Fregellae, Arpinum, Aquinum: lana e fullonicae nel Lazio meridionale
p. 199-205
Résumés
I recenti scavi di Fregellae hanno mostrato che alla metà del II sec. a.C. molte abitazioni vennero trasformate in fulloniche. Dopo la distruzione della città, la produzione delle stoffe di lana sembra spostarsi ad Aquinum e ad Arpinum. In quest’ultimo centro, la famiglia di Cicerone sembra coinvolta nella manifattura della lana: ciò si può forse collegare anche con la possibile origine fregellana della madre di Cicerone, Helvia.
The recent excavations of Fregellae have shown that in the middle of the second century B.C. many habitations were transformed turned into fullers’workshops. Aller the destruction of the city, the manufacture of wool cloth seems to shift to Aquinum and Arpinum. In the latter centre, Cicero’s family seems to be involved in the production of wool: this can perhaps also be linked to the possible Fregellan origin of his mother, Helvia.
Texte intégral
11. Il tema che esporrò non è del tutto nuovo, e io stesso ne ho trattato, in modo più o meno corsivo, in altre occasioni (Coarelli 1991a; 1991b). Qui vorrei tuttavia riunire in modo più organico una serie di notazioni sparse che, così collegate, mi sembrano ricomporre un quadro sostanzialmente inedito di un settore economico particolare – la produzione di stoffe di lana –in una zona e per un periodo assai poco conosciuti, e cioè il Lazio meridionale tra la metà del II secolo a.C. e l’età giulio-claudia.
2Partiremo dai risultati di uno scavo: quello della colonia latina di Fregellae, iniziato nel 1978 e tuttora in corso. Argomento già trattato più volte in altra sede, ciò che consentirà di limitarsi qui ad alcune notazioni sintetiche1.
3L’esplorazione di un quartiere di case ad atrio, prossime al Foro della città, e per questo-oltre che per le intrinseche caratteristiche architettoniche e decorative-appartenute certamente all’aristocrazia locale, ha rivelato le tracce evidenti di una radicale destrutturazione, consistente nella riconversione di queste lussuose dimore in una serie di fulloniche. Si tratta tra l’altro di interventi verificatisi in un periodo piuttosto ristretto, che si può fissare con sicurezza nei decenni centrali del II secolo a.C., di poco precedente alla distruzione definitiva della città, sopravvenuta, come è noto, nel 125 a.C.2.
4Le campagne di scavo più recenti, che si sono concentrate sulla zona pubblica (sostanzialmente nel Foro e nel Comizio) hanno ulteriormente confermato la portata del fenomeno, che sembra coinvolgere l’intero patrimonio edilizio della città, dal momento che anche gli edifici comunitari appaiono investiti da un processo di radicale ristrutturazione, comprendente tra l’altro la demolizione di parte del Comizio e probabilmente il parziale smantellamento dei Saepta forensi.
5Non è qui il caso di approfondire significato e portata di un tale sconvolgimento, il cui interesse per la storia socio-economica e politica dell’Italia centrale nei decenni immediatamente anteriori alla crisi graccana sarebbe difficile sopravvalutare. Ci è parso, in ogni caso, di riconoscere una chiara relazione tra il fenomeno rivelato dallo scavo e la notizia liviana relativa alle quattromila famiglie sannite e peligne emigrate a Fregellae negli anni immediatamente anteriori al 177 a.C. (Liv. 41, 8, 6-12): cronologia e dimensioni dell’episodio-un vero e proprio terremoto etnico, che dovette risolversi in pratica in una amplissima sostituzione della popolazione originaria della colonia latina-coincidono in modo troppo perfetto con i risultati degli scavi per poter essere casuali (Coarelli 1991a).
6Qui interessa soprattutto sottolineare il carattere di vera e propria “città di produzione” assunto da Fregellae in quegli anni, e non soltanto nell’ambito della manifattura laniera, ma probabilmente anche nella lavorazione dei metalli: l’abbondanza di scorie di fusione del ferro, riscontrata un po’ ovunque nella città, sembra confermare la tesi di un vecchio libro di Colasanti, che riconosceva in essa il principale centro di lavorazione del minerale proveniente dai vicini Monti della Meta (Colasanti 1928). È probabile che tali prodotti fossero commercializzati solo in minima parte sul posto; il resto doveva essere esportato utilizzando la via d’acqua del Liri e l’emporio alle foci del fiume stesso, sviluppatosi anch’esso nei decenni successivi alla seconda guerra punica accanto alla piccola colonia romana di Minturnae (Minturnae 1989).
