Pompei dalla città sannitica alla colonia sillana: le vicende istituzionali
p. 111-123
Résumés
Le recenti monografie di Jongman e di Mouritsen hanno apportato ulteriori elementi per riaprire la discussione in merito alle vicende istituzionali di Pompei nella fase di passaggio dalla città sannitica alla colonia, e in merito ai limiti entro cui si può parlare di un’eclissi della vecchia classe dirigente osca, che sarebbe durata qualche decennio. Un rinnovato esame della documentazione – soprattutto l’analisi statistica dei programmata antiquissima nonché la rilettura del luogo famoso della pro Sulla sui dissensi fra vecchi Pompeiani e coloni – consente di formulare talune ipotesi circa i modi attraverso i quali si sarebbe pervenuti all’integrazione dei due nuclei di popolazione: un’integrazione che avrebbe previsto, per lo meno in una prima fase, una loro ripartizione ineguale tra i distretti elettorali, oltre che il presumibile confinamento dei vecchi Pompeiani nel centro urbano. Il fatto che l’incremento della popolazione a seguito della deduzione coloniaria non solo sia stato assorbito in modo non traumatico, ma abbia anzi apparentemente accentuato la prosperità della città, è un ulteriore forte argomento per escludere la generale interpretazione dell’economia pompeiana come quella tipica di una “consumer-city”, fornita recentemente da Jongman.
The recent monographs by Jongman and Mouritsen have introduced further elements for re-opening the discussion on the institutional events of Pompeii in the transitional phase from the Samnite city to the colony, and on the limits within which one can speak of an eclipse of the old Oscan ruling class, which would have lasted several decades. A renewed examination of the documentation-chiefly the statistical analysis of the programmata antiquissima as well as the rereading of the famous passage of the Pro Sulla on the dissent between old Pompeians and colonists-permits formulating some hypotheses about the ways through which these two nuclei would have been integrated. An integration that would have foreseen, at least in the first phase, their unequal division among the electoral districts, as well as the probable confinement of the old Pompeians to the urban centre. The fact that the increase in population following the colonial foundation not only was absorbed in a non-traumatic way, but indeed may have apparently accentuated the prosperity of the city, is a further strong argument for excluding the general interpretation of the Pompeian economy as that typical of a “consumer-city”, recently put forward by Jongman.
Texte intégral
1«Dove sono i veterani di Silla?». Il titolo di un saggio ben noto di Jean Andreau (Andreau 1980) sottolinea l’apparente contraddizione che è parso di dover rilevare, nel passaggio dalla Pompei sannitica alla colonia sillana, tra gli elementi di continuità (sul piano economico ed etnico-sociale) deducibili dalla documentazione pompeiana e gli elementi di frattura, ipotizzabili a priori in base a una considerazione del caso pompeiano nel quadro più generale delle modalità, e degli effetti, della colonizzazione sillana nelle comunità verso le quali si diresse. La soluzione dell’aporia che prospetta l’Andreau tende, per un verso, ad attenuare, se non a vanificare, la significatività di alcune delle presunte “prove” di una sostanziale continuità, quelle che era sembrato di potere cogliere nella documentazione offerta dalle ville rustiche, utilizzata per mostrare che, se anche erano cambiati, con la colonizzazione, gli assetti proprietari, non era tuttavia cambiata la struttura complessiva della proprietà fondiaria, né erano cambiati i modi dello sfruttamento, che sarebbe rimasto quello delle colture specializzate per il mercato all’interno di aziende agrarie di medie dimensioni1. Per un altro verso, Andreau fa proprie le conclusioni delle indagini onomastiche e prosopografiche di Castrén; e sottolinea, perciò, i limiti entro cui si può davvero parlare di un’effettiva continuità della classe dirigente pompeiana: se è vero che importanti famiglie della Pompei precoloniale riguadagnano terreno, lo riguadagnano solo dopo alcuni decenni dall’impianto della colonia, tanto che non sembra escludibile l’ipotesi che appunto questi primi decenni abbiano visto una temporanea limitazione degli stessi diritti politici ai soli coloni (Castrén 1975, spec. 54 sq., 85 sqq.; cfr. pure Castrén 1979,45 sqq.; Castrén 1983, 91 sqq.). Le due recenti monografie del Mouritsen e del Jongman, importanti non meno per le metodologie adottate che per i risultati conseguiti, hanno tuttavia portato elementi nuovi per studiare la composizione della classe dirigente pompeiana e del suo evolversi nel tempo, anche in base a una spinta utilizzazione statistica del materiale epigrafico pompeiano (Mouritsen 1988; Jongman 1988): e la prima delle due, in particolare, ha offerto una ricostruzione del momento di passaggio dalla Pompei sannitica alla colonia, che rimette in discussione la tesi di un’eclissi dell’elemento pompeiano quale riflesso di una perdita, sia pure solo temporanea, dei diritti politici2. Nella nostra esposizione intendiamo, dunque, riesaminare il complesso della documentazione relativa a questa fase di passaggio alla ricerca di ulteriori indizi che valgano a precisarne i contorni su vari piani: uno è quello della definizione istituzionale della comunità, prima e soprattutto dopo 1’80; l’altro, ovviamente al primo connesso, è quello del senso, e dei limiti, della modificazione nella effettiva gestione del potere da parte dei due gruppi della popolazione; il terzo è quello dell’impatto che la colonizzazione sillana ha potuto avere, oltre che con le confische e le assegnazioni, con lo stesso incremento della popolazione che ne è dovuto derivare, sugli assetti economicosociali della comunità nel suo complesso.
2La recente ricostruzione che, con molta cautela, il Mouritsen ha prospettato delle vicende istituzionali di Pompei dalla Guerra Sociale alla prima fase della storia della colonia si basa su una puntuale comparazione tra la testimonianza offerta dalle iscrizioni lapidarie e quella offerta dai programmata antiquissima: per le une e per gli altri si tenta una più precisa collocazione cronologica; e l’una e l’atra serie viene interpretata alla luce del luogo ciceroniano della pro Sulla che allude, com’è ben noto, ai dissensi tra i vecchi Pompeiani e i coloni scoppiati già parecchio tempo prima del 62, data dell’orazione, e prima del 62 risolti da un intervento, ben accetto a entrambi i gruppi, dei patroni, tra cui P. Sulla, deduttore della colonia (Cic., pro Sulla, 60-62 fil passo è riportato infra, a nota 23]; Mouritsen 1988, 70 sqq.). Riassumendo, il Mouritsen ritiene non escludibile o anzi probabile che, prima dell’istituzione della colonia, Pompei, ricevuta la cittadinanza romana, abbia avuto una costituzione quattuorvirale, della quale resterebbe traccia nei pochissimi programmata in lingua osca che indicano, come magistratura alla quale ci si candida, appunto il quattuorvirato3. Escluso è che in questa fase di passaggio Pompei sia stata governata da interreges, come al Castrén sembrava di dover supporre in base alla testimonianza di altri programmata4. Il municipium, tuttavia, sarebbe stato soppiantato dalla colonia o all’atto stesso della deduzione o appena breve tempo dopo5. Magistrati della colonia sarebbero stati le due coppie di duoviri: e non andrebbe attribuita importanza alle oscillazioni o variazioni nel tempo della denominazione degli edili: duoviri nude dicti, duoviri v.a.s.p.p., aediles v.a.s.p.p., aediles6. Non ci sarebbe stata la questura nella Pompei romana7: la pretesa sua esistenza non si può dire suggerita da quei pochi fra i programmata antiquissima nei quali la magistratura alla quale si è candidati è presentata attraverso la sigla q: questi programmata si riferirebbero, invece, a candidature alla quinquennalità8. Quanto all’iscrizione di Vibius Popidius Epidi f. q.9, essa va attribuita a un kvaísstur della fase sannitica: la costruzione della porticus di cui essa è l’epigrafe dedicatoria sarebbe iniziata prima della Guerra sociale, ma completata dopo la presa della città: e i Popidii, che rimanevano famiglia importante nella Pompei romana, come testimoniano i programmata antiquissima per un C. Popidius10, l’avrebbero posta avendo cura di tradurre in latino la denominazione dell’originaria magistratura osca. Infine, il quattuorvirato che compare in due tituli ascrivibili alla primissima fase della colonia11 sarebbe da intendersi come denominazione complessiva delle due coppie dei duoviri quando queste agiscono insieme, secondo la spiegazione mommseniana12.
