Dati archeologici e fenomeni vulcanici nell’area nolana. Nota preliminare
p. 113-119
Note de l’éditeur
(pl. LXX-LXXIII)
Texte intégral
1Questa breve nota riguardante l’area nord orientale della provincia di Napoli vuole portare un contributo alla soluzione dei problemi connessi ai fenomeni sismici e vulcanici in età antica con la presentazione preliminare di una serie di osservazioni effettuate in una zona di interesse archeologico, quale l’area nolana, nota dalle fonti e dalla tradizione ma assai poco conosciuta attraverso i risultati dello scavo.
2L’attività di tutela della Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta nella zona in questione1 si è notevolmente intensificata dal 1977 in poi, e per una diversa impostazione del «rapporto col territorio» nei confronti delle aree interne, sino a quella data seguite con minor continuità dei più celebri e celebrati centri della costa, e per l’ampliamento dell’urbanizzazione che ha determinato il moltiplicarsi di occasioni di indagare il sottosuolo; e questa presenza più costante non ha mancato di dare i suoi risultati.
3A Nola lo scavo ancora in corso di una villa extraurbana2 in località Saccaccio si può considerare il primo esempio, nella zona, di indagine sistematica di un’area di abitato. Le prime operazioni di scavo nel 1978 misero subito in evidenza la sovrapposizione di più fasi costruttive. Se ne riconobbero tre, datate tra il II sec. a. C. e il I d.C., cui se ne aggiunsero per lo meno altre due ascrivibili tra il IV-V sec. d.C. e l’età alto medievale. Non è il caso di dilungarsi sull’impianto della villa, non ancora ben definito in tutte le sue parti e all’inizio delle indagini ricondotto ipoteticamente al tipo delle ville rustiche per l’ubicazione in una zona idonea all’agricoltura, situata al di fuori dell’antico centro abitato. Non è però ancora stata individuata la pars rustica; gli ambienti sino ad ora esplorati, infatti, presentano tracce più o meno evidenti di decorazione pittorica e musiva3 che, per quanto modeste non fanno esitare circa il riconoscimento della originaria destinazione residenziale degli ambienti4, almeno in età proto e medio imperiale; né si è ancora rinvenuta alcuna traccia di apprestamenti e impianti per la lavorazione o conservazione dei prodotti della terra o della pastorizia5 (fig. 1). Alle tre accennate fasi di età repubblicana e proto imperiale, riconosciute dalla sovrapposizione di tre piani pavimentali presenti nell’amb. IV (il I in cocciopesto ornato con rade e irregolari tessere bianche, tipo di pavimento che si ritrova anche sotto l’attuale piano di calpestio dell’amb. VII; il II in cocciopesto con rete di rombi in tessere bianche ed èmblema centrale a mosaico bianco con uso di tessere nere e rosse, cui si associano strutture parietali a grossi blocchi di tufo conservati in parte sotto gli ambienti IV e I e tra gli ambienti III, V e VI; il III in mosaico bianco bordato di nero, in uso fino alla fine, cui si associano differenti strutture murarie - l’opera reticolata con cubilia di 8 cm. di lato è in parte tagliata dalla sovrapposizione di più tarde pareti trasversali ancora in reticolato ma con cubilia di 10 cm.), segue un lungo periodo di uso durante il quale si apportano modifiche e restauri restringendo vani di passaggio6 (fig. 2), rialzando piani pavimentali7, rinforzando muri. Questa fase di media età imperiale potrebbe farsi iniziare alla fine del I sec. d.C. e per la tecnica muraria adottata (opera reticolata di grossa pezzatura) e per la presenza, nel rialzamento dei pavimenti, di frammenti di intonaci dipinti databili alla metà del I sec. d.C.. Si può pensare a modifiche all’interno di alcuni ambienti determinate dalle conseguenze che il terremoto che accompagnò l’eruzione del 79 d.C. dovette avere anche nell’area nolana. Sarciture dei muri o restauri evidenti come quelli effettuati a Pompei dopo il terremoto del 62 non se ne vedono, ma bisogna anche tener conto dell’altezza relativamente scarsa delle strutture murarie - conservate al massimo per m. 1,60 - e della continuità