7La preponderanza economica di Fregellae nell’area del medio Liri è confermata da Strabone (che qui dipende probabilmente da Posidonio)3 e non si interruppe immediatamente al momento della distruzione della città. Vale la pena di citare in proposito questo testo prezioso: «Poi c’è Fregellae, presso cui scorre il Liri, che si getta nel mare a Minturnae: ora è solo un villaggio, ma un tempo era una città importante, che teneva sotto il proprio potere la maggior parte delle località vicine che abbiamo nominato, i cui abitanti ancora oggi convengono là per fare mercati e per alcune cerimonie sacre; ribellatasi, fu distrutta dai Romani». L’accenno a «cerimonie sacre» in relazione con il mercato locale va probabilmente collegato con una notizia di Ossequente (Obseq., 52), che menziona l’esistenza di un tempio di Nettuno a Fregellae ancora per il 93 a.C.: non si tratta certo della testimonianza di una possibile continuità di vita della città anche dopo il 125, come pure si è pensato (Colasanti 1906, 172), ma piuttosto del ricordo di un santuario emporico, probabilmente collegato al porto sul Liri e al vicino mercato.
82. La distruzione di Fregellae non interruppe dunque del tutto le attività economiche monopolizzate in origine dalla città: la persistenza di un mercato almeno fino ai primi decenni del I secolo a.C. sembra infatti confermata dalle testimonianze or ora citate. Per quanto riguarda invece l’aspetto produttivo, interruzione ci fu certamente, come ha dimostrato lo scavo. Ora, da vari indizi sembra di poter dcdurre che tali attività vennero ereditate da centri confinanti con Fregellae, che ne assorbirono in parte il territorio: in particolare, da Arpino e da Aquino. Specialmente nell’ambito della produzione lanaria, infatti, l’area del medio Liri ha conservato, attraverso il medioevo fin nell’età moderna, una vocazione produttiva particolare, più volte indagata, che si fonda su condizioni geografiche ed ecologiche particolarmente favorevoli (Dewerpe 1981).
9Di grande interesse è il caso di Arpino, caso privilegiato tra tutti sul piano della documentazione letteraria, per motivi evidenti. Proprio partendo dall’origo di Cicerone ci è possibile di ricostruire con sufficiente sicurezza un esempio di storia economica familiare, le cui ricadute politiche e culturali assumeranno in questo caso dimensioni del tutto eccezionali.
10Plutarco, nel paragrafo introduttivo della sua vita di Cicerone4, riassume brevemente le notizie a lui note sulla famiglia dell’oratore: «Dicono che la madre di Cicerone, Helvia, fosse di famiglia e di costumi nobili; per quanto riguarda il padre, si tramandano notizie difficilmente conciliabili. Alcuni lo affermano nato e cresciuto in una bottega di lanaio; altri fanno risalire l’origine della sua gente a Tullio Attio, famoso re dei Volsci, che combatté valorosamente contro i Romani».
11La notizia relativa alle attività “fulloniche” del padre di Cicerone non ha trovato molto favore tra gli autori moderni, per motivi facilmente comprensibili. Anche studiosi non certo condizionati da tabù accademici, come Wiseman, hanno sottovalutato l’informazione, considerandola alla stregua di un esempio di aggressività verbale avvocatesca, del tutto privo di riscontri reali (Wiseman 1971, 84, 86-87).
12Ora, esistono fortunatamente dati sufficienti, e non solo letterari, che sembrano confermare la notizia: che va intesa, ovviamente, non alla lettera, riconoscendo in M. Tullio Cicerone padre non un volgare fullone, ma semmai un proprietario di fulloniche.
