Le eruzioni del Somma-Vesuvio in epoca protostorica
p. 55-66
Note de l’éditeur
(pl. XXVIII-XXXII)
Texte intégral
1Nella regione del Somma-Vesuvio si rinvengono i prodotti di due distinte attività esplosive intercalati a quelli delle eruzioni di Avellino e di Pompei (Lirer et al. 1973). I prodotti di queste ultime due eruzioni, come è noto, sono distribuiti su di una vasta area sotto forma di orizzonti uniformi di pomici bianche e grigie, verso N-NE in direzione di Avellino (Pomici di Avellino) e verso Sud in direzione di Castellammare di Stabia (Pomici di Pompei).
2Fino ad ora non vi sono state in letteratura esaurienti descrizioni di attività nel periodo intercorrente tra queste due grosse eruzioni.
3Rittmann (1933-1950) e Rittmann e Ippolito (1947) avevano però segnalato la presenza di prodotti dovuti ad una forte eruzione che aveva ricoperto l’area occupata dall’attuale cittadina di S. Marzano. Essi avrebbero seppelliti manufatti e deposizioni funerarie che gli scavatori delle necropoli sarnesi datavano intorno all’VIII sec. a.C. Sulla scorta di tali osservazioni, avanzarono l’ipotesi che i prodotti della sottostante eruzione di pomici bianche e grigie, da essi denominati «Pomici di S. Marzano», («Pomici di Avellino» di Lirer et al. 1973), fossero stati eruttati nel XII secolo a.C. e che l’eruzione che sigillava le tombe era all’incirca coeva al materiale rinvenuto.
4Più recenti osservazioni sulle serie stratigrafiche associate a nuovi dati archeologici hanno indotto ad una migliore definizione del numero di eventi, delle tipologie eruttive, nonché ad una più accurata valutazione cronologica degli eventi stessi.
L’attività eruttiva del Somma-Vesuvio e le fonti antiche
5Che il Somma-Vesuvio sia stato una volta un vulcano attivo era noto agli Antichi.
6Tranne il babilonese Berosos, le cui dubbiose cronache riportano remote eruzioni del Vesuvio (vedi Appendice), sembra che gli Autori antichi ignoravano quanto addietro nel tempo risalissero le ultime manifestazioni del vulcano.
7Vitruvio (II, 6) riferisce che per tradizione sapevasi ai suoi tempi che fosse stato ignivome una volta; Strabone (V, 247) non sa essere più preciso. Pertanto appare di notevole importanza l’evocazione, sebbene fugace, di tali remoti eventi che troviamo in Diodoro (IV, 21; V, 71), nella quale affiorano utili elementi di valutazione cronologica (vedi Appendice).
8Si rileva innanzitutto il carattere naturalistico del toponimo «flegreo» spiegato in relazione ai fenomeni vulcanici in una stretta logica di accostamento a «φλέγω». In altri termini, Diodoro ci induce a pensare che questo nome fu dato all’intera pianura campana, quando il Vesuvio era ancora attivo e che le sue manifestazioni giustificavano tale denominazione. Anche se non allude al vulcano, nel ricordare che una volta così si chiamava la regione di Capua e di Nola, Polibio (Hist. II, 17; III, 91) già si riallacciava evidentemente a tale tradizione. Ma quando fu dato questo nome?
9Un utile elemento di valutazione cronologica scaturisce dalla parola stessa di «Flegreo» che è connessa, in Calcidica come a Cuma, alla Gigantomachia cosmica: indica infatti la piana in cui si sarebbe svolto lo scontro degli Dei e di Eracle contro i Giganti. E’ noto che ambedue i territori sono stati colonizzati dagli Eubei; appare dunque assai verosimile che la localizzazione del mito ed il nome stesso della Pianura siano opera loro.
10E’ possibile valutare quando questo avvenne? Forse già nei primi tempi dell’avventurosa impresa euboica nei mari occidentali, quando stabilitisi a Pitecusa i Greci della Grande Isola guardavano al territorio campano stupiti di ritrovare in alcuni luoghi aspetti familiari — o più tardi nel momento della colonizzazione vera e propria dell’area costiera con la fondazione di Cuma. Non vi è dubbio, infatti, che dopo la distruzione dell’abitato indigeno che si arroccava con l’acropoli sulla cupola trachitica, il mito della lotta contro il Caos poteva presentarsi come un momento propagandistico alquanto necessario e la presenza euboica voler apparire come «apportatrice di ordine e di civiltà in ambiti prima dominati dal disordine e dalla violenza dei mitici Giganti» (Valenza Mele 1979).
11Mancano, però, nelle fonti antiche testimonianze precise di catastrofici eventi del Vesuvio come nel caso delle eruzioni dell’Epomeo ad Ischia (Strab., V, 248). Pertanto solo un’attenta indagine sul territorio attorno al Vesuvio poteva rivelare nelle stratigrafie conservate in scavi profondi, i segni di tali manifestazioni eruttive.
