La Necropoli cumana di VI e V a.C. o la crisi di una aristocrazia
p. 97-129
Texte intégral
1 GLI SCAVI DELLA NECROPOLI.
1Chi si pone di fronte allo studio di Cuma, si imbatte in una situazione archeologica tutt’altro che felice. Scavi sistematici, auspicati da decenni ormai, sono ancor oggi lontani. La necropoli, esplorata più di un secolo fa dal Conte di Siracusa.1 e scavata quasi a tappeto dallo Stevens alla fine del secolo scorso2, sembrano aver esaurito la possibilità, anche in futuro, di poter avere una visione complessiva della società cumana. I risultati di queste esplorazioni sono confluite nell’opera del Gabrici3, ancor oggi perciò fondamentale ed insostituita, mentre l’insieme dei materiali superstiti costituisce i due nuclei rispettivamente della Raccolta Cumanae di quella Stevens conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
2Se l’opera del Gabrici conserva i suoi meriti, presenta per altro sul piano del metodo tutti i suoi limiti. Ispirata come è ad un metodo particolarmente attento ai valori estetici, ai corredi « ricchi », l’opera del Gabrici trascura tutto ciò che non si conforma a canoni estetici, i corredi « poveri » ο le tombe assolutamente prive di corredo, perdendo così di vista completamente la sintesi unitaria.
3Ci si trova quindi di fronte ad. un quadro quanto mai incompleto della società antica di Cuma, in cui gli stessi valori estetici predominanti sono in effetti essi stessi traditi nella loro essenza storica. Le opere di pregio artisticoe l’abbondanzae ricchezza di alcuni corredi vanno infatti correttamente valutati solo in rapporto all’insieme del contesto da cui provengono: il loro valore, quale che sia il criterio di giudizio che si voglia seguire, sia storico che stilistico, non può essere percepito a pieno se non viene posto in dialettico rapporto con i modi di manifestazione di quell’altra parte della stessa società che usufruisce d. i materiale «povero», privo di particolari pregi estetici.
4Una compiuta ricostruzione storica di una società non può essere insomma che il risultato delle analisi di questi interni contrasti, dello intrecciarsi tra materiali di diverso valoree significato; proprio quello che nella ricostruzione del Gabrici risulta meno evidentee significativo.
5Si sentiva quindi la necessità impellente di revisionare tutto il materiale proveniente dai vecchi scavi della necropoli, integrandolo, come vedremo, con lo studio degli appunti lasciati dallo Stevens.
6Dei due nuclei che costituiscono l’insieme del materiale cumano raccolto nel Museo di Napoli, la Collezione Cumana si presenta come una verae propria raccolta di pezzi di pregio, il cui unico comun denominatore è per la maggior parte la provenienza (quanto mai generica) da zone adibite a necropoli; sebbene la revisione attuata tra il materiale dei depositi restituisca anche « semplici » vasi a vernice nera ο unguentari acromi, il grosso della Collezione è costituita da pregevoli vasi figurati sia corinzi che attici, da oggetti in metallo ο pasta vitrea. Traspare evidente il carattere predominante delle esplorazioni più antiche, il carattere prettamente antiquario degli scavi del Conte di Siracusa. Il corredo, anzi la necropoli stessa, non ha altro valore se non quello di offrire maggiori probabilità di reperire oggetti interie di pregio da estrapolare dal loro complessoe collezionare per il loro valore intrinseco. Impossibile quindi studiare questo materiale se non seguendo criteri tipologici, anche se, come vedremo, è possibile inserire anche questo in quello che presumibilmente è stato il suo contesto, sulla base di confronti ed analogie con il materiale assai meglio noto degli scavi successivi.
7Diversa infatti la situazione quando si passa allo studio dei reperti degli scavi Stevens : basta anche un solo sguardo al materiale dei depositi, ora finalmente raccolto in un unico ambiente, per accorgersi della diversa concezione che guidò le esplorazioni dello studioso inglese4. I materiali rinvenuti furono tutti raccolti tranne quelli da lui giudicati troppo frammentati (che venivano però annotati), facendo quindi assumere importanza al corredo nel suo contesto, per la prima volta negli scavi di Cuma.
8Ma il pregio maggiore dello Stevens è l’aver steso un veroe proprio giornale di scavo5, annotando i fondi nei quali avvenivano le varie campagne e, giorno per giorno, ogni tomba recuperata con le quote, le misure, il tipo di sepoltura; il corredo è enumerato per interoe dei singoli pezzi vengono riportate le misure. La suppellettile ceramica viene disegnata secondo le forme principali, ciascuna forma identificata mediante una lettera dell’alfabeto ο un numero d’ordine a cui continuamente fanno riferimento le annotazioni dei taccuini. Il resoconto viene di regola corredato da schizzi relativi alla formae al tipo della tomba e, in alcuni casi, anche la disposizione dei pezzi all’interno della sepoltura viene accuratamente annotata.