13L’origine della notizia plutarchea va probabilmente riconosciuta in un discorso, pronunciato da Q. Fufio Caleno durante una riunione del senato del 435: una difesa di ufficio di Antonio, in risposta alle Filippiche di Cicerone. Ora, Fufio Caleno (nella redazione del suo discorso trasmessaci da Cassio Dione) ricorda anch’egli polemicamente le fulloniche familiari del padre di Cicerone, insistendo sui particolari infamanti della professione: «Infatti, in quale altro modo immaginate che si sia arricchito, come è divenuto potente? Certo, non è suo padre, il lanaiolo, sempre occupato nel coltivare la vite e l’ulivo, che gli ha trasmesso nobiltà e fortuna, lui che poteva già considerarsi felice di provvedere al solo nutrimento con questi mezzi e con il lavaggio dei tessuti, impegnato sempre, giorno e notte, in operazioni sordide...».
14Quello che l’oratore viene accentuando, in queste righe e nelle seguenti, è dunque il carattere sordido della professione, attribuita al padre del suo avversario, e confrontata con le nobili origini di Antonio. Ma è difficile credere che si trattasse di una mera invenzione: qui Cassio Dione risale a una fonte, probabilmente annalistica, alla quale poté attingere anche Plutarco (Livio?), cui a sua volta dovette essere accessibile l’originale del discorso di Fufio Caleno, certamente di tenore non sostanzialmente diverso da quello trasmessoci. La stessa relativa moderazione dell’accusa (Cicerone ad esempio era capace di ben altri exploits!) è un indizio favorevole alla verosimiglianza di essa: un’invenzione di sana pianta ben difficilmente avrebbe potuto esser presa sul serio da parte di senatori, molti dei quali erano certamente ben informati sui fatti privati di Cicerone: e comunque sarebbe stata troppo facilmente contestabile.
15Ora, Fufio Caleno doveva conoscere molto bene l’ambiente arpinate, come pure doveva conoscerlo lo stesso Antonio (cio che vale, in senso inverso, anche per Cicerone: si pensi soltanto alla descrizione delle gozzoviglie perpetrate nella villa casinate di Varrone dal suo nuovo proprietario, Antonio: è probabile che l’Arpinate disponesse di informatori locali) (Cic., Phil., 2, 103).
16Non solo Fufio Caleno era probabilmente originario di Cales6, città lungo la via Latina, prossima ai confini meridionali del Lazio, ma soprattutto era figlio di un amico della famiglia di Cicerone7. Le notizie di cui disponeva erano dunque di prima mano, ed è probabile che egli in gioventù avesse frequentato con suo padre la villa natale di Cicerone: ciò che ne farebbe un testimone diretto dell’attività fullonica che in essa si svolgeva, da lui descritta in seguito a tinte fosche nell’orazione del 43.
17Tutto ciò sembrerebbe di per sé sufficiente a confermare la notizia plutarchea. In ogni caso, documenti di fonte del tutto autonoma permettono ulteriori verifiche, a mio avviso decisive.
18Il primo e il più importante di questi è un’iscrizione di Arpino (CIL, X, 5678) nota da tempo, ma che solo di recente è stata sottoposta a verifiche puntuali8:
«[---]rium sacrum / [---]tri Mercurio Lan(ario) / Cilix Tulli L(uci) s(ervus) / Teipa Preciae s(ervus) / Philotimus per(ficiendum) cur(averunt)».
19Si tratta di una dedica, certamente di età repubblicana, a pater Mercurius Lanarius, oppure dovuta a magistri di un collegium di Mercurius Lanarius9, di cui fanno parte schiavi di un L. Tullius e di un Precia, oltre a un Philotimus.
20È stato già notato da tempo che il primo dovrebbe identificarsi con un parente di Cicerone (il cugino, o piuttosto lo zio)10, mentre i nomi di Precia e di Philolimus tornano, collegati tra loro, nella corrispondenza di Cicerone: già nel 54 a.C. questi nomina un Precianus iurisconsultus (Cic., ad fam., 7, 8, 2. Cfr. Carcopino 1947, 169-171), mentre nel 50 si riferisce più volte a una Preciana hereditas (Cic., ad Att., 6, 9, 2; 7, 1,9; ad fam., 14, 5, 2), insidiata per l’appunto da Philotimus, intendente di Terenzia: evidentemente Precia, il cui rapporto di amicizia con l’oratore è ripetutamente sottolineato, era venuto a morte in quell’anno.
