femminile – è perfettamente assimilabile a quello rappresentato su un frammento del Pittore del Dinos di Atene conservato a Bonn5 (fig. 2). Già A.D. Trendall aveva sottolineato il rapporta stilistico e compositivo tra questo vaso e la produzione del Pittore di Kadmos; in particolare mi sembra molto stringente il confronta con il cratere attico da Ruvo sul quale sono raffigurati Dioniso e Ganimede6 (fig. 3). I due crateri, che presentano la stessa tipologia, mostrano infatti un’identica concezione compositiva che caratterizza le rappresentazioni sulle diverse parti del vaso: sul corpo, l’uso di disporre le figure su diversi piani nello spazio intorno ad un elemento centrale racchiuso in un composizione a triangolo; sul collo, la costruzione paratattica delle figure che convergono verso un centro, fulcro dell’immagine.
6Nella produzione attribuita al Pittore della Nascita di Dioniso frequentemente si riconosce un repertorio di terni e di schemi attestati nell’ambito dell’officina del pittore di Kadmos, che peraltro sembra aver avuto un mercato privilegiato proprio a Taranto, Ruvo e nei centri dell’Etruria adriatica. Un altro esempio significativo è costituito dal tema di Teseo che abbandona Arianna. Questo soggetto, già rappresentato nella ceramica attica della prima metà del V secolo, come ad esempio sulla bella lekythos da Taranto del Pittore di Pan7 dove si vede Arianna ancora addormentata ed Atena che esorta Teseo a partire, muta in maniera sostanziale la sua iconografia proprio con il Pittore di Kadmos8. Il ceramografo attico introduce per la prima volta nella rappresentazione del mito le figure di Dioniso che si accosta al giaciglio di Arianna e di Eros in procinto di incoronarla; a questo gruppo sembra contrapporsi quello costituito da Atena che porge la corona a Teseo pronto a salire sulla nave. Il tema è rappresentato nella ceramica apula solo in questa fase iniziale ed è nota da un cratere da Taranto che A.D. Trendall attribuisce ad un pittore «vicino alla nascita di Dioniso»9 e da uno stamnos del Pittore di Arianna10 (fig. 4), un vaso, peraltro, la cui attribuzione appare molto controversa, per il quale M. Denoyelle ha dimostrato, in questa stessa sede, l’incoerenza stilistica con il resto della produzione attribuita a questo ceramografo11. Entrambi i vasi italioti presentano alcuni elementi iconografici significanti – l’arrivo di Dioniso, che può anche essere simboleggiato solo dall’Eros in volo, come nel caso dello stamnos di Boston; la partenza di Teseo sulla nave di cui è rappresentata solo la prua – che li riconducono allo schema iconografico messo in scena dal Pittore di Kadmos. Al di là delle evidenti differenze di mano tra i due vasi italioti con rappresentazioni di Teseo, anche rispetto al vaso principale del Pittore della Nascita di Dioniso, tuttavia, l’uso di uno stesso tema, di una precisa variante iconografica che tende a sottolineare il legame Dioniso-Arianna-Teseo, e di singoli segni grammaticali – come ad esempio la prua della nave, Teseo con la spada sguainata – testimoniano l’adozione di schemi precisi, riconducibili alla tradizione attica del Pittore di Kadmos, che possono aver circolato all’interno di una stessa officina. In maniera significativa alcuni segni grammaticali si ritrovano su altri vasi attribuiti al Pittore della Nascita di Dioniso, in altri contesti tematici, come ad esempio l’Eros in volo presente anche sul cratere tarantino che rappresenta Alcmena sulla pira12 (fig. 5). In questa scena, pur nell’originalità del tema e dell’iconografia che, allo stato attuale della nostra documentazione, non trova paralleli nella ceramica attica, sembra ricomporsi un sistema di segni che caratterizza un patrimonio figurativo coerente.
7Al di là delle mani dei singoli pittori, che pure vanno individuate con i metodi propri della ricerca stilistica, attraverso l’analisi iconografica riusciamo a cogliere un linguaggio costituito da elementi grammaticali, schemi figurativi e compositivi che, a mio avviso, fornisce un’indicazione significativa per poter cominciare a ricomporre e a definire un’officina.
