Parte I. Inquadramento storico-archeologico
p. 9-39
Texte intégral
1. Le terracotte teatrali di Liparie l’evoluzione delle mascheree del costume scenico del teatro greco dalla fine del V alla metà del III secolo a. C.
1Per poter inquadrare le maschere ellenistiche della tragedia nell’insieme dell’evoluzione tipologicae cronologica del costume scenico del teatro greco, è necessario riassumere innanzi tutto gli insegnamenti che abbiamo potuto trarre dallo studio sistematico della vastissima documentazione raccolta negli scavi della necropoli di Lipari1.
2Solo così potremo renderci conto della profonda innovazione che esse rappresentano rispetto alla tradizione precedentee della loro stretta correlazione con le maschere della commedia nuova, diffuse nello stesso momento.
3A Lipari è stata rinvenuta una enorme massa di piccole terracotte di argomento teatrale, a tutt’oggi forse un migliaio di pezzi, fra interie frammenti,e il loro numero va rapidamente aumentando, perché altri ne vengono in luce ad ogni nuovo scavo nell’area della necropoli2.
4Sono modellini delle maschere che gli attori portavano sulla scena, oppure statuette di attori comici ο di personaggi satireschi. Questa produzione coroplastica rispecchia peraltro non solo i tre generi letterarii del teatro greco, la tragedia, il dramma satirescoe la commedia, ma anche le altre attività connesse col teatro. Troviamo infatti nelle statuette anche musicanti, danzatorie danzatrici, giocolierie acrobati.
5Dal punto di vista cronologico, quando si eccettui una sola statuetta comica del v secolo, ancora forse ricollegabile al costume scenico dell’età di Epicarmo, le terracotte teatrali liparesi si possono dividere, dal punto di vista cronologico, in due grandi gruppi: l’uno che si estende pressoché all’intero corso del iv secolo, l’altro, ben differenziato da esso, che interessa invece la prima metà del iii secolo a. C.
6Il gruppo più antico si ricollega, nel genere tragico, ai prototipi creati al tempo di Sofoclee di Euripide,e cioè negli ultimi decenni del v secolo, ed è rappresentato solo da modellini in terracotta di maschere teatrali, rinvenuti quasi esclusivamente in corredi tombali.
7Ci rendiamo conto che quando in un singolo corredo troviamo più maschere, l'associazione non è casuale, ma si tratta dei personaggi di una determinata tragedia e ci è quasi sempre facile riconoscerli, perché si tratta delle tragedie più famose, che avevano avuto maggiore successo e che continuavano quindi ad essere rappresentate sui teatri di tutto il mondo greco nel corso del iv secolo a.C.
8Riconosciamo in queste maschere personaggi delle tragedie di Sofocle, come Filottete e Paride del Filottete a Troia (fig. 1), Edipo e Giocasta dell'Edipo Re, Acheloos e Deianira delle Trachinie, ο delle tragedie di Euripide, come Admetos ed Herakles dell'Alcesti, Priamo, Paride, Cassandra e Deiphobos dell'Alexandros, Polydoros e Polymestor dell'Hekábe, Ecuba e Taltibio delle Troiane, Ippodamia, Chrysippos e Laios, in un altro corredo Pelope e Chrysippos, in un terzo Pelope e Ippodamia del Chrysippos.
9È probabile che i prototipi originali che le nostre mascherette liparesi imitano più ο meno fedelmente, ο almeno a cui si ispirano, siano proprio quelli che gli stessi tragediografi ateniesi avevano fatto plasmare per i loro personaggi al momento in cui avevano presentato le loro tragedie ai concorsi dionisiaci e dobbiamo supporre che modellini, ο almeno disegni, di esse e dei costumi circolassero nel mondo greco insieme ai copioni del testo letterario.
10Vediamo che la produzione di queste mascherette tragiche continua a Lipari per tutto il corso del iv secolo. Ne troviamo in fatti, del tutto simili, in tombe databili ai primi anni del secolo e in altre in cui esse si associano ormai con vasetti dello stile di Gnathia, scendenti cioè all'ultimo terzo del secolo.
11Vi può essere stato qualche apporto nel corso del iv secolo. Abbiamo creduto infatti di poter riferire le due mascherette di Ecuba e di Ettore all'Hektor di Astidamante il Giovane, tragedia scritta nella prima metà del iv secolo, che ha avuto al suo tempo un notevolissimo successo, come ci attesta il fatto che frammenti di essa sono stati trovati in tre diversi papiri egiziani. Ma stilisticamente esse sono vicinissime a quelle attribuibili alle tragedie di Sofocle e di Euripide, a quelle in particolare di Filottete e di Paride (fig. 1), del Filottete a Troia di Sofocle, trovate in una tomba databile, in base alle ceramiche, ai primissimi anni del IV.
12Le maschere tragiche di questo periodo più antico sono di un vivace naturalismo. In esse, attraverso una serie di convenzioni, si cerca di esprimere i sentimenti estremi che sconvolgono i personaggi della tragedia, la violenza, il furore, l’ira, la sofferenza, il dolore,e si giunge a veri capolavori di verismo, come nel caso del Filottete, della Giocasta, dell’Ecuba.
13Sappiamo d’altronde dalle fonti letterarie che esprimere la sofferenza di questi eroi, in particolare di Filottete, era diventato un motivo ricorrente nell’arte greca, sia nella scultura, sia nella pittura,e a figurazioni di Filottete si riferiscono epigrammi dell’Antologia Palatina.
14Ma queste maschere presentano non di rado anche motivi arcaistici, soprattutto nel rendimento della barbae delle chiome. Si voleva cioè dare un aspetto "antico" ai personaggi di leggende che si perdevano nella notte dei tempi, riesumando quelle convenzioni che erano state proprie della scultura greca arcaica.
15Nel genere satiresco abbiamo per questa età alcune mascherette di papposileni ο di satiri con ο senza barba, ma anche statuette di satiri nudi che portano grossi otri di vinoe un po’più tardi, nel corso della seconda metà del IV, un numerosoe vivacissimo repertorio di statuette, alcune delle quali raffiguranti papposileni musicanti o, talvolta, in vesti ed atteggiamento di filosofie di oratori.
16Nel genere comico le maschere di cui abbiamo trovato a Lipari i modellini fittili si ricollegano alla commedia antica, ai prototipi creati dallo stesso Aristofane ο da altri commediografi suoi contemporanei. Ed abbiamo anche avanzato l’ipotesi che un gruppo di sei mascherette trovate in un corredo tombale della metà del iv secolo (t. 1613) possa corrispondere ad una parte dei personaggi delle Ecclesiazuse 3 (fig. 2) nonostante la scarsa caratterizzazione dei personaggi della commedia antica, che sono soprattutto buffo-neschie che si prestano quindi in generale ugualmente bene a qualsiasi ruolo. Alcune di esse (tratte dalla stessa matrice ο modificate solo con l’aggiunta di una corona conviviale) ritornano fra i personaggi (cinque) di una commedia diversa nel corredo di un’altra tomba (t. 1987)4. E in questa la presenza di una divinità giovane (forse Apollo) potrebbe corrispondere ad una innovazione della "commedia di mezzo", nella quale il prologo (o un monologo), recitato da una divinità, ο da una personificazione diversa, è assai frequente,e questa comoda convenzione si conserverà anche nella commedia nuova.
17Largamente diffusa nella produzione teatrale del corso del iv secolo è la commedia di argomento mitologico, alla quale si riferiscono le splendide maschere di Heraklese Hades5 (fig. 3), trovate in una tomba del terzo quarto del secolo (t. 1986). Sono i personaggi di una commedia che mette in ridicolo il ben noto episodio narrato nell’Iliade (V, 395-404).
18Le convenzionie gli artifici attraverso i quali si cerca di esprimere l’indemoniato furore dell’Herakles sono sostanzialmente gli stessi che avevamo osservato nell’Ecuba, nel Filottete, nella Giocasta.
19Lo stile, anche se questa volta portato nel buffonesco, è sempre lo stesso.
20Ma nel genere comico ai modellini di maschere si affianca, nel corso del iv secolo,e soprattutto nella seconda metà di esso, una miriade di statuette di attori nei più diversi atteggiamenti, che ci fanno conoscere non solo le maschere, ma l’intero costume dei personaggi. Data l’età a cui appartengono, queste statuette sono da porre in rapporto con la commedia di mezzo, ma le maschere, molto varie, che esse presentano, si ricollegano evidentemente alla tradizione della commedia antica, della quale conservano lo stile, senza che si possa segnare rispetto ad essa una qualsiasi cesura.
21In queste statuette, peraltro, una certa evoluzione dei tipi si può notare,e compaiono già talvolta alcuni personaggi che potrebbero essere i predecessori di quelli che saranno, nel secolo successivo, propri della commedia nuova, come l’hegemón presbytes e l’hegemón theràpon, entrambi a doppia espressione, l’àgroikos ecc.
22Fino alla fine del secolo, peraltro, per i personaggi maschili è di regola inderogabile il costume fallico, oscenoe grossolano, ma profondamente radicato nelle abitudini, senza il quale il pubblico non avrebbe saputo immaginare una commedia. I personaggi maschili d’altronde, con la enorme imbottitura dei ventrie dei glutei, sono molto più buffoneschi che quelli femminili, nei quali il ridicolo è dato sovente, oltreché dagli atteggiamenti estremamente significativi, dalle pancette alquanto prominenti, che non corrispondono davvero ai canoni ideali della bellezza.
23Notiamo inoltre che in queste statuette ricollegabili alla commedia antica è impossibile distinguere gli uomini liberi dagli schiavi, se non in base ad atteggiamenti ο ad eventuali attributi che li caratterizzano come tali. Il costume fallico accomuna entrambe le classi.
24A differenza dei modelli di maschere che si rinvenivano quasi esclusivamente in corredi tombali, questa massa di piccole terracotte comichee satiresche della seconda metà del IV secolo non sempre proviene da singoli corredi tombali.
25Con maggiore frequenza è stata trovata sparsa nel terreno ο concentrata in discariche ο fosse votive nell’area della necropoli.
26Peraltro, nei casi in cui un gruppo di statuette è stato trovato in un corredo tombale, esso corrisponde senza dubbio al complesso dei personaggi di una determinata commedia, così come avveniva nel caso delle maschere,e può essere di grande interesse per ciò che, attraverso di esso, possiamo intravedere dell’argomento di questa.
27Per esempio, nel caso delle quattro statuette rinvenute nel corredo della tomba 1846 (fig. 4) databile non oltre il terzo quarto del IV secolo, non è certamente accidentale il richiamo all’Aulularia di Plauto, anche se la figura principale, quella del vecchio avaro, è qui femminile, è cioè una vecchia avara che stringe gelosamente il sacchetto dei denari. Ma vi ritroviamo Stafila, la vecchia schiava sempre ubriaca, lo schiavetto nudo che torna dal mercato col cesto della spesae una figura di vecchio schiavo in gesto di disappunto.
