L’approche iconographique : bilan et perspectives
p. 173-174
Texte intégral
1Nella storia degli studi, accanto ad altri elementi, anche l’individuazione di un repertorio di terni e di iconografie ha contribuito a ricostruire la fisionomia di una produzione, quella che viene comunemente definita apula. Dalla fine dell’Ottocento, negli studi sulla ceramica dell’Italia meridionale, ad esempio quelli di G. Patroni, di V. Macchioro, di C. Albizzati1, e successivamente quelli di M. Pensa, di M. Schmidt, A.D. Trendall, A. Cambitoglou e di G. Schneider-Herrmann2, si riconosceva a questa produzione una predilezione per scene funerarie, terni dionisiaci e orfici, per scene di ispirazione teatrale e letteraria, e per terni mitologici particolari che rimandano ad un contenuto simbolico ed escatologico. Più recentemente queste osservazioni sono state riprese nel bilancio offerto da F. Villard in Un secolo di ricerche in Magna Grecia e da Arias in Magna Grecia III3. Ancora in questi lavori rimane forte l’assimilazione tra queste iconografie e la ceramica apula a tal punto che Villard parla di “temi apuli” e Margot Schmidt nel saggio su Orfeo e orfismo nella pittura vascolare italiota non puo fare a meno di costruire il suo discorso dall’ottica della ceramica apula4. Tuttavia, se J.-M. Moret5 nel saggio sul giudizio di Paride dava ancora spazio ad un “simbolismo funerario apulo”, parallelamente emergeva negli suoi studi la necessità di invididuare un linguaggio iconografico e di ricondurlo laddove era possibile ad ambiti culturali, inquadrando le scene rappresentate in una dimensione sincronica e diacronica, con gli strumenti propri dello strutturalismo. Un’impostazione metodologica di questo tipo si rintraccia nei lavori dello stesso J.-M. Moret6 e più recentemente di C. Aellen7.
2Una revisione delle problematiche inerenti all’iconografia della ceramica dell’Italia meridionale è nell’approccio di A. Pontrandolfo che nel recente saggio su Mito e Storia dà voce e mette in sistema una serie di contributi innovativi nel campo della ceramica italiota, come ad esempio i lavori della stessa studiosa, di E. Mugione, di M. Mazzei e di H. Frielinghaus, che cercano di ricontestualizzare i terni iconografici legandoli ad una committenza specifica ed ad ambiti culturali8. L’accento è posto in un modo duplice da un lato sulla funzione che assumono le immagini nel tempo e nello spazio e dall’altro sull’uso che ne viene fatto introducendo un valore aggiunto alle immagini che mette in campo la dialettica tra produttori e destinatari della ceramica9.
3Questo nuovo approccio non tralascia di considerare in parallelo all’iconografia i problemi legati alla produzione e all’organizzazione delle officine nel tentativo di superare la classificazione del Trendall, basata prevalentemente su criteri stilistici che individuano singole personalità, per cogliere invece i nessi stilistici, compositivi e figurativi che consentono di individuare dove possibile un linguaggio comune e di recuperare l’identità e la coerenza di una produzione.
4In questa prospettiva i casi privilegiati di Paestum10 e di Metaponto11 hanno dimostrato come approccio stilistico e approccio iconografico sono imprescindibili e che la ricerca deve necessariamente procedere in parallelo se si vuole rintracciare il linguaggio specifico di una produzione. Infatti proprio la mancanza di certezze sui luoghi di produzione ha portato gli studiosi a classificare esperienze artigianali diversificate globalmente come ceramica apula e prevalentemente tarantina, pur riconoscendo una specificità delle officine. Già nella storia degli studi sulla ceramica apula, soprattutto alla fine dell’Ottocento si era posto il problema dell’identità culturale di questa produzione e nel dibattito tra G. Patroni12 e F. Lenormant13 emergeva dalla denominazione usata, la problematica ancora attuale della localizzazione greca o indigena delle officine14.