8A conferma di queste osservazioni mi sembrano ancora più significativi i risultati dell’analisi iconografica condotta su un altro tema, quello dell’apoteosi di Eracle, anch’esso raffigurato su un cratere attribuito al Pittore della Nascita di Dioniso13 (fig. 6). Ancora una volta lo schema che raffigura Eracle accanto ad Atena sul carro è noto nella produzione del Pittore di Kadmos su una pelike da Vulci14 (fig. 7); tuttavia, in questo caso, il cratere italiota mette in scena alcuni segni iconografici distintivi che, da un lato, mostrano la capacità di assemblare e ricomporre tradizioni attiche differenti, dall’altro di elaborare un proprio linguaggio coerente. Il primo elemento è costituito dalla donna in corsa con il thymiaterion davanti al carro, che sembra appartenere ad una tradizione attica diversa, documentata da un’anfora del Pittore di Talos, sulla quale si ricompone in un insieme unitario tutto il racconto mitico15.
9Sul lato principale dell’anfora vi è infatti raffigurato il carro dell’apoteosi sul quale sono Eracle e Iolao, davanti al quale ritroviamo la donna in corsa con il thymiaterion, e sull’altro lato Eracle ed Atena a colloquio davanti ad un edificio cultuale, che garantisce l’assimilazione dell’eroe agli dei (fig. 8-9-10). L’altro segno grammaticale che mi sembra significativo nell’immagine del cratere italiota è la civetta con la corona di alloro posta al di sopra del carro, in sostituzione del ramo di ulivo raffigurato sulla pelike del Pittore di Kadmos. La stessa civetta con corona si ritrova su un cratere a colonnette di Basilea attribuito al Gruppo delle Eumenidi16 (fig. 11), che peraltro mostra anche lo schema iconografico principale messo in scena dal Pittore della Nascita di Dioniso – Eracle con Atena sul carro trainato da una quadriga –, semplificato però nella composizione e nel disegno. La presenza sui due vasi italioti dello stesso schema iconografico derivato dalla tradizione attica, nonchè dello stesso segno grammaticale, la civetta con corona, che al contrario li contraddistingue, mi sembra importante per cominciare a cogliere il linguaggio specifico di un’officina omogenea.
10Un’ulteriore conferma dell’esistenza di una officina che parla un linguaggio culturalmente omogeneo e che si esprime attraverso segni caratterizzanti mi sembra possa venire da un cratere a colonnette, conservato a Napoli, attribuito al Pittore di Arianna17 (fig. 12). Il vaso raffigura sul lato principale Eracle, seduto su leonté, con la clava ed una grande cornucopia, tra Zeus, Atena ed Hermes.
11Appesi ad un albero, accanto ad Eracle, sono arco e faretra, mentre una civetta con corona giunge in volo. In un altro contesto mitologico riferito all’eroe, il segno civetta con ramo di alloro torna a caratterizzare il linguaggio di una officina e costituisce un importante trait d’union tra differenti pittori (fig. 13).
12Purtroppo non è possibile precisare se la differenza di stile e di mani, che pure è possibile riscontrare tra questi vasi, sia da mettere in relazione ad un’articolazione di pittori che nello stesso momento cronologico operano all’interno di un’unica officina, oppure se si debba pensare allo sviluppo di una produzione nel tempo. Per puntualizzare queste problematiche occorrerà confrontare le nostre ricerche, cercando di ripercorrere in maniera trasversale “la costruzione” del Trendall. È significativo però che già lo studioso australiano a proposito del Gruppo delle Eumenidi, che collocava tra i successori di Tarporley nell’ambito dello stile piano, notava come da un punto di vista stilistico il lavoro di questi artigiani «guardasse indietro ai Pittori di Sisifo e Arianna», e, a proposito della civetta con corona sul cratere di Basilea, citava, in maniera puntuale, il confronto con il cratere del Pittore della Nascita di Dioniso.
13Gli esempi illustrati, a mio avviso, mostrano chiaramente l’esistenza di un linguaggio comune che caratterizza e unifica, in un momento cronologico preciso, vasi attribuiti da A.D. Trendall a pittori differenti, che invece dobbiamo cominciare a pensare come appartenenti ad una slessa una produzione ben circoscrivibile, la quale trova riscontro nel patrimonio iconografico peculiare dell’officina di Kadmos. La coerenza di questa officina sembra essere confermata proprio dall’analisi iconografica del tema dell’apoteosi di Eracle per il quale nella ceramica attica si afferma dagli inizi del IV secolo uno schema iconografico differente – Eracle in procinto di salire sul carro condotto da una Nike –, noto da crateri attribuiti al Pittore di Londra F 64, al Gruppo di Ferrara T. 376B e al Pittore di Upsala18 (fig. 14). Questa variante attica più larda significativamente si riscontra su vasi apuli anch’essi databili nel corso della prima metà del IV secolo: un’oinochoe del gruppo di Vienna 401319 e un cratere del pittore di Licurgo20 (fig. 15). Nell’immagine messa in scena dal pittore di Licurgo, confluisce peraltro anche la tradizione del rogo con le armi attestata già nella pelike del Pittore di Kadmos ma composta con il nuovo schema figurativo come su due crateri attici degli inizi del IV secolo a.C.21 (fig. 16). Ancora una volta l’analisi iconografica lascia trasparire come, all’interno di un repertorio comune alla ceramica apula, l’uso di schemi differenti non è casuale ma possa contribuire a caratterizzare officine differenti, e a riconoscere momenti cronologici diversificati.