21La presenza. in un’iscrizione arpinate tardo-repubblicana, di questi nomi collegati tra loro, unita al fatto che Precia è un cognomen rarissimo, praticamente un apax, difficilmente può essere casuale. Servi e liberti di queste persone, certamente appartenenti alla cerchia di Cicerone, sono membri di un collegium di Mercurius Lanarius, nel quale è inevitabile riconoscere una corporazione di fabbricanti e/o mercanti di tessuti: altre fonti ricordano Mercurio come protettore delle attività fulloniche11.
22Sarebbe difficile immaginare una migliore conferma dell’implicazione della famiglia di Cicerone in tali attività. Che queste poi fossero rilevanti ad Arpino fin da età repubblicana piuttosto antica risulta anche da un’altra iscrizione (databile intorno al 100 a.C.) dove sono menzionate fullonicae in rapporto topografico con le mura della città, allora in restaura (CIL, X, 5682).
23La particolare vocazione industriale del territorio del medio Liri (e in particolare dell’area compresa tra Sora e Arpino) si prolunga fin quasi ai giorni nostri (Cfr. Dewerpe 1981). Particolarmente importante, per quanto qui interessa, è un documento della prima metà del XIII secolo, relativo all’attività dei monaci cistercensi di S. Domenico (Cassoni 1910), un convento al margine settentrionale del territorio di Arpino: questi dovevano consegnare ogni anno, come regalia alla Santa Sede, «centum brachia panni in Pascha et in Nativitate».
24La chiesa sorge precisamente alla confluenza del Fibreno nel Liri: nel punto esatto, cioè, dove sorgeva la villa natale di Cicerone, costruita dal nonno di questi, e abbellita dal padre12. Le caratteristiche di questa località, con la presenza di acque particolarmente pure, quelle del Fibreno, e la possibilità di commercializzare il prodotto utilizzando la via d’acqua del Liri, per non parlare della presenza nella zona di fora pecuaria (CIL, X, 5074: Atina; 5850: Ferentinum), collegati con vie di transumanza, dovettero determinare la vocazione produttiva della zona, che possiamo seguire quasi senza soluzione di continuità dall’antichità fino all’inizio del ’90013.
253. Un’altra testimonianza letteraria, questa di età augustea, ci rivela l’esistenza di un’importante produzione laniera anche nella vicina Aquino. Orazio14 ricorda infatti le imitazioni di stoffe di porpora aquinati, evidentemente abbastanza conosciute da diventare proverbiali. Un’iscrizione proveniente da Aquino menziona un negotiator purpurarius di Piacenza (Cagiano de Azevedo 1949, 78; Virno Bugno 1971, 691-694), la cui attività doveva consistere principalmente nell’esportazione delle stoffe locali in altre zone d’Italia, e forse in primo luogo nella valle del Po. Le caratteristiche dell’epigrafe permettono di attribuirla agli anni finali della repubblica o all’inizio dell’età augustea15: siamo dunque in presenza di una testimonianza contemporanea a quella di Orazio, se non più antica.
26La situazione geografica di Aquino si presta anch’essa – per la posizione lungo vie di transumanza e l’abbondanza di acque correnti – all’industria laniera (Cagiano de Azevedo 1949, 28-29, 46). La vicinanza del Liri facilitava anche in questo caso la commercializzazione dei prodotti locali fino a mercati piuttosto lontani (che comprendevano probabilmente anche Roma e zone ancora più lontane, come abbiamo visto). Ora, l’esistenza di un portus Aquinatis sul Liri (da identificare con tutta probabilità con l’odierna Pontecorvo) è assicurata da un’altra iscrizione, oggi perduta16.
27Dall’analisi finora condotta, sembra polersi dedurre che due città confinanti con Fregellae, come Arpino e Aquino (tra l’altro principali beneficiarie, dopo il 125 a.C., dello smembramento del territorio della prima) appaiono come dirette eredi della colonia latina anche per quanto riguarda la persistenza di una particolare vocazione manifatturiera nel campo della produzione di stoffe. Aquino in particolare ci appare, in età augustea, come il principale centro urbano della zona, sia in base alla testimonianza di Strabone (Strabo, 5, 3, 9), sia in base alle stesse, imponenti dimensioni dell’abitato, sostanzialmente analoghe a quelle di Fregellae17. Di quest’ultima essa deve considerarsi la vera erede, soprattutto a partire dagli ultimi decenni della repubblica.