28Ora, l’Aulularia è una commedia che Plauto avrebbe derivato da Menandro. Ma la tomba in cui le nostre statuette sono state trovate non è certo di un’età corrispondente all’attività letteraria di Menandro.
29I tipi dei vasi a vernice nera in essa ritrovati7 possono essere attribuiti tutt’al più ai primissimi inizi dello stile di Gnathia, che in essi in realtà ancora non è rappresentato. L’elemento in essa cronologicamente più avanzato è un piattino a bordo convesso, che si associa peraltro con una patera del tipo tradizionale perpetuatosi per tutta la prima metà del IV secolo.
30La tomba dovrebbe essere datata quindi poco dopo il 350 a. C., prima ancora, cioè, della nascita di Menandro.
31II quale, dunque, si sarebbe ispirato, per la commedia che Plauto ha imitato, ad un prototipo della generazione precedente.
32Gli scavi nell’area della necropoli di Lipari ci rivelano, agli inizi del III secolo a. C., nella coroplastica di argomento teatrale, un profondo mutamento che investe l’intero repertorio figurativo, lo stilee la tecnica stessa di questo artigianato8.
33E, a giudicare dalla documentazione raccolta, questo cambiamento non appare come il frutto di una progressiva evoluzione, della quale non vi è alcuna traccia.
34Appare al contrario come una innovazione radicale, come l’improvvisa diffusione di nuovi modelli, senza dubbio creati altrove, che l’artigianato locale fa proprie rielabora secondo il proprio gustoe le proprie tradizioni.
35Il cambiamento infatti non è solo nei modelli, ma anche nelle tecniche. Le masche-rette fittili, fin dall’inizio di questa produzione artigianale liparese, erano dipinte, ma la superficie colorata si fa ora assai più spessa, più consistente, vorremmo dire più "porcella-nosa". Molto probabilmente, essa è stata ottenuta con un più sapientee progredito impiego del caolino locale, di cui in questa età inizia lo sfruttamento con gallerie scavate nel profondo della montagna, come ci dimostra il rinvenimento, in queste gallerie, di frammenti di anforee di piatti ο di tazze a vernice nera che dovevano contenere l’acqua per beree il cibo degli operai addetti allo scavo.
36I colori applicati sulla superficie delle terracotte sono ora, quando conservati, di gran lunga più intensi, più vivaci, più brillanti.
37Questo progresso tecnologico, d’altronde, si può considerare corrispondente,e forse in qualche modo connesso, con quello a cui assistiamo, nella stessa età, nel campo della ceramica figurata, dove si passa dallo "stile a figure rosse" del tempo del Pittore Nyne del Pittore di Cefalù, alla piena policromia ad opera del Pittore di Liparie dei suoi allievi9.
38Le mascherette fittili dell’età precedente erano di dimensioni pressoché costanti; variavano cioè intorno ai cm. 8-10 di altezza frontalee la superavano alquanto solo a causa di particolari acconciature ο attributi, come per esempio i berretti frigi. Un’eccezione era rappresentata solo dalle due maschere buffonesche di Heraklese Hades, che sono di misure alquanto maggiori, con altezze fra i cm. 13,5e 15.
39Nella nuova produzione le dimensioni sono molto varie, talvolta piccole, come quelle dell’età precedente, ο ancora minori, ma molto più frequentemente assai maggiori, fino a metà del veroe oltre.
40Pochissimi sono ora i pezzi rinvenuti in corredi tombali. L’enorme maggioraza proviene da discariche ο da fosse votive, ο è stata rinvenuta sparsa nell’area della necropoli. Numerosi pezzi sono stati trovati nel terreno intorno all’altare eretto sull’area del distrutto koreion del terreno Maggiore (scavo xxiii, 1955-1956), nella campagna antistante ad una delle porte urbiche della cinta muraria della prima metà del iv secolo.
41Un gran numero di frammenti di maschere teatrali riferibili alla commedia nuova si associa, in questi depositi, con rari frammenti di maschere tragiche ο satiresche, ma anche con maschere-ritratto dei personaggi famosi10, non della politica, ma della cultura, di cui i Liparesi di questa età amavano fare collezione. Fra questi le statuette di Omero, di Socrate, di Lisia, le maschere-ritratto di Menandro, di Sofocle, di Euripide, forse di Difiloe di Filemone, di alcuni dei sette sapienti.
42Mentre si attarda talvolta la stanca riproduzione meccanica, dalle matrici ancora esistenti, di statuette dell’età precedente, quelle del nuovo stile, riferibili alla commedia nuova (poche, in realtà), sono ora del tutto diversee il tradizionale costume fallico è in esse completamente scomparso. È ovvio che l’improvvisoe totale cambiamento tipologico e stilistico, che constatiamo nelle terracotte liparesi, è il riflesso di una profondae radicale trasformazione di tutto il complesso delle maschere teatrali,e senza dubbio anche del costume scenico, avvenuto agli inizi del iii secolo a. C. ad Atene; diremmo di più: un cambiamento che coinvolge probabilmente la stessa organizzazione dell’attività teatrale.
43Nelle nostre terracotte il cambiamento è particolarmente appariscente nel campo della commedia, grazie all’amplissima documentazione pervenutaci, che, come già abbiamo accennato, è costituita di quasi quattrocento pezzi, fra interie frammentari, riferibili alla commedia nuova.
44Possiamo osservare che i tipi che ora compaiono corrispondono a quel repertorio di personaggi di cui il catalogo di Giulio Polluce ci ha lasciato una sommaria descrizione.
45Fra le maschere della commedia antica (e della commedia di mezzo che ne continua la tradizione attraverso tutto il iv secolo)e quelle della commedia nuova vi è una differenza che potremmo dire radicale.
46Le prime, come ci dice Pollucee come i rinvenimenti archeologici ci dimostrano, erano buffee intese soprattutto a far ridere il pubblico. Corrispondevano cioè al carattere della commedia antica,e soprattutto di quella di Aristofane, buffonesca, ma carica di satira politicae sociale.
47Nel corso del iv secolo a. C., le condizioni della vita civile in Grecia erano profondamente mutate rispetto all’età di Aristofane. La satira politica non era più possibilee la commedia si orientava verso una satira letteraria con argomenti mitologici che parafrasavano quelli a cui si atteneva la tragedia, ο verso il quadro della vita famigliare quotidiana, anticipando già molte di quelle che saranno le caratteristiche della commedia nuova.
48Ma è evidente, attraverso i rinvenimenti di Lipari, che lo stile del costumee delle maschere comiche non era sostanzialmente mutato rispetto alla commedia antica; restava fedele alla vecchia tradizionee non seguiva quel rinnovamento che incominciava a manifestarsi nel genere letterario.
49Il nuovo repertorio di maschere che si afferma agli inizi del iii secolo (figg. 5, 6) corrisponde invece fedelmente al carattere della commedia nuova, che è un genere letterario completamente diverso dalla antica. È una commedia di ambiente, che rispecchia la vita della borghesia ateniese del proprio tempo. In essa ciascun personaggio ha una posizione famigliaree sociale ben definita.
50Il ridicolo non deriva più dalla buffoneria, ma da situazioni particolari, dal contrasto dei temperamenti ο sovente da malintesi.
51Le maschere dei singoli personaggi, quindi, non sono più ridicole, ma vogliono piuttosto esprimere, per quanto possibile, attraverso l’aspetto esterno, l’intimo temperamento di ciascuno di essi; temperamento che ne condizionerà i riflessie il comportamento. E ciò soprattutto ricorrendo ad una serie di convenzioni, che derivano almeno in parte da quell’interesse per la scienza della fisionomia che nel corso del iv secolo si era particolarmente sviluppato, nelle scuole filosofiche, per influenza delle scuole mediche,e in particolare di quella ippocratea, ma che era poi diventato di modae aveva trovato espressione empirica in quei brevi trattati pervenutici che sono le Physiognomonikai pseudo-aristo- pseudo-aristoteliche. È d’altronde espressione degli stessi interessi culturali l’operetta di Teofrasto, Caratteri morali, che delinea talvolta il profilo degli stessi personaggi, come l’ágroikos ο il kólax, che troviamo raffigurati nelle maschere.
52È evidente, attraverso la documentazione liparese, che non vi è stata una lentae graduale trasformazione dai tipi di maschere più antichi a quelli più recenti, ma che vi è stata invece una sostituzione, più ο meno improvvisa, del nuovo repertorio a quello antico. Vi deve essere stato quindi un fatto culturale che ha determinato, ad un certo momento, un vivacissimo risveglio dell’interesse delle masse per un teatro comico rinnovato.
53E questo fatto culturale non può essere che la scoperta di Menandro, avvenuta, come è noto, soprattutto dopo la sua morte, mentre, come tutte le fonti concordemente ci indicano, lui vivente, il pubblico ateniese gli aveva preferito altri commediografi, quali Filemonee Difilo, che avevano riportato negli agoni dionisiaci un molto maggior numero di vittorie. Essi probabilmente erano molto più ligi alla tradizionee a quelle convenzioni un po’scurrilie grossolane a cui il pubblico era abituatoe che lo facevano ridere.
54Invece il profondo rinnovamento che Menandro portava nel genere letterario della commedia, il sottilissimo gioco, estremamente raffinato, di sfumature psicologiche, faticava evidentemente ad essere compresoe a penetrare nel gusto delle masse, così come d’altronde anche il nuovo costume scenico che ne era il riflesso.
55Fu probabilmente la tragica morte di Menandro, avvenuta mentre prendeva un bagno al Pireo quando era appena cinquantenne, nel 292 ο nel 290 a. C., a scuotere l’opinione pubblica in suo favoree a far riconoscere la sua grandezza. Improvvisamente egli assurse alla più alta famae gli fu eretta nel teatro di Dioniso ad Atene una statua mar- morea, opera dei massimi scultori di quel tempo, Cefisodoto il giovanee Timarco, figli del grande Prassitele da poco scomparso.
56Quella statua di cui le mascherette-ritratto in terracotta, da noi ritrovate a Lipari in diversi esemplari, sono delle popolaresche riproduzioni.
57I rinvenimenti liparesi ci dimostrano anche che i movimenti culturali che si determinavano ad Atene non tardavano a propagarsie a raggiungere anche i più lontani centri della cultura greca.
58Nessuna fonte antica indica Menandro come il creatore del nuovo repertorio di maschere della commedia, ma una tradizione, ripetuta da parecchi scrittori di età romana, vuole che fosse la sua amica Glicera a plasmare le maschere per le sue commedie.