3Il quadro di Mouritsen è coerente e tenta di pervenire a una soluzione, pur sempre congetturale, che accordi tutti i dati, apparente mente contraddittori, circa le occorrenze dei vari termini indicativi delle magistrature nel materiale documentario in nostro possesso13. Non credo che si possa andare molto al di là, salvo notare come un elemento del quadro fornito da Mouritsen parrebbe suggerire come parimenti o forse più plausibile un’ipotesi alternativa di ricostruzione. Ariesaminare il complesso dei programmata antiquissima a confronto di quello dei programmata recentiora si osservano alcune differenze singolari, nella distribuzione numerica delle scritte relative alle varie candidature: differenze che non sembrano potersi spiegare con la differente ampiezza del campione. Nel caso dei programmata recentiora, il numero delle scritte relative a candidature a una magistratura non identificabile è nettamente minoritario nel complesso delle scritte (281 su 2575); fra quelle relative a candidature identificabili con certezza, il numero delle scritte per candidati all’edilità è nettamente maggioritario, ammontando a poco più dei due terzi (1275 su 1849). La situazione è apparentemente rovesciata nel caso dei programmata antiquissima: anzitutto, le scritte senza indicazione della magistratura alla quale si è candidati sono pari a poco meno della metà (52 su 121); in secondo luogo, fra le scritte relative a candidature identificabili, quelle per l’edilità, lungi dall’essere nettamente maggioritarie, sono la metà di quelle per il duovirato (rispettivamente 22 e 44). La stessa diversa distribuzione riguarda il numero dei candidati: nel caso dei programmata recentiora, i candidati all’edilità identificabili sono più del doppio rispetto ai candidati al duovirato (rispettivamente 68 e 32); nel caso dei programmata antiquissima, viceversa, sono meno della metà (rispettivamente 10 e 24).
4Che più candidati e più scritte riguardino le elezioni all’edilità è quanto ci dobbiamo aspettare, se è vero che le elezioni al duovirato implicavano una scelta tra un numero inferiore di candidati tutti ex-edili e se le elezioni all’edilità erano il primo gradino per accedere alla magistratura e dunque all’ordo14: la propaganda elettorale doveva essere più insistente e meglio organizzata. La medesima conclusione, peraltro, sembrerebbe emergere dal confronto fra il rapporto di concentrazione nella distribuzione delle scritte fra i vari candidati all’edilità e il rapporto di concentrazione nella distribuzione delle scritte fra i vari candidati al duovirato15. Questo rapporto risulta essere più elevato nel caso delle scritte relative all’edilità, rispetto a quello delle scritte relative al duovirato: 0.693 rispetto a 0.594 (il valore sarebbe 0 nel caso della perfetta equidistribuzione, 1 nel caso dell’assoluta concentrazione: tutte le scritte, cioè, concentrate su un solo candidato). Detto altrimenti: la distribuzione delle scritte è assai più sperequata fra i vari candidati all’edilità di quanto non sia fra i vari candidati al duovirato: e questo parrebbe suggerire, appunto, ancora una volta, che le elezioni all’edilità dovevano comportare un maggiore impegno nella propaganda, essere meglio e più organizzate.
5Perché questo numero proporzionalmente maggiore di candidati all’edilità e di scritte relative non si riscontra nel caso dei programmata antiquissima? Perché fra i programmata antiquissima quelli per una candidatura indeterminata sono proporzionalmente così numerosi? Alla prima domanda verrebbe fatto, naturalmente, di rispondere tenendo presente la circostanza che la denominazione degli edili non si è, nella prima fase della storia della colonia, ancora stabilizzata: duoviri nude dicti sono, nei tituli più antichi, i due magistrati verosimilmente corrispondenti a quelli che saranno definiti più tardi duoviri v.a.s.p.p. o edili16. Si potrebbe, pertanto, ritenere che buona parte dei programmata antiquissima relativi a candidature al duovirato si riferiscano, in realtà, a candidature all’edilità. E tuttavia, due considerazioni parrebbero militare contro questa soluzione, apparentemente la più semplice. La prima è che i programmata antiquissima, pur tanto meno numerosi, presentano per i due casi dell’edilità e del duovirato distribuzioni delle scritte che non hanno una forma differente rispetto a quelle per edilità e duovirato dei programmata recentiora: è parimenti attestata, pur all’interno di una concentrazione che è per tutti i programmata antiquissima minore rispetto a quella dei programmata recentiora (cio che potrà dipendere, oltre che dal fatto che il campione è, nel suo complesso, assai più piccolo, anche dal fatto che le campagne elettorali dovevano essere organizzate con assai minore impegno), una notevole differenza nel rapporto di concentrazione tra scritte per l’edilità e scritte per il duovirato, ancor una volta più elevato nel primo caso rispetto al secondo (0.436 rispetto a 0.346) (si vd. la tabella a p. 115). Ora, se tra i candidati al duovirato vi fossero candidati a quella che è in realtà l’edilità, una tale differenza fra i due rapporti di concentrazione non dovrebbe emergere o per lo meno non dovrebbe emergere con pari evidenza. La seconda considerazione è che, anche ammettendo l’ipotesi secondo la quale un buon numero delle scritte apparentemente relative al duovirato sono in realtà relative all’edilità, non risulterebbe spiegato il motivo per il quale, fra i programmata antiquissima, un numero proporzionalmente così elevato sia costituito da scritte che non specificano la magistrature per la quale si è candidati.
6Una soluzione alternativa, che potrebbe peraltro rendere ragione così delle oscillazioni nella terminologia magistratuale come, più in particolare, dell’insorgenza di un termine quale quello di quattuorviri a designare i magistrati della colonia nelle prime fasi della sua storia, è che, originariamente, il collegio magistratuale della colonia, pur potendo prevedere al suo interno una specializzazione dei compiti, sia stato costituito da quattuorviri: non vi sarebbero State, in altri termini, due coppie magistratuali distinte da eleggere, ma quattro magistrati attraverso un’unica elezione17. Certo, è sintomatico che i programmata in osco siano, per l’appunto, riferibili a candidature a un indistinto quattuorvirato. È possibile che i programmata in osco siano riferibili ai pochi anni che vanno dalla presa della città alla fondazione della colonia (Letta, in Campanile/Letta 1979, 74); ma non può nemmeno essere escluso che, come tenderebbe a sostenere Mouritsen, siano viceversa coevi rispetto a quelli latini (Mouritsen 1988, 85 sq.; ma cfr. supra, nota 5): in questo caso si potrebbe ritenere che si riferiscano alla medesima campagna elettorale e dunque alla campagna per l’elezione alle magistrature della colonia18. Se è così, si potrà ritenere che una costituzione autenticamente duovirale non sia immediatamente succeduta a quella quattuorvirale nell’atto stesso della fondazione della colonia19. È possibile che il quattuorvirato pompeiano recasse, per esempio nella suddivisione dei compiti fra i quattuorviri, una qualche traccia della precedente organizzazione magistratuale della città sannitica20: in ogni caso è da pensare che, come in generale l’organizzazione delle comunità della penisola secondo un modello unitario non deve essere stata attuata di colpo e dappertutto21, così in particolare nel caso di Pompei vi siano stati processi di riaggiustamento che possono avere richiesto del tempo22. Che tuttavia il passaggio a due collegi, distinti anche nel momento dell’elezione, debba essere stato rapido parrebbe mostrarlo il fatto stesso che i programmata antiquissima vanno datati, nel loro complesso, come ha sostenuto Mouritsen con convincenti argomentazioni, a un periodo non troppo lungo e immediatamente successivo alla fondazione della colonia.