28È possibile quindi che il portus Aquinatis finisse per sostituirsi a quello di Fregellae, la cui attività, come abbiamo visto, sembra sopravvivere per alcuni decenni alla stessa distruzione della città. Un calendario nundinale di età alto-imperiale (Degrassi 1961, 300 sq.; Coarelli 1991a, nota 25) potrebbe appartenere a questo mercato, che si accentra in un vicus forse corrispondente all’odierna Pontecorvo, nel quale ci è parso di poter identificare il portus Aquinatis. Non è forse senza importanza il fatto che Pontecorvo, dal medioevo fin quasi ai nostri giorni, abbia detenuto il ruolo di principale mercato in quest’area del Lazio meridionale (su Pontecorvo, Bergamaschi 1860).
294. Che queste situazioni produttive e commerciali siano da collegare con quelle attribuibili, in una fase precedente, a Fregellae trova forse conferma in alcuni altri indizi.
30Ancora una volta, dobbiamo partire da una testimonianza letteraria, un passo di Giovenale18, di cui sono ben noti i rapporti con Aquino.
31Nei versi finali della terza satira un amico del poeta si propone di andarlo a trovare ad Aquino, «ad Helvinam Cererem vestramque Dianam». Che si tratti di una zona agreste risulta dal fatto che l’ospite deve recarvisi caligatus in agros gelidos.
32A questa proprietà va riferita certamente l’iscrizione, scoperta nell’800 e poi perduta, in cui appare una dedica a Cerere dello stesso Giovenale (CIL, X, 5382. Coarelli 1991b, 186-191). Il luogo di trovamento, presso la cappella di S. Pietro a Campea, si trova all’estremità nord-occidentale del territorio di Aquino (Cagiano de Azevedo 1949, 60-61; Colasanti 1906, 204 sqq.): un’area certamente appartenuta in origine al territorio di Fregellae (Colasanti 1906, 195 sqq.). Qui si possono ancora oggi osservare i resti di una basis villae in opera poligonale, attribuibile al pieno II secolo a.C.
33L’epiteto di Helvina che il poeta attribuisce a Cerere non può spiegarsi altrimenti che attraverso un gentilizio: si dovrebbe trattare di conseguenza di un culto della gens Helvia (Coarelli 1991b, 186-191), la cui appartenenza a Fregellae è dimostrata da altre iscrizioni, tra cui principale quella, proveniente da Fabrateria Nova, col nome di un Elvius Fregellanus (sic) (CIL, X, 5585).
34Il nome, che appare particolarmente diffuso nel territorio peligno, potrebbe appartenere a una gens di questa origine (emigrata forse a Fregellae insieme a quelle quattromila famiglie sannite e peligne, ricordate da Livio per il 177 a.C. [Liv., 41, 8, 6-12]), successivamente entrata nell’aristocrazia della colonia. La villa, in seguito proprietà di Giovenale, dovette appartenere a un ramo di questa gens, probabilmente già prima della distruzione della città.
35E importante sottolineare, a questo proposito, che la madre di Cicerone era una Helvia19, di possibile origine fregellana: è questo forse il tramite per cui pervenne al fratello dell’oratore, Quinto, la proprietà di una villa, l’Arcanum, situata presso Arce20, l’antica Arx Fregellana21 (di qui il nome): in una zona, cioè, appartenuta al territorio di Fregellae, e passata ad Arpino dopo il 125 a.C. (Colasanti 1906, 195 sqq.). Si deve sottolineare, tra l’altro, che la località è assai prossima a quella della villa di Giovenale, anch’essa proprietà originaria di un ramo della gens Helvia, come si è visto.
365. La buona conoscenza che abbiamo dei fatti di Arpino ci permette così di intuire l’esistenza di politiche matrimoniali tra aristocrazie locali ormai inscrite nella cittadinanza romana e aristocrazie di colonie latine, da tempo infiltrate da elementi italici. Il caso degli Helvii è particolarmente rilevante, perché coinvolge almeno un’altra importante gens arpinate, i Visellii, destinata anch’essa a una notevole ascesa, che si concluse con l’accesso al senato e alle magistrature romane di un rampollo della famiglia, il cugino di Cicerone C. Visellius Varro (RE, IX, A, 1 (1961), cc. 355-358 [Gundel]).