di vita del complesso, prolungatasi fino al V sec. d.C.. Tale durata è dimostrata dalla presenza di strutture murarie in blocchetti di tufo piuttosto irregolari, cementati con abbondante malta, che in parte si addossano, utilizzandole, a precedenti strutture, in parte ne obliterano altre impostandosi nell’impianto della villa senza tener conto dell’originaria disposizione degli ambienti8 ; e dal rinvenimento di monete di bronzo emesse durante i regni di Costantino, di Costanzo, di Giustino I o di Giustiniano e da quello di ceramica comune databile appunto al V sec. d.C.9. Per quanto riguarda le condizioni del complesso all’epoca del seppellimento è da notare che vi si rinviene scarso materiale di arredo o di uso domestico, e comunque in cattive condizioni10, che le pareti in molti casi mancano, e quando non sono state asportate sono prive del rivestimento di intonaco dipinto sia monocromo che decorato, pervenutoci solo in qualche caso in frammenti di modeste dimensioni, che i pavimenti a mosaico, fatta eccezione per due casi nei quali sono conservati quasi per intero, sembrano essere stati intenzionalmente asportati11. Si ha in conclusione, l’impressione di un degrado sistematico del complesso, dovuto ad usura e parziale abbandono, cui si è sovrapposto infine il seppellimento di materiale vulcanico, che non si è tuttavia depositato uniformemente e direttamente sulle strutture abitative, ma le ha in parte colmate, in parte ricoperte dopo che un interro di terreno vegetale e di materiale frammentato le aveva già in parte nascoste. Si riconosce infatti uno strato vulcanico spesso circa 15 cm., costituito per lo più da pomici grigio verdognole poco soffiate e ricche di cristalli, che sfuma verso l’alto in un orizzonte cineritico grigio molto compatto, ben visibile soprattutto nella metà nord dell’area di scavo e nella parte sud. Nel tratto centrale, nella cui stratigrafia si legge un ampio avvallamento, questo strato dalla tessitura caotica è misto a materiale ceramico e frammenti calcarei arrotondati, verosimilmente trascinati sul posto dalle alture circostanti in momenti successivi all’eruzione, forse durante una delle alluvioni che contribuirono, sul finire dell’età imperiale, all’abbandono di Nola (fig. 5 e 6).
4Si potrebbe ipotizzare, quindi, che il complesso sorto sul finire dell’età repubblicana, abbia risentito gli effetti dell’eruzione del 79 d.C. che provocò nella regione crolli e danni12 ; dopo i restauri realizzati intorno al II d.C., che non mutarono l’originaria destinazione degli ambienti, parte almeno della villa subì trasformazioni radicali intorno alla fine del IV sec. o inizi del V sec. d.C. in coincidenza forse con le agevolazioni concesse da Onorio e Arcadio per esortare le popolazioni, fuggite a causa dell’eruzione del 395, a tornare nelle terre abbandonate13. Durante la seconda metà del V sec. e in concomitanza con l’avanzata dei Vandali di Genserico (455), subentrati dopo quaranta anni alle scorrerie dei Goti di Alarico (410), la villa fu forse gradualmente abbandonata e fu poi in parte coperta dall’eruzione del 472. L’evidenza archeologica non consente di pensare ad una eruzione precedente per la presenza di materiale ceramico databile al V sec. d.C. su pavimenti ancora in uso, o scarsamente ricoperti da terreno humificato. Stando ai dati attualmente disponibili è difficile dire se le strutture della villa di via Saccaccio abbiano subito danni dall’eruzione del 203 d.C. durante la quale, secondo la testimonianza di Dione Cassio14, i boati si sarebbero uditi fino a Capua. Al di sopra dello strato eruttivo del V sec. si rinvennero, durante gli scavi del 1981, i resti di strutture in opera incerta di fattura assai scadente, databili ad età alto medievale, assolutamente indipendenti, in quanto a orientamento, da quelle di epoca romana, dalle quali erano separate da un interro di circa m. 0,80, il che comprova l’obliterazione totale dei livelli di età romana e la rifrequentazione delle stesse zone, completamente alterate da fattori naturali, in epoca più tarda.