12A tale scopo sono state compiute dagli Autori di questa nota una serie di ricognizioni nelle cave situate alle falde del Vesuvio che mettono chiaramente in evidenza i prodotti di due distinte eruzioni intercalati tra i livelli di pomici dell’eruzione di Avellino e quindi dell’eruzione del 79 d.C.
Stratigrafia e distribuzione dei prodotti
13Nel settore di N-NE dell’apparato del Somma-Vesuvio, costantemente, in sovrapposizione alla formazione delle «Pomici di Avellino», è osservabile un orizzonte piroclastico scuro (orizzonte A) costituito da una serie di livelli di pomici intervallati da altrettanti livelli cineritici di colore grigio scuro (figg. 1, 2, 3).
14Gli orizzonti pomicei, a loro volta evidenziano l’andamento ritmico degli atti esplosivi mostrando una tendenza alla stratificazione, dovuta anche alla intercalazione di livelli più sabbiosi. Gli elementi principali sono costituiti da pomici poco vescicolate, con spigoli vivi, talora subarrotondati, contenenti fenocristalli di biotite, le cui dimensioni massime sono di alcuni cm., e le densità sono quasi sempre maggiori di 1g.-cc.
15Alle pomici sono associati xenoliti litici costituiti da frammenti lavici, cristalli sciolti di feldspato e biotite, mentre non si rinvengono xenoliti del substrato sedimentario calcareo-dolomitico.
16I livelli cineritici intercalati si presentano con tessitura massiva, e talora contengono concentrazioni di pisoliti di dimensioni di qualche mm. omogeneamente distribuite per l’intero spessore.
17Gli spessori totali dell’orizzonte A sono variabili. Nei dintorni del centro eruttivo, sono massimi a Terzigno e assai minori verso Ottaviano. Verso Est, nell’antistante pianura diminuiscono sensibilmente; a Sarno si rinviene un piccolo livello di 20 cm., ma in questa località pedemontana intervengono probabilmente anche fenomeni erosionali.
18Nel settore di S-E, in località Passanti (Terzigno), si rinvengono, immediatamente a letto della formazione delle «Pomici di Pompei», i prodotti di questa consistente attività eruttiva formata, per uno spessore di metri 6, da una sequenza di livelli di ceneri cui si alternano altri di pomici, in prima ipotesi da porre in relazione con l’attività che ha originato i prodotti dell’orizzonte A (fig. 4).
19In tali depositi sono individuabili, infatti, livelli da caduta simili a quelli dell’orizzonte A per caratteristiche strutturali; si distinguono inoltre, associati ai livelli da caduta, altri livelli cineritici, con granulometria variabile da fine a media grossolana, da massima a ondulata.
20Nella stessa località la formazione di Pompei presenta la facies da «surges piroclastico» sovrapposta alla facies da «fall» (figg. 4, 5 a, b).
21Le analisi granulometriche eseguite sui prodotti di questa eruzione e le relative variazioni con la distanza dal centro eruttivo permettono di dedurre la presenza di una componente da «fall» (fig. 6), a cui si associa una consistente componente freatomagmatica ben rappresentata nella zona di Terzigno.
22L’esistenza di un’attività successiva alla precedente, i cui prodotti vengono indicati in questo lavoro come orizzonte B, è comprovata dai rapporti stratigrafici relativi ai due eventi, oltre che dai rapporti più generali con le eruzioni di Avellino e di Pompei.
23Tale orizzonte B è costituito da una sequenza di livelli pomicei intercalati a più sottili livelli cineritici. Le analisi granulometriche relative ai livelli pomicei per i diversi affioramenti sono mostrati in fig. 6.
24E’ evidente un caratteristico andamento unimodale con bassa deviazione standard, indizio di un origine da «fall».
25Nella zona di Ottaviano si rinviene una successione completa, comprensiva, a partire dalle pomici di Avellino alla base, dei prodotti delle due attività protostoriche (A e B) e culminanti a tetto con le pomici di Pompei.
26Questo assetto stratigrafico è in realtà poco diffuso nella zona ad Est del Somma-Vesuvio in quanto come è noto i prodotti delle eruzioni di Pompei ed Avellino presentano assi di dispersione di 90 gradi, sicché ad una dispersione verso N-NE dell’una (Pomici di Avellino) si contrappone una dispersione verso S-SE dell’altra (Pomici di Pompei) (Lirer et al., 1973).
27Esiste in pratica solo una stretta fascia di territorio situata nelle zone prossime dell’apparato, individuabile tra Ottaviano (Loc. Zabatta) e S. Anastasia, dove è possibile osservare la sovrapposizione in successione stratigrafica dei prodotti di queste due distinte eruzioni.
28La stessa cosa accade per i prodotti (A e B) delle due eruzioni prese in considerazione nel presente lavoro, per cui in definitiva, in poche località della porzione di territorio presa in esame (come ad esempio ad Ottaviano), è possibile rinvenire la successione stratigrafica completa dei prodotti ascrivibile alle quattro eruzioni (fig. 1).