37Il matrimonio delle due sorelle Helviae con il padre dell’oratore e con C. Visellius Aculeo (RE, IX, A, 1 (1961), cc. 354-355 [Gundel]) dovette avvenire negli stessi anni, poiché C. Visellius Varro è più o meno coetaneo di Cicerone, essendo nato intorno al 104: cioè nel periodo culminante della carriera di Mario, quando all’aristocrazia arpinate si aprirono insperate possibilità di promozione sociale e politica (Nicolet 1967). Il caso dell’altra gens allora emergente, i Gratidii, è sufficientemente noto (RE, VII, 2 (1912), cc. 1840-1841 [Münzer]; Nicolet 1967). Ma il quadro puo essere ampliato fino ad includere membri rilevanti della più antica aristocrazia romana: sappiamo ad esempio degli stretti rapporti tra gli Antonii (in particolare il grande oratore M. Antonius, console nel 99) e Mario (Wiseman 1971, 31, 37). Non ci stupiremo quindi che M. Antonius Creticus, il padre del triumviro (cui era legato politicamente, come sappiamo, Fufio Caleno) avesse sposato una Numitoria di Fregellae (Cic., Phil., 3, 17), figlia del noto Q. Numitorius Pullus, a cui si attribuiva il tradimento che aveva permesso di conquistare la città nel 125 a.C.22. In questo caso, le nozze dovettero avvenire intorno al 115 a.C., pochi anni prima, cioè, di quelle delle due Helviae con M. Tullius Cicero padre e con C. Visellius Aculeo.
38Sembra evidente che, anche nel caso di queste ultime, si doveva trattare di famiglie che avevano superato senza danno la crisi conclusasi con la distruzione di Fregellae, conservando intatto il loro patrimonio e la possibilità di contrarre fruttuosi matrimoni con le gentes emergenti di vicini municipi romani. In altri termini, una parte notevoie dell’aristocrazia fregellana dovette dissociarsi per tempo dalla rivolta che provocò la perdita della città: rivolta che dovette essere organizzata soprattutto da gruppi sociali subalterni, la cui presenza dominante nella città sembra documentata dai risultati degli scavi in corso.
39In ogni caso – e con questo il cerchio si chiude – non è improbabile che tra i beni portati in dote da Helvia a M. Tullio Cicerone padre fossero comprese anche aziende di produzione laniera, il centro principale delle quali era stato a Fregellae e che, a seguito della scomparsa della città, sembrano progressivamente trasferirsi ad Arpino e (forse più tardi) ad Aquino.
Bibliographie
Referenze bibliografiche
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Notes de bas de page
1 Oltre a Coarelli 1991a; Coarelli 1991b, si veda per ora Coarelli 1981; Fregellae 2; De Albentiis 1989.
2 Su queste case, si veda De Albentiis 1990, 104-106, 138-141.
3 Strab. 5, 3, 10. Coarelli 1988, 40. La trad. è quella di A.M. Biraschi, Milano, 1989.
4 Plut., Cic., 1,1-2: Κικέρωνoς δὲ τὴν μὲν μητέρα λέγουσιν Ἑλβίαν καὶ γεγονέναι καλῶς καὶ βεβιωκέναι, περὶ δὲ τοῦ πατρòς οὐδὲν ἦν πυθέσθαι μέτριον. Oἱ μὲν γὰρ ἐν γναφείῳ τινὶ καὶ γενέσθαι καὶ τραφῆναι τòν ἄνδρα λέγουσιν, οἱ δ’ εἰς Τύλλιον Ἄττιον ἀνάγουσι τὴν ἀρχὴν τοῦ γένους, βασιλεύσαντα λαμπρῶς ἐν Οὐολούσκοις καὶ πολεμήσαντα Ῥωμαίοις οὐκ ἀδυνάτως; cfr. Suet., p. 80, 5 Reffersch. RE, VIII 1, Helvius 19, cc. 229-230.