9L’abbondanza del materiale oggi riordinato, unito allo studio particolareggiato dei taccuini Stevens, permette ora di avere una visione molto più completa della necropoli cumana e, soprattutto per il periodo di cui ci occupiamo, è possibile identificaree catalogare un numero di tombe che supera di gran lunga la ventina data dal Gabrici per ricoprire due secoli di vita della colonia euboica.
10Di ciò va dato merito pieno allo Stevens anche se, come vedremo meglio in seguitoe già da altri notato, certi limiti sono riscontrabili in conseguenza della minor raffinatezza delle tecniche di scavo rispetto a quelle attuali; lo stesso si dica dei condizionamenti derivanti dalla scarsità di lavori relativi alla tipologia ed. evoluzione delle forme ceramiche all’epoca. Limiti dunque derivanti più che da personali carenze, dal livello delle ricerche archeologiche nell’epoca in cui visse ed operò. Gli scavi dello Stevens come è noto, si svolsero negli anni tra il 1878e il 1893.
2 LO SVILUPPO TOPOGRAFICO DELLA NECROPOLI ELLENICA
11Gli scavi di Pithecusa, condotti con impareggiabile rigore dal Buchner6 da oltre un ventennio,e gli scavi recenti delle necropoli di Eretria7, hanno messo sempre più in risalto la inadeguatezza della vecchia pubblicazione del Gabrici. Della necropoli cumana si continua a parlare, ora dandola definitivamente per irrecuperabile ai fini storici, ora facendo riferimento ad una ο più tombe pubblicate, ma basandosi solo sul Gabrici. Lo studio dei taccuini Stevense la revisione del materiale possono ora ampliare il discorsoe nello stesso tempo rendere più concreti i problemi, anche se in alcuni casi delle domande resteranno senza rispostee delle ipotesi non potranno più essere verificate in loco.
12Le necropoli di Pithecusa ed Eretria per l’VIII e il VII secolo forniscono un quadro preciso della società euboica con le sue distinzioni tra inùmati = giovani, incinerati = adulti, incinerati in lebete = adulti aristocratici,e cioè una divisione in « classes d’âges »e in ceti sociali ben differenziati. Tutto ciò è possibile riscontrare anche a Cuma seguendo questo modello interpretativo8 ; gli stessi tipi di tombe sono infatti segnalati dallo Stevens anche se in molti casi, per le diverse condizioni ambientalie tecniche di scavo, allo Stevens dovettero sfuggire delle tombe di incinerati senza cinerario pur segnalando in alcuni punti dei taccuini « una lente di terra nera »9.
13Se quindi per l’VIIIe VII secolo vengono in aiuto ricerche archeologiche alternative, diversa si presenta la situazione per i due secoli successivi. Dopo due secoli dalla fondazione di Cuma, le tombe coeve di Eretria10, anche se possono (come vedremo) suggerire confronti, sono l’espressione di un mondo sociale, politico, storico che si è evoluto in maniera autonoma.
14La decadenza di Pithecusa, iniziata già nel VII secolo, non offre per questo periodo un preciso confronto. Solo di poche sepolture di Napoli conosciamo la composizione del corredo11 ; a ciò si aggiunga la nota vicenda della fine di Parthenopee della solo più tarda fondazione di Neapolis, che aggrava il vuoto della documentazione archeologica tra la fine del VIe gli inizi del V a. C.
15Cuma resta quindi, per questo periodo, la nostra unica fonte di conoscenza vuoi per la storia interna della città, vuoi per la storia dell’elemento calcidese in Campania, vuoi infine per valutare in maniera compiuta le reciproche relazioni tra Greci ed indigeni in quest’area.
16Le tombe databili al VI e V secolo a. C. furono rinvenute dallo Stevens nella zona prospiciente il lago di Licola, su un latoe l’altro della, c. d.. Via Vecchia di Licola, antica strada di comunicazione che da Cuma portava verso il Ν12. La zona corrisponde ai Fondi Scala, Majoranoe d’Isanto; i nomi dei fondie cioè dei relativi proprietari sono quelli che si trovano nei taccuini Stevens. Per comodità faremo uso anche noi di queste denominazioni. Purtroppo non possiamo essere sicuri della zona precisa all’interno dei fondi nei quali scavò lo Stevens, né della posizione delle tombe tra di loro, mancando piante complessive di scavo. Difficile è anche basarsi sulle quote di ritrovamento: per quanto accuratamente annotate dallo studioso inglese, di esse si può tenere un conto molto relativo13. Le vicissitudini naturali del luogo hanno creato nel tempo condizioni diverse del terreno (elevazione del suolo per effetto delle acque alluvionali, diversa entità della terra di riporto ecc.) e, non tenendo lo Stevens in alcun conto gli strati, i livelli da lui annotati hanno un valore prettamente indicativo, valido solo per ritrovamenti in ambiti molto circoscritti.