14La riflessione fin qui condotta sui terni iconografici e sugli schemi figurativi e compositivi dei vasi attribuiti al Pittore della Nascita di Dioniso mi sembra conduire a due considerazioni fondamentali. La prima è che il Pittore della Nascita di Dioniso sia partecipe di un patrimonio figurativo e culturale, la cui matrice è chiaramente riconducibile al Pittore di Kadmos e che pertanto è possibile collocare nella seconda metà del V secolo e sicuramente non oltre l’ultimo veniticinquennio. La seconda osservazione nasce proprio dall’analisi dei terni, delle iconografie, degli schemi e della sintassi grammaticali; infatti questi elementi mostrano chiaramente l’esistenza di un linguaggio comune e coerente, che si coglie su vasi spesso attribuiti a pittori differenti, e offrono la possibilità di cogliere l’articolazione di un’officina in un preciso momento cronologico.
15Vorrei portare adesso l’attenzione sui vasi attribuiti da A.D. Trendall al Pittore della Danzatrice di Berlino, posti all’inizio della serie per il loro carattere fortemente atticizzante che fa da contraltare all’altro capostipite, il Pittore di Pisticci, collocato all’inizio della produzione lucana. come per il Pittore di Pisticci, Trendall individuava la matrice attica del Pittore della Danzatrice di Berlino nei pittori del Gruppo di Polignoto. La produzione di questo pittore mi sembra molto eterogenea sia da un punto di vista stilistico che compositivo, nonchè nella scelta dei terni e delle iconografie. Inoltre, i vasi attribuiti a questo pittore pongono un altro ordine di problemi, perché all’interno della produzione apula sono gli unici che sembrano avere avuto un mercato in area tirrenica; sono noti infatti un cratere da Sant’Agata dei Goti con Eracle che lotta contro il leone Nemeo22, un cratere da Capua che raffigura Eracle in lotta con i centauri23, ed uno skyphos da Nola che presenta il mito di Danae e Perseo nella cesta24 (fig. 17). Significativi sono i confronti iconografici che è possibile istituire per la rappresentazione sullo skyphos; anche in questo caso si tratta di un soggetto che non trova riscontri nella produzione italiota successiva ed invece è frequentemente rappresentato nella ceramica attica, soprattutto nelle produzioni databili alla metà del V secolo, vicine al Gruppo di Polignoto e al Pittore della Centauromachia del Louvre, recepito in maniera esclusiva nei centri del Tirreno e della Sicilia. Il confronto iconografico tra questo skyphos e l’hydria attica del Pittore di Danae (fig. 18) ed il cratere da Camarina (fig. 19) mi sembra stringente25; è chiaro che lo skyphos semplifica un racconto più complesso ma la centralità del segno iconografico “cesta” è sottolineata anche dal fatto che sempre essa è decorata con gli stessi motivi a palmetta stilizzati.