7Proprio quest’ultima conclusione di Mouritsen circa il limitato lasso di tempo al quale vanno riferiti i programmata antiquissima, per giunta coevo con le primissime fasi della storia della colonia, costituisce il più valido argomento per escludere la tesi secondo la quale la fondazione della colonia avrebbe implicato l’esclusione del vecchio elemento pompeiano dalla gestione della comunità. I programmata antiquissima, più delle iscrizioni lapidarie di magistrati, presentano nomi riferibili molto plausibilmente a questo elemento non coloniario della popolazione, anche se, come sembra di potere concludere, tali nomi sono minoritari rispetto a quelli riferibili all’elemento coloniario (Mouritsen 1988, 87 sq., con nota 350 a p. 202; e già Gehrke 1983, 481 sqq., nota 55). Peraltro, alcuni dei tituli mostrano collegi costituiti esclusivamente da esponenti di famiglie verosimilmente di coloni. Ai vecchi Pompeiani, vale a dire, non viene negato l’accesso alle magistrature, ma tuttavia questo accesso sembra essere, per loro, più difficile: come a dire che la limitazione dei diritti politici passivi è realizzata di fatto, senza che sia sancita di diritto. È a questa stessa conclusione che invita, peraltro, il luogo celebre e dibattuto della pro Sulla circa i rapporti tra vecchi Pompeiani e coloni nella prima fase della storia della comunità23.
8P. Cornelio Silla, parente (presumibilmente nipote) del dittatore, era stato accusato di essere coinvolto nella congiura di Catilina. A difenderlo fu lo stesso Cicerone, il quale utilizzò, nel suo discorso, per volgerlo a favore di Silla, un argomento che era stato fatto valere dai suoi accusatori: che Silla, essendo, in quanto deductor della colonia di Pompei, patrono della comunità, si era avvalso di questa sua posizione, per fomentare la discordia tra i vecchi Pompeiani e i nuovi coloni, in modo da impadronirsi dell’oppidum e coinvolgere i vecchi Pompeiani nel movimento catilinario. Cicerone osserva che quest’accusa specifica non ha alcun fondamento: il dissenso tra Pompeiani e coloni era stato portato innanzi all’arbitrato dei patroni dopo molto tempo che era scoppiato; in secondo luogo, era stato risolto dai patroni in concordia fra di loro e senza che Silla si dissociasse dal parere degli altri; in terzo luogo, i coloni non ritenevano che i Pompeiani fossero stati maggiormente difesi da Silla, di quanto non lo fossero stati essi stessi: ne era la prova la loro presenza numerosa al processo, per mostrare la propria solidarietà nei confronti di Silla, patrono, difensore, custode della loro colonia. Ma erano presenti, con pari zelo, gli stessi Pompeiani che pure tanto avevano dissentito con i coloni a proposito dell’ambulatio e dei propri suffragia (o dei propri ambulatio e suffragia). Cicerone aggiunge che non andava passato sotto silenzio il fatto che, pur essendo stata da Silla dedotta la colonia e pur avendo la sorte separato (dunque opposto) i commoda dei coloni dalle fortune della comunità dei Pompeiani, egli fosse tanto benvoluto dagli uni e dagli altri, che non sembrava quasi che egli avesse rimosso i Pompeiani, ma che avesse dato uno stabile assetto ad entrambi i gruppi24.
9Dal luogo ciceroniano, indipendentemente da quale potesse essere il fondamento dell’accusa mossa a P. Silla, sembrerebbe potersi dedurre una serie di informazioni. Anzitutto, si direbbe confermato che, nel 62, ma già da molto tempo prima, da quando era scoppiato il dissidio tra coloni e Pompeiani (nel momento stesso della deduzione?), non vi erano due comunità, ma una sola: non si spiegherebbe né che venisse richiesto l’arbitrato dei patroni della colonia, né che il dissenso vertesse sui suffragia dei Pompeiani, cioè sul diritto di voto o sulle modalità della sua espressione, se vi fosse stato un autonomo municipium separato dalla colonia, nel quale evidentemente i Pompeiani avrebbero avuto modo di votare senza interferenze o di decidere con quali modalità votare (Gabba 1973, 605). Quanto all’ambulatio, come altro terreno di scontro, sono state fatte varie ipotesi circa il significato del termine in questo specifico contesto, senza che si sia potuti pervenire a una spiegazione sicura. Esclusa la vecchia ipotesi del Garrucci, che ambulatio potesse avere il medesimo significato di ambitio25, si pensa di solito che il termine alludesse a un portico della città, la cui frequentazione veniva vietata, come in una sorta di apartheid, ai vecchi abitanti e riservata soltanto ai coloni26. A parte l’intrinseca improbabilità di un simile divieto (chi avrebbe, oltretutto, potuto garantire il suo rispetto?), andrà tenuto presente che il termine doveva evidentemente risultare di non ambiguo significato per l’uditorio di non Pompeiani al quale Cicerone si rivolgeva e ciò presumibilmente non avrebbe potuto dirsi per un’allusione a una specifica area o edificio della città di Pompei, l’ambulatio per antonomasia27. In ogni caso, una simile spiegazione sarebbe senz’altro esclusa qualora riferissimo il suis, com’è grammaticalmente possibile, anche ad ambulatione e non solo a suffragiis. Più probabile, per via di una più comprensibile connessione con i suffragia, anche se la variante, pur presente nella tradizione manoscritta, non è in genere presa in considerazione dagli editori della pro Sulla, che il termine in questione non fosse ambulatio, ma ambitio, con riferimento, quindi, alle modalità di effettuazione della campagna elettorale, com’è ora sostenuto anche da Mouritsen28.
10Parrebbe potersi escludere, inoltre, che il luogo ciceroniano possa essere inteso nel senso che ai Pompeiani era stato tolto il diritto di voto al momento della costituzione della colonia, se la dissensio sui suffragia era molto antica. A questo proposito, va ricordato che fra i programmata antiquissima ve ne sono alcuni che contengono un appello esplicito ai coloni: ora che senso avrebbe potuto avere un appello ai coloni, se fossero stati solo i coloni a votare29? Tuttavia il luogo ciceroniano attesta, comunque, un’inferiorità politica dell’elemento pompeiano (che corrisponde, come sembrerebbe doversi dedurre dallo stesso luogo ciceroniano, a un’inferiorità economica come risultato delle confische). Il problema che si pone è quello di intendere come si sia potuta garantire quest’inferiorità politica attraverso precise norme statutarie e in che senso essa abbia potuto rappresentare il riflesso di un’inferiorità economica. Sembra del tutto probabile, in effetti, che una tale inferiorità politica possa essere stata il diretto riflesso di una ripartizione dei due gruppi di cittadini all’interno delle circoscrizioni elettorali – curiae, tribus o vici o comunque si siano chiamate a Pompei – non rapportata al numero rispettivo dei coloni e dei vecchi Pompeiani: una ripartizione, vale a dire, che confinava i vecchi Pompeiani in un numero inferiore di circoscrizioni rispetto a quelle dei coloni.