17È possibile però farsi un’idea dell’area occupata dalla necropoli in questo periodoe anche della sua espansione progressiva. Va subito detto che molto rara è nella raccolta Stevens la ceramica a figure neree in generale materiale dall’inizio al pieno VI a. C. Il momento che riusciamo meglio a cogliere va invece dagli ultimi anni del VI secolo a tutto il v. Il nucleo più cospicuo è costituito dalle sepolture trovate tra il 1886e il 1893 nel fondo Majorano. Le tombe di questo periodo si trovano qui fittissime commiste con quelle di VIII e VII secolo. Tombe più tarde, già di età sannita, furono trovate in numero sempre maggiore dallo Stevens a partire dalla primavera del 1887, in concomitanza con una rarefazione delle tombe di età greca. È molto probabile, in base alla situazione riscontrata in altre zone, che lo Stevens abbia intrapreso le sue esplorazioni da Nord, verso Sud. Se infatti nel terreno a Ν di questo fondo, cioè nel fondo Scala, il grosso della necropoli è costituita dalle tombe dei primi due secoli della colonia inframmezzate da rare tombe di V a. C., le tombe sannite sono qui sconosciute. L’ipotesi riceve poi conferma se passiamo ad analizzare la situazione nel fondo d’Isanto, per cui siamo meglio documentati: qui infatti l’attenzione dello Stevens si rivolse prima alla zona N-W:e in questa parte mancano tombe di VIII e VII, la maggior parte del sepolcreto è costituito da tombe del periodo di cui ci occupiamoe se ne trovano solo alcune del periodo posteriore all’occupazione sannita che peraltro non sembrano scendere oltre la prima metà del IV secolo a. C.
18Nella parte Sud. poi, sempre del fondo d’Isanto, esplorata nel 1889-90, le tombe greche vanno rarefacendosi a favore delle sepolture sannite analogamente a quanto sembra riscontrato nel fondo Majorano. Man mano quindi che si scende verso il S, cioè verso la polis, si nota un uso sempre meno frequente della zona come necropoli. In età sannita invece il fenomeno sembra invertirsie spingersi dal Sud. verso il Nord.
19Assodato questo in base alla frequenza delle tombe secondo i vari periodi, resta da porsi il problema della pressocché totale mancanza di materiale di pieno VI nella Coll. Stevens. Ci si deve cioè porre il problema di dove fosse la necropoli in. questo periodo.
20Un dato sicuro è offerto dal materiale di pieno VI trovato nella zona dove operò il Conte di Siracusa tra il 1852e il 1857. Nella Coll. Cumana infatti si trovano moltie notevoli pezzi di questo periodo, dai lebeti di bronzo ancora della prima metà del secolo14— appartenenti evidentemente a tombe di incinerati in ricettacolo — alla ceramica attica a figure nere15. La relativa scarsità di pezzi più antichi rispetto a quelli più numerosi ritrovati dallo Stevens, induce a pensare che il Conte di Siracusa operò in una zona periferica della necropoli dell’VIII e VII secolo, zona poi occupata ampiamente nel VI e ancora nel V secolo. Anche se non possiamo ubicare con precisione questi scavi, a detta del Gabrici, che ne ebbe conoscenza verbale dal figlio del capo operaio del Conte, essi dovettero estendersi nella zona più vicina alla città del fondo Correale, a sinistra di Via Vecchia di Licola, per una larghezza di ca. 30 metri. In lunghezza non abbiamo notizie precise ma è molto probabile che sia le tombe di VIe V sia quelle più antiche, non dovevano essere nei pressi delle mura di cinta della città, bensì più a Nord. Presso la cinta muraria infatti lo Stevens operò due campagne di scavo, nel 1893e nel 1896, senza trovare traccia di tombe di età greca (nel 1893 tombe indigenee sannite, nel 1896 tombe romane tarde)16.