29I prodotti dei due orizzonti A e B mostrano, inoltre, una diversità di composizione chimica, come viene mostrato nella tabella 1.
30Sulla base delle osservazioni fin qui riportate si rileva dunque la presenza, tra i due grandi eventi di «Avellino» e di «Pompei», di prodotti riferibili a due distinte attività esplosive che si sono distribuiti prevalentemente nel settore orientale dell’apparato, secondo assi di dispersione diversi, il cui probabile andamento viene schematizzato nella fig. 7.
L’età delle due eruzioni
31Non sono state effettuate datazioni dirette sui prodotti dei due atti eruttivi descritti. Essi risultano, come si è detto, intercalati tra i proventi delle «Pomici di Avellino» e quelli del 79 d.C.
32L’eruzione delle pomici di Avellino è stata attribuita da Rittmann al XII sec. a.C. in base al terminus ante quem imposto dalla cronologia delle tombe a fossa di S. Marzano (Rittmann 1933). Infatti le tombe di questa necropoli, scavate immediatamente al di sopra dello strato eruttivo, erano fatte risalire al momento dei primi rinvenimenti, per quel che riguarda le deposizioni più antiche, ad un periodo compreso tra il XII sec. a.C. ed il IX e VIII sec. a.C. (Patroni 1901). Ma l’approssimativa datazione dell’evento alla fine del secondo millennio — ancora accettata da alcuni (Imbò, 1984) — oramai non è più attendibile. Dati recenti, infatti, (Alessio et al., 1974; Delibrias et al., 1979) indicano, per il paleosuolo posto a letto di tale livello eruttivo, un’età 14C di 3870 e 3760 B.P. Nei pressi di Palma Campania, il rinvenimento di materiali archeologici attribuibili ad un momento maturo dell’antica età del Bronzo (Albore Livadie - d’Amore, 1980) ed altri ritrovamenti coevi appartenenti alla stessa facies (Albore Livadie, 1982), trovati sepolti dall’eruzione delle «pomici di Avellino» confermano che tale evento ebbe luogo intorno al 1800 a.C. (14C.).
33Ciò significa che i due atti eruttivi descritti possono essere posti in un intervallo temporale che va da questa ultima data fino al 79 d.C.
34Appariva dalla rilettura di rinvenimenti archeologici fatti in passato nella piana vesuviana che fosse possibile limitare entro un intervallo cronologico più ristretto le date di queste due eruzioni ed addirittura valutare in termini storici le possibili conseguenze dell’attività vulcanica del Somma sugli insediamenti protostorici della regione. In particolare gli scavi condotti nei primi anni del secolo nella necropoli di S. Marzano e di S. Valentino e nelle discusse «palafitte» della regione sarnese sembravano poter offrire elementi di notevole precisione. Era stata infatti notata da chi conduceva l’esplorazione archeologica, la presenza costante di «uno strato di lapillo che ricopriva tombe riferibili ad un’età non posteriore ai primi secoli della colonizzazione greca». La situazione stratigrafica sembrava non lasciare dubbi.
35«Questo strato incominciava a circa tre metri sotto l’attuale livello e per uno spessore di circa mezzo metro ricopriva il più antico piano di campagna dove si trovarono, a quanto pare, tracce della coltivazione. E sotto questo più antico piano di campagna, a meno di mezzo metro di profondità furono trovate alcune tombe che contenevano la suppellettile arcaica» (Pais, 1908).
36Così Pais poteva concludere sull’esistenza di «una eruzione del Vesuvio posteriore all’arrivo dei coloni ellenici, molto anteriore d’altra parte a quella storica del 79 d.C. che distrusse Pompei e danneggiò tanta parte della Campania». Quest’opinione, però, non era condivisa da tutti ed in particolare dal Patroni, primo indagatore della valle del Sarno, che riteneva «in verità non facile ad ammettere che, in un’epoca in cui le colonie greche della costa avevano già alcuni secoli di vita, ed attivo era il commercio con gli indigeni, un simile cataclisma si sarebbe potuto produrre senza lasciar traccia di sé nelle tradizioni storiche» (Patroni, 1909).
37Anche se questo lapillo, poiché «di color nerastro», era «diverso affatto da quello degli strati superiori, che si nota in tutta questa vallata», ed al dire del Pais non poteva «essere confuso con quelli della nota eruzione pliniana di Pompei» — quest’ultima eventualità non era del tutto scartata da chi pure si era occupato di scavi nella valle del Sarno e muoveva gravi dubbi sull’interpretazione scientifica della recente esplorazione (Patroni, 1909) e chiedeva, in ultima analisi, ai vulcanologi di pronunciarsi sulla realtà dell’evento eruttivo (Patroni, 1911).