16Tutt’altra tradizione stilistica ed iconografica mi sembra si possa riconoscere invece per alcuni pezzi eccezionali come il cratere a volute con la morte di Memnone (fig. 20) e l’anfora con il mito di Adrasto (fig. 21), rinvenuti assieme ad altri vasi attribuiti al pittore della Danzatrice di Berlino e a vasi attici del Pittore di Peleo nello splendido corredo della T. 24 di Rutigliano26. Si tratta di soggetti molto rari anche nell’iconografia attica, che però sono noti intorno alla metà del V secolo dalle ricche sepolture dei centri dell’Etruria adriatica. Ad esempio il tema di Achille e Memnone è raffigurato su un cratere del Pittore di Altamura da Bologna27, mentre i Sette a Tebe compaiono su un cratere del Pittore di Bologna 279 da Spina28. La rarità del soggetto non consente di trovare un preciso parallelo iconografico né per la scena della morte di Memnone né per quella di Adrasto, ma mi sembra significativo il fatto di riscontrare nelle comunità adriatiche l’adesione agli stessi soggetti. Vicini a questi vasi mi sembra invece di poter collocare l’hydria da Ugento con il matrimonio di Sisilo29 (fig. 22), un soggetto che sembra nascere in ambiente italiota, e che sarà ricomposto in un racconto sul cratere del pittore omonimo30 e l’altra hydria che rappresenta sulla spalla Teseo e le Amazzoni31 (fig. 23). In particolare lo schema compositivo dell’Amazzone sul carro trova un preciso confronta con quello usato dal Pittore di Sisifo per il ratto delle Leucippidi sul cratere di Ruvo32. Anche questo tema è nota da ceramiche attiche coeve rinvenute a Spina e su frammenti noti da Gravina e da Monte Sannace33.
17Sembra potersi ricomporre un quadro di iconografie differenziate riferibili a committenze diversilicate; inoltre le serie esaminate mostrano linguaggi stilistici e compositivi propri, che si traducono inuna diversa concezione dello spazio e nell’adozione di stilemi differenti, gli uni riconducibili ai pittori del Gruppo di Polignoto, gli altri collegabili in maniera più significativa ai vasi del Pittore di Peleo, come anche a quelli di Kleophon e del Dinos. Queste considerazioni portano ad ipotizzare l’esistenza di più officine, che lavorano per committenze diverse, e di cui forse va meglio precisata l’articolazione nello spazio.
18In questa direzione è possibile inquadrare in maniera più precisa, come ha mostrato A. Ciancio nel suo contributo34, anche i vasi attribuiti al Pittore di Gravina, per i quali terni e schemi iconografici rimandano in molti casi in maniera precisa alla produzione metapontina. È questo il caso del cratere a volute35 che reca sulla spalla il mito della punizione di Atteone (fig. 24) in una assoluta identità di schemi con la nestorìs del British Museum attribuita al Pittore di Dolone36; allo stesso modo la scena della caccia al cinghiale calidonio raffigurata sul lato principale del vaso trova anch’essa un confronto signicativo con una nestorìs della collezione Ortiz a Ginevra, attribuita al Pittore di Dolone37.
19Anche l’anfora rinvenuta nello stesso corredo, che rappresenta Elettra alla tomba di Agamennone38, ripropone uno schema molto diffuso tra i ceramografi lucani, ed in particolare il confronto più stringente può essere istituito con una hydria attribuita al Pittore delle Coefore39.
20Un’attenzione particolare merita l’anfora raffigurante la regina Stenebea che si getta nel mare sotto lo sguardo di Bellerofonte su Pegaso, di Afrodite, accompagnata da Eros, di Poseidone e Tritone40. Questa iconografia che rappresenta l’epilogo dell’incontro tra Bellerofonte e Stenebea, non trova riscontri né nella ceramica attica, né in quella italiota, ma sembl a comunque potersi iscrivere nell’ambiente culturale che mette in scena, nel corso della seconda metà del V secolo, la partenza di Bellerofonte. Si tratta di un altro momento della saga dell’eroe mai rappresentato in precedenza, conosciuto da un’anfora panatenaica di produzione metapontina, proveniente da Anzi41, e su vasi del Pittore di Hearst e di Arianna, che, generalmente definiti apuli, di recente sono stati accostati ad una fabbrica ionica, forse Thuri41. Ancora una volta, la scelta di terni e di schemi iconografici sembra tracciare un filo conduttore tra oggetti attribuiti dal Trendall a fabbriche e momenti cronologici differenti, delineando un asse culturale omogeneo che accomuna i rinvenimenti di Gravina ai vasi prodotti sulla costa ionica. In questo asse culturale è ormai sempre più chiaro come un punto di riferimento importante sia costituito dalle officine metapontine; resta invece ancora da chiarire il ruolo di Thuri, che recenti studi hanno appena iniziato a delineare.
Notes de bas de page
1 Pontrandolfo 1997; Silvestrelli 1998; D’Agostino/Cerchiai 1999; Mazzei 1999; Pouzadoux 1999; Mugione 2000; Mugione 2002.