5Saggi recenti nella stessa zona, ad una cinquantina di metri più ad ovest della villa, hanno riportato in luce resti di ambienti con pavimenti a mosaico databili alla prima età imperiale. I resti - conservati qui in condizioni migliori di quelle della villa per quanto riguarda i pavimenti15, peggiori invece per le pareti, data la loro scarsissima altezza - si trovano a circa 1 m. più in alto dei piani pavimentali della villa, e diversa è la stratigrafia del seppellimento per il minore spessore dello strato humificato - solo m. 0,75 contro i m. 1,30 misurati nell’area della villa - al di sopra dello strato durissimo e compatto, di materiali vulcanici di risedimentazione alluvionale spesso m. 0,7016.
6In altre zone di Nola, ricadenti nell’attuale area urbana, in occasione di brevi indagini di scavo si sono potute riscontrare situazioni stratigrafiche differenti tra loro anche a brevi distanze, accomunate tutte però dalla presenza del già ricordato strato alluvionale duro e compatto di spessore variabile tra 1 m. e 1,60, al di sotto dell’humus, associato ad un ancora più variabile, per spessore e presenza, strato di pomici. Si è potuto osservare, ad esempio in saggi effettuati in via Anfiteatro Laterizio, nella zona nord-occidentale della città che lo strato di pomici è totalmente assente; mentre lo si trova in strati ora di 30 ora di 15 cm. in Traversa Foro Boario a 100 m. più a N in linea d’aria; ancora assente in via Circonvallazione lo abbiamo ritrovato con spessore variabile tra i 25 e i 50 cm. nella quasi perpendicolare via Feudo 500 m. più a SW sul fronte W della trincea effettuata nel corso di saggi che hanno riportato in luce un ulteriore tratto della strada basolata di età romana già individuata negli scorsi anni17.
7I saggi in via Anfiteatro Laterizio, che hanno portato al recupero di una piccola parte della necropoli preromana hanno confermato quanto già osservato in passato circa la collocazione delle sepolture arcaiche in uno strato di ceneri vulcaniche miste a pomici bianche di ridotte dimensioni, strato che si sovrappone per lo spessore di circa m. 0,50 al banco di lapillo derivato da un’eruzione preistorica del Somma, (eruzione c.d. di Avellino)18. E’ da ricordare, infine, per quanto riguarda l’area della villa che saggi effettuati nella sua parte più settentrionale, sotto un pavimento di I sec. a.C., hanno messo in evidenza uno strato di pomici grige, ceneri e minuto lapillo spesso 10 cm., derivante da caduta, ben rappresentato nella regione NE del Somma-Vesuvio, dove compare costantemente al di sopra del grosso livello eruttivo preistorico dell’età del Bronzo antico e di cui la cronologia è oggetto di recenti indagini19.
8Spostandoci più a S, quindi ancora più prossimi al Vesuvio, abbiamo potuto riscontrare situazioni diverse da quella nolana e diverse fra di loro, pur trovandosi i due centri nei quali si sono effettuate ricognizioni, S. Anastasia e Palma Campania, all’incirca alla stessa latitudine e alla distanza di solo 12 Km l’uno dall’altro.
9Nella prima delle due cittadine, in località Alveo Pollena sulle pendici N del Somma sono stati individuati i resti di due ville (?) di età romana. Della prima si distingue parte delle strutture in opera mista (opera incerta con ricorsi di laterizio) databili al I sec. d.C. anche per il tipo di ceramica che si può raccogliere sul pendio della collina in perfetto allineamento con le predette strutture colmate da materiale vulcanico riferibile al 79 d.C. (fig. 6). Della seconda, sul versante opposto, sono stati individuati i resti della cella vinaria, distrutta da lavori agricoli. Tra i numerosissimi frammenti di dolii e di tegole è leggibile il bollo rettangolare M. ACILIVS. AM che trova precisi confronti a Pompei ed è databile alla seconda metà del I sec. d.C.20. Anche questa seconda villa sembra abbia cessato di esistere con l’eruzione del 7921.