38A vanificare ogni perplessità, comunque, sembrava giungere decisiva la testimonianza autorevole nonché attenta del noto archeologo tedesco F. von Duhn (von Duhn, 1910). Infatti egli riferiva che «quando nell’estate 1903 in un punto della Piana del Sarno meridionale, a due ore da Pompei, si cominciarono gli scavi, furono trovate tombe di una popolazione autoctona che, a giudicare dai reperti, erano state chiuse all’incirca tra l’800 e non oltre il 700 a.C. Al di sopra di esse fu trovato un solido strato di pietra pomice, poi uno spesso strato di cenere, al di sopra un terreno fertile; tutto ciò senza traccia di presenza umana, poi di nuovo uno strato di pietra pomice, al di sopra di nuovo cenere e terra e poi numerosi resti di un insediamento romano appartenente al periodo successivo alla distruzione di Pompei. La conclusione era chiara: una densa e pacifica popolazione abitava fittamente la zona, ancora nell’VIII secolo a.C., quando all’improvviso la montagna guastò la loro tranci ha dato notizia. I sopravvissuti erano sopraffatti dallo spavento, nessuno osò tornare. Solo 800 anni più tardi l’uomo ritorna dopo che aveva avuto luogo anche la seconda eruzione cioè la grande eruzione pompeiana. Si comprende che là dove erano avvenute simili catastrofi, i Greci colonizzatori ad Ischia, preferivano evitare la montagna terribile, che si era già fatta sentire con questi violenti segni di vita. Essi si sentivano più tranquilli a Kime che ai piedi del Vesuvio nel golfo di Napoli». Nel suo lavoro del 1924 appare ormai come un dato acquisito che tutte le tombe dell’area sarnese (Striano, S. Marzano, S. Valentino) giacciano sotto uno strato di ceneri e di lapilli da riferire ad un’eruzione vesuviana ignorata dagli autori antichi (von Duhn, 1924).
39L’idea di una catastrofe che avesse tanto determinato con le sue conseguenze dirette e indirette lo svolgere della storia campana non mancò di attrarre gli archeologi. Poco attenti alla reale distribuzione dei prodotti piroclastici dell’eruzione che aveva sepolto i paesi della valle del Sarno, inclusero nelle conseguenze della stessa immane catastrofe, aree assai periferiche come Ischia e Cuma. Nell’isola, la catastrofe vulcanica avrebbe causato la distruzione del villaggio di Castiglione, ed a Cuma avrebbe ricoperto le sepolture elleniche con ampio manto pomiceo (Mustilli, 1961).
40La datazione dell’eruzione era comunque strettamente conseguente all’età delle ultime deposizioni di S. Marzano che venivano inquadrate con una certa approssimazione al VII sec. a.C. (Pais, 1908; Patroni, 1909), intorno all’800-700 a.C. (von Duhn, 1910), all’VIII sec. a.C. (Mustilli, 1961).
41La realtà di tale evento veniva successivamente autorevolmente confermata dal vulcanologo Rittmann, che a seguito di sopralluoghi fatti nella stessa cava Samengo dove erano state esplorate le tombe all’inizio del secolo, concludeva che «l’attività del terzo periodo del Somma recente terminò del tutto diversi secoli a.C. dopo che una delle sue ultime eruzioni, probabilmente laterale, seppellì i manufatti dell’VIII sec. a.C. presso l’attuale S. Marzano» (Rittmann - Ippolito, 1947). Egli riprende tali analisi nel 1950 nel suo noto articolo sull’eruzione vesuviana del 79 attribuendo addirittura a questa eruzione la decapitazione del monte con largo slabbramento verso il lato SE ο E, così come appare nelle pitture pompeiane (Rittmann, 1950).
42Le differenti datazioni intorno alle quali oscillava questa eruzione richiedevano però una più attenta valutazione della situazione stratigrafica delle tombe sarnesi. Gli scavi in corso in questi mesi a Striano ed a San Valentino a cura rispettivamente delle Soprintendenze di Pompei e di Salerno hanno fornito agli autori di questa nota una opportunità in tal senso.
43Si è potuto, nel corso di varie ricognizioni, osservare come sopra tutte le tombe sia ben visibile uno spesso livello pomiceo biancastro di 50 cm. di spessore. Questo corrisponde però all’eruzione del 79 d.C., il che sembrerebbe rendere giustizia alle perplessità del Patroni (Patroni, 1909) e smentire definitivamente le precedenti ricostruzioni del Pais, di von Duhn ed altri.
44Al di sotto di questo livello eruttivo e di un livello agricolo venuto a formarsi successivamente alla fine della necropoli, le tombe protostoriche ed arcaiche si presentano affossate in uno spesso strato di ceneri umificate di circa 60 cm. corrispondenti alla parte terminale dell’eruzione A.
45Alcune sepolture poggiano su uno strato sabbioso nero di pomici piccolissime appartenente ai momenti iniziali di tale eruzione, mentre quelle più profonde poggiano sullo strato pomiceo grigio-biancastro dell’eruzione di Avellino. Le tombe non sono in nessun modo ricoperte dall’eruzione A.
46L’evento A andrebbe dunque necessariamente inquadrato tra l’eruzione avvenuta nel corso del Bronzo antico (eruzione di Avellino) e la fine del IX sec. a.C., data alla quale risalgono le più antiche tombe.