21Una conferma della situazione ipotizzata per questa parte del fondo Correale in relazione anche allo sviluppo della necropoli di VIII-VII, è offerta dagli scavi Maglione nel limitrofo fondo Artiaco, sul lato opposto della via Vecchia di Licola. Il fondo Artiaco, cui la pubblicazione del Pellegrini ha dato notorietà in relazione alla famosa Tomba 104e alle tre altre coeve17, era occupato per la maggior parte da sepolture di età sannita, il che suona evidente conferma del carattere periferico che in questa zona meridionalee prossima alla città, ebbe la necropoli in età greca. Materiale di VI secolo, come anche di v, fu ritrovato, sempre nel fondo Correale, — ma in una zona più a Nord, rispetto a quella esplorata dal Conte di Siracusa,e più lontana dalla Via Vecchia di Licola — dal Granata, sotto la direzione dello stesso Gabrici nel 190818.
22Anche in questo caso il materiale rinvenuto risalente al VI secolo comprende cinerari bronzei in ricettacolo, vasi a figure nere usati come cinerari, un sarcofago in marmo erroneamente attribuito dal Gabrici ad. età romana19.
23In conclusione, se gli scavi Stevens nei fondi Scalae Majorano — versante orientale di Via Vecchia di Licola — non hanno dato materiale di pieno VI, ciò è manifestamente dovuto al fatto che le sepolture di quest’epoca si trovano sul versante opposto della suddetta via, nella parte più vicina alla polis.
24Non sappiamo fin dove si estese la necropoli di questo periodo verso Nord. : tombe di VI mancano sicuramente nella parte settentrionale del fondo d’Isantoe anche nella sua parte meridionale, sebbene qui ci manchi una assoluta certezza : a causa dell’acqua latente negli strati più profondi, questa parte del fondo fu infatti abbandonata dallo Stevens.
25Si può allora avere una visione generale dello sviluppo della necropoli cumana in età greca. Le tombe di VIII-VII, trovate fittissime nei Fondi Scalae Majorano (versante orientale di Via Vecchia di Licola) dimostrano dove si trovava il grosso della necropoli per questa epoca. Le sepolture della stessa età che, meno numerosee fitte, si trovano invece più a Sud. e raggiungono il Fondo Artiacoe la zona meridionale del Fondo Correale, dove scavò il Conte di Siracusa, rappresentano evidentemente soltanto delle propaggini periferiche della stessa necropoli; le rare tombe di questo periodo verso N, nel fondo Micillo, ne rappresentano l’estremità opposta.
26Una diversa dislocazione caratterizza invece le tombe di VI. Esse appaiono nella parte meridionale del fondo Correale (scavo del Conte di Siracusa)e ancora più a Nord verso il Lago di Licola (scavo Granata) seguendo soprattutto il versante occidentale della via Vecchia di Licola, opposto rispetto alla zona dove si estendeva la necropoli di età precedente.
27Solo dagli inizi del v, la necropoli sembra estendersi anche più a Ν nel fondo d’Isanto finora libero da sepolture, estendendosi anche verso E nei fondi Scalae Majorano, riutilizzando le terre primamente occupate dalle sepolture dell’VIII e VII secolo.
3. IL CORREDO. - CARATTERI GENERALI
28L’esame delle tombe cumane dalla fine del VI e per tutto il V secolo fino all’occupazione sannita, mostrano estrema « povertà » nel corredo e, in molti casi, l’assenza stessa di esso.
29Ciò non riesce nuovo nel mondo greco nel contesto delle legislazioni suntuarie che legislatorie tiranni pongono in essere20. Le leggi suntuarie di Solone prescrivevano la moderazione nei funeralie vietavano di porre nelle tombe un corredo troppo ricco, limitando così quella ostentazione del lusso di una classe, in particolare della classe aristocratica, usata a scopi politici21.
30Tutto ciò si esemplifica nella necropoli ateniese del Kerameikos, le cui tombe offrono ora ben scarsa suppellettile (due ο tre vasi) con una uniformità tipologica pressocché totalee solo raramente oggetti personali22.
31Se per Atene questo fenomeno è testimoniato oltre che dalle evidenze archeologiche, anche dalla conoscenza che abbiamo di leggi in proposito, in altri luoghi del mondo greco le stesse restrizioni del lusso in ambito funerario si avvertono attraverso lo scavo archeologico — Poseidonia, Eretria stessa23. Non a caso lo stesso fenomeno appare contemporaneamente a Romae tra i Latini, in un momento di equilibrio tra nobiltàe popolo armato, in un orizzonte culturale che vede la nascita dell’oplitismo24.
32Sul significato politico-sociale espresso da queste evidenze restrittive a Cuma torneremo alla fine di questo lavoro, limitandoci ora al solo dato di fatto.