10A Palma Campania invece, dopo gli interessanti ritrovamenti di materiale dell’età del Bronzo avutisi nel 197222, nel dicembre 1982 c’è stata un’altra scoperta di tutt’altro genere ma ugualmente significativa ai fini della documentazione dell’attività del Vesuvio in epoca antica. In occasione dei lavori di raddoppio della linea ferroviaria Cancello-Avellino sono tornati alla luce, in località Ponte Tirone, i resti dell’acquedotto Augusteo, ben noto attraverso i monumentali avanzi presenti in più località del suo lungo e variato percorso23. L’interesse del rinvenimento è legato anche alla chiara evidenza della stratigrafia vulcanica che è stato possibile leggere ai lati del poderoso monumento che in questo tratto presenta due spechi paralleli24 (fig. 7). Le fondazioni di ambedue i condotti sono state realizzate nel banco di lapillo - che risale alla grande eruzione preistorica nota come l’eruzione ”di Avellino” ed è alto in questa zona m. 2,80, - per la profondità di m. 1,60 e si trovavano nel terreno vegetale ancora per m. 1,90 (fig. 8). I due condotti, quello nord in opera reticolata, quello sud in opera laterizia presentano evidenti interventi di manutenzione e consolidamento effettuati in epoche successive a quella di costruzione, determinati forse anche dalle conseguenze dei fenomeni sismici e vulcanici del I sec. d.C. Il condotto nord fu forse messo fuori uso dall’eruzione del 79, probabilmente più per i danni causati dal terremoto che la accompagnò che non per il seppellimento di materiale eruttato che, a giudicare dalla stratigrafia non lo ha minimamente ricoperto25. L’assenza di incrostazioni calcaree all’interno di questo condotto confermerebbe l’ipotesi di una breve utilizzazione dell’impianto, sostituito da quello parallelo, di analoghe dimensioni, realizzato in opera laterizia con copertura a doppio spiovente, pozzi quadrangolari di aereazione e contrafforti a scarpa sul lato esterno e all’interno verso il condotto più antico26 (fig. 9, 10, 11).
11Al di sopra del lapillo del 79, che si interrompe per la presenza del monumento, evidentemente emergente tanto da non esserne ricoperto, si legge uno strato humificato di ca. 60 cm., il che conferma la continuità di vita nella zona almeno per altri quattrocento anni, segue poi ancora uno strato di lapilli di 20 cm. che ricopre, anche se di poco, il monumento. Nel V secolo, quando cioè nel 472 l’eruzione del Somma-Vesuvio colpi le regioni vesuviane, l’acquedotto era già quasi totalmente interrato e rimarrà poi totalmente sepolto sotto i successivi accumuli di terreno vegetale ai quali si sovrapporranno ancora materiali vulcanici dalle eruzioni di epoca moderna, in particolare quella del 1631.
12Una prima considerazione che sembra potersi fare alla luce dei dati archeologici sino ad ora emersi è che le conseguenze dell’attività eruttiva del Somma-Vesuvio sui centri del suo versante settentrionale sono state assai notevoli nel raggio di 5 Km. in direzione nord (S. Anastasia, Somma Vesuviana)27, di una certa portata nel raggio di 12 Km. verso est (Palma Campania)28 e meno gravi via via che ci si allontana verso nord (Nola, dove la vita e l’economia sembrerebbero non essersi interrotte a causa degli eventi del 62 e del 79 d.C.). Sembra piuttosto che li dove non c’è stata interruzione di attività a causa degli eventi vulcanici della seconda metà del I sec. d.C., durante i secoli successivi, in particolare il II e il III sec., la vita abbia continuato con tranquillità secondo uno standard medio, probabilmente inferiore a quello mantenuto fino alla metà del I sec. d.C. senza grossi interventi di costruzione o di restauro che avrebbero determinato fosse di scarico, rialzi di piani pavimentali o grossi «butti» di materiale ceramico, assolutamente non individuati almeno a giudicare da quanto sino ad ora esplorato.