47Materiale archeologico ben datato proveniente da scavi effettuati in livelli profondi nella regione ad Est dell’apparato vesuviano poteva restringere ulteriormente l’intervallo di tempo in cui era avvenuta l’eruzione più antica (A).
48A Samo, nel corso dello scavo dell’insediamento preistorico (località Anfiteatro), si sono individuate tracce di questa eruzione (Tab. 1). L’orizzonte sabbioso cineritico che le appartiene contiene materiale di impasto genericamente attribuibile all’età del Bronzo avanzato - prima età del ferro (Marzocchella in questo volume). Troppo poco ancora per pronunciarsi sulla data dell’evento.
49A Pompei, però, si poteva sperare di rilevare nelle sequenze stratigrafiche elementi di ordine cronologico tali da precisare i termini inferiori o superiori dell’eruzione. Nell’area degli scavi, i livelli piroclastici sono ben rappresentati; Rittmann sembra averli individuati in alcuni pozzi dove vari strati di ceneri presentavano caratteristiche proprie dell’eruzione A. Il pozzo scavato nel 1930 nel cortile della Casa dei Vasi di Vetro (poi reinterrato) e quello presso Porta Vesuvio hanno restituito tra i livelli di pomici del 79 d.C. e quelli delle pomici di Ottaviano uno strato di ben 50 cm. di ceneri e sabbia (Rittmann, 1933) riportato nelle stratigrafie da Luongo e Rapolla (1964) posto immediatamente sotto le pomici del 79 d.C.
50Analoghi livelli sono stati rilevati dall’Eschebach nel corso di più sondaggi nella cittadina vesuviana (Eschebach, 1976). Purtroppo mancano del tutto probanti elementi di datazione. Di maggior significato si rivela invece il compatto strato piroclastico (20-40 cm. circa) che è stato rinvenuto nei saggi eseguiti nel giardino della Casa di Lucrezio Fronto (V, 4, 11) a Pompei nel 1972 (Brunsting, 1975) e nel 1974 (Wynia, 1982). Ricopre un paleosuolo antropizzato contenente frammenti d’impasto dell’età del Bronzo. Brunsting segnala nel terreno sovrastante il livello eruttivo un frammento di ceramica attica a figure nere datata al 515 da F.L. Bastet, che costituisce inequivocabilmente un terminus ante quem per l’eruzione in oggetto.
51Il terminus post quem è fornito invece dal materiale d’impasto genericamente inquadrato all’età del Bronzo dagli scavatori. In base a queste evidenze S.L. Wynia data tale evento «dopo la fine dell’età del Bronzo». Anche se la maggioranza dei frammenti rinvenuti sono poco significativi (si tratta per lo più di frammenti di olla con cordone orizzontale con impressioni digitali, di vari labbri rovesci, di una presa a linguetta di olletta) andrebbero comunque, per la presenza tra di loro di un manico verticale a nastro piatto, con estremità inspessita di tipo c.d. protoappenninico B (fase recente), riferiti al momento di passaggio alla media età del Bronzo (Wynia, 1982, fig. 2, 2 fila a destra).
52Allo stato attuale della documentazione sembrerebbe che l’intervallo di tempo in cui potrebbe essere avvenuta l’eruzione A sia dunque compreso tra l’avanzato XVI sec. a.C. (limite più comunemente accettato per la seconda fase del protoappeninico B) ed un momento ancora da valutare del Bronzo recente o finale.
53Queste considerazioni potrebbero essere suffragate dai dati presentati nel lavoro di Rosi e Santacroce (questo volume). Questi autori riportano la descrizione di prodotti, rinvenuti in una cava nei pressi dell’abitato di Terzigno, compresi tra le eruzioni di Avellino e di Pompei, molto simile a quella dei prodotti da noi indicati come eruzione A; questi prodotti, in particolare, poggiano su di un paleosuolo datato 3000 B.P., cioè in anni veri tra 1405 e 935 a.C. (secondo le tabelle di calibrazione del Gruppo di Tucson).
54L’eruzione B interessa invece essenzialmente l’area a N-E del Somma-Vesuvio. Non ha investito la regione dei villaggi indigeni di S. Marzano e di S. Valentino. Non possiamo dunque usare i dati delle necropoli per stabilire un termine cronologico all’eruzione.
55Utili elementi stratigrafici e cronologici provengono, però, dagli scavi archeologici eseguiti in tempi diversi nell’area nolana.
56Già, nello scavo della necropoli in proprietà Ronga (1937) il livello corrispondente all’eruzione B era stato annotato dall’attento assistente N. Testa, come «strato 4 poco uniforme costituito da pozzolana con sabbia o pozzolana con granelli di lapillo». Questo strato era posto immediatamente a tetto dello «strato 5 di lapillo bianco», corrispondente, senza dubbio, all’eruzione delle pomici di Avellino e conteneva le «urne cinerarie, le tombe a coppi ed a cappuccina» del periodo sannitico (Bonghi Jovino-Donceel 1961).