5Infatti, la conoscenza delle provenienze dei vasi figurati in alcuni casi ha fatto ipotizzare anche di recente l’esistenza di luoghi di produzione fuori Taranto15; tuttavia la lacunosità dei dati sulle provenienze e l’impossibilità spesso di ancorarle ai contesti a nostro avviso non consente di negare la centralità di Taranto, ma può solo indicare un trend di circolazione. Solo in alcuni casi in cui è stato fatto lo sforzo di mettere in relazione la distribuzione dei vasi con l’individuazione di un linguaggio stilistico, compositivo e figurativo specifico è stato possibile dare consistenza e identità ad una produzione in relazione ad ambiti regionali o ad un centro di produzione, come ad esempio per le produzioni della Val d’Agri16 e dei centri della Daunia17. Da queste considerazioni emerge per noi la convinzione che l’individuazione di un patrimonio di terni mitologici e di schemi iconografici e compositivi può contribuire alla definizione di un ambito culturale, come proveremo a mostrare attraverso esemplificazioni, purchè i risultati di questa ricerca siano confrontati e messi in relazione costantemente con i lavori di coloro che si occupano di problemi stilistici per ricostruire officine ed ambiti di produzione.
6Il secondo punto che per noi è fondamentale è quello del rapporto tra una produzione e il suo mer cato che mette in campo, da un lato, il valore e la funzione di un patrimonio figurativo, dall’altro, l’uso di questo patrimonio da parte dei destinatari. Questo è un problema che non può essere affrontato in maniera univoca perchè a nostro avviso è possibile riconoscere una gradualità nella dialettica tra produttori e clientela:
la diffusione da un centro di produzione del proprio patrimonio figurativo e culturale costituisce un primo livello. Lo sforzo che dobbiamo fare quindi nel caso della ceramica apula, è quello di circoscrivere un patrimonio figurativo proprio di Taranto o di altri centri di produzione cercando di collegarli all’individuazione di pittori, officine ed ambiti di produzione.
la selezione di terni in ambiti specifici ci dé accesso ad un secondo livello che può mettere in campo sia l’adesione ai contenuti espressi da uno o più patrimoni figurativi, sia la rifunzionalizzazione cosciente di un repertorio; queste due variabili si possono cogliere soltanto se si prende in considerazione il rapporto tra l’immagine ed il suo contesto.
un terzo livello, da verificare di caso in caso ma che è già evidente negli studi più recenti e in alcuni lavori in corso, è quello della formazione di repertori particolari che sembrano non essere più attestati nella produzione ceramica rinvenuta a Taranto, ma che sono creati per rispondere alle esigenza della committenza. Tali repertori attestati esclusivamente su vasi rinvenuti in contesti indigeni potrebbero essere stati creati in funzione di una clientela specifica e in certi casi sostanz.iano l’ipotesi di poter riconoscere altri centri di produzione.
7Tutti questi passaggi ci sembrano necessari per tentare di ricostruire i processi culturali che sottendono la formazione di una produzione, intesa nella sua globalità, come l’insieme di stile, composizione, patrimonio figurativo e proiezione ideologica. Proveremo ad andare in questa direzione attraverso alcuni esempi senza la pretesa di offrire un sistema unico e comprensivo nella sua interezza, perché siamo ben consapevoli di essere ancora lontani dall’obiettivo finale, sia per la mancanza dei dati, sia perchè siamo ancora all’inizio di una ricerca comune nella quale dovranno necessariamente conduire metodologie e tradizioni di studi diversi.
Notes de bas de page
1 Patroni 1897; Macchioro 1913; Albizzati 1920.
2 Pensa 1968; Grabvasen 1976; Schneider-Herrmann 1977-1978.
3 Villard 1989; Arias 1996, p. 200-213.
4 Le credenze escatologiche, in particolare, sono quasi totalmente esemplificate dalla ceramica apula, come si evince dallo studio di Schmidt 1974 che porta l’attenzione su vasi apuli, tutti databili nella seconda metà del IV secolo dal Pittore di Ganimede lino al Pittore di Baltimora, ad eccezione di un cratere siceliota di Lentini. Anche Trendall 1974, p. 174, e Keuls 1975, p. 443, sottolineano l’esclusività delle scene orfiche nella ceramica di produzione apula.
5 Moret 1978, p. 85-92.
6 Moret, Ilioupersis 1975.
7 Aellen, Personnifications 1994.
8 Pontrandolfo 1997; Mugione 2000; Mazzei 1999; Frielinghaus 1995.
9 Per una sintesi recente di queste problematiche, cfr. Bats/D’Agostino 1999.
10 Tombe dipinte 1992.
11 Metaponto I, 1975.
12 Patroni 1897, p. 132; per una sintesi di questa problematica cf. Lippolis, La ceramica a figure rosse italiota 1996, p. 358.
13 Lenormant 1881, p. 97.
14 Lippolis, La ceramica a figure rosse italiota 1996.
15 RVAp II, p. 450; Robinson, Workshops 1990; Mazzei 1996.
16 Pontrandolfo 1996.
17 Mazzei 1999.
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