L’attività del Somma-Vesuvio precedente l’eruzione del 1631: dati stratigrafici e vulcanologici
p. 15-33
Note de l’éditeur
(pl. I-IX)
Texte intégral
INTRODUZIONE
1La vita di un vulcano poligenico supera di molto la lunghezza dell’intervallo di tempo coperto dalla documentazione storica. Anche nei casi più favorevoli, ed il Vesuvio è tipicamente uno di questi, quando il vulcano è situato in un’area abitata sin dagli albori della civiltà, la storia documentata o tramandata oralmente copre soltanto una parte molto ridotta dell’attività del vulcano. I metodi ed i dati usati nella ricostruzione della storia eruttiva del Somma-Vesuvio sono quindi necessariamente diversi in funzione della presenza e della attendibilità di documentazione diretta.
2Tre periodi “storici” possono essere distinti. Il più antico ed il più lungo di tali periodi è quello che precede la famosa eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei: la ricostruzione dell’attività deve essere basata esclusivamente su dati di tipo geologico l.s.. Del secondo periodo, compreso tra il 79 ed il 1631 d.C., è disponibile una documentazione disomogenea, largamente incompleta e spesso di problematica interpretazione: i dati storici devono essere controllati ed integrati con dati stratigrafici e determinazioni radiometriche di età. Il periodo più recente (1631-1944) è nel complesso ben documentato; la ricostruzione della storia e del comportamento eruttivo del vulcano devono essere essenzialmente basati sulla raccolta, l’interpretazione e l’omogeneizzazione dei dati storici.
3In questo articolo viene presentata una revisione dei dati geologici e vulcanologici relativi ai primi due periodi “storici” dell’attività del Somma-Vesuvio, integrata con numerosi dati origini i. Il quadro che ne emerge risulta abbastanza completo ed attendibile nell’intervallo di tempo più recente, fino cioè al 1800 a.C. circa (eruzione delle pomici di “Avellino”).
4Dell’attività più antica è stato possibile riconoscere soltanto gli episodi eruttivi principali (e questo soltanto fino a 17.000 anni or sono) ed il quadro vulcanologico appare solo parzialmente confrontabile con quello relativo all’attività più recente.
TIPI DI ATTIVITÀ
5Durante la sua lunga vita il Somma-Vesuvio è stato caratterizzato da una attività eruttiva estremamente variabile, con uno spettro continuo compreso tra modeste eruzioni effusive e catastrofiche eruzioni esplosive. Tre principali tipologie eruttive possono essere distinte (Santacroce, 1983):
eruzioni principalmente effusive di dimensioni moderate (formazioni di coni di scorie e scorrimento di colate di lava);
eruzioni esplosive di dimensioni medie (tipo l’eruzione del 1631 o quella del 472 d.C.);
eruzioni catastrofiche, esplosive, di grandi dimensioni tipo “Pompei”.
6Il periodo più recente dell’attività del vulcano è stato caratterizzato da una attività semipersistente, relativamente tranquilla (fontane di lava, emissione di gas e vapore dal cratere centrale) frequentemente interrotta da periodi di totale quiescenza, mai superiori ai sette anni di durata. Eruzioni effusive in genere assai modeste si sono talora verificate all’interno dei periodi di attività semipersistente. Eruzioni più importanti hanno invece costantemente rappresentato l’episodio conclusivo dei diversi brevi cicli di attività individuati dai periodi di quiescenza. Grandi quantità di ceneri e lapilli, grosse bombe e brandelli di lava fluida vengono violentemente elettati dal cratere centrale ed accompagnano l’effusione di colate laviche moderatamente fluide: tali lave talora vengono emesse da coni di scorie eccentrici apertisi improvvisamente sui fianchi del vulcano. Lo scorrimento di colate di fango di dimensioni in genere modeste lungo i valloni radiali che tagliano le pendici del Monte Somma è un fenomeno comune durante queste eruzioni, soprattutto quando, in seguito probabilmente a moderati fenomeni di interazione tra acqua freatica e magma, grandi quantità di cenere vengono prodotte e, accumulandosi sui fianchi del vulcano, possono essere rimobilizzate dalle piogge torrenziali che a queste eruzioni sempre si accompagnano.
7Prodotti riferibili ad una attività di questo tipo possono essere riconosciuti non solo nelle colate laviche del Monte Somma (con una età superiore ai 17.000 anni) e nelle lave degli ultimi secoli, ma anche in alcuni coni di scorie eccentrici ed in rare colate intercalati nei prodotti piroclastici relativi all’attività compresa tra 17.000 anni b.p. ed il 1631.
8L’assenza di colate laviche provenienti dal cratere centrale tra i depositi piroclastici che ammantano le pendici del Monte Somma è stata interpretata da Delibrias et al. (1979) come dovuta alla presenza della barriera morfologica del Monte Somma, l’inizio della cui formazione tali Autori fanno risalire a 17.000 anni or sono.
9Gli eventi eruttivi di scala intermedia si sono verificati meno frequentemente; soltanto tre casi sicuri sono segnalati negli ultimi 3.800 anni. La messa in posto di nubi ardenti e di “surges” caratterizza questo tipo di eruzioni durante le quali le colate di fango (“lahar”) sono comunissime e spesso di dimensioni notevoli. In zone topograficamente accidentate la distribuzione delle nubi ardenti è controllata dalla morfologia ed il loro scorrimento è canalizzato dalle principali valli; su morfologie piane o non incise esse si espandono invece laminarmente. Il meccanismo di formazione di questi prodotti è legato al collasso gravitativo di una colonna esplosiva (Sparks e Wilson, 1976): l’effetto di barriera operato dalla parete calderica del Monte Somma ha una efficacia legata all’altezza alla quale si verifica il collasso della nube eruttiva ed è in genere, per eventi di questo tipo, abbastanza limitato. Un deposito di caduta aerea costituito in genere da materiale pomiceo rappresenta tipicamente l’episodio iniziale di questa tipologia eruttiva.
10L’eruzione di Pollena del 472 d.C., descritta da Rosi e Santacroce (1983), può essere presa come esempio tipico. A questo tipo di comportamento eruttivo deve essere ricondotta anche l’eruzione del 1631 che aprì il periodo recente dell’attività del Vesuvio. Tale eruzione è stata fino ad oggi descritta come una eruzione mista, esplosiva-effusiva, e questo sulla base della classica ricostruzione effettuata da Le Hon (1865).
11Un’accurata revisione delle cronache contemporanee (Braccini, 1632; Giuliani, 1632) e dettagliate ricerche di terreno hanno in realtà dimostrato l’assenza di colate laviche connesse a questa eruzione, caratterizzata invece dallo scorrimento di devastanti nubi ardenti (Rosi e Santacroce, in stampa).
12Le grandi eruzioni esplosive tipo Pompei hanno scala ed effetti catastrofici. Cinque episodi di questo genere sono stati riconosciuti negli ultimi 17.000 anni. Le caratteristiche generali di questa tipologia eruttiva sono costituite da una fase iniziale pliniana della durata di diverse ore (caduta di grandi quantità di pomici e litici lungo traiettorie controllate dalla direzione dei venti alle alte quote) seguita dalla devastante messa in posto di “surges”, di colate piroclastiche, di uragani di fango e di lahar (Sheridan et al., 1981).