57Recenti indagini nella necropoli arcaica (scavi Livadie 1973 - scavi Sampaolo 1984) confermano in tutto tali osservazioni.
58L’eruzione B, successiva alla A, è pertanto precedente alla fine del VII sec. a.C., data delle più antiche sepolture nolane, di cui possediamo dati stratigrafici precisi. Resta, tuttavia, da precisare ulteriormente il termine cronologico superiore del periodo durante il quale è potuta avvenire tale eruzione.
Conclusioni
59L’infittimento del rilevamento vulcanologico dell’area del Somma-Vesuvio ed il confronto dei dati vulcanologici acquisiti, integrati con nuovi dati di carattere archeologico ha permesso di approfondire le conoscenze sull’attività del Somma-Vesuvio precedente all’eruzione del 79 d.C. limitatamente al periodo protostorico. Tali informazioni appaiono di particolare interesse soprattutto quando si considera il carattere di elevata esplosività degli eventi eruttivi che generavano i depositi piroclastici individuati.
60Nel corso del II millennio si sono avute tre grosse eruzioni del Somma-Vesuvio che hanno interessato il settore orientale di questo apparato: l’eruzione delle pomici di Avellino che in termini di cronologia assoluta ha avuto luogo intorno all’inizio di tale periodo, l’eruzione A che va inquadrata tra 1045 e 935 a.C., ed infine l’eruzione B che si originò prima del VII sec. a.C.
61Come è noto gli elementi essenziali nell’analisi del rischio eruttivo per un’area di vulcanismo attivo sono infatti: la magnitudo, la tipologia eruttiva, il periodo di ricorrenza. Nell’analisi interdisciplinare effettuata si sono definiti proprio questi elementi se pur con delle inevitabili approssimazioni.
62In relazione all’aspetto energetico, le tre eruzioni sopracitate, a carattere esplosivo, presentano un’energia in progressiva diminuzione, come appare dal confronto delle mappe di dispersione dei rispettivi prodotti.
63Riguardo alla tipologia eruttiva, sia l’eruzione di Avellino che l’eruzione protostorica A sono caratterizzate da eventi pliniani e freatomagmatici; quest’ultima componente non sembra invece presente nell’eruzione protostorica B. Infine, sotto il profilo della valutazione del periodo di ricorrenza, al di là di quanto conosciuto fin’ora, cioè che tra le eruzioni di Avellino e di Pompei sarebbe intercorso un periodo di inattività di circa 2.100 anni, i dati presenti in questo lavoro consentono un notevole abbassamento di tale periodo di ricorrenza, valutabile mediamente intorno ai 500 anni.
64Da tale analisi, in conclusione, appare evidente l’elevata frequenza di eventi esplosivi di discreta magnitudo per il Somma-Vesuvio e quindi la necessità di un ulteriore infittimento delle indagini al fine di una più precisa caratterizzazione dei cicli eruttivi che porti alla comprensione della dinamica interna del sistema eruttivo attraverso la definizione della sua evoluzione temporale, con ricaduta sia in un discorso strettamente vulcanologico sia nel contesto dell’analisi del rischio per le persone e per le cose.
65Un approccio di questo tipo può, inoltre, essere di supporto ad un’analisi di carattere storico-ambientale qualora si considerino gli effetti sugli insediamenti umani di eventi esplosivi di tale entità. Se ci sfugge del tutto l’atteggiamento e la strategia difensiva dell’Uomo antico davanti a queste due eruzioni, alquanto arduo ci risulta, senza dati archeologici probanti, il valutare le implicazioni economiche. Sappiamo, però, che i tempi per la ripresa di attività agricole in occasione di grossi eventi ed in ambienti culturali primitivi risultano estremamente lunghi e complessi e che la deposizione di pochi centimetri di piroclasti implica un ritardo nella ripresa delle attività agricole di decenni (Walker, 1977).
66Il fatto che i due depositi analizzati abbiano spessori nelle zone prossimali di alcuni metri comporta certamente che gli eventi eruttivi in questione hanno potuto indurre all’abbandono delle zone limitrofe al vulcano. Il carattere distruttivo dovuto all’accumulo di notevoli spessori di piroclasti in queste stesse zone è stata compensata da una distribuzione areale dei prodotti non eccezionalmente estesa. Si è dunque trattato di un fenomeno regionale, limitato geograficamente, ben lungi dal cataclisma generale, che è stato ipotizzato da alcuni storici ed archeologi, e che avrebbe messo in causa tutta l'intelligenza di questa regione all’inizio della colonizzazione euboica (von Duhn, 1910, Mustilli, 1961).
67Si ringraziano per la collaborazione i dottori L. Rota e A. Marzocchella (Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento), A. D’Ambrosio (Soprintendenza Archeologica di Pompei) e V. Sampaolo (Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta).
68Inoltre, siamo grati alla dott.ssa R. Munno per le analisi chimiche effettuate alla microsonda elettronica in dotazione all’Università di Cagliari ed al prof. L. Lirer (Dipartimento di Geofisica e di Vulcanologia dell’Università di Napoli) per la lettura critica del manoscritto.