11E certamente illuminante il confronto, istituito da Gabba e da altri sulla sua scia, con le notizie delle Verrine sui senati siciliani e in particolare con quelle relative ad Agrigento, dove c’è parimenti una divisione, nel corpo civico, tra due diversi genera civium (Cic., 2 Verr., 2, 123 sq., cfr. 120 sqq., 125; Gabba 1959, 304 sqq., part. 318). Ad Agrigento le leges de senatus cooptando date da uno Scipione (presumibilmente l’Asiageno) prevedono che debba necessariamente avere la maggioranza dei seggi nel senato locale uno dei due elementi della popolazione. Una difficoltà di fronte alla quale si trovava il Gabba era l’attestazione di senati nelle città romane di cento membri, dunque di un numero pari. La situazione che si sarebbe venuta a creare ad Agrigento, nell’età di Verre, com’è descritta da Cicerone in effetti implica l’esistenza di un numero dispari di senatori, se bastava la scelta di un solo membro, in una situazione di parità, per determinare il rispetto della norma prevista. La difficoltà sembrerebbe essere stata eliminata, ora, con la scoperta della lex Irnitana: a Irni il senato è composto da sessantatré membri30. La lex Irnitana, peraltro, rivela due altri aspetti dell’ordinamento municipale che sembrano essere del massimo interesse per la comprensione della situazione pompeiana com’è descritta nella pro Sulla: il primo è che abbiamo documentato il numero delle curiae a Irni, e questo numero è di undici31 (come a Thuburbo Maius in Zeugitana, a Theveste, in Numidia, e a Lepcis Magna), dunque, nuovamente, un numero dispari32. Il secondo aspetto dell’organizzazione interna di una comunità sul modello romano che la lex Irnitana rivela è che la constitutio delle curiae è il compito dei primi duoviri in carica dopo l’entrata in vigore del nuovo statuto (che evidentemente, a questo punto, non possono essere eletti dal corpo civico o almeno eletti in base a quella ripartizione in curiae che deve da loro essere attuata), da compiersi arbitratu maiioris part[i]s dec[ur]ionum, cum duae partes non minus decurionum ad[er]unt (Tav. V, col. C, 11.49 sqq.: Gonzalez 1986, 162) (decurioni che possono esser quelli già presenti nella comunità prima dell’entrata in vigore del nuovo statuto, giacché la lex Irnitana stabilisce, appunto, che il numero dei decurioni rimane quello che era prima del nuovo statuto [Tav. III, col. C, 11.32 sqq., 50 sq.: Gonzalez, 157 sq.]). Ora entrambi questi aspetti dello statuto di Irni possono aiutare a capire la situazione pompeiana. È logico pensare che il compito di ripartire i cittadini fra le curiae o tribus (o comunque fra le varie “circoscrizioni” elettorali, quale che fosse il loro nome) sarà spettato ai deduttori-patroni33 o ai primi (in ordine di tempo) magistrati della comunità, presumibilmente non eletti (se può essere indicativo, al riguardo, il caso di Taranto34); quel che si vuol dire è che una ripartizione dei coloni e dei vecchi pompeiani tra le varie circoscrizioni elettoriali che garantisse la maggioranza di esse ai coloni può essere stata contestuale all’istituzione della colonia e dev’essere stata, appunto, attuata indipendentemente, com’è ovvio, da un voto popolare35. Ora, se l’elemento coloniario fosse stato maggioritario nella comunità, il modo più economico di garantire ad esso la prevalenza sarebbe stato quello di distribuirlo paritariamente tra le varie circoscrizioni: e una norma del genere non avrebbe potuto suscitare dissensi. Se questo non avvenne – e se è questo fatto che sta alla base della dissensio –, vuol dire, viceversa, che l’elemento coloniario doveva essere numericamente minoritario, o fortemente minoritario, rispetto ai vecchi Pompeiani. La maggioranza delle circoscrizioni poteva allora essere garantita al nuovo elemento della popolazione solo stabilendo che esso, ed esso soltanto, andasse ripartito in un numero di circoscrizioni anche solo di un’unità superiore a quello delle circoscrizioni attribuite ai vecchi Pompeiani. La dissensio, allora, tra vecchi Pompeiani e coloni avrebbe riguardato in un senso specifico i suffragia: la parola, adoperata non per caso al plurale, andrebbe intesa, in senso pregnante, come allusiva precisamente delle unità all’interno delle quali si esprime il voto, come a Roma le centurie nell’uso ciceroniano (e forse liviano)36; e che il motivo della dissensio possano essere i suffragia sua, e cioè dei vecchi Pompeiani, vorrebbe dire che la dissensio doveva vertere precisamente sul numero di unità in cui i vecchi Pompeiani erano ripartiti: una variazione di questo numero in senso più favorevole ai Pompeiani o una loro ripartizione non più confinata ad alcune unità era appunto l’intervento che si era richiesto, com’è ovvio, ai patroni della colonia, attuabile, ad esempio, in occasione e per il tramite di un census municipale. Se poi accettiamo l’ipotesi di F. Coarelli, riferita da Castrén, e secondo la quale il termine di ambulatio potrebbe riferirsi ai «passages used exclusively by each tribe when voting in the Comitium» (Castrén 1975, 55, nota 1), l’allusione dell’ambulatio diverrebbe del tutto perspicua (ma va ammesso che la proposta è del tutto congetturale). Se si accetta la lezione «ambitione», verrebbe fatto di pensare che i due termini di ambitio e suffragia alludano alle concrete modalità dell’esercizio, rispettivamente, dei diritti politici passivi ed attivi da parte dei vecchi Pompeiani.
12Quel che dunque il luogo della pro Sulla parrebbe indicare è che, all’interno di un’unitaria comunità, si dovevano mantenere divisi, e statutariamente, i due gruppi della popolazione, attraverso la ripartizione di ciascuno di essi in unità elettorali specifiche. Ma a questa divisione al livello del voto corrispondeva anche una fisica divisione fra i due gruppi? Detto altrimenti: vi sono elementi per ritenere che le circoscrizioni elettorali in questione, avendo base territoriale37, individuassero una distinta collocazione dei vecchi Pompeiani e dei coloni nella città e nel territorio? Si è detto che è inattestato il nome delle circoscrizioni elettorali a Pompei, ma Castrén ha plausibilmente sostenuto che esse dovessero basarsi sui vici (Castrén 1975, 79 sqq.). È noto che alcuni fra i programmata recentiora nominano gruppi di persone definite Urbulanenses, Salinienses, Campanienses e Forenses, di cui i primi tre prendono certamente il nome dalle porte della città (Si vd. ora Mouritsen 1988, 67 sq. e note 249 sq. a p. 196; Jongman 1988, 304 sqq.); ed è noto altresì che una ripartizione in portae è attestata nelle città africane38; Castrén, seguendo una lunga tradizione di studi, attribuisce i gruppi in questione a vici e a questi vici aggiunge il fantomatico pagus Augustus Felix suburbanus, considerando anche quest’ultimo, evidentemente, come base di una circoscrizione elettorale. La popolazione sarebbe stata divisa in quattro (o cinque) circoscrizioni: per Castrén nelle quattro circoscrizioni denominate in base alle portae sarebbero stati ripartiti non solo gli abitanti dei quartieri adiacenti alle portae stesse, ma anche gli abitanti del contado a seconda della porta attraverso la quale entravano in città. Jongman ha ora sostenuto che le circoscrizioni elettorali sarebbero state propriamente definite vici (Jongman 1988, 304 sqq.), ma non sembla essersi posto, se non in riferimento al problema del pagus Augustus Felix suburbanus, il problema della ripartizione degli abitanti dell’ager. La soluzione di Castrén sembra, tuttavia, per quest’ultimo, specifico aspetto, assai poco plausibile: basterà osservare che ad esempio i sette vici di Rimini parrebbero racchiudere la sola popolazione urbana (in tutto o in parte; cfr. Bormann, in CIL, XI, pp. 76 sq. e Duncan Jones 1982, 282 sq.); e un criterio quale quello dell’attribuzione in base alla porta da cui si entra in città sarebbe assai curioso. Vi è poi, irrisolto, il problema del pagus Augustus Felix suburbanus, l’unico pagus attestato a Pompei: e attestato come pagus Felix suburbanus prima dell’età augustea39. Non si è ovviamente mai negato il rapporto che vi è, nella denominazione, con Silla, un rapporto che va ovviamente spiegato negli stessi termini in cui va spiegata la denominazione della colonia come colonia Veneria. Si considera perciò generalmente connessa o l’istituzione del pagus o comunque una sua trasformazione col momento stesso della fondazione della colonia. Ma taluni hanno supposto che il pagus sarebbe stato sede o una sede dei coloni (De Petra 1865, 71), altri che esso sarebbe stato il pagus dove sarebbero stati confinati i vecchi Pompeiani al momento della deduzione della colonia40. In verità, sarebbe assai strano che venisse definito come pagus Felix il pagus dove venivano collocati i Pompeiani scacciati dalla loro città. È assai più ovvio il pensare che il pagus in questione raccogliesse, nel loro insieme o in parte, i coloni. Il pagus era suburbanus: ora, la lex col. Gen. (FIRA, I 2, 21, XCI) sancisce per il decurio augur pontifex l’obbligo del domicilium «in ea col(onia) oppido propiusue it oppidum p(assus) (Mille)». L’indicazione può essere di rilievo, perché potrebbe implicare che i nuovi coloni destinati ad assumere cariche politiche e religiose, se non stavano in città, dovessero stare quanto meno nei suoi pressi41. Un’ulteriore indicazione circa la collocazione dei coloni nel loro complesso (e dei vecchi Pompeiani nel loro complesso) potrebbe, peraltro, venire dallo stesso luogo della pro Sulla. Secondo l’accusa di Torquato, P. Sulla «Diiunxit... eos a colonis ut hoc discidio ac dissensione facta oppidum in sua potestate posset per Pompeianos habere». Mi sembra assai probabile che oppidum vada inteso, in questo caso, come tante volte anche nell’uso ciceroniano e come, per esempio, nella lex municipi Tarentini (FIRA, I 2, 18: «in o[pp]ido Tarentei aut intra eius muni[cipi] fineis», a 11.27 sq.)42, nel senso specifico di centro urbano, di «coniunctio tectorum» (Cic., de rep., 1, 41), in quanto contrapposto ad ager43. L’accusa aveva un senso solo se erano i Pompeiani ad essere concentrati nell’oppidum, se i coloni erano in larga misura collocati nell’ager: ciò che peraltro è logico se erano, appunto, i beneficiari delle assegnazioni. In realtà, l’arrivo dei coloni doveva avere rimosso i Pompeiani dall’ager, non tanto dalla città: e semmai doveva avere prodotto una loro concentrazione nel centro urbano. A questo punto, se i distretti elettorali del centro urbano, in cui si addensavano un maggior numero di cittadini, erano meno numerosi, poteva realizzarsi quello squilibrio nella possibilità di partecipare alla gestione della cosa pubblica, che doveva essere alla base della dissensio.