13La successione di eventi durante eruzioni di questo tipo può essere ricondotta alla ricostruzione ed alla interpretazione che dell’eruzione del 79 d.C. hanno fatto, sulla base di dati storici e vulcanologici, Sheridan et al. (1981) e Sigurdsson et al. (1982). Una valutazione del rischio enorme che tali eruzioni oggi comporterebbero è deducibile dal lavoro di Rosi, Santacroce e Sheridan (1981).
IL PERIODO DI ATTIVITÀ PRECEDENTE L’ERUZIONE DEL 79 d.C.
14Come ben noto il Somma-Vesuvio è un vulcano centrale complesso costituito da: 1. uno stratovulcano più vecchio (Monte Somma) la cui attività terminò con un collasso calderico sommitale, e 2. da un cono più recente, il Vesuvio, cresciuto all’interno della caldera ed a più riprese distrutto e riedificato. L’età dell’inizio dell’attività non è perfettamente nota. Il pozzo geotermico Trecase 1 (Bernasconi et al., 1981) ha incontrato lave e prodotti vulcanici fino a 1345 metri di profondità (1125 m. sotto l.m.). Su di una carota prelevata vicino alla base della formazione vulcanica è stata eseguita una misura K‑Ar che ha fornito un’età di circa 300.000 anni; tale età è in scarsa concordanza con datazioni di nannoplancton (500.000 - 1.000.000 di anni) relative a siltiti intercalate nelle vulcaniti.
15I prodotti più antichi in affioramento sono le lave che pavimentano le incisioni torrentizie più profonde che tagliano le pendici del Monte Somma e che costituiscono le pareti della caldera. Queste lave affiorano anche intorno alla base del Monte Somma sul fondo delle profonde cave aperte per l’escavazione di sabbie pozzolaniche. Tutti questi prodotti sono troppo giovani per essere datati con le metodologie K‑Ar standard, ma recentemente misure molto accurate e raffinate (Gillot, pers. com.) hanno fornito un’età di circa 20.000 anni per una colata situata alla sommità dell’impilamento lavico che costituisce la caldera del Monte Somma. Un’età di 25.000 anni è stata inoltre ottenuta da Alessio et al. (1974) su di un paleosuolo coperto da un livello pomiceo di caduta attribuito al Somma-Vesuvio rinvenuto in una cava nei pressi del paese di Codola (circa 20 Km ad ENE del vulcano).
16Questo livello copre l’Ignimbrite Campana, il deposito del terrificante ash-flow originatosi nell’area flegrea che circa 35.000 anni or sono coprì più di 500 Km2 di superficie emersa (Barberi et al., 1978).
17Come già accennato, Delibrias et al. (1979) pongono a 17.000 anni l’età di formazione della caldera del Monte Somma: è questa l’età del paleosuolo coperto dal primo deposito piroclastico (“Pomici di Base”) giacente sopra le lave del Monte Somma.
18La figura 2 riassume la successione stratigrafica generale utilizzata in questo lavoro: tale successione modifica significativamente il quadro proposto da Delibrias et al., (1979) nell’intervallo di tempo compreso tra l’eruzione delle Pomici del Lagno Amendolare e l’eruzione delle Pomici di Mercato (in accordo con Rosi, Santacroce e Sheridan, 1981). Nelle pagine seguenti vengono brevemente descritte le sezioni-tipo e sono riassunte le caratteristiche di affioramento e la distribuzione areale delle eruzioni pliniane che hanno preceduto l’eruzione del 79 d.C..
L’ERUZIONE DELLE POMICI DI CODOLA (circa 25.000 anni b.p.)
19Di questo evento sono disponibili pochissimi dati: la successione eruttiva (fig. 3) è costituita da un livello di pomici biancastre di caduta aerea sfumante verso l’alto in pomici verdastre che comunemente mostrano bande più chiare. Questo livello è intercalato nella sua parte inferiore con uno straterello massivo di ceneri fini nel quale sono riconoscibili impronte vegetali ed è ricoperto da alcuni letticelli di tufo vescicolato ricco in pisoliti. Uno strato di lapilletto nero spesso circa cinquanta centimetri chiude la sequenza eruttiva. La mancanza di sezioni stratigrafiche vicine al vulcano rende difficoltosa l’interpretazione di questa eruzione; lo strato di tufi vescicolati e pisoliti probabilmente riflette temperature di messa in posto del deposito inferiori ai 100°C e può indicare il carattere freatomagmatico dell’eruzione; lo spessore del deposito di caduta (circa 50 cm) alla distanza di circa 20 Km in direzione ESE dal vulcano suggerisce un volume di prodotti emessi approssimativamente comparabile con quello delle altre maggiori eruzioni pliniane del Vesuvio ed è compatibile con venti in quota di provenienza occidentale durante l’eruzione.
L’ERUZIONE DELLE POMICI DI BASE (circa 17.000 anni b.p.)
20In diretta copertura di un paleosuolo datato a 17.050 anni (Delibrias et al., 1979) poggiante sulle lave più giovani del Monte Somma, il deposito delle Pomici di Base costituisce l’eruzione pliniana più antica sicuramente attribuibile al Vesuvio. La sezione tipo è descritta nelle cave del Lagno Amendolare (fig. 4). Un deposito di caduta costituito da pomici bianche costituisce il primo prodotto, immediatamente coperto da un livello di scoriette nere ricco in litici lavici e seguito da un deposito sabbioso con strutture ondulate riferibile ad attività di surge. La sezione prosegue con una breccia grossolanamente stratificata contenente scarse pomici ed abbondanti litici di natura diversa (i carbonati sono abbondanti) coperta da un deposito a stratificazione incrociata di surge piroclastico, intercalato nella parte alta con livelletti più grossolani, che probabilmente rappresentano ancora depositi di surge impoveriti in materiale fine. La successione prosegue con un livello costituito da scoriette nere identico a quello presente nella parte bassa del deposito e con una spessa sequenza di cineriti massive. L’eruzione, nella sezione osservata, termina con uno spesso deposito di colata piroclastica. Le Pomici di Base mostrano quindi una sequenza pliniana abbastanza consueta per il Vesuvio (“fall-surge-flow”) ed un incremento dei litici non juvenili nei depositi di caduta procedendo dalle parti più basse verso quelle alte. La successione è tuttavia complicata dalla presenza dei due livelli di caduta costituiti da scorie nere privi di litici carbonatici. Questi strati scuri non sono intercalati con le pomici bianche, come si osserva nell’eruzione delle pomici del Lagno Amendolare (vedi più avanti), ma costituiscono depositi ben distinti ed individualizzati. È possibile che la spiegazione di ciò risieda nei meccanismi di interazione tra magma stazionante in frazionamento all’interno di una camera magmatica, e magma basico profondo periodicamente alimentante detta camera.
21Le Pomici di Base sono state identificate in pochi affioramenti: una discussione relativa alla loro distribuzione ed alle variazioni di facies è, conseguentemente, largamente speculativa. I piccoli spessori (20-40 cm) mostrati dai depositi di caduta nelle sezioni 38, 39 e 12 (situate ad una distanza variabile tra i 3 ed i 5 Km in direzione Nord dal cratere vesuviano) confrontati con i 20 cm di spessore dei medesimi livelli incontrati nella sezione 34 (circa 22 Km a NE del vulcano) suggeriscono anche in questo caso che la distribuzione dei depositi di ricaduta aerea è stata controllata da venti occidentali. Gli spessori relativamente importanti dei depositi di colata e di surge piroclastici e la presenza di brecce freatiche nelle sezioni 38 e 39 indicano inoltre l’importanza dei fenomeni di interazione tra magma ed acqua verificatisi durante questo episodio eruttivo. A tali fenomeni sono ricollegabili anche gli imponenti depositi di lahar che qui, più che in altre eruzioni vesuviane, sono tipicamente presenti.