69Questo lavoro è stato eseguito nel quadro della convenzione di ricerca tra l’URA 18 del CNRS e il Dipartimento di Geofisica e di Vulcanologia dell’Università di Napoli.
Bibliographie
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Annexe
APPENDICE. FONTI STORICHE RELATIVE AD UNA REMOTA ATTIVITÀ DEL SOMMA-VESUVIO
Berosos, lib. V, Antiquitates.
Anni del Mondo 2106.
Eo tempore, idest anno penultimo Aralis septimi Regis Assiriorum, Italia in tribus locis arsii multis diebus, circa Istros, Cymeos et Vesuvios e vocata sunt illa loca Palensana, idest regio conflagrata.
A quei tempi, cioè nel penultimo anno di regno di Arabo, settimo re degli assiri, l’Italia arse in tre luoghi per numerosi giorni, nei dintorni di Istros, di Kyme e del Vesuvio; questi luoghi sono chiamati Palensana [...], cioè regione abbruciata.
L’evento risalirebbe al 1787 a.C. secondo la ricostruzione cronologica del Padre Saliano. È suggestiva la coincidenza con le datazioni attribuite all’eruzione delle pomici di Avellino.
Il brano è ripetutamente riportato, a partire dal seicento con questa paternità dagli storiografi del Vesuvio (vedi G.C. Braccini, Dell’incendio fattosi a XVI di dicembre M.DC.XXXI e delle sue cause, ed effetti, Napoli, 1632, cap. II, p. 4; F. Balzano, L’antica Ercolano ovvero la Torre del Greco tolta all’oblio, Napoli, 1688, terzo libro, cap. 6, p. 95, ecc.), ma la cronaca è certamente detratta da Annio da Viterbo (1432-1502), il quale fa nelle Antiquitates frequenti richiami a Berosos caldeo (IV sec. a.C.), dei cui brani riportati sembra, però, essere stato spesso autore (cf. G. Baffioni, P. Mattiangeli, Annio da Viterbo; documenti e ricerche, Contributi alla Storia degli Studi Etruschi ed Italici-1, CNR, 1981, in part. pp. 61-62).
Vitruvius Pollio, De Architectura, II, 6 (morto nel 26 a.C.)
Non minus etiam memoratur antiquitus crevisse ardores et abundavisse sub Vesuvio Monte, et inde evomuisse circa agros flammam: ideoque nunc qui spongia sive pumex Pompeianus vocatur, excoctus ex alio genere lapidis in hanc redactus esse videtur generis qualitatem.
Si narra parimenti, essersi anticamente acceso il fuoco sotto il Vesuvio, e bollendo essersi versato inondando le vicine campagne; onde quella pietra che si chiama ora spugna, o sia pomice Pompeiana, pare che sia stata un’altra sorta di pietra ridotta poi dal fuoco a questa qualità.
(Trad. Berardo Galiani).
Diodorus Siculus, Bibliotheca Historica, IV, 21. (I sec. a.C.)
Μυϑολoγῡσιν ...ὠνομάσϑαι δὲ ϰαὶ τò πεδίον τοῦτο ϕλεγϱαῖον ἀπò τοῦ λόϕου τοῦ τò παλαὶον ἄπλατον πῦϱ ἐϰϕυσῶντος παϱαπλησίως τῇ ϰατά τὴν Σικελίαν Αἲϑν ϰαλεῖται δὲ νũν ὂ λόϕος ’Ουεσούουιος, ἔχων πολλὰ σημεῖα τοῦ ϰεκαῦσϑαι ϰατὰ τοὺς ἀϱχαίους χϱόνους.
In questa medesima campagna Flegrea anchora chiamata, da un colle il qual a guisa d’Etna di Sicilia, fuoco gettando, si chiama hora Vesuvio, che perfino a hoggi riserva dell’antico fuoco molti vestigi.
(Trad. Francesco Baldelli).
Strabo, Geographica, V, 246-247. (ca. 64 a.C.-21 d.C.)