59In realtà i rilievi del Lateranoe di Princeton11 che si vorrebbero derivati dall’ex voto dedicato dallo stesso Menandro a seguito della vittoria conseguita con la Samίa, presentano il poeta in mezzo alle sue maschere, così come un altro rilievo presentava Euripide12.
60È stato d’altronde molte volte osservata la stretta corrispondenza delle maschere col carattere stesso della commedia di Menandro, nella fine ed attenta caratterizzazione psicologica dei personaggi.
61Nel campo della commedia il rinnovamento del repertorio delle mascheree del costume scenico può dunque essere messo in rapporto soprattutto con Menandroe con la sua affermazione tardiva ma di larghissima risonanza.
62Al nuovo stile si adeguano anche le maschere satiresche13, di cui Lipari ci presenta pochi, ma pregevolissimi esemplari.
63Gli scavi di Lipari ci dimostrano d’altronde che la stessa profonda trasformazione che abbiamo potuto osservare nelle maschere della commedia è avvenuta più ο meno contemporaneamente anche in quelle della tragedia14.
64Nei complessi della prima metà del iii secolo (fosse votive ο discariche), dell’età cioè della ceramica policroma liparese, i tipi ricol-legantisi alla tradizione di Sofoclee di Euripide, che abbiamo visto continuare attraverso tutto il iv secolo, sono ormai scomparsi.
65Subentra un repertorio del tutto diverso che è, anche in questo caso, quello che si rispecchia nel catalogo delle maschere tragiche dello stesso Pollucee che si perpetuerà attraverso tutta l’età ellenisticae l’età romana imperiale. Anche in questo caso, così come avevamo osservato nel campo delle maschere comiche, si ha l’impressione che il profondo rinnovamento sia un fatto improvvisoe non il frutto di una più ο meno lunga evoluzione.
66Ma mentre era possibile mettere in rapporto il nuovo stile delle maschere comiche con una forte personalità innovatrice quale è Menandro, è assai più difficile collegare quello delle maschere tragiche con un grande nome della tragediografia ellenistica.
67Mentre la documentazione offertaci dalle terracotte liparesi è amplissima per quanto riguarda la commedia nuova, essendo costituita da molte centinaia di pezzi, quella relativa alle maschere tragiche è enormemente più scarsae si riduce a pochi esemplari, quasi tutti rappresentati da piccoli frammenti, che ci permettono di renderci conto del profondo cambiamento avvenuto, ma non di ricostruire tipi completi, definibili in tutti i loro caratteri (figg. 98, 99, 101, 102).
68Si può dire che di maschere tragiche complete fino a pochi anni addietro non avevamo altro che quella splendida femminile del Museo Mandralisca di Cefalù, con altissimo ónkos 1515 (fig. 91), che si poteva attribuire a Lipari (e considerare quindi anteriore alla distruzione del 252/251 a. C.), sia per il fatto che gran parte dei pezzi della collezione Mandralisca vengono da Lipari, sia perché a Lipari stessa sono stati trovati frammenti, comprendenti parte delle chiome, di esemplari del tutto simili a quello di Cefalùe che dovevano essere, come questo, ad altissimo ónkos 16.16.
69Neppure i nuovi scavi degli anni’80 hanno sostanzialmente mutato la situazione, ma ci hanno offerto almeno una coppia di maschere tragiche, luna maschile, l’altra femminile (fig. 71), entrambe con corona conviviale, nel corredo di una tomba (2050) del secondo quarto del iii secolo17, nel quale si associano con una serie di vasi policromi del Pittore della Sphendone Bianca, uno degli allievie continuatori del Pittore di Lipari18.
70Lipari quindi ci offre la base archeologica per una datazione abbastanza precisa del momento in cui il cambiamento è avvenuto, ma per ricostruire il repertorio delle maschere tragiche che ora si diffonde, dovremo ricorrere alla più ampia documentazione che ci offrono altri centri del mondo ellenistico.
71Apparentemente la trasformazione che si manifesta nel repertorio delle maschere tragiche sembra procedere, rispetto a quella manifestatasi nelle maschere comiche, per vie del tutto diverse.
72In queste infatti era evidente una tendenza ad una molto più profonda umanizzazione rispetto all’età precedente, ad una maggiore fedeltà ai tipi della vita quotidiana, mettendone in evidenza, per quanto possibile, il temperamento, il carattere individuale, senza indulgere a intenti caricaturali ο buffoneschi (fig. 5).
73Solo le maschere degli schiavi (fig. 6 a,b) restavano in certo qual modo stilizzatee buffonesche, perpetuando alcune caratteristiche evidentemente derivate dalle convenzioni del tempo della commedia antica, ma anche in esse in realtà ciascun tipo presentava una sua caratterizzazione assai spiccata anche dal punto di vista psicologico.
74Potremmo dire che nelle maschere della tragedia si manifesta una tendenza opposta.
75Ci si distacca totalmente dalla naturalezza, dal verismo, procedendo verso la stilizzazione. Si affermano ora strane convenzioni intese a dare solenne tragicità alla figura. L’elemento più appariscente è il grande ónkos, e cioè quella capigliatura, del tutto innaturale, che sale altissima a semicerchio al di sopra del volto, della quale non avevamo nelle maschere dell’età precedente alcun accenno. Trovavamo tutt’al più una corona di capelli intorno alla fronte.
76Non vi è dubbio che la stessa profonda trasformazione avvenga anche per gli altri ele- menti del costume tragico, col quale la maschera deve essere stilisticamente coerente. Fra questi sono probabilmente gli alti coturni che aumentano la statura del personaggio, anche se dell’uso di essi abbiamo testimonianza solo alquanto più tardi.
77Ma in realtà, al di là di questa divergenza, intenzionale, di caratterizzazione, le due serie, quella tragicae quella comica, sono strettamente correlate fra di loro, seguono lo stesso ordinee obbediscono agli stessi criteri. Vorremmo dire che in molti casi trasportano dal comico al tragico ο viceversa gli stessi personaggi.
78L’analogia di struttura è troppo stretta per poter essere accidentale.
79Si ha quindi l’impressione che le due serie siano il risultatoe il prodotto di una iniziativa unitariae programmata, perseguente scopi ben precisie ben determinati.
80Iniziativa che può essere stata di un singolo individuo ο più probabilmente di un gruppo di individui perfettamente coordinati fra loro, ma che senza dubbio corrispondeva a esigenze profondamente sentite in quel momento nel mondo del teatro.
81E queste esigenze potevano essere di natura molto diversa. Potevano essere di natura artistica, rispondere cioè alla necessità di estendere anche agli altri aspetti dell’attività teatrale quel rinnovamento che, ad opera di Menandro, si era manifestato nel campo della commedia, uscendo, anche nel campo della tragedia, da quella routine (di cui il complesso delle terracotte liparesi ci dà una evidente testimonianza), che si trascinava praticamente da più di un secolo,e di codificare in certo qual modo, generalizzandolo, quello stesso rinnovamento che Menandro aveva portato nella commedia.
82Si poteva trattare cioè dell’esigenza di adattare il teatro anche nel campo del costume scenico (o più genericamente della scenografia) allo spirito dei tempi nuovi, al nuovo gusto del pubblico.
83Ma potevano essere anche esigenze di carattere pratico, organizzativo ed economico, delle compagnie teatrali,e soprattutto di quelle itineranti, il cui guardaroba risultava molto semplificato, potendosi limitare ad un numero fisso di maschere standard, sufficiente per mettere in scena qualsiasi testo teatrale, mentre precedentemente per ogni opera del cartellone occorreva avere tutte le maschere ad essa relative.
84Abbiamo visto infatti, attraverso la documentazione liparese, che ogni autore creava per ciascuna delle proprie opere le maschere ad essa pertinenti, così come ne scriveva il testo. Doveva esservi quindi nel campo delle maschere una enorme varietà,e probabilmente anche una notevole confusione.
85È vero che le compagnie teatrali avevano ricorso assai per tempo ad artifici che la nostra documentazione liparese ci rivela fin dai suoi inizi: la stessa maschera, cambiando i soli attributi, poteva essere usata per inter- pretare personaggi diversi. Quella dell’eroe giovane con un berretto frigio poteva rappresentare Ettore, con una leontea Herakles, con una corona conviviale Pelope ecc.
86Quella del giovanetto poteva servire per il Paride dell’Alexandros ο per Chrysippos.
87D’altronde, la standardizzazione ora introdotta non risolveva tutti i problemi. Il catalogo di Polluce infatti, al di fuori del repertorio delle maschere tragichee di quelle comiche, elenca una lunga serie di maschere individuali (énskeua prósopa) che non possono rientrare in essie che, egli ci informa, potevano in qualche caso essere usate per entrambi i generi.
88Non è quindi un caso che il cambiamento che constatiamo nello stilee nel repertorio delle maschere tragiche, satireschee comiche coincida con un periodo di profonda trasformazionee riorganizzazione di tutta l’attività teatrale nel mondo greco dopo la soppressione ad Atene dell’istituto della Coregia (avvenuta al tempo di Demetrio Falereo)e a seguito della dilatatae ormai panellica attività delle compagnie teatrali, che ora si organizzano in collegi ο comunità (synodoi ο koinoi) dei technitai di Dioniso19.
89La documentazione epigrafica relativa a questi synodoi inizia infatti nel mondo greco intorno al 280 a. C. È del 278 il decreto degli Anfizioni, Hieromnemonese Agoratroi di Delfi che concede ai technitai di Atene la inviolabilità personalee dei benie l’esenzione dalle tasse, sia in periodi di pace che in periodi di guerra,e l’esenzione dal servizio militare, riconoscendo così il carattere in certo qual modo sacrale della loro associazione.
90Non vi è dubbio che in età ellenistica non solo le novità letterarie, ma anche il repertorio classico, costituito dalle tragedie ormai famose, venisse rappresentato con i nuovi costumie con le nuove maschere.
91Lo dimostra la caratterizzazione di alcune di queste maschere standard come Herakles, come Edipo ο come Priamo, ο come altro personaggio delle antiche leggende, mediante un attributo che lo individua.
2. Il catalogo delle maschere teatrali nel-l’Onomastikon di Giulio Polluce
92Il catalogo delle maschere teatrali, a cui più volte ci siamo riferiti, è compreso nella voce relativa al teatro di una enciclopedia di età romana imperiale, l’Onomastikon, di Giulio Polluce20, grammatico e sofista, vissuto ad Atene all’età degli Antoninie cioè negli ultimi decenni del II secolo d. C. In realtà non ci è giunto di questa enciclopedia il testo quale era stato redatto da Polluce, ma un riassunto abbreviato di esso21. Anche il nostro catalogo pertanto è un riassunto di quello originale ed a ciò forse si deve se alcune indicazioni sono insufficienti, oscure ο anche talvolta erronee.