22Eruzioni effusive di modeste dimensioni associate alla formazione di coni di scorie saldate si sono verificate nell’intervallo di tempo compreso tra le grandi eruzioni pliniane delle Pomici di Base e delle Pomici Verdoline: ciò è testimoniato dai coni di scorie sepolti e dalle colate laviche interposte tra i depositi delle due pliniane nelle cave di Pollena (n. 12 in fig. 1) e di Case Trapolino (n. 5 in fig. 1).
L’ERUZIONE DELLE POMICI VERDOLINE (circa 15.000 anni b.p.)
23Questa eruzione fu datata da Delibrias et al. (1979) a 14420 ± 160 anni sulla base dell’età di un paleosuolo sottostante a prodotti dubitosamente riferiti alle Pomici Verdoline nella sez. 39. Una seconda età 14C stratigraficamente più certa di 15.500 ± 170 anni (paleosuolo sotto i depositi di caduta di quest’eruzione nella sez. 38) è stata successivamente misurata (dato non pubblicato); l’età di 15.000 anni riportata da Rosi et al. (1981) e qui ripresa, fu mediata tra le due determinazioni.
24I depositi piroclastici riferibili a questo evento sono stati riconosciuti principalmente nel settore nordoccidentale del vulcano (sezz. 9, 12, 20, 38, 39), ove è in genere osservabile costantemente la sequenza eruttiva completa (fig. 5). In alcuni affioramenti distali nell’area compresa tra Nocera e Mugnano del Cardinale alcuni depositi pomicei di caduta sono stati dubitosamente attribuiti a questa eruzione. La consueta successione pliniana “fall-surge-flow” è una volta di più rispettata. Il colore delle pomici del deposito di caduta diventa progressivamente più scuro verso la parte sommitale della sequenza e nello stesso senso aumenta il contenuto in litici tra i quali i frammenti di rocce carbonatiche sono assai comuni. Un importante deposito di surge (un metro di spessore nella sez. 38) è intercalato tra le due principali unità di colata piroclastica, la più bassa delle quali, per il suo elevato contenuto in pomici, può essere considerata un “pumice-flow”, una caratteristica questa osservata anche nelle eruzioni di Mercato e di Pompei.
25La figura 5 mostra i cambiamenti che si verificano nella successione piroclastica lungo una direzione radiale che si estende fino a 9.0 Km NNO dal centro di emissione. Il deposito pomiceo di caduta diminuisce il suo spessore da un metro a 35 cm, mentre il livello intercalato di surge scompare alla distanza di 4.5 Km (sez. 20).
26All’aumentare della distanza dal vulcano i depositi di colata piroclastica diventano più coerenti, probabilmente in relazione ad una temperatura di messa in posto progressivamente decrescente, fino alla transizione a lahar per temperature inferiori a 100° C. Lo spessore della colata piroclastica superiore, che è quella di dimensioni maggiori, diminuisce, all’allontanarsi dal centro di emissione, in modo molto più accentuato di quanto non faccia il deposito dell’unità inferiore. Tale diminuzione di spessore marca la drastica sparizione dei grossi blocchi ed accompagna i depositi della piana.
27L’insieme di queste osservazioni relative ai depositi di colata piroclastica suggerisce alcune considerazioni di valore generale al Vesuvio. Lo scorrimento delle colate piroclastiche è infatti molto veloce lungo le forti pendenze della parte medio-alta del vulcano: in queste condizioni un sistema eterogeneo incipientemente o poco fluidizzato scorre come fluido denso lungo le incisioni vallive accompagnato da una parte alta molto più fluidizzata costituita da particelle molto fini (“ash cloud”) su cui la morfologia esercita un controllo estremamente più blando; al momento della diminuzione di pendenza connessa con l’apertura nella piana delle valli l’energia cinetica del flusso diminuisce e non è più in grado di sostenere il materiale eterogeneo poco fluidizzato: la colata diminuisce rapidamente di velocità, si raffredda e collassa parzialmente; si formano così i grossi depositi estremamente eterogenei per granulometria e caratterizzati da una distribuzione caotica dei costituenti. In breve tempo i gas condensano ed un fine fango cineritico è spremuto fuori dal deposito e si espande a ventaglio nella piana (torrenti di fango). Contemporaneamente a questo fenomeno l’ash cloud, molto più fluidizzato della colata piroclastica grossolana, prosegue nel suo cammino depositandosi su aree molto più vaste e più lontane dal centro d’emissione. Le due fenomenologie eruttive, nubi di cenere e torrenti di fango, si trovano sovente ad agire congiuntamente ed i loro depositi, soprattutto in facies distale (quando anche l’ash cloud scende al di sotto della temperatura di ebollizione), sono spesso tra loro indistinguibili.
L’ERUZIONE DELLE POMICI DEL LAGNO AMENDOLARE (circa 11.000 anni b.p.)
28I prodotti di questa eruzione sono stati riconosciuti in pochissimi affioramenti e sono datati a 11.400 ± 130 anni (Delibrias et al., 1979) sulla base dell’età di un paleosuolo sottostante a depositi dubitosamente riferibili a questo evento. La mancanza di depositi di colata e di surge piroclastici, che al Vesuvio presentano indizi di forte interazione tra acqua e magma, rendono questo episodio esplosivo, costituito esclusivamente da depositi di caduta aerea, assai peculiare (fig. 6). Tipica è anche l’assenza di materiale carbonatico tra i litici presenti nei depositi di questa eruzione. Due differenti liquidi magmatici sono stati eruttati contemporaneamente; il liquido più evoluto ha prodotto pomici bianche mentre quello più primitivo lapilli e scorie nere. L’eruzione ebbe inizio con l’emissione di pomici bianche progressivamente più scure col procedere dell’eiezione, seguita da una successione di sottili depositi nei quali i lapilli neri si rinvengono mescolati o finemente interstratificati con le pomici biancastre oppure formano livelli omogenei. Già si è accennato alla problematica posta da questi depositi magmaticamente eterogenei a proposito delle Pomici di Base: la iniezione di magma basico profondo all’interno di un serbatoio superficiale occupato da un sistema magmatico in differenziazione è un meccanismo di innesco delle eruzioni che probabilmente si è verificato con frequenza al Vesuvio e che comunque appare in grado di spiegare l’eterogeneità magmatica che compare in diverse sequenze eruttive (Santacroce, 1983) ivi compresa forse quella delle Pomici del Lagno Amendolare.
29Lo spessore superiore al metro nel deposito di questa eruzione ad una distanza di circa 23 Km ENE dalla bocca (sez. 48) è indicativa dell’ingente volume di prodotti emessi, la cui distribuzione areale sembra suggerire ancora la dominanza di venti occidentali durante l’eruzione.
L’ERUZIONE DELLE POMICI DI MERCATO (circa 7.900 anni b.p.)
30I prodotti di questa eruzione costituiscono una voluminosa sequenza piroclastica interposta tra i depositi di due episodi flegrei datati rispettivamente a 4.400 e 9.800 anni. La più giovane di queste eruzioni era stata riferita al vulcano di Astroni (Rittmann, 1950), ma un recente lavoro (Rosi et al., 1983) su basi stratigrafiche e radiometriche la attribuisce ad un centro eruttivo diverso (Agnano Monte Spina). L’eruzione più vecchia costituisce un inconfondibile orizzonte-guida (piccole pomici rosa e verdi totalmente prive di litici) ed è classicamente ascritta al vulcano di Agnano (“Pomici Principali di Agnano”).