Ἐχόμενον δὲ ϕϱούσιόν ἐστιν Ηϱάϰλειον ἐϰϰειμένην εἰς τὴν ϑάλατταν ἄϰϱαν ἔχον, ϰαταπνεομένην λιβὶ ϑαυμαστῶς ὥσϑ’ ὗγιεινὴν ποιεῖν τὴν ϰατοιϰίαν. ’Οσϰοι δὲ εἶχον ϰαὶ ταύτην ϰαὶ τὴν ἐϕεξῆς Πομπηίαν ἥν παϱαϱϱεῖ Σάϱνος ποταμός, εἶτα Τυϱϱηνοὶ ϰαὶ Πελασγοί, μετὰ ταῦτα δὲ Σαυνῖται: ϰαὶ οὗτοι δ’ ἐξέπεσον ἐϰ τῶν τόπων. Νώλης δὲ ϰαὶ Νουϰεϱίας ϰαὶ Αχεϱϱῶν, μωνύμου ϰατοιϰίας τῆς πεϱί Κέμωνα, ἐπίνειόν ἐστιν ἧ Πομπηία, παϱὰ τῷ Σάϱνῳ ποταμῷ ϰαὶ δεχομένῳ τὰ ϕοϱτία ϰαὶ ἐϰπέμποντι. ὗπέϱϰειται δὲ τῶν τόπων τούτων ὄϱος τὸ Ὀυεσούιον, ἀγϱοῖς πεϱιοιϰούμενον παγϰάλοις πλὴν τῆς ϰοϱυϕῆς αὕτη δ’ ἐπίπεδος μὲν πολὺ μέϱος ἐστίν, ἄϰαϱπος δ’ὅλη, ἐϰ δὲ τῆς ὄψεως τεϕϱώδης, ϰαὶ ϰοιλάδας ϕαίνει σηϱαγγώδεις πετϱῶν αἰϑαλωδων ϰατὰ τὴν χϱόαν, ὥς ἂν ἐϰβεβϱωμένων ὑπò πυϱός, ὥς τεϰμαίϱοιτ’ἄν τις τὸ χωϱίον τοῦτο ϰαίεσϑαι πϱότεϱον ϰαὶ ἔχειν ϰϱατῆϱας πυϱός, σβεσϑῆναι δ’ ἐπιλιπούσης τῆς ὕλης. τάχα δὲ ϰαὶ τῆς εὐϰαϱπίας τῆς ϰύϰλῳ τοῦτ’αἴτιον, ὥσπεϱ ἐν τῇ Κατάνη, ϕασί, τὸ ϰατατεϕϱωθὲν μέϱος ἐϰ τῆς σποδοῦ τῆς ἀνενχτείσης ὑπὸ τοῦ Αἰτναίου πυϱὸς εὐάμπελον τὴν γῆν ἐποίησεν. ἔχει μὲν γὰϱ τὸ λιπαῖνον ϰαὶ τὴν ἐϰπυϱουμένην βῶλον ϰαὶ τὴν ἐϰϕέϱουσαν τοὺς ϰαϱπούς πλεονὰζουσα μὲν οὖν τῷ λίπει πϱὸς ἐϰπύϱωσιν ἐπιτηδεία, ϰαϑάπεϱ ἡ ϑειώδης πᾶσα, ἐξιϰμασϑεῖσα δὲ ϰαὶ λαβοῦσα σβέσιν ϰαὶ ἐϰτέϕϱωσιν εἰς ϰαϱπογονίαν μετέβαλε. συνεχὲς δέ ἐστι τῇ Πoμπηίᾳ τὸ Συϱϱεντὸν τῶν Καμπανῶν, ὅϑεν πϱόϰειται τὸ Ἀϑήναιον, ὅ τινες Σειϱηνουσσῶν ἀϰϱωτήϱιον ϰαλοῦσιν.
Vi è poi la fortezza di Ercolano su un’eminenza che si estende verso il mare, dove meravigliosamente spira il libeccio, sì da rendervi salutare la residenza. La occupavano i Volsci, come anche la contigua Pompei, presso cui scorre il fiume Sarno; dopo (le conquistarono) i Tirreni ed i Pelasgi, quindi i Sanniti. Anche costoro furono ricacciati da questi luoghi. Pompei, nei pressi del fiume Sarno, dove si ricevono ed inoltrano mercanzie, è il porto di Nola e di Nocera e di Acerra, sede omonima di quella nei pressi di Cremona. Sovrasta questi luoghi il monte Vesuvio, ricoperto di bellissimi campi, tranne che in cima. Questa è per lo più piana, tutta sterile, cinerea all’aspetto e presenta dirupi cavernosi e di roccia combusta lungo la costa come fosse stata avvolta dal fuoco, tanto che si potrebbe pensare che questo luogo sia dapprima bruciato ed abbia avuto bocche di fuoco, quindi si sia spento per mancanza di materiale. Verosimilmente è questa la causa della feracità del circondario. Allo stesso modo, a Catania, dicono, la cenere prodotta dal fuoco dell’Etna rese fiorenti di viti la terra. La fertilità è sia nella terra bruciata sia in quella coltivata. Proprio per questa sovrabbondanza di umori è facile all’incendio, come ogni cosa sulfurea, inaridita, spenta e fatta polvere si converte in terra fertile. Poco lontano da Pompei c’è Sorrento città dei Campani: da qui si dirama l’Ateneo, che alcuni chiamano promontorio delle Sirenuse.
(Trad. Guarinus Veronensis et Gregorius Tiphernas).
Auteurs
Cnrs - Ura 18 (Napoli) Dipartimento di Geofisica e di Vulcanologia - Università di Napoli
Cnrs - Ura 18 (Napoli) Dipartimento di Geofisica e di Vulcanologia - Università di Napoli
Cnrs - Ura 18 (Napoli) Dipartimento di Geofisica e di Vulcanologia - Università di Napoli
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