33Le tombe scavate dallo Stevens (e il numero elevato di esse ci offre la garanzia di non trovarci di fronte a casi isolati) mostrano un corredo limitato a uno ο due pezzi. In genere è presente un vaso da bere (kylix, kotyle, coppa)e la lekythos, che si trova in quasi tutte le sepolture. Lì dove lo Stevens annota specificamente la posizione degli oggetti (cfr. ad es. 17 aprile 1886) sembra che i vasi potori siano posti ai piedi del mortoe le lekythoi lungo il corpo. Queste ultime dovevano forse, come ad Atene, contenere l’olio usato per ungere il corpo del defuntoe quindi non fare parte del corredo propriamente detto25.
34Più ricche, relativamente, le tombe dei bambini, in genere però con la riduzione degli oggetti a forme miniaturistiche, fenomeno questo riscontrato egualmente ad. Atene26. Scarsi sono i vasi contenitori, anforee crateri, limitati come vedremo a sepolture particolari.
35A partire da questo fondo culturale comune, si evidenziano tuttavia dei segni di differenziazione sia nei tipi di sepoltura che nella scelta degli oggetti di corredo in essi, che non possono assolutamente essere casuali, data la loro costanza.
4. GLI INUMATI
36Il rituale differenziato, inumazione ed incinerazione quale si riscontra nel mondo euboico (Eretriae Pithecusa) per l’VIII e VII secolo, continua ad. essere documentato nella Cuma dell’epoca di cui ci occupiamo.
37Abbiamo inumati in nuda terra da una partee dall’altra inumati in cassa. La bipartizione era già presente nel mondo euboico, dove, ad. es. a Pithecusa, accanto agli inumati in cassa apparivano individui anche adulti, sepolti nella nuda terra, privi di corredo, manifestamente collocati ad un livello sociale inferiore rispetto alle altre sepolture costituenti il nucleo familiare27. Non molte di queste tombe furono rintracciate dallo Stevens; la mancanza di ogni protezionee l’assenza di corredo dovette favorire la loro perditae non possiamo perciò affermare che il loro numero fosse a Cuma molto limitato. C’è però da tener presente anche un’altra ragione più profonda. Noi abbiamo notizia, sempre per l’età di Aristodemo, dell’esistenza di non liberi utilizzati nella chora in attività agricolee di allevamento28 ; è verisimile che questo personale di rango sociale inferiore non venisse seppellito nella necropoli cittadina se non al massimo per quella parte di essi che svolgeva funzioni in città accanto ai padroni. A Pithecusa, data la diversa consistenza ed. estensione sia dell’insediamento che della relativa chora, una sepoltura separata per elementi di rango sociale diverso evidentemente aveva minor ragione d’essere.
38Il più degli inumati si ritrova in sepolture a cassa. In alcuni casi la presenza del corredo accanto a scheletri « nella nuda terra », fa pensare che ci si trovi in realtà di fronte a tombe in cassa lignea;e questo, una volta marcito, sia sfuggito all’attenzione dello Stevens così come in molti casi dovette sfuggirgli la protezione lignea nelle tombe ad inumazione dell’VIIIe VII secolo.
39La sepoltura ad inumazione in cassa appariva a Pithecusa riservata ad. individui non entrati nell’età adulta. Le dimensioni di talune di queste tombe cumane (unico elemento su cui possiamo fondarci data la perdita degli scheletri) dimostrano che ci troviamo di fronte anche ad individui ormai costituzionalmente formati. Anche questo fenomeno era presente a Pithecusa dove l’osservazione degli scheletri ha dimostrato la presenza di inumati dell’età di ca. 18-20 anni29. Per Cuma la persistenza di questa tradizione è esplicitamente confermata per l’età di Aristodemo, epoca per la quale viene precisato che il passaggio del giovane all’età adulta avveniva non prima del ventesimo anno d’età30.
40A parte la persistenza delle casse lignee da noi prima ipotizzate, a Cuma per il periodo di cui ci occupiamo sono presenti due tipi di casse, contemporanee, alle quali corrispondono però corredi dalle caratteristiche diverse. In alcuni casi il cadavere è deposto in un sarcofago monolita, in altri è protetto da tegole disposte ora a tetto ora a cassa.
41Le sepolture a tegola cominciano sicuramente intorno al 500 (presenza di lekythoi attiche a spalla piatta — tipo d dello Stevens), perdurando per tutto il V secolo.