13Se l’arrivo dei coloni corrispose, com’è ovvio, a una dislocazione dei Pompeiani o di una loro parte nella città, in conseguenza delle confische, ci si deve chiedere che impatto deve avere avuto questo incremento della popolazione e questa dislocazione sulla situazione economica e sociale della comunità. E singolare che Jongman, che pure considera nella sua generale ricostruzione come decisivo l’impatto del numero degli abitanti e del suo evolvere nel tempo nel dar forma all’economia pompeiana, non si ponga il problema di che cosa abbia potuto significare, per l’economia pompeiana, un incremento comunque abbastanza consistente, in rapporto al livello di partenza, della popolazione della comunità, a seguito delia colonizzazione. Proprio questo incremento di popolazione e l’impatto che ne dovette derivare sembrerebbero, peraltro, costituire un ulteriore argomento contra la generale impostazione dello studioso olandese44.
14Jongman si vale, per sostenere il generale assunto del suo libro, dei due modelli alternativi che De Vries ha costruito per interpretare la crescita dell’economia agraria olandese dopo il 1500, le due possibili risposte che una società autosufficiente di peasant farmers ha a disposizione di fronte a una crescita della popolazione: il «peasant model» e lo «specialization model» (De Vries 1974, part. 4 sqq.). La prima risposta è quella che porta a una divisione delle proprietà contadine, a un’intensificazione delle colture attraverso l’adozione di tecniche che comunque diminuiscono la produttività del lavoro, a situazioni nelle quali la stessa possibilità di autosufficienza non è garantita, talché i contadini, lungi dal disporre di un surplus da commercializzare, devono “entrare” nel mercato del grano per acquistarlo: un mercato in cui il prezzo, per effetto dell’incremento di popolazione, è cresciuto in rapporto agli altri prezzi e in rapporto alle remunerazioni del lavoro. Peraltro, in questa situazione i peasant farmers non possono rappresentare essi stessi un mercato di sbocco per i manufatti prodotti in àmbito cittadino. Tenderanno, viceversa, a produrre essi stessi, in modo meno efficiente, i manufatti di cui hanno bisogno: tenderanno a tenersi lontani quanto più possono dal mercato. Di questa situazione possono approfittare i più grossi proprietari o comunque le persone agiate e il risultato è una spinta verso la concentrazione fondiaria: essi possono approfittare della crescente domanda (e dunque del prezzo crescente) del grano. Si determina una più spinta ineguaglianza sociale, se le rendite crescono e le remunerazioni del lavoro diminuiscono e nel contempo il prezzo del grano si incrementa. Il rapporto tra città e campagna è un tipo di rapporto nel quale la città non agisce come produttrice di beni assorbiti da un mercato rurale. L’altro modello identifica l’altra possibile risposta alla crescita della popolazione: questa risposta prevede non già il morcellement delle unità contadine, ma una diversa allocazione del proprio tempo da parte del peasant farmer tra le attività agricole e quelle volte alla produzione di beni non agricoli, a vantaggio delle prime. Alla tendenziale diminuzione della produttività del lavoro, che consegue all’intensificazione delle colture, il peasant farmer risponde attraverso la specializzazione e attraverso un ingresso nel mercato in qualità di venditore di beni agricoli specializzati che crescono di prezzo. La crescita della popolazione in àmbito rurale non conduce a un progressivo impoverimento, ma è riassorbita in parte dall’intensificazione stessa delle colture, per esempio nel caso in cui un’orticoltura intensiva si giovi della vicinanza dei propri prodotti al mercato urbano, in parte dall’inurbamento, a sua volta consentito dalla crescita delle attività produttive urbane; la pressione dell’offerta di lavoro in àmbito urbano è tale da mantenere bassi i salari, ma l’impiego che l’inurbato trova non ha i caratteri di saltuarietà e di casualità del lavoro da giornaliero nell’àmbito agrario. Insomma, questa serie concomitante di sviluppi può riassumersi come una spinta sempre più decisa verso l’espansione del mercato a spese dell’autoconsumo: la stessa crescita delle città può considerarsi in questo caso un effetto della specializzazione (anche se ne può essere in realtà un incentivo).
15Per quale motivo, delineati in questo modo i caratteri dei due modelli e del rapporto città-campagna che ognuno di essi individua, si debba, o si possa, interpretare il caso pompeiano alla luce del primo, e non del secondo, rimane problematico. Ma questo problema generale non può essere ovviamente affrontato qui. Quel che tuttavia sembla di potere affermare è che solo nelPipotesi che i caratteri dell’economia pompeiana, agraria e urbana, si siano discostati da tale primo modello, sarà stato possibile assorbire un drastico e artificiale incremento della popolazione quale quello che si realizzò con l’arrivo dei coloni; solo nell’ipotesi che i rapporti tra città e campagna si siano avvicinati a quelli che caratterizzano il secondo modello, può essersi determinato quel presumibile incremento delle attività urbane che deve aver fatto seguito alla dislocazione di buona parte della popolazione pompeiana dalle proprie terre e che deve avere permesso alla città di non vedere compromessa la propria prosperità.
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Notes de bas de page
1 Day 1932, utilizzato da Gabba 1951 (= Gabba 1973, 120 sqq., 126 sq.). per il tramite di Lepore 1989 (scr. 1950); cfr. anche Carrington 1931.
2 A mettere in discussione una tale generalizzata eclissi, sia pure solo temporanea, dell’elemento precoloniale era già stato, in qualche misura, e attraverso l’analisi prosopografica di un limitato gruppo di famiglie pompeiane, Sawyer 1972: il primo periodo della colonia avrebbe, peraltro, effettivamente assistito al declino di alcune fra le più cospicue famiglie indigene, quelle, verosimilmente, le cui fortune sarebbero state maggiormente toccate dall’arrivo dei coloni.