13Sono anzi da approfondire i motivi che hanno determinato, come anche in altre zone, la scarsissima presenza di materiale di quei due secoli. Più che ad un abbandono di Nola e del suo territorio tra il II e il III sec. d.C. - abbandono per altro non testimoniato dalle fonti, - si potrebbe pensare ad un adeguamento della sua economia alle mutate situazioni politiche che portarono, come è noto, allo spostamento verso le province del baricentro della vita dell’impero29, con un conseguente calo del tenore dell’economia nell’Italia meridionale in cui particolarmente le zone agricole dell’interno tornarono ad essere caratterizzate dal latifondo.
14Ancora molto c’è da fare nel nolano e per quanto riguarda lo studio dei dati sin qui acquisiti e per quanto riguarda la prosecuzione dei lavori di scavo già avviati con l’acquisizione di nuovi elementi, ma già utile è stato, grazie anche ai dati vulcanologici stabilire che dobbiamo cercare in cause diverse dai fenomeni eruttivi i motivi che determinarono la lenta graduale scomparsa di Nola dal II sec. d.C. in poi, dal novero dei grandi centri dell’antichità.
Notes de bas de page
1 Definita per brevità «area nolana», comprende in realtà i comuni ad est di Pomigliano d’Arco più Somma Vesuviana e S. Anastasia rimaste alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta dopo l’istituzione della nuova Soprintendenza Archeologica di Pompei che comprende le zone vesuviane costiere e meridionali.
2 Il rinvenimento iniziale fu dovuto all’esecuzione dei cavi per la posa in opera del collettore di depurazione del Golfo di Napoli a cura della Cassa per il Mezzogiorno; intervenne immediatamente la Soprintendenza, in particolare S. De Caro nel settembre 1978 e E.M. Menotti nel 1981, delle cui relazioni di scavo mi avvalgo per quanto riguarda le fasi iniziali delle indagini.
3 Il primo degli ambienti individuati (I) presenta il pavimento di cocciopesto con ornato di tessere bianche che delineano una rete di esagoni; sulla sua parete E rimaneva parte dello zoccolo dipinto nel c.d. IV stile (pannelli rossi con piante); l’ambiente IV è pavimentato in mosaico bianco delimitato da due fasce nere con tessere di 0,5 cm. di lato, e sulle pareti S ed E restava lo zoccolo nero con piante e uccelli (distaccato come il precedente e ora custodito a Pompei), gli ambienti VII e IX erano mosaicati al pari di altri ambienti individuati nell’autunno 1983 e non ancora completamente esplorati. Mentre però in questi ultimi i piani musivi sono completamente conservati, negli altri le tessere sono state totalmente asportate e ne rimangono pochissimi esemplari sotto le pareti perimetrali o le impronte nel nucleus.
4 Il corridoio III che presenta il pavimento in semplice battuto di tufo, gli ambienti VIII, XII e XIII che lo hanno in semplice cocciopesto non sembrano infatti, ambienti di servizio.
5 Ulteriori indagini cui si accennerà più avanti e recentissime individuazioni di livelli pavimentali sempre nella stessa area a sud del Lagno di Quindici - area certamente extraurbana anche in antico, per la sua dislocazione parallela ai monumenti funerari noti come Torricelle - farebbero piuttosto pensare ad una situazione analoga a quella che si riscontra a Pompei al di fuori di Porta Ercolano, con ville residenziali (Villa di Cicerone, di Diomede, delle Colonne a mosaico) assai prossime alla città e a una delle sue necropoli. L’area in questione viene inoltre a trovarsi a circa 700 m. più a W di via Feudo dove è stata individuata una delle porte urbiche dell’antica Nola.
6 Il vano tra l’amb. IV e il VII presenta una evidente riduzione di luce da m. 1,80 e m. 0,80 circa, con la realizzazione dello stipite N in opera vittata a blocchetti di tufo addossato al precedente stipite e sovrapposto alla soglia di calcare.