93Questo catalogo consta di tre parti, relative ciascuna ad uno dei tre generi letterari del teatro antico. Dà cioè una breve descrizione di ventotto maschere tragiche, poi di quattro maschere satireschee infine di quarantaquattro maschere comiche. In tutto settantasei tipi diversi.
94Sia per il genere tragico, sia per quello comico, le maschere vengono divise in diverse categorie: gérontes (vecchi), neanίskoi (gio- vani)vani), therápontes (schiavi), gynáikes (donne) e queste ultime sono divise in donne vecchiee donne giovani.
95I gérontes (salvo che per un personaggio della tragedia) sono sempre caratterizzati dalla barba, i neaniskoi invece sono sempre senza barba.
96In ciascuna categoria il catalogo segue un criterio pressoché costante, che è particolarmente evidente nelle maschere della commedia. Presenta prima i personaggi legati alla famiglia in ordine di età, dal più vecchio al più giovane,e seguono poi figure caratteristiche, avventurieri ecc.
97Agli stessi criteri si ispira, anche se forse meno rigidamente, il catalogo delle maschere tragiche.
98Molto si è discusso sulla fonte da cui Polluce avrebbe tratto questo catalogo22, sopratutto a proposito delle maschere della commedia. Si è pensato ad Aristofane di Bisanzio, il grande filologo alessandrino vissuto fra il 257e il 180 circa a. C., autore di studi sulla commediae in particolare su Menandro, ma anche ad Eratostene di Cirene, suo contem- poraneo, ο infine a Giuba II, re di Maure-tania, vissuto all’età di Augusto, autore di uno studio sulla commedia antica.
99È molto probabile che qualcuna di queste opere abbia costituito la fonte alla quale ha attinto Polluce, ma gli scavi di Lipari, restituendoci una gran massa di modellini di maschere teatrali relative alla commedia nuova, ci dimostrano con evidenza la stretta corrispondenza dei singoli tipi con quelli descritti da Polluce, anzi in qualche caso ci consentono di interpretare rettamente frasi del suo testo, che erano oscure ο di incerto significatoe anche di correggere qualche errore. E poiché a Lipari la produzione delle terracotte figurate, così come quella dei vasi dipinti, cessa bruscamente con la violenta distruzione del 252/251 a. C., è evidente che il catalogo sostanzialmente, più ο meno nella forma in cui ce lo ha trasmesso Polluce, esisteva già nella prima metà del iii secolo a. C., alla quale appartengono le terracotte da noi ritrovate.
100Non è probabile che, per il genere comico, esso sia dovuto allo stesso Menandro.
101E da supporre piuttosto che esso sia stato redatto subito dopo la morte di Menandro (292 ο 290 a. C.), nel momento della grande rivalutazione della sua operae dei grandi onori tributati alla sua memoria.
102È probabile che si siano sviluppati allora i primi studi critici intorno alla sua opera. Il catalogo può essere entrato poi a far parte delle opere dei grammatici alessandrini della generazione successiva, quali Aristofane di Bisanzio od Eratostene.
103Questo catalogo deve essere stato innanzi tutto una codificazione sistematica dei personaggi che compaiono nelle commedie di Menandro, molti dei quali sono facilmente identificabili.
104I mosaici di Dioscuride Samio del Museo di Napolie quelli della casa del Menandro di Mitilene ci permettono di riconoscere alcune delle maschere del catalogo nei personaggi delle commedie alle quali si riferiscono.
105È probabile peraltro che oltre alle maschere delle commedie di Menandro siano stati inclusi in questo elenco anche personaggi tratti dalle opere di altri commediografi suoi contemporanei come Filemonee Difilo, che avevano avuto, lui vivente maggior successo di Menandro stessoe il cui perdurante favore sarebbe attestato a Lipari stessa dalle loro maschere-ritratto, se veramente, come abbiamo supposto, fossero da riconoscere questi due commediografi nelle mascherette di personaggi sbarbati, uno dei quali, quello in cui vorremmo riconoscere Filemone23, rappresentato dai frammenti di almeno una quindicina di esemplari di dimensioni diverse. Ma non è da escludere neppure che la serie delle maschere,e il relativo catalogo, siano il frutto di una sistematica classificazione, basata bensì sull’opera di Menandroe degli altri scrittori della commedia nuova, ma selezionatae completata in modo da comprendere tutti i diversi contrastanti caratteri che potrebbero occorrere per qualsiasi commedia di ambiente. Il catalogo infatti, quale ci è pervenuto, non si presenta come quello di un solo commediografo, ma più generalmente come quello della commedia.
106L’identificazione dei singoli personaggi del catalogo delle maschere comiche di Polluce nella documentazione figurativa pervenutaci dall’antichità è stata più volte tentata in passato, ma con risultati molto limitati, perché ci si basava su un materiale estremamente eterogeneo, soprattutto dal punto di vista cronologico,e non di rado estraneo alla commedia nuova, oppure su figurazioni pittoriche ο musive spesso impressionistiche, in base alle quali molti degli elementi caratteristici dei singoli tipi rimanevano incerti.
107D’altronde, uno degli studiosi che avevano affrontato di proposito il problema, Carl Robert24, escludeva dal suo esame tutta la documentazione della Magna Greciae della Sicilia (che è di gran lunga la più ampia) nella convinzione che essa non rispecchiasse il teatro attico, ma un fantomatico teatro locale italiota ο siceliota diverso da esso, secondo un’ipotesi di stampo nazionalistico, che era diventata in certo qual modo un luogo comune.
108La amplissima documentazione cronologicamentee stilisticamente omogenea offertaci da Lipari, attraverso gli scavi degli ultimi decenni, ha largamente supplito a queste lacune ed incertezze.
109Essa consiste infatti di modelli di maschere che permettono un esame di tutti gli elementi caratterizzatori di ogni singolo personaggio, con la stessa precisionee ricchezza di dettagli di una maschera vera.
110Il numero dei pezzi, nei quali la gran maggioranza dei personaggi del catalogo è rappresentata (e molti di essi da molteplici esemplari, presentanti fra di loro anche delle varianti, ma corrispondenti alla sostanziale definizione del tipo) permette di istituire una larga serie di confrontie l’individuazione dei singoli tipi, anche per differenziazione fra di essi, ο in alcuni casi per esclusione.
111D’altronde, il confronto della serie liparese con altre serie della Sicilia, come quella di Centuripe, alquanto più recente di essa, ο della Magna Grecia, come quelle di Tarantoe di Pompei, ma anche della Grecia propriae della Grecia asiatica (Myrina) offre importanti conferme, dimostrando la larga diffusione, a distanza di luogoe di tempo, di tipi del tutto identici, che non erano dunque capricci di artigiani locali, ma corrispondevano a prototipi ben definitie generalizzati nella tradizione scenica dell’età ellenistica.
112È possibile in tal modo integrare anche parecchie delle lacune della serie liparese.
113Pubblicando alcuni anni addietro il complesso delle terracotte teatrali di Lipari, abbiamo largamente esteso i confronti per la parte relativa al genere comicoe abbiamo messo in rapporto i tipi individuati col testo di Polluce, criticamente esaminato anche sulla base della ricerca filologica ad esso relativa, riscontrando la perfetta corrispondenza.
114Non abbiamo creduto allora di poter estendere una simile ricerca alle maschere relative alla tragedia, per le quali Lipari ci offriva una documentazione del tutto insufficiente, anche se abbiamo allora cercato di classificare i pochi personaggi in essa identificabili.
115A questa ricerca ci accingiamo oggi, basandoci non certo sulla totalità del materiale notoe pubblicato, ma solo sulla documentazione, già abbastanza ampia, che nel frattempo abbiamo potuto raccogliere.
116Così come abbiamo fatto allora per le maschere della commedia, cercheremo innanzi tutto di tradurre il catalogo di Polluce, tenendo presente, per l’interpretazione di alcune sue espressioni che risulterebbero assai oscure da un punto di vista strettamente filologico, i suggerimenti che possono darci i monumenti figurati.
117Prenderemo poi in attento esame le singole maschere.
118Polluce Onomastikon, IV. 133-142
119άλλὰ μὴν καὶ πρόσωπα τὰ μὲν τραγικὰ εἴη ἂν τάδε, ξυρίας ἀνήρ, λευκός, σπαρτοπόλιος, μέλας ἀνήρ, ξανθòς άνήρ, ξανθότερος. οὗτοι μέν γέροντες,
120ό μὲν ξυρίας πρεσβύτατος τῶν γερόντων, λευκός τὴν κόμην προσκείμεναι τῷ ὅγκῳ αἱ τρίχες. ὄγκος δέ ἐστι τò ὑπὲρ τò πρόσωπον άνέχον εἰς ὓψος λαβδοειδὲς τῷ σχήματι. τò δέ γένειον ἐν χρῷ κουρίας, ὲπιμήκης ὢν τὰς παρειάς.
121ό δὲ λευκòς ἀνήρ πᾶς μέν ἐστι πολιός, βοστρύχους δ ἔχει περὶ τῇ κεφαλῇ καὶ γένειον πεπηγòς και προπετεῖς ὀφρ ῦς καὶ παράλευκον τò χρῶμα·ό δὲ όγκος βραχύς.
122ὅ γε μήν σπαρτοπόλιος δηλοῖ μέν τήν τών πολιών φύσιν, μέλας δ έστί καί ὓπωχρος.
123ὁ δέ μέλας ἀνὴρ, ἀπò μέν τής χροιᾶς τοὔνομα, ούλος δέ καὶ τό γένειον καί τήν κόμην, τραχύς δέ τό πρόσωπον, καί μέγας ό όγκος.
124ό δέ ξανθòς άνήρ ξανθούς έχει βοστρύχους καί όγκον ήττω, καί ἒστιν εὔχρως.
125ό δέ ξανθότερος τὰ μέν άλλα όμοιος, ὓπωχρος δέ μάλλον, κα δηλοί νοσούντα.
126τὰ δέ νεανίσκων πρόσωπα πάγχρηστος, ούλος, πάρουλος, απαλός, πιναρός, δεύτερος πιναρός, ωχρός, πάρωχρος.
127ό μέν πάγχρηστος πρεσβύτατος τών νεανίσκων, άγένειος, εύχρος, μελαινόμενος· δασείαι καί μέ-λαιναι αί τρίχες.
128ὁ ούλος ξανθòς ὑπέρογκος- αί τρίχες τω όγκω προσπεπήγασιν ὀφρῦς άνατέταται, βλοσυρòς τό εἶδος.