3 Vetter 1953, nn. 29, 30, 30 a-h: dei dieci programmata elettorali in lingua osca sono quattro quelli per i quali può essere individuata la magistratura alla quale ci si candida e in tutti e quattro i casi si tratta del quattuorvirato. Mouritsen segue l’ipotesi di Rudolph 1935, 94 sq., 123, e di Taylor 1960, 106 (e già di Hardy 1924, 283 sqq.), secondo la quale la costituzione quattuorvirale sarebbe stata introdotta nei nuovi municipia da Cinna nell’87, contestualmente all’estensione della cittadinanza alle comunità che si erano arrese dopo essere State vinte (cfr. anche, ad es., Laffi 1973, 40; e Letta in Campanile/Letta 1979, 79 sqq., 84 sq., che attribuisce già alla legislazione del 90 la tendenzialmente generalizzata estensione della costituzione quattuorvirale, originariamente prevista, a suo avviso, per le comunità umbre, alle comunità donate della cittadinanza, mentre la legge di Cinna avrebbe rappresentato una legge quadro innovativa rispetto alla lex Iulia). L’esistenza di un municipium prima della colonia, a Pompei, sostenuta da Rudolph 1935, 88 sq., 92 sqq. (che arriva ad attribuire al supposto municipium anche il quattuorvirato attestato da CIL, X, 800 e 938, su cui vd. infra, note 13 e 19) e poi, con dovizia di argomentazioni. in base, specificamente, alla documentazione pompeiana, da Onorato 1951, è considerata certa da Weber 1975, 181, 188 sqq., anche se lo studioso esclude che si abbiano specifiche prove dirette della sua esistenza.
4 Castrén 1975, 51, 60, 122, a proposito di CIL, IV, 48, 50, 53, 54, 56, 70, 9827 (per il quale Castrén pone comunque un punto interrogativo): cfr. Mouritsen 1988, 74 sqq. (e note 285 sqq. alla p. 198, sui singoli programmata presi in considerazione da Castrén); decisivo contro una simile ipotesi mi pare l’argomento che un interrex non sarà stato certamente eletto da un’assemblea popolare e che dunque un ipotizzabile “candidato” alla carica non avrà avuto bisogno di farsi la propaganda elettorale.
5 Qualche oscillazione in Mouritsen 1988, 85 sqq. sul punto; vedi più sotto, 116, nota 18.
6 Contro quanto supposto da Onorato 1951, part. 136 sqq.. 148 sqq.; cfr. Degrassi 1956, 153 = Degrassi 1962, 182.
7 Contro Degrassi 1967a, 47 sqq. = Degrassi 1967b, 145 sqq.
8 Mouritsen 1988, 72 sq., a proposito di CIL, IV, 29, 30 e 36 (nonché 7014, che peraltro, non è un programma antiquissimum).
9 CIL, I2, 1627 (e cfr. p. 840) = X, 794 = ILS, 5538 = Onorato 1957, n. 42 = ILRRP, 640.
10 CIL, IV, 13, 50, 53, 54 add. p. 460, 70, 74, 7120; Mouritsen 1988, 201, nota 329 su CIL, IV, 74 e 7120.
11 CIL, X, 800 = ILS, 6354; CIL, X, 938 = CIL, I2, 1630 = ILS, 6355 = ILLRP, 643; il caso di Vibius M. f. Coeianus Nucerinus in CIL, X, 1075 va escluso, dal momento che è incerto se il personaggio in questione abbia rivestito il quattuorvirato a Pompei o a Nuceria: Mouritsen 1988, 71 sq.
12 Mommsen 1905, 325 (e CIL, X, p. 93); si vd. in particolare Degrassi 1949, 288 (= Degrassi 1962, 107 sq.); vd. pure Gabba 1973, 606 (scr. 1954) per l’attribuzione dei quattuorviri in questione alla colonia (e non all’ipotizzato municipium); e Gatti 1974, 166 sq.; Gehrke 1983, 478 sq., nonché Mouritsen 1988, 72, con nota 266, p. 197 (ivi ulteriore lett.).
13 Le varie proposte avanzate circa lo status costituzionale di Pompei tra la Guerra sociale e i decenni centrali del I sec. a.C. sono sinteticamente riassunte da Sartori 1953, 73, nota 21.
14 Cfr. in particolare Castrén 1975, 64 e nota 3 (con riferimento a D. 50, 4, 14, 5); Franklin 1980, 120, secondo il quale, anzi, le sole elezioni all’edilità avrebbero previsto la scella fra un numero di candidati superiore al numero dei posti da coprire; Mouritsen 1988, 28 sq., 40. Mi sembra che il Mouritsen, 37 sqq., abbia definitivamente dimostrato l’insostenibilità della ricostruzione proposta da Franklin dei fasti pompeiani tra il 71 e il 79, e della conseguente tesi secondo la quale le elezioni al duovirato sarebbero state «uncontested» (visto che, appunto, vi sarebbero stati solo due candidati per i due posti): insostenibili, di conseguenza, appaiono le argomentazioni di Jongman 1988, 313 sq. Peraltro la stessa esistenza di programmata per il duovirato rende una tale tesi difficilmente accoglibile, se si crede (come mi sembra che si debba), seguendo Franklin (124) e contro Jongman (282), che i programmata riflettono «genuine campaigns» (né si può dire convincente il modo col quale il Franklin intende risolvere la difficoltà che pone all’ipotesi di elezioni «uncontested» la mera esistenza di programmata per tali elezioni: conto di prospettare altrove, e proprio attraverso un’analisi statistica dei programmata, una diversa valutazione della natura, e delle finalità, delle “campagne elettorali” pompeiane). Che il numero dei candidati alla quinquennalità, e delle scritte relative, sia, in assoluto, minore è ovviamente spiegato dalla non annualità della carica e dunque dell’elezione (ma è comunque interessante che tale numero non sia inferiore a quello dei candidati al duovirato o persino all’edilità, in termini relativi: considerando, vale a dire, appunto, la non annualità della carica).
15 Si vd. la tabella a p. 115. Naturalmente è possibile (come si è talvolta sostenuto nella storia del problema) che la diversa concentrazione dipenda anche dal fatto che, fra quelle deducibili dai programmata recentiora, le candidature degli anni più vicini al 79 sono anche quelle tendenzialmente meglio e più documentate: ma poiché questo fattore di distorsione riguarda tanto le candidature al duovirato (o alla quinquennalità), quanto quelle all’edilità, esso non vale a sminuire il valore della conclusione che sembra potersi trarre dalla diversità dei rapporti di concentrazione.
16 Cfr. CIL, X, 819 = I2, 1628 = ILS, 6356, dove compare, accanto al solo L. Caesius C. f. duovir i.d., la coppia di duoviri C. Occius M. f. e L. Niraemius A. f., evidentemente nella funzione di edili: cfr. Degrassi 1949, 289 (= 108); Onorato 1951, 153 sqq.: Gehrke 1983, 478; Mouritsen 1988, 77 e 197 sq., nota 284.
17 Ciò che giustificherebbe il fatto che, tra i programmata antiquissima, siano comparativamente (rispetto ai programmata recentiora) tanto numerosi quelli che non recano l’indicazione esplicita della magistratura alla quale ci si candida.
18 Diversamente da quel che pensa Mouritsen, il quale ritiene che essi si riferiscano alle elezioni al municipium che in questo caso sarebbe. per un brevissimo periodo, perdurato accanto alla colonia: uno degli argomenti del Mouritsen è che, se i programmata in osco si riferissero alla campagna elettorale per la colonia, non si comprenderebbe perché solo in essi compare il riferimento al quattuorvirato. Gehrke 1983, 480 sq., attribuisce i programmata in osco, ovviamente (data la sua generale interpretazione), già alla colonia, ma non si pone il problema di spiegare perché solo nei programmata in osco verrebbe indicata, come magistratura alla quale ci si candida, il quattuorvirato, né viene da lui attribuito rilievo, appunto, al fatto che l’invito è a votare per un indistinto quattuorvirato. La difficoltà, tuttavia, si supera qualora si ritenga che i primi programmata si riferiscono ad elezioni per le quali si è candidati a una sola magistratura – il quattuorvirato, appunto –, talché non sarebbe stato necessario precisare di quale magistratura si trattasse: si ricordi come, appunto, assai numerosi sono i programmata antiquissi ma senza indicazione della magistratura per la quale ci si candida (senza contare la possibilità che anche CIL, IV, 29, 30 e 36, programmata per Q. Caecilius, non siano, come ritiene Mouritsen, riferibili a una candidatura alla quinquennalità – vd. supra, nota 8 –, ma a una candidatura al quattuorvirato). Il problema va, naturalmente, visto in rapporto a quello più generale, della plausibilità dell’esistenza di «Doppelgemeinden», come effetto delle deduzioni sillane: esistenza negata da ultimo, con argomentazioni convincenti, da Gehrke; si vd. pure, per lo specifico caso pompeiano, Weber 1975, 199 sq.