7 Il pavimento dell’amb. IX poggia su di un riempimento contenente frammenti di intonaco dipinto secondo i modi del IV stile pompeiano.
8 Il grande amb. XIV con le pareti N ed E in opera listata di tufo utilizza come parete W un precedente muro in opera reticolata di grossa pezzatura, mentre la parete S è in opera incerta di rozza fattura e con uso abbondante di malta per la cementazione dei cretoni di calcare bianco, L’impluvio XVIII (o una vasca?) situato nell’angolo NE dello scavo è tagliato da un muro nella stessa grossolana opera listata utilizzata nell’amb. XIV. Non è stato ancora completamente liberato dall’interro, per cui al momento non è possibile dire se si tratta di una trasformazione del predetto impianto per riutilizzarlo, o piuttosto di una sua obliterazione per disuso. Nella parte S dello scavo, che si spera di poter ampliare, sono appena stati individuati, ma non scoperti del tutto, un pozzo e vasche ancora in opera listata di tufo e con rivestimento interno di frammenti ceramici, realizzati in immediata adiacenza a pavimenti in mosaico bianco e nero databili alla metà del I sec. d.C.
9 Si tratta di un gruppo di monete di bronzo di peso variabile tra gr. 0,76 e 1,92/2,15 su alcune delle quali è stato possibile individuare la leggenda e attribuirle pertanto al regno di Costantino (306-337) (D/busto di Roma a sin. con elmo crestato VRBS ROMA, R/lupa a sin. che allatta i gemelli, sopra due astri, in esergo lettere incerte) e di Costanzo (353) (D/busto dell’imperatore a dex. e DN CONSTANTIVS PF AVG, R/imperatore stante a sin. nell’atto di trafiggere il nemico caduto FEL TEMP REPARATIO). Una moneta di bronzo di gr. 1,22 riferibile al 518-527 (Giustino I) o 527-565 (Giustiniano I) (D/leggenda non decifrabile, busto dell’imperatore a dex. con diadema e paludamento, R/V in corona di alloro). Ringrazio Teresa Giove di tali letture e interpretazioni. Per quanto riguarda la ceramica si rinvengono scarsi frammenti di sigillata chiara D mentre numerosi sono quelli pertinenti a tipi e forme ancora poco noti che trovano però confronti con pezzi di recente rinvenuti a Napoli. In particolare una casseruola di produzione locale con fondo convesso ed orlo ingrossato all’interno, forse una lontana versione della forma Hayes 23, è confrontabile con pezzi da Napoli (scavo Gerolamini 1984) rinvenuti in un grosso strato databile in base alla sigillata chiara alla metà del IV sec. d.C. e con altri esemplari da Capua ed Atella. Intorno al III secolo è databile invece un’anfora tunisina cosi detta "africana piccola” della quale resta il collo con l’orlo e bollo incuso CAVS.T, riscontrato, quest’ultimo, per ora solo ad Ostia ove la provenienza non fu accertata (B. Palma e C. Panella, Anfore, Le Terme del Nuotatore, Ostia I, Studi Miscellanei, 13, 1968, p. 111 e tav. XLVII, n. 603). (Per la forma cfr. F. Zevi, A. Tchernia, Amphores de Byzacène au bas-empire, Antiquités Africaines, 1969, pp. 173-214). Più significativa è la presenza di brocche e zuppiere parzialmente dipinte in rosso o bruno, tipi che in Campania non sembrano anteriori alla metà del V sec., e di una classe di piccole brocche di argilla rossiccia, levigate a stecca che a Napoli (scavi Carminiello ai Mannesi 1983) appaiono in contesti databili a partire dalla metà del V fino almeno agli inizi del VI sec. d.C..
Ringrazio Paul Arthur che con paziente disponibilità è stato generoso di chiarimenti e precisazioni per quanto riguarda il materiale ceramico.