5 Cass. Dio, 46, 1, 1-28, 6: ἐπεὶ πóθεν ἄλλoθεν πεπλoυτηκέναι αὐτòν οἴεσθε, πóθεν μέγαν γεγονέναι; οὐ γάρ που καὶ ὁ πατὴρ αὐτῷ ὁ κναφεύς, ὁ τάς τε σταφυλὰς καὶ τὰς ἐλαίας ἀεί ποτε ἐργολάβῶν, ἢ γένος ἢ πλοῦτον κατέλιπεν, ἄνθρωπος ἀγαπητῶς ἔκ τε τούτων καὶ ἐκ τῶν πλυνῶν διατρεφόμενος, καὶ καθ’ ἑκάστην ἡμέραν καὶ νύκτα τῶν αἰσχίστων ἀναπιμπλάμενος. ἐν οἷς αὐτòς τραφεὶς οὐκ ἀπεικότως τοὺς κρείσσονας αὐτοῦ καὶ πατεῖ καὶ πλύνει, λοιδορίαις τισὶν ἐξ ἐργαστηρίων καὶ τριόδων ἐπιτετηδευμέναις χρώμενος.
6 RE, VII, 1 (1910), Fufius, 9, c. 204 (Münzer): l’opinione (a torto rifiutata da Münzer) è di Haak.
7 Cic., Phil., 8, 13: «pater tuus quidem, quo utebar sane auctore adulescens, homo severus et prudens...». Su Q. Fufius Calenus pater, cfr. RE cit. a nota prec.
8 Fortini/Béranger 1978, 152-153. La lettura qui proposta deriva da autopsia (1991).
9 Integrazione in art. cit. alla nota prec.: [magis]tri...
10 L. Tullius: RE, VII A, 1 (1939), Tullius, 25, cc. 822-823 (zio); 26, cc. 823-824 (cugino) (Münzer). Cfr. Schmidt 1900, 19, 39 sq.
11 Arnob., Nat., 3, 20: «Illud vero quod sequitur quale est, quod deos nobis inducitis alios fabros, alios medicos, alios lanarios...»; Tert., de pallio, 3, 5: «Denique cum ipsis Mercurium autumant forte palpati arietis millitie delectatum glubasse oviculam, dumque pertentat quod facilitas materiae suadebat, tractu prosequente filum eliquasse et in restis pristinae modum, quam phylirae taeniis iunxerat, texuisse. Sed vos omnem lanitii dispensationem structuramque telarum Minervae maluistis, cum penes Arachnen diligentior officina».
12 Cic., de leg. 2, 1-6. Sulla villa, Schmidt 1899, 9-23.
13 Mariani 1898, VI, nota 1: «Anche ora, presso la chiesa di S. Domenico (antica villa dei Tullii) vi sono le gualchiere».
14 Hor., ep., L, 10, 26 sqq.: «Non qui Sidonio contendere callidus ostro / nescit Aquinatem potantia vellera fucum / certius accipiet damnum propiusve medullis / quam qui non poterit vero distinguere falsum». Pseudacr., ad loc.: «Aquinates purpurae similes sunt Tyriis; multo ergo imperiti falluntur». Virno Bugno 1971.
15 Troviamo quom per cum; plurumi; maxume.
16 CIL, X, 5175. Aquino è collegata da una strada antica al vicus che corrisponde all’attuale Pontecorvo: Cagiano de Azevedo 1949, 52, 60.
17 Giuliani 1964, 41-49: circa 85 ha. (Fregellae: Colasanti 1906, 81: 80 ha.).
18 Iuven., Sat.. 3, 318 sqq.: «... ergo vale nostri memor et quoties te / Roma tuo refici properantem reddet Aquino / me quoque ad Helvinam Cererem vestramque Dianam / converte a Cumis: satirarum ego, ni pudet illas, / adiutor gelidos veniam caligatus in agros»; Schol., ad loc.: «reddet Aquino: inde enim fuit Iuvenalis, de Aquino civitate Campaniae».
19 Cfr. n. 4. È curioso che Cicerone non ricordi mai sua madre. Il solo a menzionarla è Quinto, ad fam., 16, 26.
20 Sull’Arcanum, cfr. RE, II, I (1896), cc. 428-429 (Hülsen).
21 Arx Fregellana: Liv., 9, 28, 3. Identificazione con Arce: Säflund 1934, 69-74: Coarelli 1981, 19-22.
22 Cic., de inv., 2, 105; de fin., 5, 62. Non è forse un caso che le uniche notizie sul personaggio si trovino in Cicerone, che sembra assai ben informato sui fatti di Fregellae.
Auteur
Université de Pérouse
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