2 E. Mugione, Pluralità di tradizioni nella ceramica italiota, in Céramique et peinture grecques 1999, p. 315-322.
3 Sul Pittore della Nascita di Dioniso cfr. RVAp I, p. 33-35.
4 Cratere a volute, Taranto, Museo Nazionale 8264, da Ceglie del Campo, RVAp I, 1/6, tav. 9,1 . Il vaso proviene dal ricchissimo complesso di Via Giuseppe Martino di Ceglie per il quale cfr. M. Labellarte, in Archeologia di una città. Bari dalle origini al X secolo, Bari 1988, p. 304-339, con bibliografia precedente. Il complesso sembra non pertinente ad un’unica sepoltura, ma va comunque sottolineata la ricchezza e la presenza di ceramica italiota accanto a ceramiche di importazione attica.
5 Frammento di cratere, Bonn, Kunsthistorisches Museum 1216.19, da Atene, ARV2 796, 3.
6 Cratere a volute, Ruvo, Museo Jatta 1093, da Ruvo, ARV2 1184,1.
7 Taranto, Museo Nazionale, da Taranto, ARV2 560,5; LIMC, III, 1986, p. 1057, Ariadne 52*.
8 Cratere a calice attico, Siracusa, Museo Nazionale 17427, da Camarina, ARV2 1184, 4; LIMC, III, 1986, p. 1060, Ariadne 94.
9 Cratere a calice, Taranto, Museo Nazionale 52230, da Taranto, Via Giovine, RVAp I, 2/25, tav. 12, 2a-b.
10 Stamnos, Boston, Museum of Fine Arts 00349, RVAp I, 1/104.
11 Cfr. il contributo di M. Denoyelle in questa stessa sede, p. 103-112.
12 Cratere a calice, Taranto, Museo Nazionale 4600, da Taranto, RVAp I, 2/1.
13 Cratere a volute, Bruxelles, Musées Royaux A 1018, da Bari, RVAp I, 2/9, tav. 10; LIMC, V, 1990, p. 130, Herakles 2927*.
14 Pelike, Monaco, Museum Antiker Kleinkunst 2360 (J384), ARV2 1186, 30; LIMC, V, 1990, p. 128, Herakles 2916*.
15 Anfora panatenaica attica a figure rosse. Taranto, Museo Nazionale 143544; cfr. LIMC, IV, 1988, p. 801, Herakles 1368; De Amicis 1997, p. 347, no 124.1 e p. 123-136.
16 Cratere a colonnette, Basel, Antikenmuseum S28, RVAp I, 4/243, tav. 34, 1; L/MC, V, 1990, p. 130, Heracles 2928.
17 Cratere a colonnette, Napoli, Museo Nazionale H 2408 (81872) cfr. RVAp I, 1/108; APS, p. 17, no 6, Tav. 4, fig. 16.
18 Cratere a campana Ruvo, Museo Jatta 422, da Ruvo, attribuito al Pittore di Londra F 64, ARV2 1420,4; LIMC, V, 1990, p. 129. Herakles 2922b; cratere a campana, Ferrara, Museo Nazionale 15637, da Spina, T 376B Valle Pega, ARV2 1424, 1, LIMC, V, 1990, p. 129, Herakles 2923*; cratere a campana, Bologna, Museo Civico 318, da Bologna, attribuito al Pittore di Upsala, ARV2 1437,4; LIMC, V, 1990, p. 130, Herakles 2932.
19 Oinochoe apula, Londra, British Museum F 102, attribuita al Gruppo di Vienna 4013, RVAp I, 207,127; LIMC, V, 1990, p. 130, Herakles 2925*.
20 Cratere a volute, Milano H. A. Coll. 260, da Ruvo, attribuito al Pittore di Licurgo, RVAp I, 417, 13; LIMC, V, 1990, p. 129, Herakles 2919*.
21 Cratere a calice attico, New York, Metropolitan Museum of Arts 52.11.18. LIMC, V, 1990, p. 129, Herakles 2917*; cratere a campana attico da Sant’Agata dei Goti, collezione Mustilli, attribuito al Pittore di Londra F 64, ARV2 1420,5; LIMC, V, 1990, p. 129, Herakles 2918.
22 Cratere a campana, Napoli, Museo Nazionale 2681 (81571), RVAp I, 1/4.
23 Cratere a calice, Providence, Rhode Island School pf Design 22215, RVAp I, 1/9.
24 Skvphos, Napoli, Museo Nazionale H 3140 (81345), RVAp 1, 1/11.
25 Hydria attica a figure rosse, Boston Museum of Fine Arts 03792, ARV2 1076,13, LIMC, III, 1986, p. 331, Danae 50; cratere a campana, Siracusa, Museo Nazionale 23910, LIMC, III, 1986, p. 332, Danae 55.