10 Nell’area fino ad ora liberata dall’interro, m. 20 x 30 circa, si è rinvenuto solo un frammento di monopodio a pilastrino scanalato di calcare, un frammento di elice di capitello di tufo e in terracotta due frammenti di antefissa, uno di fregio figurato e uno di un monopodio da giardino.
11 Oltre ai resti di pitture già ricordati negli ambb. I e IV sono state trovate tracce di pannelli bianchi con bordo verde nell’amb. V e due frammenti di m. 1,18 x 1,27 e 1,07 x 1,41 con zoccolo e scompartì gialli e riquadri prugna e nero sulla parete E dell’amb. XII, parte dello zoccolo nero con tirsi e motivi geometrici sulla parete W dell’amb. XIV, resta infine parte dello zoccolo nero a pannelli e della zona mediana rossa della decorazione dipinta sulla parete S dell’amb. XVI parzialmente scavato.
12 Ricordiamo a tal proposito due iscrizioni relative al restauro di un tempio (?) tetrastilo e del teatro danneggiati dal terremoto. L’una attualmente custodita nel cortile del Municipio di Nola, IMP. TITVS. CAESAR DIVI.VESP (asiani aug)/PONT.MAX.TRIB.POTEST.X.IMP.XVII.C(os. VIII p.p. censor restituit); l’altra, già smarrita all’epoca del Mommsen (CIL X, 1264) respuBLICA NOlanorum/THEATRVM/collapSVM RESTituit/refeCTIS COLVmnis/marMORIBVSque/....
13 Cod. Theod., XI, 28,2 (395 Mart. 24) Impp. Arcad. et Honor. aa. dextro P.P. - Quingenta viginti octo milia quadraginta duo iugera, quae Campania provincia iuxta inspectorum relationem et veterum monumenta chartarum in desertis et squalidos locis habere dinoscitur, isdem provincialibus concessimus et chartas superfluae discribtionis cremori censemus. Dat. VIIII Kal, Aprii. Med(iolano) Olybrio et P. Probino Conss., Ed. Th. Mommsen - P.M.Meyer, Berlino, 1905, p. 617.
14 Xifilin. nel compendio al LXXVI lib. della Hist. Rom. di Dio. Cass. parlando del decimo anno di regno di Settimio Severo: Per eos dies explenduit in monte Vesuvio ignis maximus tantique mugitus extitere ut Capuam usque audirentur.
15 Restano infatti i mosaici di almeno quattro ambienti: il più settentrionale bianco bordato da due fasce; il secondo verso S nero con tappeto centrale con scaglie e piastrelle di marmi policromi bordato di due fasce bianche e soglia verso N con losanghe a lati concavi; del terzo a fondo nero resta la soglia verso E, a fondo bianco con losanga a lati concavi delineata in nero entro un quadrato e tagliata da una colonna in muratura di tufo; del quarto, infine, resta parte del bordo a due fasce nere in campo bianco.
16 C’è ancora da rilevare come nell’ambito della medesima trincea si siano potute riscontrare variazioni di stratigrafia con assenza del livello eruttivo tipico del 472 d.C. nella parte N più prossima al lagno di Quindici, e variazioni del suo spessore (dai 25 ai 40 cm.) nella parte S dove è più consistente la presenza delle ceneri nei suoi livelli sommitali.
17 Atti del XXI Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto, 1981, Napoli, 1982, p. 338.
18 C. Albore Livadie, A propos d’une éruption préhistorique du Vésuve: contribution à la recherche sur l’Âge du Bronze en Campanie, La Regione sotterrata dal Vesuvio, Atti del Convegno Internazionale 11-15 novembre 1979, Napoli, 1982, p. 866.
19 Si veda in questo stesso volume il contributo di C. Albore Livadie, G. D’alessio, G. Mastrolorenzo, G. Rolandi. Ringrazio quest’ultimo per le indicazioni di carattere vulcanologico.
20 Identico testo con cursus inverso come su questo frammento si trova su un mattone da via Nocera (Pompei, Inv. 11399), altri esemplari analoghi dalle Terme Centrali e dalla Villa Pisanella (fondo De Prisco) attualmente a Pompei. Tra gli altri frammenti di sigillata campana è da ricordare il fondo di una coppetta con il bollo CARM.