19 Era questa, in qualche modo, la tesi di Beloch 1926, 512, in riferimento al complesso delle colonie sillane: l’assetto costituzionale delle comunità in cui vennero insediati i coloni non sarebbe stato toccato e solo più tardi si sarebbe avuta la sostituzione della denominazione degli «Oberbeamten» da quattuorviri a duoviri, «da man hinter den übringen Colonien nicht zurückstehen wollte». Il Beloch riteneva che segnasse il momento di passaggio fra quattuorvirato e duovirato CIL, X, 937 = CIL, I2, 1629, nella quale compaiono come duoviri gli stessi che si definiscono, insieme ai loro colleghi, quattuorviri in CIL, X, 938 = CIL, I2, 1630. Che effettivamente le due iscrizioni possano plausibilmente considerarsi come quelle che testimoniano una fase di passaggio potrebbe essere confermato dalla circostanza – parrebbe, senza paralleli – che la denominazione di quattuorviri non sia, in CIL, X, 938, unilariamente attribuita a tutt’e quattro i personaggi, ma sia dapprima riferita ai primi due e una seconda volta ai secondi due: come a dire che il collegio dei quattuorviri è concepito come quello che già si distingue in due coppie (senza che vengano comunque espressamente indicati i compiti della prima coppia e quelli della seconda coppia).
20 Accanto al meddís (unico), due edili (e talvolta uno solo) e due questori (e talvolta uno solo): cfr. Letta, in Campanile/Letta 1979, 69 con nota 178, 74; cfr. pure Sartori 1953, 70, e quanto viene obiettato a Sartori da Gehrke 1983, 481, nota 53; non mi sembra escludibile, proprio vista l’oscillazione nel numero di edili e questori (uno o due) nella costituzione osca, che il complesso dei magistrati della comunità potesse essere ricondotto, con la concessione della cittadinanza, al numero, fisso, di quattro (contra Letta, ibid.).
21 Si vd., in particolare, e sollecitate dal caso pompeiano, le osservazioni di Gehrke 1983, 473, secondo il quale non è sicura (ed è anzi improbabile) un’immediata introduzione di un nuovo statuto nelle nuove comunità di cives; ma cfr. pure, in generale, sul problema, quanto viene messo in rilievo da Degrassi 1960, 141 sqq. = Degrassi 1962, 185 sqq.; Gabba 1972, 82 sq., in particolare a proposito della lex municipi Tarentini. Che la riorganizzazione municipale in Spagna segua di qualche decennio il conferimento della latinità potrebbe costituire un interessante confronto: si vedano in particolare le considerazioni di Braunert 1966, 70 sq., 78 sqq. (e al di là della discussa caratterizzazione che vi viene proposta del ius Latii: cfr. ora Mancini 1990, 367 sqq., la quale definisce, per parte sua. la supposta riorganizzazione istituzionale che si accompagnerebbe al conferimento della latinità conte un «utile momento di transizione tra le autoctone forme organizzatorie preesistenti e la definitiva omologazione alle strutture municipali romane, affidata alle leges municipales»). Il luogo ciceroniano della pro Cluentio (su cui vd. infra, nota 34) parrebbe testimoniare, tuttavia, che una qualche uniformità proprio nel segno di una generalizzata estensione di un modello quattuorvirale debba essersi realizzata prima dell’età sillana: Gabba 1972; Laffi 1973, 40; si vd. in generale, anche in riferimento alla ricostruzione complessiva di Rudolph e ai suoi critici, come Sherwin-White, Wesener 1963, col. 854. Non entro nel merito della discussione circa l’esistenza o meno di una lex municipalis generale, ma osservo solo che anche coloro che oggi ne sostengono l’esistenza (dopo le più recenti scoperte epigrafiche andaluse) non la collocano certo, come ipotizzava ad esempio il De Petra alla fine del secolo scorso (De Petra 1895, col. 427 sqq.), all’indomani stesso della Guerra Sociale.
22 In più, per quanto riguarda il caso specifico di Pompei, è stata rilevata l’improbabilità di una concessione dell’autonomia municipale subito dopo la presa della città, se essa viene “punita” dallo stesso Silla qualche anno dopo con la deduzione della colonia: Degrassi 1967a, 47 (= 146). Di un «limbo status» per il periodo tra la presa della città e la deduzione della colonia parla Sawyer 1972, 162.
23 Cic., pro Sulla, 60-62: «Iam vero quod obiecit Pompeianos esse a Sulla impulsos ut ad istam coniurationem atque ad hoc nefarium facinus accederent, id cuius modi sit intellegere non possum. An tibi Pompeiani conjurasse videntur? Quis hoc dixit umquam aut quae fuit istius rei vel minima suspicio?‘Diiunxit’, inquit, ‘eos a colonis ut hoc discidio ac dissensione facta oppidum in sua potestate posset per Pompeianos habere’. Primum omnis Pompeianorum colonorumque dissensio delata ad patronos est, cum iam inveterasset ac multos annos esset agitata; deinde ita a patronis res cognita est ut nulla in re a ceterorum sententiis Sulla dissenserit; postremo coloni ipsi sic intellegunt, non Pompeianos a Sulla magis quant sese esse defensos. Atque hoc, indices, ex hac frequentia colonorum, honestissimorum hominum, intellegere potestis, qui adsunt, laborant, hunc patronum, defensorem, custodem illius coloniae si in omni fortuna atque omni honore incolumem habere non potuerunt, in hoc tamen casu, in quo adflictus iacet, per vos iuvari conservarique cupiunt. Adsunt pari studio Pompeiani, qui ab istis etiam in crimen vocantur; qui ita de ambulatione ac de suffragiis suis cum colonis dissenserunt ut idem de communi salute sentirent. Ac ne haec quidem P. Sullae mihi videtur silentio praetereunda esse virtus, quod, cum ab hoc illa colonia deducta sit, et cum commoda colonorum a fortunis Pompeianorum rei publicae fortuna diiunxerit, ita carus utrisque est atque iucundus ut non alteros demovisse sed utrosque constituisse videatur».
24 Constituere potrebbe avere, in questo caso (anche per la contrapposizione a demovere), il senso di certum locum assignare (vd. TLL, s.v., coll. 511 sq.), e così è inteso, p. es., dal Boulanger, nella ed. Budé; non escluderei, peraltro, che possa ravvisarsi anche in questo specifico caso la particolare, tecnica accezione, di «dare una stabile organizzazione», anche territoriale: che è l’accezione nella quale adoperano il verbo (per vero in riferimento a municipia, e non a coloniae: ma la cosa potrebbe essere significativa, proprio in ragione della presenza, a Pompei, di due nuclei distinti di popolazione), Cicerone (a proposito della sistemazione costituzionale di Arpino: ad Fam., 13, 11, 3) oil legislatore della lex Mamilia Roscia Peducaea Alliena Fabia (FIRA, I2, 12).
25 Garrucci 1853, 31 sqq.: si tratterebbe, peraltro, dell’unica attestazione di una simile accezione: vd. ora Mouritsen 1988, 202, nota 347.
26 Così, in tempi più recenti, Gatti 1974, 175 sq. e Wiseman 1977, 21 sq.
27 Si vd. quanto osserva Keppie 1983, 102 sq.
28 Si vd. l’ed. di Halm (1856); il riferimento alla variante è assente nelle edizioni di Müller (1892), Clark (1911), Kasten (19492) e Boulanger (1957); cfr. Onorato 1951, 141 sq., nota 1; e ora Mouritsen 1988, 81, con 202, nota 347; vd. pure Gabba 1959, 318, nota 21.