42Lo Stevens ritrovò 76 tombe di questo tipo, di esse solo 32 con corredo. Le altre, prive di qualsivoglia suppellettile, devono considerarsi comunque contemporanee, in uso nell’arco di tempo tra i primi anni del Ve la fine dello stesso secolo. Una di esse si trova accantoe alla stessa quota di una tomba monolita degli inizi V31 ; un’altra è posta ad una profondità di molto maggiore rispetto a tombe monolite della stessa area databili, in base al corredo, alla metà del v32 ; un’altra ancora, tagliando una tomba a schiena risalente al 480 ca per il corredo rinvenutovi, ne documenta l’uso nella seconda metà del v: impossibile scendere al IV secolo data l’assenza completa in questa zona del fondo Majorano di tombe di età sannita33.
43Per quanto riguarda la composizione dei corredi, si nota una accentuata « povertà ». Il corredo vascolare, fortemente limitato, presenta come costante un vaso potorio spesso accompagnato dalla lekythos. Qualche corredo, con vasellame più numeroso, deve attribuirsi a tombe di bambini data la presenza del guttus. Lo Stevens purtroppo omette le dimensioni di questo tipo di tombe, ma che si tratti di tombe di individui costituzionalmente formati è sicuro, visto che in alcuni casi lo scavatore sentì il bisogno di specificare che si trattava di tombe d. i piccole dimensioni. A parte le lekythoi, le importazioni attiche sono scarse, ancora più scarsi i vasi figurati. Nessun vaso contenitore è stato ritrovato in queste sepolture; solo tre corredi comprendono la pelike: l’unica attica figurata (Teseoe il Minotauro, inv. n. 128038) appartiene ad un corredo piuttosto ricco indubbiamente di bambino34. Le altre pelikai ritrovate sono di piccole dimensioni, acrome35 ο a vernice nera locali36 : forse anche in questi casi ci troviamo di fronte a tombe di37. Solo in due casi.è presente una piccola oinochoe triloba38.
44Mancano completamente oggetti di ornamento personale, oggetti in bronzo ο altro metallo, strigili.
45Passando alla revisione dei corredi nelle tombe a cassa monolita, le differenze rispetto a quelli rinvenuti nelle casse a tegole sono rilevantie significative. Lo scavo Stevens ne rinvenne un grosso numero, ben 12639 ; di queste 65 non possedevano alcun oggetto. È evidente dunque che anche in questo caso, come nel precedente, il corredo non è indispensabile. Quando esso è presente, però, rivela delle diversità che non possono dipendere solo dal fattore economico, ma devono investire anche l’ideologia. Nella maggior parte di esse continua ad essere presente il vaso potorio (kotylai in massima parte)e la lekythos; si nota però una presenza più accentuata delle importazioni attiche, figuratee non; in alcune tombe la lekythos è sostituita da un alabastron di vetro40. Ma c’è una seconda caratteristica da sottolineare. In alcune di queste tombe, ora assieme ai vasi potori o, più spesso, in sostituzione ad. essi, compaiono i vasi contenitori. Così la tomba trovata il 6 marzo del 1888 nel fondo d’Isanto conteneva, unico oggetto di corredo, una anfora a figure nere; la tomba scavata il 15 maggio dello stesso anno, conteneva solo un’hydria a fascee un’anfora.
46Gli inumati in cassa monolita d’altra, parte non. posseggono unicamente un corredo ceramico. A questo infatti si aggiungono oggetti di ornamento personale: fibule in ferro41e in bronzo42; anelli d’oro43, d’argento44, e di bronzo45 ; pendagli in bronzo46e pasta vitrea47 ; perle di pasta vitrea48; ambra49.
47In quattro tombe di questo tipo compare anche lo strigliee la cosa come vedremo in seguito è particolarmente significativa sia perché queste tombe ricorrono tutte in una stessa zona della necropoli, sia perché alla stessa zona appartiene, come ricorderemo facendo l’esame delle tombe a cremazione, una sepoltura di incinerato egualmente contraddistinto dallo striglie50.
48In conclusione le sepolture degli inumati in cassa, nelle quali, come si è visto, sono da riconoscersi i giovani morti prima dei venti anni, si distinguono in due gruppi principali.
49L’elemento comune tra i due gruppi è la presenza del vasellame potorioe della le-kythos. Questo vasellame comune, nella misura in cui si è potuto procedere al riconoscimento dei pezzi descritti dallo Stevens, rivela tuttavia una differenziazione interna ai due gruppi nel senso che, pur non mancando pezzi d’importazione tra i vasi collocati in tombe a tegole, la maggior parte dei pezzi importati proviene dalle sepolture in casse monolite. Questo dimostra già una tendenziale differenziazione economico-sociale dei sepolti in cassa monolita rispetto ai sepolti in tombe a tegola. Questo dato trova conferma nello stesso tipo di cassa usata, lapidea l’una, a tegola l’altra: cosa tanto più da sottolineare se si tiene conto che inumati in cassa lapidea risultano ritrovati anche in tombe a schiena, ulteriore conferma del livello economico cui questo tipo di sepoltura doveva richiamarsi.