21 La successione stratigrafica messa in evidenza dai lavori agricoli rivela, al di sopra di un livello eruttivo ascrivibile al V sec. d.C., l’eruzione del 79 d.C. che si presenta con un livello di pomice fall di circa 20 cm., cui si sovrappone un livello di prodotti di base-surge, dello stesso evento eruttivo, spesso oltre 3 m. alla cui forza di trascinamento al suolo può essere imputata la distruzione del complesso.
22 C. Albore Livadie, L. D’Amore, Not. Scavi, 1980, pp. 59-101.
23 I. Sgobbo, Serino. L’acquedotto romano della Campania: «Fontis Augustei Aquaeductus », Not. Scavi, 1938, p. 75 ss. L’iscrizione presentata dallo Sgobbo conferma pienamente la vitalità di Nola in età costantiniana.
24 Brevi cenni descrittivi di questo acquedotto, individuato nella zona di Sarno, in O. Elia, Un tratto dell’acquedotto detto Claudio in territorio di Sarno, Campania Romana I, Napoli, 1938, p. 191 ss.
25 L’eruzione pliniana del 79 è riconoscibile nella sottile fascia chiara che si ferma a metà altezza della fiancata N dello speco in opera reticolata (a dex. nella foto).
26 Ci si riserva di dare in altra sede una più ampia e particolare descrizione del monumento, una volta completato lo scavo del tratto individuato, lungo circa 20 m. e perfettamente conservato nelle strutture murarie diversamente dai tratti rimasti sempre in vista nel corso del tempo.
27 Nota fin dagli anni ’30 di questo secolo è la presenza a Somma Vesuviana in località La Starza della Regina di un grosso edificio pubblico (?) sepolto dall’eruzione del 79 d.C. riconosciuta nel compatto banco di ceneri alte fino a 6 m., che ingloba le strutture di questo e di altri complessi architettonici individuati nella zona.
28 Nel centro abitato di Palma Campania sono state ritrovate sepolture in anfore e in tombe alla cappuccina databili al IV sec d.C. collocate al di sotto di uno strato di lapillo spesso circa 40 cm.
29 Non si sono ancora rinvenute a Nola anfore tardo-antiche, presenti invece in notevole quantità a Napoli, a Ischia ed a Capua, ad eccezione della già ricordata anfora tunisina. Lo scavo di un lembo della necropoli preromana in via S. Massimo, ai limiti occidentali della città moderna, condotto quando questo lavoro era già in bozza, conferma quanto osservato a proposito della collocazione delle tombe - sia a fossa (fine VII-V sec. a.C.) che a cassa (IV sec. a.C.) - in uno strato eruttivo diverso e successivo a quello di ”Avellino” da collocarsi certamente per quanto riguarda Nola prima della metà del VII sec. a.C. probabilmente nel corso della piena età del bronzo (Ndr: si tratta certamente dell’eruzione B, v. art. di C. Albore Livadie, G. D’Alessio, G. Mastrolorenzo, G. Rolandi in questo stesso volume). Altre ceramiche comunque attestano attività fino ad almeno la fine del V e gli inizi del VI sec. d.C. (Cfr. n. 9).
Auteur
Soprintendenza Archeologica delle Province di Napoli e Caserta
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Magali Cullin-Mingaud
2010
Le ravitaillement en blé de Rome et des centres urbains des début de la République jusqu'au Haut Empire
Centre Jean Bérard (dir.)
1994
Sanctuaires et sources
Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte
Olivier de Cazanove et John Scheid (dir.)
2003
Héra. Images, espaces, cultes
Actes du Colloque International du Centre de Recherches Archéologiques de l’Université de Lille III et de l’Association P.R.A.C. Lille, 29-30 novembre 1993
Juliette de La Genière (dir.)
1997
Colloque « Velia et les Phocéens en Occident ». La céramique exposée
Ginette Di Vita Évrard (dir.)
1971