26 Cratere, Taranto Museo Nazionale 140639 e anfora, Taranto, Museo Nazionale 140638, cfr. F.G. Lo Porto, L’attività archeologica in Puglia, in Atti Taranto 1976, Napoli 1977, tav. 113-115.
27 Cratere a calice, Bologna, Museo Civico 285, da Bologna, ARV2 591, 13, LIMC, I, 1981, p. 178, Achilleus 831; il soggetto è noto anche su un cratere a calice da Agrigento, Parigi, Louvre G342, ARV2 590, 12, LIMC, I, 1981, p. 179, Achilleus 839 e su una coppa, Londra, British Museum E 77, da Vulci, ARV2 837, 1, LIMC, I, 1981, p. 178, Achilleus 835.
28 Cratere a volute, Ferrara, Museo Nazionale 3031, da Spina ARV2 612,1; LIMC, VII, 1994. p. 739, Septem 40*.
29 Hydria, Taranto, Museo Nazionale, 134905, RVAp I, 1/18, tav. 3, 4.
30 Cratere a volute, Monaco, Museum fur Kunst und Gewerbe 3268, RVAp I, 1/51.
31 Hydria, St. Petersbourg 1842 (St. 1143), RVAp I, 1/10.
32 Cratere a volute, Ruvo, Museo Jatta 1096, RVAp I, 1/52, tav. 5, 1.
33 Cratere a calice attico, Ferrara, Museo Nazionale 44893, da Spina, attribuito al Gruppo di Polignoto, LIMC, III, 1986, p. 584, Dioskouroi 200; cratere a colonnette, Ferrara, Museo Nazionale 2810, da Spina T 1036 Valle Trebba, ARV2 1 165, 79; LIMC, III, 1986, p. 584, Dioskouroi 199*; frammento di lekanìs con coperchio, da Gravina, Taranto, Museo Nazionale 177008, A. Ciancio, Silbion. Una città tra Greci e Indigeni, Bari 1997, p. 185, no 131; fr. di lekanis dalle grandi Tombe di Monte Sannace, attribuito al Pittore di Polignoto, CVA, Italia, 68, Gioia del Colle, Museo Archeologico Nazionale I, tavv. 32-33.
34 Mi riferisco in particolare all’analisi dei vasi della Tomba 1 (1974 propr. Ferrante); cfr. Ciancio 1997, p. 182-186; A. Ciancio in questa stessa sede, p. 53 ss. Un’analisi iconografica e iconologica dei vasi rinvenuti in questo ricco contesto è stata da me proposta: E. Mugione, La selezione dei terni figurativi della tomba 1 (1974 Prop. Ferrante) di Gravina di Puglia, in Iconografia 2001, Atti del Convegno Padova, Maggio 2001, Roma 2002, 91-100.
35 Cratere, Taranto, Museo Nazionale 177001. Ciancio 1997, p. 182, no 124.
36 Nestoris, Londra, British Museum F 176 (LCS, 103, 540; LIMC, I, 1981, p. 459, Aktaion 48a)
37 Nestoris, Ginevra, Collezione Ortiz (LCS suppl. III, 61, D28, tav. X). La complessità della scena, la disposizione su più piani, i movimenti e le torsioni dei personaggi raffigurati sul cratere, tuttavia, hanno fatto pensare in questo caso al l’esistenza di un modello pittorico. La stessa impostazione si ritrova anche su un’anfora apula, Trieste S380, attribuita al Pittore di Licurgo (RVAp I, 418, 19) e su un cratere a volute, Berlino, Staatliche Museen 3258, proveniente da Ceglie, attribuito al Pittore dell’Oltretomba (RVAp II, 533).
38 Anfora panatenaica, Taranto, Museo Nazionale 177006, Ciancio 1997, p. 184, no 129.
39 Hydria, Napoli, Museo Nazionale 81843 (H 2586) del Pittore delle Coefore (LCS, 121, 601).
40 Anfora panatenaica, Taranto, Museo Nazionale 177005, Ciancio 1997, p. 183, no 128.
41 Anfora panatenaica, Napoli, Museo Nazionale 82263 (H 2418), del Pittore di Amykos (LCS, 44, 218); il vaso entrato nella letteratura come proveniente da Ruvo è stato di recente ricondotto ad Anzi, sulla base della documentazione d’archivio, cfr. Pontrandolfo 1996.
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