129Delle maschere, quelle tragiche sono: l’uomo rasato, quello canuto, quello dai capelli grigi, l’uomo nero, l’uomo biondo, l’uomo ancora più biondo; questi i vecchi:
1301) Lo xyrίas (il rasato) è il più anziano dei vecchi, con le chiome bianchee i capelli aderiscono al-l’ónkos. L’ónkos è quello che si innalza sopra la maschera verso l’alto, di forma simile ad una delta (maiuscola). Per quanto riguarda il mento, lo xyrìas è rasato alla cute, avendo le guance flosce (cadenti).
1312) Il lenkòs anér (l’uomo bianco) è completamente canuto, ma ha delle ciocche di capelli intorno al capoe la barba foltae le sopracciglia inclinate. Il colore è biancastroe l’ónkos breve.
1323) Lo spartopólios (quello coi capelli grigi) manifesta la natura di quelli che sono canuti, ma è nero (di capelli)e di colorito piuttosto pallido.
1334) Il mélas anér (l’uomo nero) prende il nome dal colorito. Ha la barbae le chiome ricciute, il volto trachys (duro, collerico, violento)e un grande ónkos.
1345) Lo xanthòs anér (l’uomo biondo) ha riccioli biondie Yónkos minore ed è di bel colorito.
1356) Lo xanthóteros (quello ancora più biondo) è simile per tutto il resto, ma è più pallidoe appare ammalato.
136Le maschere dei giovani: il perfetto (pànchrestos), il ricciuto, quello meno ricciuto, il delicato, il sordido, il secondo sordido, il pallido, quello alquanto pallido.
1377) Il pánchrestos (il perfetto) è il più anziano fra i giovani, senza barba, di bel colorito, abbronzato, ha i capelli foltie neri.
1388) Lo oúlos (il ricciuto) è biondo, con un ónkos molto grande, le chiome aderiscono all’ónkos. Aggrotta le sopracciglia, ha l’aspetto terribile (torvo).
139ό δὲ πάρουλος τάλλα ἐοικὼς τῷ πρò αὐτοῦ μᾶλλον νεανίζει.
140ὁ δ ἁπαλòς βοστρύχοις ξανθός, λευκόχρως, φαιδρός, πρέπων θεῷ ἢ καλ.
141ό δέ πιναρός ογκώδης, ύποπέλιδνος, κατηφής, δυσπινής, ξανθή κόμη ἐπικομῶν.
142ό δέ δεύτερος πιναρòς τοσούτῳ τοῦ προτέρον Ισχνότερος ὃσῳ και νεαρώτερος καί έπίκομος.
143ό δὲ ὠχρòς φρυγανός ἐστι ταίς σαρξί καὶ περί-κομος, ύπόξανθος, νοσώδης τήν χροιάν, οἱος είδώλω ή τραυματία πρέπειν.
144ό δέ πάρωχρος τα μὲν άλλα οίος ό πάγχρηστος ὠχριά δὲ ώς δηλούν νοσοῦντα ή έρώντα.
145τὰ μέντοι θεραπόντων πρόσωπα διφθερίας, σφη-νοπώγων, ἀνάσιμος.
146ό μέν διφθερίας όγκον ούκ έχων περίκρανον δ ἔχει καί τρίχας έκτενίσμενας λευκάς, πρόσωπον ὕπωχρον τε καί ύπόλευκον, καί μυκτήρα τραχύν, έπισκύνιον μετέωρον, οφθαλμούς σκυθρωπούς· ὕπωχροςδ1 ἐστὶ καί τò γένειον προπαλαίτερος.
147ό δὲ σφηνοπώγων ακμάζει, καί όγκον ὑψηλòν έχει καί πλατύν, κοιλαινόμενον έν τῇ περιΦορά-ξανθός, τραχύς, ερυθρός, πρέπων άγγέλω.
148ό δέ άνάσιμος ύπέρογκος ξανθός· έκ μέσου ἀνα-τέτανται αἱ τρίχες ἀγένειος ἐστιν, υπέρυθρος καί ούτος άγγέλλει.
149τά δέ γυναικών πρόσωπα πολιά κατάκομος, γράδιον ελεύθερον, γράδιον οἰκετικόν, μεσόκου-ρον, διφθερῖτις, κατάκομος ώχρά, μεσόκουρος ώχρά, μεσόκουρος πρόσφατος, κούριμος παρθένος, ἑτέρα κούριμος, κόρη.
1509) Il pároulos (quello meno ricciuto) per tutte le altre cose è simile al precedente, ma è più giovanile.
15110) L’apalós (il delicato) è biondo nei ricci, la carnagione bianca, ilare, bello come un dio.
15211) Il pinarós (il sordido, il sudicio). Ha Yónkos, è alquanto livido, alquanto triste, lurido con capelli biondi (con bionda chioma sul capo).
15312) Il secondo pinarós, è di tanto più esile del primo di quanto è più giovane ed è epίkomos (con chiome sull’alto capo?).
15413) Lo ōchrós (il pallido) è macilento nella carnagionee chiomato all’intorno, biondiccioe malato nell’aspetto, come conviene ad uno spettro ο a causa di trauma.
15514) Il párōchros (il meno pallido) è in tutto quale il pánchrestos, ma per il pallore si rivela come ammalato ο innamorato.
156Le maschere degli schiavi: diphterίas, sphenopó-gon, anásimos.
15715) Il diphterias (quello che porta una pelliccia) non ha ónkos, ha un berretto intorno al capo, i capelli lunghi bianchi, il volto pallido sbiancato, narici ruvide, la fronte alta, gli occhi arcigni; è piuttosto pallidoe ha la barba non curata da molto tempo.
15816) Lo sphenopógon (quello con la barba a cuneo) è nel fiore degli anni, ha un ónkos alto e piatto incavato nel contorno, è biondo, arrogante, rosso. Rappresenta un messaggero.
15917) L’anásimos (quello col naso rincagnato) ha un grandissimo ónkos, è biondo, i capelli si innalzano dal mezzo (cioè dalla fronte). È senza barba,e rossiccio. Anche questo è un messaggero.
160Le maschere delle donne: la canuta dalle grandi chiome, la vecchietta libera, la vecchietta domestica, la domestica con le chiome medie, la diphterίtis, la pallida dalle grandi chiome, la pallida con le chiome medie, quella con le chiome medie tagliate da poco, la vergine con i capelli tagliati, la seconda con i capelli tagliati, la ragazza.
161ή μὲν πολιὰ κατάκομος ὑπὲρ τὰς ἄλλας τήν τε ἡλικίαν και τὴν άξίωσιν, λευκόκομος, μετρία τον όγκον, ὓπωχρος· πάλαι δὲ παράχρωμος έκα-λεῖτο.
162τò δ ελεύθερον γράδιον ὑπόξανθον την πολιάν, μικρόν ὄγκον ἒχον μέχρι τῶν κλείδῶν αἱ τρίχες· ύποφαίνει συμφοράν.
163τò δὲ οἰκετικòν γράδιον περίκρανον ἐξ άρ-νακίδων άντί τού όγκου έχει, και ρυσόν ἐστι τὰς σάρκας.
164τό δὲ οἰκετικòν μεσόκουρον, βραχύς όγκος, χρόα λευκή, πάρωχρος, οὐ πάντα πολιόν.
165ή δὲ διΦθερῖτις νεωτέρα τε εκείνης καὶ όγκον οὐκ έχει.
166ή δέ κατάκομος ὠχρὰ μέλαινα την κόμην, βλέμμα λυπηρόν, τό δέ χρώμα ἐκ τοῦ ονόματος.
167ή δέ μεσόκουρος ὠχρα ὁμοία τῇ κατακόμω, πλην όσα έκ μέσου κέκαρται.
168ή δέ μεσόκουρος πρόσφατος την μέν κουρὰν έχει κατά τήν πρò αὐτῆς, οὐκέτι δέ τήν ώχρότετα.
169ή δέ κούριμος παρθένος άντί όγκου έχει τριχών κατεψηγμένων διάκρισιν, καὶ βραχέα έν κύκλιο περικέκαρται, ὕπωχρος δέ τήν χροιάν.
170ή δέ ἑτέρα κούριμος παρθένος τάλλα όμοία πλήν τής διακρίσεως καὶ τών κύκλῳ βοστρύχων, ώς έκ πολλού δυστυχούσα.
171ή δέ κόρη νεαρόν πρόσωπον, οία άν Δαναὶς γένοιτο ή άλλη παιδίσκη.
17218) La polià katákomos (la canuta dalla grande chioma) è al di sopra delle altre per etàe per dignità. Ha le chiome bianche, un ónkos medio. È piuttosto pallida. Una volta era chiamata paráchrō mos (senza colore, sbiadita).
17319) L’eléfteron graίdion (la vecchietta libera), è biondiccia nelle chiome canute, avendo un piccolo ónkos. Ha i capelli fino alle clavicolee mostra di aver subito una disgrazia.
17420) L’oiketikòn graίdion (la vecchietta domestica) ha un copricapo di pelle d’agnello invece dell’ónkos ed è rugosa nella carnagione.
17521) La oiketikòn mesókouron (la domestica con le chiome medie) ha un ónkos corto, la carnagione bianca, è alquanto pallidae non del tutto canuta.
17622) La difteritis (quella col copricapo di pelle) è più giovane di essae non ha ónkos.
17723) La katákomos ōchrá (la pallida con grandi chiome) ha le chiome nere, lo sguardo dolorosoe il colorito come il nome.
17824) La mesókouros ōchrá (la pallida con le chiome medie) è simile alla katákomos, ma ha le chiome tagliate a metà lunghezza.
17925) La mesókouros prósphatos (quella con le chiome tagliate da poco, di media lunghezza) ha la acconciatura come la precedente, ma non ha di essa il pallore.
18026) La koúrimos parthénos (la vergine con i capelli tagliati), invece dell’ónkos ha una discriminazione (diákrisis) dei capelli lisciati (?). Ha i capelli tagliati corti all’intorno, ha la carnagione piuttosto pallida.
18127) La seconda koúrimos parthénos è simile in tutto (alla precedente) fuorché per la discriminatura delle chiomee dei ricci all’intorno (in cerchio, come se fosse sfortunata da molto tempo).
18228) La kóre (la ragazza) ha un volto giovanile, come se fosse nata Danaidee per il resto è ragazzina.
3. La documentazione archeologica
183La documentazione archeologica pervenutaci per le maschere ellenistiche della tragedia è notevolmente ampiae investe classi molto diverse di documenti; appartenenti cioè alla coroplastica, alla scultura, alla pittura, al mosaico.
184Si scagliona su un tempo assai lungo, di almeno sei secoli, dal iii secolo a. C. al III d. C.
185Constateremo infatti come, sorprendentemente, i tipi creati agli inizi del iii secolo a. C.,e dei quali l' Onomastikon di Giulio Polluce ci conserva il catalogoe la descrizione, si siano perpetuati nell’uso fino all’avanzata età imperiale romana, senza sostanziali modifiche. E ciò probabilmente anche per il fatto che la maschera, uscendo dalla sua funzione teatrale, assume sempre più un significato25 simbolico nel complesso del culto dionisiaco, ma diventa soprattutto uno degli elementi decorativi più diffusie preferiti nelle diverse arti.