29 Elenco in Mouritsen 1988, 200, nota 315. Un appello rivolto ai coloni, in altri termini, aveva senso solo se, attraverso di esso, si voleva garantire la compattezza del voto su un candidato da parte di un elemento specifico della popolazione: mi sembra viceversa assai meno plausibile il ragionamento opposto che fa la Gatti (1974, 175), quando sostiene che proprio l’appello esplicito ai coloni testimonierebbe il fatto che sarebbero stati solo i coloni a votare; in questo stesso senso Wiseman 1977, 21. Non so sino a che punto si possa leggere in questa medesima chiave di una contrapposizione tra coloni e vecchi Pompeiani (suggerita dalla testimonianza ciceroniana) la dichiarazione, consegnata all’epigrafe dedicatoria, secondo la quale il luogo dove era stato eretto l’anfiteatro era stato dato «coloneis... in perpetuom» da C. Quinzio Valgo e da M. Porcio (CIL, X, 852 = I2, 1632 = ILS, 5027 = ILLRP, 645): visto che è difficile supporre (con il Wiseman 1977, l.c.) che l’atto di evergetismo fosse considerato, dai suoi autori, e programmaticamente, come limitato nella sua destinazione ai soli coloni sillani, si potrebbe pensare, tutt’al contrario, che proprio l’epigrafe in questione sia una testimonianza dell’avvenuta fusione dei due gruppi della popolazione, attuata, appunto, attraverso il censo municipale, dai quinquennali C. Quinzio Valgo e M. Porcio: si vd. quanto osserva F. Zevi, infra, 131 sq.
30 Tav. III, col. C, l. 43, cap. XXXI, secondo la numerazione proposta da González 1986, testo a p. 158, cfr. 208; vd. pure D’Ors 1986, 51 sq., cfr. 114 sq.
31 Tav. V, col. C, 1. 47: González 1986, 162: la lettura di D’Ors 1986, 60 (cfr. 128 sq.) è certamente errata, né osta alla presenza di un tale numero, nello statuto di Irni (concepito, forse, come un numero massimo: così Jacques 1990, 391; vd. pure Lamberti 1993, 79 con nota 218), quanto viene statuito dal cap. LVII della lex Municipii Malacitani (FIRA, I2, 24, c. 2, ll. 50 sqq.), se la legge municipale flavia prevede, appunto, che il numero delle curiae possa essere diverso da comunità a comunità. Che le curiae nelle comunità spagnole donate del ius Latii fossero ripartizioni del corpo civico in base al luogo di residenza piuttosto che in base al censo e all’età parrebbe assai probabile, per non dire certo: cfr. ad es. Spitzl 1984, 38 sq.
32 Laddove in altre comunità africane, quali Althiburos in Byzacena e Lambaesis in Numidia è di dieci: cfr. Duncan Jones 1982, 282 e ivi fonti: vd. pure Kotula 1968, 62 sqq., cfr. tabella, 34 sqq.; e Jacques 1990, 392 sqq.: naturalmente rimane il problema di come vadano davvero considerate, nel loro complesso, le curie attestate nelle comunità africane: se come ripartizioni dell’intero corpo civico a fini elettorali o come collegia, con un numero limitato di membri, anche se il fatto di rinvenire quest’identità del numero delle curie di un municipio spagnolo e di quello attestato in talune comunità dell’Africa sembrerebbe potersi considerare un ulteriore argomento a favore della tesi secondo la quale anche in Africa le curie fossero le ripartizioni del corpo civico a fini elettorali (così ora Jacques 1990, 394); non entro nel merito più generale delle conclusioni che Jongman 1988, 292 sqq., vorrebbe trarre proprio da questa incertezza circa la composizione e la natura delle curie africane, nel suo tentativo di caratterizzare la vita politica pompeiana e il significato delle elezioni municipali. Peraltro, il numero delle curie può essere significativamente maggiore di 10 o 11: di 23 è a Turris Libisonis (CIL, X, 7953 = ILS, 6766). Per le dodici tribu di Lilybaeum in età imperiale (CIL, X, 7206 = ILS, 6770b; CIL, X, 7233 = ILS, 6770a, cfr. CIL, X, 7237 = ILS, 6770), interpretate, anche nel numero, come una sopravvivenza, in una città fortemente ellenizzata, dell’ordinamento anteriore al sorgere della città romana, vd. in particolare Sartori 1957, 38 sqq.
33 Per l’obbligo che i deduttori siano anche i patroni vd. Lex col. Gen. (FIRA, I2, 21), XCV; CXXX.
34 O ancora – ma in questo caso si tratterebbe della sostituzione dei quattuorviri eletti – il caso di Larino in età sillana: cfr. FIRA, I2, 18, ll. 7-8, e Cic., pro Cluent., 25; cfr., ad es., Gabba 1972, 82 sqq.; Gatti 1974, 172; Torelli 1973, 336 sqq.
35 La nomina dei primi decurioni «da parte del potere che deduceva la colonia» sarebbe peraltro da inferire da un luogo di Pomponio, D. L 16, 239, 5; «Decuriones quidam dictos aiunt ex eo, quod initio, cum coloniae deducerentur decuma pars eorum qui ducerentur consilii publici gratia conscribi solita sit»: Gabba 1958, 98.
36 Cic., de rep., 2, 39, cfr. 4, 2; Phil., 2, 82 (i suffragia per antonomasia, senza necessità di aggiungere sex al testa tràdito: cfr. Develin 1979, 156, con nota 5); cfr. Fest., p. 452 L.; forse Cic., de lege agr., 2, 4; forse Cic., Phil., 12, 11, 27; forse Liv., 40, 51, 9, a proposito della riforma del 179 (un’ipotesi che non viene, mi sembra, solitamente avanzata, nemmeno da chi, come il Nicolet (1961, 341 sqq.), ha supposto che proprio nell’attività dei censori del 179 vada riconosciuta la riforma dell’ordinamento centuriato; un’ipotesi che viene ora esclusa, ma non mi sembra in base a una solida argomentazione, da Grieve 1985, 418 sq.), nonché Cic., pro Mur., 47, a proposito della proposta di Murena, di confusio suffragiorum, per l’appunto, dove pure non sembra escludibile la presenza di un simile significato pregnante. In generale si vd. Kübler 1931.
37 Cfr. supra, nota 31, a proposito delle comunità spagnole.
38 CIL, VIII, 26517, da Thougga; cfr. Kotula 1968, 26 sqq., e ivi lett. (specialm. L. Homo); interessante il confronto con realtà medievali: Heers 1974, 146 sqq. (citato da Jongman 1988, 310).
39 Eph. Epigraphica, VIII, 87, n. 317 (= Mau 1889, 344), presumibilmente della prima età augustea (così Mau), e in ogni caso da datare anteriormente al 7 a.C., quando sono attestati i primi ministri pagi Augusti Felicis suburbani (CIL, X, 924); ma sul fatto che la creazione del pagus sia da attribuire alla stessa età sillana non sembrano potersi nutrire dubbi.
40 Nissen e Mau e Mommsen (in CIL, XI, p. 89) cit. da Onorato 1951, 146 sq., nota 2; nonché, in una forma diversa, più elaborata, ma assai meno persuasiva, Gatti 1974, 174.
41 Si vd. pure quanto osserva Gabba 1985, 274, a proposito delle colonie della Cisalpina, e con riferimento a Tozzi 1972, 16 sq., per Cremona (e Placentia).
42 E cfr., a l. 32: «in oppido quod eius municipi e[r]it» nella norma che vieta la distruzione degli edifici che non preveda una loro restituzione «non deterius»; cfr. pure, ad es., la lex municipii Malacitani (FIRA, I2, 24), c. III, ll. 62 sqq.
43 Vd. p. es. Cic., de lege agr., 2, 48 (in riferimento alla Sicilia); 76 (per Capua); o ancora la lex Antonia de Termessibus (FIRA, I2, 11), c. II, ll.7 sqq.; Liv., X, 37, 3 (per Rusellae) etc.; cfr. Kornemann 1939, e TLL, col. 754 sq., s.v.
44 È soprattutto il tentativo di utilizzare come chiave interpretativa adeguata a spiegare le caratteristiche strutturali dell’economia pompeiana il modello della sombartiano-weberiana «città consumatrice» ad avere suscitato le maggiori riserve: cfr. Banaji 1989, 229 sqq.; Scheidel 1992, 207 sqq.; Andreau 1991.
Auteur
Université Federico II de Naples
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