31Le Pomici di Mercato erano da tempo state riconosciute e descritte (Johnston-Lavis, 1884) ma il nome con il quale sono ora note fu usato per la prima volta da Walker (1977); allo stesso deposito Delibrias et al., (1979) avevano assegnato il nome di “Pomici Gemelle”, mentre molto recentemente Rolandi (comunicazione orale), le descrive sotto il nome di “Pomici di Ottaviano”. E‘ chiaro che una simile proliferazione di nomi non può che generare confusione: in assenza di criteri assolutamente univoci ci sembra pertanto corretto richiamare la denominazione prima usata ed invitare all’ uso esclusivo di essa.
32L’età di questa eruzione deve essere fissata a 7910 ± 100 anni (Delibrias et al., 1979), relativa al letto del paleosuolo coperto dai suoi primi depositi. L’età di 8500 anni riportata da Rosi et al. (1981) è infatti stata ottenuta sulla parte centrale del medesimo paleosuolo ed è indicativa del lungo periodo di quiescenza che ha preceduto l’evento. Una discussione più approfondita sulla durata dei periodi di riposo si può trovare in Rosi et al. (in stampa).
33Il deposito più tipico di questa eruzione è costituito da due livelli di caduta aerea di pomici bianche, leggermente rosate nella parte centrale, (le “gemelle”) generalmente separati da un sottile deposito cineritico. Entrambi i depositi appaiono grossolanamente stratificati e questa caratteristica si accentua verso la parte alta di ciascun livello. Un terzo importante deposito di caduta, molto ricco in litici, è riconoscibile nella parte subsommitale della sequenza eruttiva; Delibrias et al. (1979) hanno considerato questo livello appartenente ad una distinta eruzione (Pomici e Proietti), ma accurate osservazioni di terreno confortate da dati chimici inediti hanno permesso di concludere (Principe et al., 1982) che esso è sicuramente riferibile alle Pomici di Mercato.
34Le sezioni più significative sono riportate in fig. 7; nelle aree di alto strutturale si rinvengono soltanto depositi di caduta e di surge piroclastico (sez. 7) mentre le paleovalli sono riempite da sequenze molto spesse di depositi di colata piroclastica intercalati saltuariamente a depositi di caduta e di surge (sez. 1 e 7). La natura di ash cloud dei depositi di surge intercalati tra i due depositi di caduta più bassi è rivelata dalla transizione laterale a depositi di colata piroclastica osservabile nella cava di Traianello (sez. 1). Secondo Walker (1977), la deposizione delle Pomici di Mercato risulta controllata da venti provenienti da Ovest: i nostri dati del complesso confermano tale indicazione (fig. 8), pur mostrando una distribuzione leggermente diversa delle curve isopache. I depositi di surge piroclastico sono molto spessi nel settore NNO del vulcano, ma la loro estensione nella piana è abbastanza limitata. In genere essi sono caratterizzati da facies planari e massive, un fatto che, secondo Wohletz e Sheridan, (1979), suggerirebbe energie di messa in posto relativamente basse. La contemporanea presenza di numerose (almeno 5) unità di colata piroclastica concentrate anch’esse nel settore settentrionale del vulcano (sezz. 1,38,41) indica che i depositi di surge sono legati a fenomenologie eruttive tipo ash cloud o ground surge (Sparks et al., 1973). Depositi massivi di surge contenenti lapilli accrezionari si estendono invece per 20-25 Km in direzione ENE fino a Mugnano del Cardinale. In numerose sezioni distali (20, 37, 46, 48) la sequenza eruttiva delle Pomici di Mercato è conclusa da tufi vescicolati che, come già accennato, possono essere interpretati come dovuti alla deposizione di fango.
L’ERUZIONE DELLE POMICI DI AVELLINO (circa 3.800 anni b.p.)
35I depositi pomicei di caduta relativi a questa eruzione pliniana sono stati distinti per la prima volta da Johnston-Lavis (1884), ma solo in tempi molto più recenti Lirer et al., (1973) hanno operato una chiara discriminazione tra questo evento e la successiva grande eruzione pliniana del 79 d.C.. I depositi pomicei delle due eruzioni sono infatti abbastanza simili, per lo meno ad una sommaria indagine di terreno; dal momento che la loro distribuzione è controllata da venti di direzione molto diversa, i prodotti di caduta aerea delle due eruzioni non si rinvengono inoltre praticamente mai insieme nello stesso affioramento. Entrambi sono caratterizzati da un cambio abbastanza brusco del colore delle pomici che da bianche alla base diventano grigie al tetto e da un elevato contenuto in litici, tra i quali i carbonati sono abbastanza abbondanti. La conoscenza della differente distribuzione areale impedisce a priori che i due depositi vengano tra loro confusi, ma diverse altre caratteristiche discriminanti sono state identificate da Lirer et al. (1973) e da Delibrias et al. (1979) (proporzioni diverse tra litici, cristalli e pomici; natura dei cristalli; chimismo delle pomici; ecc.).
36L’eruzione delle Pomici di Avellino è stata datata a 3.700-3.800 anni sulla base di età14C relative a diversi paleosuoli coperti dai suoi depositi; tale età è comunque perfettamente coerente con la presenza di ceramiche dell’Età del Bronzo antico sepolte in tali paleosuoli (Albore Livadie, 1981; Albore Livadie, 1982).
37La successione completa dei prodotti emessi può essere osservata in fig. 9. Il deposito pomiceo di caduta si estende, una volta di più, verso NE, in direzione di Avellino (fig. 10); esso mostra una classazione inversa e le pomici grigie appaiono disperse su di una superficie più ampia di quanto non siano le pomici bianche. Questi fatti indicano che l’eruzione, almeno nelle sue fasi iniziali, incrementò di vigore nel tempo. Diversamente da quanto osservato per la distribuzione delle pomici di caduta, i depositi di surge, talora molto potenti, si estendono essenzialmente in direzione ONO: spessori di 1.5-2.0 m si rinvengono infatti fino a 10-15 Km ad Ovest del vulcano mentre già da 8 Km a NE essi sono praticamente ridotti a zero (fig. 11). Intercalati nella parte alta della fitta successione di surges cineritici si rinvengono dei sottili depositi più grossolani molto ricchi in litici (abbondanti i carbonati), legati probabilmente a ricaduta aerea. I depositi di colata piroclastica sembrano assai rari nella sequenza eruttiva delle Pomici di Avellino; a San Sebastiano (sez. 22) un deposito cineritico compatto dello spessore di circa 2.5 m può dubbiosamente essere riferito ad una attività di questo tipo.
L’ATTIVITÀ DEL VESUVIO TRA LE ERUZIONI DI AVELLINO E DI POMPEI
38Depositi piroclastici ascrivibili a numerose eruzioni si rinvengono talora intercalati tra le sequenze delle due ultime eruzioni pliniane del Vesuvio. Essendo relativamente scarso il volume di magma di queste eruzioni, la continuità spaziale dei diversi depositi ad esse connessi è spesso molto carente, e ciò impedisce in genere di stabilire buone correlazioni stratigrafiche.