3. 1. La coroplastica
186Fra le classi di documenti pervenutici, relativi alle maschere ellenistiche della tragedia, la più antica è certamente la coroplastica.
187Troviamo infatti, fin dalla prima metà del iii secolo a. C.,e nel corso dei secoli successivi, modellini in terracotta delle maschere stesse ο statuette intere di attori recanti la maschera sul volto. Ed è la classe di documenti che riproduce con maggiore fedeltà i prototipie ci conserva talvolta di essi anche i più minuti dettagli.
188Molte sono le località del mondo antico in cui sono state rinvenute terracotte teatrali relative alla tragedia.
189Fra i centri che ne hanno dato il maggior numero (databili al ii-i secolo a. C.) è Myrina, ma se ne hanno anche da altre località della costa asiatica. Relativamente poche ne sono state trovate nella Grecia propria (Agorà di Atene, Tanagra).
190Molto più numerose quelle dalla Magna Grecia (soprattutto da Taranto) ο dalla Sicilia (Siracusa, scavi della ex Villa Maria, Centuripe, Morgantina ecc.).
191Lipari occupa nell’ambito di questa produzione una posizione particolarissima. La documentazione che essa ci offre è senza dubbio la più antica, perché tutta rientrante nella prima metà del iii secolo a. C., anteriore cioè alla distruzione del 252/251 a. C., che segna la fine di tutti gli artigianati locali.
192Ma per quanto riguarda la prima metà del iii secolo a. C., di fronte ad una enorme massa di terracotte relative alla commedia nuova (forse ormai quasi 400 pezzi), quelle relative alla tragedia sono pochissime. Non più di quattro maschere, intere ο quasi,e una dozzina di frammenti di volti maschili ο femminili, privi peraltro di quegli elementi che sarebbero necessari per una precisa identificazione dei tipi.
193Forse ciò è indizio di una molto minore popolarità della tragedia rispetto alla commedia, almeno nell’ambito locale.
194Un confronto fra questa produzione lipa-resee tutto il resto della documentazione che abbiamo raccolto, rivela peraltro sensibili differenze.
195Nonostante l’introduzione di elementi del tutto nuovie convenzionali come l’ónkos, gli esemplari liparesi appaiono generalmente più naturalistici, meno stilizzati degli altri. Sono in certo qual modo ancora vicini, nel rendimento dei volti, alle maschere tragiche della prima metà del iv secolo.
196È evidente che una stilizzazione verso forme sempre più convenzionalie innaturali, ma di maggior effetto scenico, deve aver proceduto rapidamente nel teatro della media età ellenistica.
3. 2. Le maschere teatrali quali elemento della decorazione architettonica
197In età ellenisticae proto-imperiale, le maschere tragiche, comichee satiresche entrano a far parte della decorazione architettonica. Le troviamo raffigurate in fregi marmorei di edifici, come quello di Pergamo, ora al Museo di Berlino, nel quale si conservano intere le maschere del mélas anér, della katá- komokomos poliá e della katákomos ōchrá (fig. 7), oltre a resti di una quarta non più identificabile.
198Invece nel fregio del portico di Afrodisia, già di età imperiale, le maschere sostengono ghirlande di fruttie fiori.
199In un altro fregio, di cui elementi sono murati in vari punti nelle strutture del Castello di Coo, maschere tragiche, comichee satiresche, di modellazione molto sommaria, sostengono un festone più teso.
200In rapporto alla funzione di decorazione architettonica, le maschere, soprattutto quelle tragiche ad alto ónkos, perdendo la loro plasticità, si trasformano in antefisse a semplice bassorilievo.
201Ricordiamo le maschere antefisse in terracotta di Centuripe, databili al II ο I secolo a. C., ma anche quelle marmoree di Pompeie di Ercolano, conservate nel Museo di Napoli, di ben più elevato valore artistico.
202Appunto come elemento di decorazione monumentale troviamo in età romana maschere di dimensioni colossali.
203Il più antico esempio di questa tendenza ci è offerto forse dalla grande maschera bronzea del Pireo, ora al Museo Nazionale di Atene (fig. 29), rinvenuta in uno strato di distruzione, forse connesso con le operazioni militari di Siila dell’86 a. C. Ma una maschera marmorea di grandi dimensioni, raffigurante Priamo, è stata rinvenuta negli Scavi di Tindarie si conserva nell’Antiquarium locale (fig. 21).
204Una coppia di maschere marmoree monumentali è stata rinvenuta a Sperlonga. Un’altra coppia (leukòs anér e mesòkouros pròsphatos) si conserva nel Museo Nazionale Romano (figg. 28, 104). Si può ricordare la bella antefissa del Museo di Arles (oúlos neanίskos).
3. 3.Le figurazioni pittoriche: scene teatrali
205Un’amplissima documentazione ci è offerta dalle pitture parietali delle case di Pompei, di Ercolano, ο delle ville della regione vesuviana (Boscoreale, Oplóntis), ma anche talvolta di Roma ο di altre località del mondo antico della prima età imperiale.
206In queste figurazioni pittoriche costituiscono una classe a sé, ed hanno per noi un’importanza di primo piano, quelle aventi per oggetto episodi di tragedie nella loro messa in scena teatrale.
207Infatti non tutte le figurazioni relative a argomenti trattati dalla tragedia, ο più genericamente dall’epos, che compaiono nella pittura di tipo pompeiano presentano i personaggi nella loro veste teatrale.
208Sovente sono composizioni autonome, indipendenti dal teatro, nelle quali i personaggi sono raffigurati naturalisticamente, senza maschere.
209Ma le pitture che ci presentano scene teatrali sono per noi di eccezionale interesse, perché le maschere sono in esse non un elemento singolo, a sé stante, ma appaiono nella loro reale funzione, quale parte essenziale del costume degli attori,e ci fanno intravedere qualche cosa dello stile della recitazione.
210D’altronde la possibilità di riconoscere queste scenee i personaggi di esse è già un primo elemento per l’identificazione di un certo numero di maschere. In altri casi sarà proprio il riconoscimento delle maschere che ci permetterà di meglio identificare i personaggi che compaiono in queste scenee di proporre una migliore interpretazione di esse.
211Riteniamo quindi utile soffermarci su alcune di queste scene, anticipando, in certo qual modo, quelle che saranno le conclusioni della nostra analisi tipologica successiva.
212Nel pannello murale da Pompei del Museo di Palermo sono due personaggi, nei quali possiamo riconoscere le maschere (fig. 8) del mélas anér, ad alto ónkos, e dello xanthòs anér, assai più giovane, con le chiome molto più naturalie con barba bionda.
213Il primo è un personaggio anziano, di elevata statura, corpulento, che l’incertezza dell’incederee il bastone tenuto obliquo dinanzi a sé fanno pensare che sia cieco. Sarebbe dunque Edipo.
214Possiamo quindi tentare di identificare l’episodio a cui questa pittura si riferisce.
215La Bieber26 pensava di poter riconoscere nel personaggio di destra un messaggeroe proponeva quindi l’episodio dell Oedipus di Seneca, in cui il messaggero, giunto da Corinto, annuncia ad Edipo la morte del suo padre adottivo. In realtà la maschera di questo personaggio non corrisponde affatto a quelle che Polluce ci descrive per i due messaggeri, lo sphenopògon e l’anàsimos, entram- bbi con alto ónkos. È invece identificabile con quella dello xanthòs anér.
216Si dovrebbe allora pensare piuttosto all’episodio dell’Edipo a Colono di Sofocle, in cui Polinice raggiunge il padre per chiedergli il suo perdonoe il suo appoggio nella guerra contro il fratello Eteocle, che regna su Tebe (versi 1324-1345). È forse proprio il momento in cui Polinice resta sgomento per l’implacabile silenzio del padre, che non risponde alle sue profferte (versi 1271e segg.). Edipo infatti gli volge sdegnosamente le spalle.
217Di interpretazione più difficile è un pannello, stilisticamente vicino al precedente, proveniente dalla casa dei Dioscuri di Pompei (fig. 9)e conservato nei depositi del Museo di Napoli. In esso è a destra una donna che sembra incedere alzando al braccio destroe tenendo sul sinistro un bambinetto in fasce. È una figura matriarcale, di donna matura, se non vecchia, con una maschera ad alto ónkos, che non è quella della katákomos óchrà, la giovane pablida dall’aspetto doloroso, dato dal convergere delle sopracciglia inclinate verso il centro della fronte; ma non è neppure quella della katákomos poliá, la vecchia canuta, perché le sue chiome sono nere. È invece una maschera caratterizzata dalle sopracciglia ad accento circonflesso che danno un’espressione dura, arrogante. Una maschera, cioè, che non rientra nel catalogo di Polluce, ma ricorre abbastanza frequentemente nelle figurazioni pittoriche della Campania.
218Dinanzi a lei è un altro personaggio stante, che sembra vivacemente rivolgersi a lei, protendendo la mano sinistrae che tiene nella destra una oinochoe.
219Nonostante la mediocre conservazione, si riconosce nella maschera il colore rosso del volto. Si tratta dunque di una figura maschile, senza barba, ma con alto ónkos. Elementi, tutti, che consentono di riconoscere in essa uno dei messaggeri, in particolare l’anásimos, di cui anche il naso rincagnato sembra abbastanza riconoscibile.
220Osserviamo che la oinochoe a corpo ovoidale con alto peduccio è di un tipo che non compare a Lipari prima del secondo quarto del iii secolo a. C.
221Un pannello della casa di Casca di Pompei ci presenta una scena della tragedia Herakles di Euripide (fig. 10).
222Vi si riconosce il vecchissimo Amphitryon, padre putativo di Herakles, che ci offre forse l’unica figurazione pervenutaci (insieme ai frammenti di Siracusa) della maschera dello xyrìas. Egli si appoggia al braccio di Mégara, caratterizzata da maschera ad alto ónkos, in cui le chiome cascano in boccoli paralleli, certo quella della katákomos ōchrá.
223A destra è Lykos, l’usurpatore del trono di Tebe, con una maschera dell’ónkos non molto alto, ma con chiomee barba bianchee sopraciglia inclinate, che è quello del leukòs anér.
224La stessa scena con l’aggiunto a sinistra di Herakles stante, derivante evidentemente dallo stesso prototipo, ritorna nel fregio di una delle sale della Casa del Centenario di Pompei, riprodotto in disegno nei MonIned 27.27. Ma in esse le maschere sono tutte falsate secondo la fantasia del pittore (o del disegnatore) moderno che le ha riprodottee non trovano riscontro in quelle del Catalogo di Polluce, a cui invece corrispondono perfettamente quelle della Casa di Casca.