50La differenziazione si riconferma nella maggior ampiezza ed articolazione del corredo proveniente dalle sepolture in cassa lapidea. Per ciò che attiene la ceramica è solo da questo ultimo tipo di sepoltura che provengono alcuni tipi di vasi contenitori, anfore, oinochoai, hydrie, pelikai. Accanto alla ceramica compaiono ora oggetti di ornamento personale in metallo (oro, argento, bronzo, rame, ferro) ο ambra ο pasta vitrea. Non vi è dubbio quindi che abbiamo a che fare con sepolture da riferire a gruppi che tengono a sottolineare una forte differenziazione economica.
51Ma non di sola differenziazione economica evidentemente si tratta. La concentrazione di ricchezze che si verifica nel caso degli inumati in cassa lapidea arriva all’estrema « sofisticazione » delle casse lapidee in tombe a schiena ο a quella richiamata dalla nota iscrizione la quale registra in tombe a camera un sarcofago = λένός deposto sotto = υπυ un letto funebre = ϰλινει51. Non solo di ricchezza si tratta dunque ma anche di grande ricchezzae di ὀλίγοι. Questa prima conclusione si rafforzae qualifica ulteriormente se l’attenzione si sposta alla funzione dei vasi deposti in queste casse monolite. Il servizio per bere prevede, oltre ai semplici vasi potori, i vasi più grandi per versare (oinochoai), contenere (hydriai), ο conservare (anfore): allusione a realtà economichee sociali insieme, non connesse al puroe semplice consumo quotidiano; alludenti semmai ad. operazioni più complesse,e in particolare attraverso l’anfora, ai processi di accumulazionee tesaurizzazione.
52Dallo stesso tipo di sepolture provengono strigili, comuni come vedremo anche a particolari tombe ad incinerazione, che sottolineano un altro aspetto della vita, di questi inumati, la pratica dell’atletica, la frequentazione del ginnasioe la preparazione alle attività militari.
53D’altra parte il processo prima accennato, il passaggio cioè da una ceramica connessa al consumo immediato delle bevande ad una altra che prevede l’uso dei vasi più grandi per versare, contenere ο conservare, trova il suo naturale completamento nel cratere quale cinerario: uso, come vedremo, adottato per gli adulti che si richiamano al vecchio rituale aristocratico. Ciò conferma come, attraverso queste distinzioni tra inumati in cassa monolitae in cassa a tegole passa non. solo la distinzione tra ολίγοιe πολλοί, tra οἱ τὰς οὐσίας ϰεϰτημένοιe non, ma in ultima analisi tra giovani ἀγαθοίe giovani del demos a Cuma.
54A questa conclusione non può opporsi il fatto che le tombe a tegola sono state trovate in numero inferiore rispetto a quelle monolite. In realtà ad esse devono aggiungersi quelle tombe che continuano l’uso precedente della cassa in legno, erroneamente considerate dallo Stevense poi dal Gabrici con cadavere deposto nella nuda terra,e quelle con inumati sotto embrici ο frammenti di dolio. In queste ultime infatti troviamo lo stesso tipo di corredo, con soli vasi potorie lekythoi, delle tombe a tegola.
5. GLI INCINERATI
55Seguendo la vecchia tradizione euboico-pithecusana, gli adulti venivano incinerati. A partire dal comune rito di incinerazione abbiamo vari tipi di sepoltura.
56In alcuni casi i resti della cremazione sono stati deposti direttamente nella terra, forse anche a Cuma protetti da un tumulo di pietre; siamo evidentemente di fronte alla perfetta persistenza di un rituale che in ambito euboico-pithecusano è prerogativa del « demos »52.