39Il massimo spessore di prodotti riferibili a questo periodo di attività è stato osservato in una grande cava situata sulle pendici orientali del vulcano, nei pressi dell’abitato di Terzigno (sez. 17). Circa dieci metri di piroclastiti sono intercalati tra il paleosuolo sottostante i prodotti del 79 d.C. ed un altro piccolo paleosuolo, datato a 3.000 anni, che copre un deposito di ceneri pirolitiche dell’eruzione di Avellino. Pur non essendo riconoscibili chiare evidenze stratigrafiche di interruzione dell’attività vulcanica (episodi di erosione, paleosuoli), all’interno di tale successione è possibile riconoscere sequenze deposizionali relative ad eruzioni diverse, tentativamente distinte in fig. 11.
40Un sottile livello di pomici bianche (air fall) giace sul paleosuolo datato a 3.000 anni seguito da un paio di cm di ceneri rosate, da un secondo livello di caduta costituito da piccole pomici e scoriette nere e, infine, da un secondo sottile livello cineritico. È probabile che questa sequenza rappresenti il risultato di una singola eruzione (“A” in fig. 11). Un deposito eterogeneo rimaneggiato in acqua segna una pausa nell’attività del vulcano; esso è coperto da una serie di livelli cineritici massivi, in genere ricchi in pisoliti, interrotta da un deposito di caduta (25 cm di spessore) costituito da pomicette verdi e da litici tra i quali sono presenti frammenti carbonatici (“B” in fig. 11). Al di sopra di un altro livello rimaneggiato, i prodotti della terza eruzione riconoscibile in questa sezione (“C”) sono costituiti da una serie di depositi cineritici massivi (con pisoliti) o finemente stratificati seguiti da un deposito di caduta di pomici scure (20 cm di spessore) e da un tufo vescicolato ricco in pomici, probabilmente legato alla messa in posto di una colata piroclastica “bagnata”. I depositi della quarta eruzione (“D”) sono rappresentati da prodotti genericamente ascrivibili ad attività di surge piroclastico coperti da due livelli cineritici compattati, probabile testimonianza anch’essi dello scorrimento di colate piroclastiche fangose.
41Questi primi quattro episodi eruttivi, nel loro complesso, possono essere considerati l’espressione di un’attività essenzialmente esplosiva, con volumi di magma emesso assai mal valutabili, ma nel complesso assimilabili (soprattutto l’episodio “A”) a quelli che caratterizzano le eruzioni a scala intermedia del 472 e del 1631 d.C..
42I depositi che si incontrano nella parte superiore della sezione sono significativamente differenti: si tratta di livelli scuri generalmente molto ben stratificati, costituiti da sabbie vulcaniche, piccole scorie, pomici e poca cenere, privi di intercalazioni che in qualche maniera possano suggerire lo scorrimento e la messa in posto di surges e colate piroclastiche; tali depositi testimoniano di un tipo di attività abbastanza simile a quello mostrato dal Vesuvio durante la sua storia più recente (1694-1944). La mancanza di colate laviche è evidentemente attribuibile allo sbarramento morfologico rappresentato dalla caldera del Monte Somma. Nell’area di Terzigno tale effetto è venuto a mancare a partire dal 1834 (prima colata lavica incontrata) a causa del progressivo colmamento della caldera che presenta il suo bordo più basso proprio a monte di Terzigno.
43Alcune sezioni incomplete affioranti nel settore nordorientale del vulcano (3,4,5,35) permettono il riconoscimento dei depositi relativi alle eruzioni, A, B e C di fig. 11 e suggeriscono una deposizione dei prodotti di caduta aerea lungo le direzioni NE di massima dispersione. Lungo le pendici settentrionali e nordoccidentali del Monte Somma i depositi di caduta sono sensibilmente più sottili e scarsamente correlabili con quelli della sezione 17; nella sezione 39 (fig. 11) sono riconoscibili quattro livelli di caduta separati da tre (discutibili) paleosuoli: il più basso di questi paleosuoli ha un’età l4C di 3.500 anni. I due livelli pomicei inferiori non sembrano correlabili con alcun deposito della sezione 17, mentre il terzo livello somiglia abbastanza a quello dell’eruzione “A” (pomici verdi porfiriche a biotite mescolate a scoriette scure). Il deposito superiore è riferibile al medesimo tipo di attività che originò i depositi E, F, G ad H della sez. 17.
L’ERUZIONE DI POMPEI DEL 79 d.C.
44L’eruzione pliniana del 79 d.C. (considerata l’esempio tipico di questa fenomenologia eruttiva) fu caratterizzata dall’eiezione esplosiva di enormi volumi di pomici e ceneri (approssimativamente tre Km3) in un tempo assai breve (meno di 30 ore) (Sheridan et al., 1981). La fase iniziale del fenomeno fu puramente magmatica con continue esplosioni di magma e gas e conseguente formazione di una colonna eruttiva di altezza superiore ai 20 Km, dalla quale, in un secondo tempo, si staccarono rovinose colate e surges piroclastici, assunti da Sheridan et al. (1981) quali evidenza del progressivo incremento nel tempo del carattere freatomagmatico dell’eruzione. Colate ed uragani di fango furono l’espressione distale di questa seconda fase eruttiva e, possibilmente, rappresentarono anche la fenomenologia vulcanica primaria di chiusura dell’eruzione, con caratteri, in questo caso, francamente freatici.
45La testimonianza stratigrafica più completa della sequenza di eventi di questa terribile eruzione è conservata nello scavo (sez. 16) che ha riportato alla luce una splendida villa romana (nota come “Villa di Poppea”) a Torre Annunziata (l’antica Oplontis). È questa la località alla quale si farà riferimento come sezione-tipo (fig. 12): un livello sottile di pomici bianche fonolitiche sfuma progressivamente verso l’alto in un deposito più spesso di pomici grigie la cui continuità è interrotta da tre livelli prevalentemente cineritici incrociati; la sequenza prosegue con una spessa serie di depositi “sandwave” e con due depositi di colata piroclastica il più basso dei quali è ricco in pomici. La parte superiore della sezione è costituita da cineriti massive contenenti abbondanti pisoliti.
46Questa sezione secondo Sheridan et al. (1981) rappresenta una successione di eventi eruttivi differenti: pumice-fall, base-surge, pumice-flow, ash-flow e mud-hurricane. I diversi prodotti, fatta eccezione per i surges in facies sandwave, sono caratterizzati da un progressivo decremento della granulometria (fig. 13) e della temperatura di messa in posto.
47La sequenza completa è osservabile in pochissime sezioni: la distribuzione dei prodotti infatti dipende fortemente dal meccanismo di messa in posto, il quale a sua volta sente l’influenza di molti fattori: energia dell’eruzione, granulometria del materiale, direzione dei venti, topografia, temperatura di messa in posto. I depositi prodotti da ciascun meccanismo eruttivo devono conseguentemente essere considerati separatamente.
48I DEPOSITI DI CADUTA AEREA sono già stati studiati da Lirer et al. (1983) e molte delle informazioni fornite nelle righe seguenti sono riassunte da tale lavoro. Il deposito copre un’area di forma ellittica che dal centro del vulcano si estende verso Sud-est (fig. 14) controllato nella sua distribuzione dall’altezza della colonna eruttiva, dalla velocità terminale di caduta delle particelle e, soprattutto, dalla direzione dei venti dominanti alle alte quote (più o meno al di sopra dei tre Km) alle quali si estende le nube convettiva. Le pomici bianche (1.1. Km3 di materiale) mostrano una distribuzione areale meno estesa delle pomici grigie (1.5. Km3) e la composizione del materiale juvenile varia gradualmente dalla base bianca di composizione fonolitica al tetto grigio fonoliticotefritico. Nel deposito sono osservabili chiaramente aumenti sistematici del rapporto litici/pomici, del contenuto in rocce carbonatiche (fig. 15) e del grado di sorting.