225Sono quindi da considerare attendibili, quali fonti per la conoscenza delle maschere, anche le altre scene raffigurate nello stesso fregio.
226In un piccolo mosaico da Pompei al Museo di Napoli (fig. 11) sono rappresentati degli attori che stanno vestendosi per una rappresentazione di tragediae di dramma satiresco.
227A sinistra sono due attori, che già hanno il costume di satirie le maschere relative, che uno di essi non ha ancora calato sul viso. Dinanzi ad essi è un musicante con corona di fogliee frutti, che suona il doppio flauto. Dietro a questo, fra le due colonne, al centro della scena, un altro attore sta vestendosi. A destra un attore, aiutato da un giovane, sta indossando un costume satiresco, che fa pensare ad una nébride.
228Di maggior interesse per noi è il personaggio seduto in primo piano sulla destra della scena, che ha dinanzi a sé, su un basso sgabello, due maschere; luna satiresca, l’altra, dietro di essa, di giovane donna dall’espressione tristee con alto ónkos, la katákomos ōchrá. Un’altra maschera tragica, dello xanthòs anér, è posata su un alto basamento dietro di lui.
229In questo personaggio seduto, a torso nudo, con ampio panneggio ravvolto intorno alla parte inferiore del corpoe con sottile bastone, la Bieber28 identificava il Chorodidàskalos, il maestro del coro (oggi diremmo il regista)e si chiedeva se in esso non si dovesse riconoscere lo stesso Eschilo.
230Ma è evidente che questo personaggio ha sul volto una maschera, di cui si riconosce bene il margine nella visione di profilo, al di sopra del collo.
231È dunque anche questo un attore,e se la maschera appartiene alla tragedia, non può essere altro che quella del diphterìas. Con questa ben si accordano i tratti del volto, anche se, trattandosi di una scena di vestizione, egli non ha ancora posto sulla maschera il copricapo di pelliccia (diphterίs), da cui la maschera prende il nome.
3. 4. Le figurazioni pittoriche: maschere quali elementi decorativi delle architetture parietali (figg. 31, 64, 68, 77, 81, 85, 107)
232Nelle pitture parietali a fantasiose architetture, di secondo, di terzoe quarto stile, delle città campane (ma anche di molte altre località del mondo romano della stessa età), ricorrono sovente delle maschere come motivo decorativo.
233Sono talvolta maschere satiresche, altre volte maschere teatrali, relative alla tragedia o, meno frequentemente, alla commedia.
234Queste maschere sono rappresentate appese, ο innalzate su alti steli ο semplicemente posate, nel complesso gioco delle prospettive architetoniche.
235Qualche volta piccole maschere sono appese in un gioco di festonie di ghirlande dipinte che decora pareti di colore unito di corridoi ο ambulacri (per esempio nella Villa di Oplóntis).
236Il valore iconografico di queste masche-rette dipinte è molto vario.
237Talvolta esse sono rappresentate con grande fedeltàe con ricchezza di dettagli, altre volte in modo molto più sommario ο inaccurato.
238Fra le figurazioni di più elevato valore artistico sono senza dubbio quelle, vivacissimee interpretate con spiccato senso individuale, della Villa di Oplóntis ο quelle,espresse più classicamente, della villa di Boscoreale.
239Le maschere che compaiono in queste figurazioni architettoniche sono ovviamente le più scenografiche, le più imponenti,e quindi soprattutto quelle ad alto ο altisssimo ónkos. E quindi la appariscenza a determinare la scelta,e non la corrispondenza con i personaggi di una singola tragedia.
240Del tutto singolare invece è la figurazione che appare in una stanza della Casa del Grande Portale di Ercolano. Si ha qui, nella parte elevata della parete, un fregio costituito da una lunga serie di mascherette minuscole, ciascuna posata sulla corolla di un fiore sboc-ciante da un alto stelo su uno sfondo di drappeggi bianchi. Se ne conservano in posto sedici ο diciassette, ma non è da escludere che esse comprendessero originariamente l’intera serie del catalogo.
241Dato l’elevato numero di maschere raffigurate, questo fregio potrebbe esser per noi di grande interesse, perché potrebbe offrirci tipi che ricorrono raramente ο che ancora mancano nella documentazione che abbiamo raccolto (non è da escludere che vi si possa riconoscere l’oiketikón mesókouron). Ma purtroppo queste mascherette di piccole dimensioni, alte non più di cinque ο sei cm., sono disegnate in modo estremamente sommarioe impressionistico, con pochi tratti di pennello,e non di rado sono viste di scorcio. Per di più, parecchie di quelle pervenuteci sono in catti- vo stato di conservazione. Sicché, ciò che in realtà possiamo trarne dal punto di vista iconografico, è assai poco.
242Si può essere soddisfatti se già in qualche caso si riesce ad identificare il tipo, ma certamente non se ne riconoscono i dettagli.
3. 5. Le figurazioni pittoriche: pannelli decorativi con maschere (figg. 12, 46, 54, 73, 84-86, 93-95, 104-106)
243Talvolta la decorazione delle pareti delle case era costituita da pannelli con figurazioni di una ο più maschere, generalmente tragiche, molto più raramente comiche.
244Una serie notevole di simili pannelli, distaccati dalle pareti di case di Pompeie di Ercolano, si conserva nei depositi del Museo Nazionale di Napoli.
245Vediamo da essi che talvolta la decorazione di una sala doveva essere costituita da più pannelli, distribuiti sulle diverse pareti,e talvolta anche di dimensioni diverse, per adattarsi allo spazio disponibile. Sovente questi pannelli avevano una riquadratura all’intornoe nei cinque provenienti dalla Casa dei Cervi di Ercolano29 la riquadratura è fatta da ghirlande di fruttie fiori. In essi, le maschere su fondo azzurro chiaro sono sempre singolee posate su sgabellie gradini, simili a scalette.
246Due pannelli presentano maschere della commedia nuova: il páppos éteros e uno dei neanίskoi, mal definito. Delle maschere tragiche, una è la katákomos ōchrá, con occhi sbarratie con velo che ricopre l’alto ónkos, mentre da sotto la base esce un serpente. Un’altra è forse il pároulos, la terza è una mesókouros, piuttosto la prósphatos che la ōchrá.
247Un pannello da Pompei (inv. 9815) ci presenta su fondo azzurro chiaro due maschere ad altissimo ónkos, entrambe di personaggi anziani. Quella maschile ha le chiomee la barba bianche, come si converrebbe al leukòs anér, ma le sopracciglia non sono quelle fortemente inclinatee convergenti che caratterizzano questa maschera (fig. 12). Sono invece quelle ad accento circonflesso del mélas anér. È dunque una maschera ibrida che fonde i caratteri di due diversi personaggi del catalogo di Polluce. La maschera femminile è una katákomos che si differenzia anch’essa per l’aspetto duroe violento dalle due (poliá e ōchrá) catalogate da Polluce.
248Un altro pannello dei depositi del Museo di Napoli (inv. D 89843) ci presenta anch’esso due maschere, l’una femminile ad altissimo ónkos, su fondo azzurro chiaro, l’altra maschile, su fondo giallino.
249Nella figura femminile di sinistra, gli occhi sono molto danneggiati, ma si riconosce che le sopracciglia non sono quelle inclinatee convergenti della katákomos ōchrá, mentre le chiome non sono bianche come nella polià. Si tratta quindi anche questa volta di un tipo diverso, non corrispondente al catalogo di Polluce.
250La maschera maschile, dalle chiome, dalla barbae dai baffi lunghie disordinati non può essere altro che quella del diphterίas.
251Altri pannelli nello stesso deposito ci presentano maschere singole della katákomos ōchrá ο del pánchrestos. Altre volte più maschere sembrano posate, luna a fianco dell’altra, su un ripiano ο su una cornice allungata. In un pannello da Ercolano (inv. 9821) sono quattro, tutte appartenenti ad un unico personaggio, lo oúlos neaniskos, ο meglio a varianti di esso. Mentre i tratti della mascherae della capigliatura sono sempre identici, varia il colorito del volto che in due esemplari è di colore rosso, negli altri due alquanto più pallido. Due sono visti lievemente più da sinistra, due più da destra.
252Affiancate su un unico ripiano sono anche due maschere, rese con disegno a chiaro scuro, in un pannello proveniente dalla Casa dell’Atrio a mosaico di Ercolano.
253In quella di sinistra, femminile, possiamo riconoscere la diphterίtis, dalla espressione particolarmente accigliata.
254Pannelli con maschere appese a pesanti ghirlande di fruttie fiori erano in una casa romana di Soluntoe se ne conservano due nel Museo di Palermo, l’uno con maschera satiresca, l’altro con maschera femminile, che, se non è una menade, potrebbe essere la mesókouros prósphatos.
3. 6. Mosaici pavimentali (figg. 13, 14-17, 55)
255Un’altra serie di figurazioni, cronologicamente la più avanzata, ci è offerta dai mosaici pavimentali, nei quali le maschere ricorrono frequentemente entro riquadrature in bordure marginali.
256Sono in generale mosaici policromi, attribuibili al II o, più frequentemente, al iii secolo d. C., che ci dimostrano il perdurare immutato degli stessi tipi canonici di maschere, ben definiti, dello stesso repertorio, che si tramanda da secoli.
257Quando non si tratti di mosaici di particolare finezza, queste figurazioni, fatte con tasselli piuttosto grossi, sono quasi sempre molto approssimative, sicché non sempre è possibile riconoscere in esse con sicurezza i diversi personaggi.
258Troviamo maschere teatrali nei mosaici di Antiochia,e uno di essi, quello della Casa del Trionfo di Dioniso30 è particolarmente interessante, perché ci presenta questa volta, ben definite, le maschere della mesókouros ōchrá, dello xanthòs anér e dell’eléuteron graίdion (fig. 13). Altri presentano maschere non distinguibili nei loro elementi differenziatori.
259Il più importante fra i mosaici di questo genere, è quello venuto in luce a Chahba-Philippopolis, nella Siria meridionale31. Intorno ad una grandiosa figurazione di Orfeo, circondato dagli animali, corre sui quattro lati una bordura a meandro, comprendente venti riquadri, in ciascuno dei quali è una maschera teatrale. Due sole di queste, il therápon mésos e lo hegemón, appartengono alla commedia nuova ed una è satiresca. Le altre diciassette sono tragiche. Esse costituiscono dunque uno dei più completi repertori di maschere della tragedia che ci siano pervenuti. Anche in questo caso, la tecnica stessa dell’esecuzione, con tessere notevolmente grosse in rapporto alle piccole dimensioni dei riquadri, non consente di apprezzare i dettagli, ma comunque le maschere sono quasi tutte riconoscibili, con poche incertezze.
260Per localizzare le singole maschere nell’insieme del fregio, indicheremo con la lettera Ae con i numeri 1-6 le sei maschere della fascia superiore corrente sull’alto della figurazione centrale; con Β1-6 le sei della fascia in basso; con C1-4 le quattro maschere del lato sinistroe con DI-4 le quattro del lato destro.
261Si susseguono dunque:
262Nella fascia in alto (fig. 14):
263Al Figura di giovane donna con una gran massa di capelli neri che sembrerebbero bipartiti. È dunque la kóre. Non si capisce peraltro che cosa significhi l’oggetto che spunta obliquamente dietro la sua spalla. Forse uno strumento musicale?
264A2 Figura femminile con alto ónkos, con sopracciglia inclinate. Certamente la katákomos poliá.
265A3 Maschera di schiavo della commedia nuova. La testa calva permette di identificarlo col maison.
266A4 Giovane senza barba con altissimo ónkos, che sembrerebbe identificabile col pároulos. Ha infatti le sopracciglia ad arco di cerchio come la maschera fittile del Louvre Myr., 347.
267A5 Giovane donna con capelli di media altezza ed espressione calma. Dunque la mesókouros prósphatos.
268A6 Uomo con folta barba ricciuta, ma con chiome di media altezza circondate da corona. Non può essere il mélas anér che ha altissimo ónkos. È quindi piuttosto da identificare con lo xanthòs anér.
269Nella fascia in basso (fig. 15):
270B1 Giovane donna dall’aspetto vivace, con una agreste corona di foglie, identificabile con la diphterìtis.
271B2 Giovane donna con altissimo ónkos e con occhi grandemente aperti, identificabile con la katákomos ōchrá.
272B3 Uomo con barba (dunque uno dei gérontes) senza ónkos e con corona di foglie. Non può essere dunque altro che lo xanthóteros, di cui sembra evidente l’aspetto malaticcio.
273B4 Personaggio con alto ónkos, con capelli rossicci, con espressione arrogante. Non si riconosce chiaramente la barba, ma questa sembra presupposta dai grossi baffi spioventi. È dunque lo sphenopógon, che dovrebbe avere un pizzo a cuneo.
274B5 Giovane donna con chiome di media altezza ed espressione dolorosa, data dalle sopracciglia convergenti. Quindi la mesókouros ōchrá.
275B6 Uomo anziano con altissimo ónkos, dallo sguardo violento,e con folta barba grigia. È certamente lo spartopólios. L’impugnatura della spada è in rapporto col carattere guerresco diquesto personaggio, presentato anche dall’unica altra figurazione di esso pervenutaci.
276Nella fascia di sinistra (fig. 16):
277C1 Giovane dalla carnagione biancastra, che gli dà un aspetto alquanto femmineo. Circonda il capo una grossa corona di fruttie fiori. Si deve riconoscerlo come l’apàlos neanίskos.
278C2 Giovane con alto ónkos, col volto allungato, senza barba. È certamente l’anàsimos, di cui sembrerebbe intuibile il naso rincagnato. L’asta dietro di lui potrebbe indicare il caduceo, che conviene ad un messaggero.
279C3 Satiro dall’aspetto particolarmente ferinoe con corona di grosse foglie.
280C4 Giovane senza barba, con altissimo ónkos e con sguardo truce. Senza dubbio lo oùlos neanίskos.
281Nella fascia di destra (fig. 17):
282D1 Uomo di mezza età, senza barba, dai lineamenti stravoltie deformi. È certamente il pinarós. Un lembo del mantello ricopre la sua fronte.
283D2 La strana forma dell’ónkos che si innalza a guisa di torre permette di riconoscere il secondo pinarós che è detto ypéronkos.
284D3 Hegemòn therápon della commedia nuova, con sopracciglia asimmetriche.
285D4 Leukòs anér, con alto ónkos e sopracciglia convergenti.
286Osserviamo che in tutte queste maschere l’ónkos tende sempre ad una forma altae stretta. La barba è quasi sempre tagliata dal margine inferiore del riquadroe quindi talvolta è quasi irriconoscibile.
3. 7. Considerazioni conclusive
287La documentazione che ci è pervenuta si estende dunque attraverso un periodo molto lungo, dalla prima metà del iii secolo a. C., a cui appartengono le terracotte teatrali di Lipari, al iii secolo d. C., a cui scende il mosaico di Chahba-Philippopolis.
288Essa ci dimostra un sostanziale perdurare dei tipi, che mantengono inalterate le loro caratteristiche essenziali, quali erano state stabilite fin dal momento in cui questo repertorio di maschere tragiche è stato creato agli inizi del iii secolo a. C. e cui risale quella precisa descrizione di cui l’Onomastikon di Giulio Polluce ci conserva un riassunto.
289La corrispondenza della documentazione figurata con questo catalogo è innegabile. I tipi fissati fin dall’origine restano sempre riconoscibili nei loro caratteri essenziali, pur nella diversità che i singoli esemplari di ciascun tipo presentano fra di loro. Non si tratta infatti di semplici repliche. Ciascun esemplare, plasmato nell’argilla, scolpito nel marmo ο raffigurato in pittura ο in mosaico, è opera di un artista diverso, che ha un proprio stilee un proprio temperamentoe che adatta il modello alla diversa funzione, sovente puramente decorativa, a cui deve rispondere; oppure è un modesto artigiano che si limita a riprodurre, talvolta stancamente, motivi di repertorio.
290È evidente comunque che il teatro romano della prima età imperiale eredita una tradizione ormai plurisecolare, senza profondamente modificarla. Tutt’al più, continua in età romana quel processo di stilizzazione, inteso ad ottenere un maggior effetto scenico, che abbiamo visto iniziare fino dalla media età ellenistica.
291Soprattutto le maschere che ricorrono con maggiore frequenza sembrano rimanere sempre fedeli ai prototipi originari. Una certa maggiore libertà interpretativa la riscontreremo invece per alcuni personaggi meno comunie più pittoreschi, quali i due pinarói ο il diphterίas.
292Abbiamo peraltro osservato indi²zi del diffondersi di qualche variante che in qualche caso potrebbe dipendere unicamente dal capriccio di singoli artisti, ma che talvolta potrebbe rispecchiare consuetudini diffuse nel teatro stesso, per meglio adattare la maschera al carattere del personaggio per il quale essa è usata. Si vedono per esempio le diverse tonalità della carnagione nelle quat- tro maschere affiancate dello oúlos neanίskos. Ma qualche volta questa variante potrebbe attestare l’affermarsi nel corso del tempo di qualche tipo nuovo, non considerato nel catalogo di Polluce. Più evidente testimonianza di ciò avremo modo di rilevare nel dettagliato esame dei singoli personaggi.
293Ciò riguarda soprattutto la maschera della giovane donna con alto ónkos, che non sempre ha l’espressione dolorosa, data dal convergere delle sopracciglia verso l’alto, che caratterizza la katákomos ōchrá, ma che talvolta assume invece un’espressione dura ο arrogante, data dalle sopracciglia contratte, come abbiamo riscontrato per esempio nella figura di Medea.
294Vedremo qualche cosa di simile per la maschera del vecchio canuto, che si manifesta di regola nell’aspetto solenne del leukòs anér, ma che altre volte può assumere un aspetto molto meno convenzionalee più selvaggio.
Notes de bas de page
1 M. T. L. ; Medit. Arch. 1993.
2 M. L. V, passim-, M. L. VII, 42-47, tav. LI-LII; Medit. Arch. 1994, 85-86, pl. 6.
3 Rev. Archéol. 1985, 173 sqq. ; M. L. V, 130-132, Taw. LXXVI-LXXVIII; Medit. Arch., 1993, pl. 20,1.
4 M. L. V, 58-61, Taw. XXIX-XXX; Medit. Arch. 1993.
5 M. L. V, 55-58; Taw. G, H; Medit. Arch. 1993, pl. 21,
6 M. L. II, Tav. CLVI; Med. it. Arch. 1993, pl. 22,2.
7 M. L. II, 61 e 229, tav. 128, 3.
8 M. T. L., parte III, 117 sqq.
9 Cavalier 1976; Bernabò-Brea/Cavalier 1986. Cfr. Trendall 1967, 653 sqq. e Trendall 1983, 299 sqq. ·, Trendall 1989, 239 sqq.
10 M. T. L. Appendice I, 243-257; M. L. VII, 112-114, Taw. LXIX-LXXI; 126, Tav. LXXXV.
11 Bieber, figg. 316, 317 a p. 89.
12 Bieber, fig. 109 a p. 30.
13 M. T. L., 119-125, figg. 194-206.
14 M. T. L., 127-131, figg. 207-221, Tav. XX.
15 M. T. L., figg. 196-197 a p. 121.
16 M. T. L. . L., fig. 198 a p. 122.
17 Medit. Arch., 1993, pl. 30, 1-2.
18 Bernabò-Brea/Cavalier 1986, 67-74, figg. 66-79.
19 Ghiron Bistagne 1976.
20 C. Wendel, s. v. Iulius Pollux, in R. E., X, col. 773; V. De Falco, s. v. Polluce Giulio, in Enciclop. Italiana, XXVIII, 710.
21 Dalla epitome, redatta prima del IX secolo e posseduta al principio del X da Arethas, arcivescovo di Cesarea, derivano, attraverso quattro tradizioni msc. sensibilmente differenziate, i codici pervenutici. Le più antiche edizioni sono quelle di Venezia (Aldo), 1502; di Firenze (Giunti), 1520; di Basilea (curata da S. Crinaeus), 1536. Segue l’edizione di Francoforte, 1608, curata da W. Seber e quella splendida di Amsterdam, 1706, annotata da H. Lederlin (libri I-VII) e da T. Hemsterhusius (libri VII-X) e con gli apporti di studiosi precedenti (G. Jungermann, J. Kuhn, A. Schott). Le edizioni più recenti sono quelle di: I. Bekker, Berlino, 1846, e di E. Bethe, in Lexikographi Graeci, IX, Lipsia, 1900, nuova edizione 1931.
22 Cfr. M. T. L., 140-141.
23 M. L. VII, 114, tav. LXIX; cfr. M. T. L., 247-248; figg. 417-418.
24 Robert 1911.
25 M. T. L., 21-27 (Il significato delle terracotte teatrali).
26 Bieber, 230, fig. 772.
27 Monumenti Inediti publicati dall’Instituto di corrispondenza archeologica sotto la direzione dei Signori O. Gerhard e T. Panofka, XI. Roma, 1879-1885.
28 Bieber, fig. 36, a p. 12.
29 Bieber, figg. 760-764.
30 Levi, Mosaics, tav. XVI a.
31 Will 1953.
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
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1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
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1986