49I DEPOSITI DI SURGE PIROCLASTICO del Vesuvio nel complesso sono ancora poco noti nonostante che la loro messa in posto sia stata la principale causa della perdita di vite umane durante l’eruzione del 79 (come indubbiamente dimostrato dalla “posizione stratigrafica” nella quale calchi e scheletri sono stati ritrovati a Pompei ed Ercolano).
50Questi depositi possono essere il risultato di quattro tipologie principali di messa in posto: 1. “base surge”, legati ad esplosioni molto superficiali con componente tangenziale cospicua; 2. “ground surge”, prodotti dal collasso di una colonna eruttiva ed essenzialmente legati alla compressione istantanea della massa d’aria interposta tra la nube collassante ed il suolo; 3. “ash cloud surges”, costituiti dal materiale fine elutriato al tetto delle colate piroclastiche alle quali essi sempre sono associati; 4. “mud hurricanes” (uragani di fango), che possono rappresentare i prodotti distali di tutte e tre le fenomenologie precedenti ma che possono altresì prodursi come fenomeno primario di eruzione con componente freatica molto rilevante.
51La distribuzione dei depositi di surge durante l’eruzione di Pompei è significativamente influenzata dalle caratteristiche morfologiche del vulcano (fig. 14). Gli spessori maggiori (più di tre metri) caratterizzano infatti il solo settore meridionale ove i depositi di surge di estendono fino a 10 Km dal centro di emissione: è questo un evidente effetto della caldera del Monte Somma, a nord della quale gli spessori sono più ridotti ed i depositi spariscono a non più di 6-7 Km dal bordo calderico. Un certo effetto di canalizzazione operato dalle incisioni vallive del Monte Somma è poi abbastanza evidente in fig. 14.
52Non sempre è facile riconoscere la fenomenologia di surge cui far risalire i depositi di questa eruzione. Sheridan et al. (1981) considerano dovuti a base surge quelli intercalati ed immediatamente sovrastanti i depositi di caduta. Oggi riteniamo però che una tale tipologia eruttiva difficilmente possa essersi verificata al Vesuvio e ci sembra più probabile attribuire a ground surges questi depositi che a Oplontis sono caratterizzati da stratificazione incrociata e relativo impoverimento in particelle fini (evidenze di alta temperatura, alta energia ed, ovviamente, assenza di acqua in fase liquida). I depositi di surge della parte superiore della sezione di Oplontis hanno caratteristiche differenti: essi sono infatti tipicamente massivi, sono formati da cenere molto fine e contengono abbondanti pisoliti; numerosi livelli di tufo vescicolato sono riferibili a facies distali di ash clouds e ad uragani di fango.
53I DEPOSITI DI COLATA PIROCLASTICA hanno le esposizioni migliori lungo le pendici settentrionali ed occidentali del vulcano. Numerose unità di flusso sono state distinte ed attentamente studiate nella grande cava di Pollena (sezz. 11 e 12) cui fa riferimento specifico la descrizione che segue. La sequenza consiste di cinque unità di flusso la più bassa delle quali appare estremamente più ricca in pomici di quanto non siano le altre, sostanzialmente cineritiche. Le pomici della colata basale sono abbastanza arrotondate e la loro concentrazione decresce verso la parte alta dell’unità. I litici mostrano una zona di accumulo preferenziale in un livello spesso un paio di metri situato presso il tetto dell’unità e raggiungono dimensioni notevoli (fino a 0.5-0.6 m3). I depositi di ash flow hanno uno spessore complessivo variabile tra i 5 e gli 11 metri e sono separati da sottili letti sabbiosi caratterizzati frequentemente da strutture a duna (depositi di ash cloud, con ogni probabilità). Pomici e litici appaiono concentrati verso la base di ciascuna unità di flusso, con dimensioni molto raramente eccedenti i pochi centimetri di diametro massimo. Le variazioni laterali della successione di colate piroclastiche sono illustrate in fig. 16; si può tra l’altro notare come nella sezione D, situata già fuori della paleovalle riempita da queste colate, i quattro ash flows perdano la loro individualità ed appaiano sostanzialmente una singola unità con irregolari discontinuità.
54Una correlazione tra le colate piroclastiche dell’eruzione di Pompei può essere tentata confrontando le sezioni 11 (Pollena), 13 (San Sebastiano), 25 (Ercolano) e 16 (Oplontis) nelle figure 12 e 16.
55La messa in posto di questi prodotti è nettamente controllata dalla morfologia del substrato. In fig. 14 le curve isopache dei depositi piroclastici di flusso (spessore complessivo delle diverse unità) sono riportate su di una schematica morfologia attuale: si nota come la caldera del Somma, pur non rappresentando una barriera insormontabile, abbia concentrato nell'Atrio del Cavallo le nubi eruttive e le abbia dirette lungo i suoi bordi sia verso Ercolano che verso Oplontis. Il materiale che riuscì invece a scavalcare la caldera ha dato origine a colate piroclastiche che percorsero le valli radiali del Monte Somma per poi sboccare nella pianura. Lo spessore massimo di questi depositi si osserva ad una quota più o meno costante (tra i 200 ed i 300 m.s.l.m.).
56I DEPOSITI DI LAHAR. Ad Ercolano (sez. 25) ed in altre località i depositi di lahar coprono direttamente la successione di colate piroclastiche ora descritte. È possibile che questi lahars siano il risultato dello stadio finale “bagnato” dell’eruzione, al quale sono riferibili anche i tufi vescicolati riconosciuti nei pressi di Pompei (sez. 32): ad alta temperatura infatti surges e colate piroclastiche sono saturi di vapore che, al di sotto dei 100°, condensa e provoca, se in quantità sufficiente, la transizione quasi impercettibile a lahar (Sheridan e Wohletz, 1981).
L’ATTIVITÀ DEL VESUVIO TRA IL 79 ED IL 1631
57La storia scritta della vulcanologia comincia con l’eruzione del 79 d.C. grazie alla descrizione che ne ha lasciato Plinio il giovane, ma i primi secoli di questa storia sono bui e scarsamente conosciuti. I cronisti e gli storici del Tardo Impero e del Medio Evo, infatti, non avevano l’attitudine e la chiarezza scientifica di Plinio. I dati dei quali disponiamo fino al XVII secolo sono rari, saltuari, spesso poco comprensibili e di dubbia attendibilità.
58Prima del 1631 sono storicamente note undici eruzioni del Vesuvio nonché qualche occasionale segnalazione di attività (di tipo stromboliano?) al cratere.
59Sul terreno, la scarsa consistenza e lo scarso numero di paleosuoli indicativi di pause significative di attività, rende assai difficile il riconoscimento di singoli eventi eruttivi. Un primo tentativo di trattazione sistematica dei depositi riferibili a questo periodo è stato recentemente effettuato da Rosi, Santacroce e Sheridan (1985) da cui è tratta la fig. 17. Tre eruzioni sono state riconosciute con precisione grazie a datazioni l4C (472, 512, 1631), mentre l’attribuzione cronologica degli altri depositi riconosciuti resta abbastanza speculativa (fig. 18).
60Dopo un periodo di moderata attività susseguente all’eruzione del 79, la prima importante eruzione si verifica, secondo quanto segnalato da Dione Cassio (in Alfano e Friedlaender, 1929), nel 203 ed ha un carattere prevalentemente esplosivo. Depositi di caduta aerea (lapilli neri) attribuibili a questa eruzione sono riconoscibili nel canale dell’Arena (Johnston-Lavis, 1884) ed a Terzigno (sez. 17).
61L’ERUZIONE DEL 472. Successivamente all’eruzione del 203 sembra accertata l’esistenza di un periodo di moderata attività fino al 235; da questa data le informazioni diventano incerte e contraddittorie (vedi anche Stothers e Rampino, 1983) sino al 472 (anche questa data in realtà non è molto sicura: potrebbe essere un anno qualsiasi tra il 469 ed il 474), anno in cui una violenta eruzione esplosiva sconvolge l’area circumvesuviana. L’evento, noto come “eruzione di Pollena”, è stato recentemente studiato in dettaglio da Rosi e Santacroce (1983), da cui è tratta la fig. 19 che schematizza la successione dei depositi osservata, la loro distribuzione ed il significato vulcanologico ad essi attribuito.
62I primi prodotti emessi sono costituiti da pomici verdoline molto porfiriche che formano depositi di caduta assai ben rappresentati nel settore nordorientale del vulcano. I dati disponibili sugli spessori di questi depositi hanno permesso la ricostruzione delle curve isopache di fig. 19 e la stima del loro volume a 0,16 Km3. Sottili depositi riferibili a surge piroclastico coprono i livelli di caduta fino ad una distanza superiore a 10 Km in direzione ΕΝE (Palma Campania) mostrando in genere transizioni a tufi vescicolati negli affioramenti distali.
63L’eruzione del 472 fu caratterizzata dalla messa in posto di imponenti colate piroclastiche i cui depositi sono riconoscibili essenzialmente nel settore nordoccidentale del vulcano. Tali depositi riempiono spesso strette paleovalli e diminuiscono bruscamente di spessore al momento in cui le valli si allargano nella pianura. Quattro differenti unità di flusso sono abbastanza costantemente riconoscibili; le prime due e l’ultima sono tipici depositi di ash-flow che contengono sparsi e grossi ejecta; la terza unità è costituita da un deposito caotico, non saldato, formato da grosse scorie grigio-scure, abbastanza leggere, molto porfiriche a leucite e clinopirosseno immerse in una matrice sabbiosa contenente anche blocchi di vecchie lave e frammenti vegetali carbonizzati. Nel complesso si può parlare di un tipico deposito di nube ardente. A Pollena (sez. 12) la successione eruttiva termina con un deposito grossolano (“tuff breccia”) composto da scorie palagonitizzate e frammenti litici sparsi in una matrice fangosa compatta di colore brunastro, interpretabile come risultato della messa in posto di una colata piroclastica “bagnata”.
64Le direzioni delle paleovalli riempite dalle colate piroclastiche sono grossolanamente radiali rispetto al cono vesuviano (fig. 19) e riflettono nel complesso il drenaggio attuale. Le direzioni di messa in posto dei surges sembrano invece non essere connesse con la posizione della bocca eruttiva: ciò sembra suggerire per tali depositi meccanismi di formazione tipo ash cloud o ground surge.
65LE ERUZIONI PRECEDENTI IL 1631. Nella cava di Terzigno (17) i depositi dell’eruzione del 472 sono coperti da tre sottili livelli di sabbia e cenere vulcaniche nere (attività prevalentemente effusiva al cratere centrale?) che sfumano verso l’alto in un sottile paleosuolo datato a 1550 ± 60 anni, con ogni probabilità riferibile all’eruzione del 512 qui rappresentata da un deposito di caduta aerea spesso circa 40 cm e costituito da lapilli scuri spugnosi, assai alterati.
66Prodotti analoghi sono stati spesso riconosciuti soprattutto nel settore nordorientale del vulcano intercalati tra i depositi delle eruzioni del 472 e del 1631. In genere essi sono coperti, con un paleosuolo interposto, da un secondo livello di caduta, di spessore più o meno equivalente, caratteristico per la colorazione ocracea, dovuta all’alterazione, delle pomici che lo costituiscono.
67Nel settore meridionale del vulcano tra i due livelli di caduta sono intercalate almeno due colate laviche, sotto la più vecchia delle quali è stato riconosciuto, nella sezione 26, un deposito di colata piroclastica sicuramente successivo al 472.
68Nel complesso non è facile trovare una concordanza accettabile tra i dati storici e quelli stratigrafici a tutt’oggi disponibili. Gli episodi lavici potrebbero essere riferiti al periodo compreso tra il 968 ed il 1037 che sembra essere stato caratterizzato da intensa attività effusiva: in questo caso il deposito pomiceo di caduta con alterazione ocracea dovrebbe rappresentare l’eruzione, a carattere essenzialmente esplosivo, del 1139.
69Resterebbero quindi da individuare le eruzioni del 685 e del 787; uno studio di dettaglio del settore meridionale del vulcano, al di sotto degli episodi lavici cui è stato sopra accennato potrebbe portare elementi risolutivi.
70L’ERUZIONE DEL 1631. Gli studi di terreno sui depositi di questa eruzione sono attualmente ancora in fase di completamento; il quadro che viene di seguito fornito ha quindi un carattere preliminare ed intende delineare solo qualitativamente le caratteristiche dell’eruzione.
71Il primo punto importante da rimarcare riguarda il suo carattere esplosivo: gli studi effettuati sul terreno non hanno finora portato al riconoscimento di lave riconducibili a questo evento: tutte le colate descritte prima da Le Hon (1865) e poi da Burri e Di Girolamo (1975) sono infatti risultate indiscutibilmente più vecchie del 1631 e, come prima discusso, probabilmente riconducibili al periodo 968-1037.
72Nel settore nord-orientale del vulcano sono riconoscibili i depositi di caduta aerea: si tratta di scorie pomicee con spessori massimi intorno al metro. Tipicamente il deposito mostra una variazione nel colore delle scorie che da verdastre chiare alla base diventano grigio scure al tetto. Le scorie sono molto porfiriche a leucite, clinopirosseno e biotite e la porfiricità sembra aumentare verso l’alto.
73Mediamente il deposito presenta una gradazione inversa con componenti juvenili più minute alla base e più grossolane al tetto. I litici sono abbastanza abbondanti e sono costituiti da lave, skarn, calcari termometamorfici e scarse rocce cumulitiche; la loro quantità aumenta verso il tetto del deposito.
74I depositi di colata piroclastica riferibili al 1631 sono ben esposti nel settore compreso tra Terzigno e Torre del Greco dove raggiungono spessori massimi intorno ai cinque metri. Solo in poche sezioni essi si sovrappongono direttamente ai depositi di caduta (zona Ottaviano). Per lo più è individuabile una sola unità di flusso costituita da materiale cineritico non saldato in cui si rinvengono abbondanti litici di origine profonda (cumuliti, calcari termometamorfici, ecc.), scorie verdognole porfiriche a leucite, clinopirosseno e biotite analoghe a quelle che costituiscono il tetto dei depositi di caduta, legni carbonizzati. Tali legni appaiono talora (a Terzigno, per es.) completamente ridotti in cenere (combustione e non carbonizzazione) ad indicare l’elevata temperatura di messa in posto della nube.
75Al tetto dei depositi è spesso presente un sottile livello di ceneri rosate riferibile alla messa in posto di ash clouds. Tale livello mostra spesso transizioni a tufo vescicolato.
76La successione eruttiva è spesso chiusa da depositi di lahar. Nel complesso le caratteristiche dei depositi di questa eruzione sono, come già discusso, abbastanza simili a quelle dell’eruzione di Pollena del 472, forse con volumi di materiale in gioco leggermente inferiori. La scarsa continuità orizzontale dei depositi di colata pirocalstica suggerisce per essi un forte condizionamento morfologico con possibilità di fuoriuscire dalle valli limitata al materiale più fine, altamente fluidizzato, al tetto della nube.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
77Il vulcanologo può utilmente contribuire ad un volume a carattere prevalentemente archeologico anche fornendo indicazioni sugli sconvolgimenti ambientali che le diverse fenomenologie eruttive presentate a più riprese dal Vesuvio possono aver prodotto.
78Gli scavi di Pompei, Ercolano ed Oplontis se da una parte ben illustrano i catastrofici effetti di una eruzione come quella del 79 d.C. sui maggiori centri abitati, dall’altra non ne possono che parzialmente mettere in luce la dimensione areale. Una semplice analisi della distribuzione dei prodotti di questa eruzione (fig. 14) evidenzia infatti una superficie di devastazione enormemente più ampia. In pratica si può affermare che tutte le aree interessate dallo scorrimento di colate pricolastiche e/o dalla messa in posto di surges ebbero a subire sorte analoga a quella di Pompei, con distruzione totale delle costruzioni e sopravvivenza pressoché nulla degli abitanti; anche l’area sepolta sotto più di un metro di pomici di caduta, in una situazione in questo caso di ampia sopravvivenza, fu caratterizzata sicuramente da enormi distruzioni.
79Catastrofi di analoghe dimensioni areali sono associabili a tutti i maggiori eventi pliniani del Vesuvio: Avellino (3.800 a.b.p.), Mercato (7.900 a.b.p.), Verdoline (13.500 a.b.p.), Base (17.000 a.b.p.) e forse, Codola (25.000 a.b.p.).
80Nel discutere l’impatto che queste eruzioni ebbero sulla società umana ci sembra abbastanza ovvia la necessità di tenere in considerazione le epoche diverse nelle quali i fenomeni si verificarono. Se infatti, pur nelle immani dimensioni del disastro, le conseguenze che la cosmopolita civiltà di Roma imperiale ebbe a subire dall’eruzione del 79 furono probabilmente di scarso rilievo storico per la sua organizzazione socio-economica, così certamente non fu per le civiltà più primitive che affrontarono analoghi eventi essendo poverissime, se non prive, di collegamenti geografici e culturali con i popoli delle aree limitrofe.
81Pur nella nostra dichiarata incompetenza in materia, ci sembra ragionevole che lo storico e l’archeologo tengano in conto la possibilità che, a seguito di eventi quali quelli discussi, intere civiltà possano essere state distrutte e spazzate via dalla storia nel corso di un solo giorno. Gli sconvolgimenti provocati da eruzioni di tipo pliniano modificano anche profondamente l’assetto territoriale, ma la natura dei prodotti emessi è tale per cui la terra torna fertile e feconda in tempi brevissimi. I tempi perché un altro evento cataclismico si riproduca sono invece lunghissimi. L’uomo, reso inconsapevole dalla sua corta memoria, ritorna e ricostruisce sempre.
Bibliographie
APPENDICE. ubicazione sezioni stratigrafiche misurate
n. sezione
località
Tavoletta IGM
1
Traianello (cava Coop. Vesuviana)
Pomigliano d’Arco
2
Vallone Palmentiello
Pomigliano d’Arco
3
Vallone Palmentiello
Pomigliano d’Arco
4
Lagno di S. Teresella (cava colmata)
S. Giuseppe Vesuviano
5
Cave Trapolino
S. Giuseppe Vesuviano
6
Ottaviano
S. Giuseppe Vesuviano
7
Ottaviano
S. Giuseppe Vesuviano
8
Ottaviano
S. Giuseppe Vesuviano
9
Valle Grande
Pomigliano d’Arco
10
Somma Vesuviana
Pomigliano d’Arco
11
Cave di Pollena
Pomigliano d’Arco
12
Cave di Pollena
Pomigliano d’Arco
13
Cave di San Sebastiano
Pomigliano d’Arco
14
Strada per l’Osservatorio Vesuviano
Pomigliano d’Arco
15
Strada per l’Osservatorio Vesuviano
Pomigliano d’Arco
16
Scavi di Oplontis Villa di Poppea (T. Annunziata)
Boscoreale
17
Cave di Mauro Vecchio (Terzigno)
Boscoreale
18
Piazzola (cava colmata)
S. Giuseppe Vesuviano
19
Cave dell’autostrada presso Palma Campana
S. Giuseppe Vesuviano
20
Cave di Pomigliano (loc. Passariello)
Pomigliano d'Arco
21
Cave di Pomigliano (masseria Fornaro)
Pomigliano d’Arco
22
Cave di Villa Marsiglia
Pomigliano d’Arco
23
Cupa Falanga presso Cappella Bianchini
Vesuvio
24
Cupa Sabbione presso Cappella Bianchini
Vesuvio
25
Ercolano
Vesuvio
26
Cave di Villa Inglese
Vesuvio
27
Pompei Scavi - Porta di Nola
Boscoreale
28
Località I Romani presso Madonna dell’Arco
Pomigliano d’Arco
29
Autostrada per Avellino tra Monteforte Irpino e Mugnano del Cardinale
Fuori della carta schematica di fig. 1
30
Avellino (presso uscita Ovest Autostrada)
Fuori della carta schematica di fig. 1
31
Monteforte Irpino
Fuori della carta schematica di fig. 1
32
Km 65 Strada Statale tra Monteforte Irpino e Mugnano del Cardinale
Fuori della carta schematica di fig. 1
33
Mugnano del Cardinale
Fuori della carta schematica di fig. 1
34
Cave di Mugnano del Cardinale
Fuori della carta schematica di fig. 1
35
Ottaviano
S. Giuseppe Vesuviano
36
Vallone Palmentiello
Pomigliano d’Arco
37
Cave di Visciano
Fuori della carta schematica di fig. 1
38
Cave del Lagno Amendolare
Pomigliano d'Arco
39
Cave Primavera
Pomigliano d’Arco
40
Cave Primavera
Pomigliano d’Arco
41
Località Traianello
S. Giuseppe Vesuviano
42
Cave Pomigliano (presso Masseria del Duca)
Pomigliano d’Arco
43
Cave di Cercola
Pomigliano d’Arco
44
Cava della cupa dell’Olivella
Pomigliano d’Arco
45
Bosco presso S. Gennaro Vesuviano
S. Giuseppe Vesuviano
46
Cava (colmata) delle cinque Vie
S. Giuseppe Vesuviano
47
Cava di Casola
S. Giuseppe Vesuviano
48
Cave di Castel San Giorgio presso Nocera
Fuori della carta schematica di fig. 1
49
Cave di Casoli presso Nocera
Fuori della carta schematica di fig. 1
50
Stazione di Codola presso Nocera
Fuori della carta schematica di fig. 1
51
Cave di Cercola
Pomigliano d’Arco
52
Autostrada Napoli-Salerno presso bivio per Bari
Vesuvio
53
Autostrada Napoli-Salerno presso svincolo per la tangenziale
Vesuvio
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Auteurs
Dipartimento di Scienze della Terra. Università di Pisa
Dipartimento di Scienze della Terra. Università di Pisa
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