57Ora però compare un nuovo tipo di sepoltura ad. incinerazione, di cui abbiamo, relativamente, conservato un forte, quantitativo. Le ceneri cioè sono raccoltee rinchiuse in un vaso. Si tratta generalmente d. i olle53, di vasi acromi54, di anfore55. È evidente in questi casi il desiderio di creare una protezione alle ceneri del rogo, distinguendole dalla terra. È a Cuma una innovazione rispetto al rituale precedente, anche se non mancano confronti nel mondo greco, ad es. ad. Atene56 e nella stessa Eretria57, dove questo rituale è usato correntemente per l’adulto. È da dire che il raccogliere le ceneri in un recipiente ricorda molto da vicino la tradizione aristocratica euboico-cumana, ma in questi casi viene a mancare la protezione esterna (ricettacolo) al cinerario veroe proprio. Si può dire quindi che se queste tombe si accostano per l’elemento cinerario alle sepolture degli aristocratici cumani di VIII-VII, se ne discostano per la mancanza dell’altro elemento essenziale per le tombe aristocratiche; in particolare questo rituale appare ad Eretria utilizzato per nuclei d. i tombe tra le quali figurano sia inumati in nuda terrae senza corredo, sia inumati in cassa d. i tegole con corredo: segno d. i uno stretto legame tra questi incinerati in. vasoe gli inumati in tegole. Tutto ciò sembra parlare in favore dello inserimento di questi tipi di tombe nella storia del rituale connesso con le tombe borghesi.
58Tombe di incinerati in ricettacolo compaiono ancora a Cuma per tutto il V secolo a. C., sebbene si notino delle differenze non certo casuali rispetto ai secoli precedenti.
59In alcuni casi infatti il ricettacolo conserva formae funzione dei periodi più antichi, ma si sostituisce il cinerario: questo, prima costituito sempre dal lebete bronzeo, ora si « volgarizza » in un vaso fittile58. In altri casi il ricettacolo litico, pur conservando la forma tradizionale, manca del cinerario veroe proprioe ne assume esso stesso le funzioni59. Compare inoltre un altro sintomo di «volgarizzazione»: è anche il ricettacolo lapideo che si pauperizza. È il caso ad es. della tomba scavata nel fondo Majora. no il 22 ottobre 1888 dove delle tegole conservano il cratere usato come cinerario60 ο il caso della tomba scavata nel fondo Scala il 10 maggio 1890, dove la kelebe corinzia è protetta da un’olla grezza61.
60Le tombe a ricettacolo contrassegnavano le sepolture dei guerrieri aristocratici di Eretriae ancora guerrieri aristocratici così seppelliti si trovano nella Cuma arcaica: non è un caso che proprio a questo rituale di sepolturae non ad. altri facciano riferimento le aristocrazie indigene venute a contatto con. Cuma, in primis i « principi » di Ponte-cagnano62. Difficile quindi mi sembra non attribuire all’evoluzione del l’originario rituale aristocratico queste tombe che conservano dei secoli precedenti l’elemento tipico di questa classe sociale, cioè il ricettacolo.
61Particolarmente significativo, come vedremo in seguito, appare l’uso della cassa monolita, sepoltura tipica del giovane inumato di questo periodo, anche per sepolture di incinerati. Se in alcuni casi all’interno di esse è deposto il vaso cinerario63, in altri casi le casse monolite contengono solo le ceneri raccolte dal rogo, con un fenomeno analogo a quello riscontrato in alcune tombe a ricettacolo64. A queste ultime sepolture sono poi da riconnettere i casi degli incinerati, accanto agli inumati in cassa-sarcofago all’interno di tombe a schiena a deposizioni multiple65 ; evidentemente risultato di un particolare sforzo economico da rapportare ad un nucleo familiare ο ad un nucleo unito da altro tipo di affinità (ad es. i βεβαϰχευμένοι66 costruita essenzialmente per contenere sarcofaghi, cioè inumati. D’altra parte, coloro che costruivano per il proprio nucleo le tombe a schiena in funzione dei sarcofaghi da deporvi, non potevano costruirle prevedendo la morte solo prematura dei propri membri: è quindi evidente che il sarcofago è in questo periodo inteso anche come contenitore di ceneri, mutuando un tipo di sepoltura funzionale all’inumazione riservata ai giovani.
62Come si vede da questa semplice elencazione dei tipi delle tombe ad. incinerazione in uso a Cuma dalla fine del VI-V sec. a. C., il quadro si presenta particolarmente complesso.
63Rispetto ai secoli precedenti, il rigido rituale distinto per aristocratici (ricettacolo, lebete)e demos (ceneri del rogo in nuda terrae tumulo) si è spezzettato, in parte diminuendo le differenze, in parte usando tipi di tombe proprie dell’inumazione.
64Nelle tombe ad incinerazione il corredo vascolare, che quando è presente nelle tombe ad inumazione si riporta sempre al mondo del bere, viene qui pressocché a mancare. Gli unici casi si riferiscono a quelle tombe in cui il cinerario fittile è deposto nella terra senza alcuna forma di ricettacolo: in un caso infatti l’anfora cineraria contiene anche due piccole olpaie in una altra sepoltura accanto ad un’olla cineraria fu forse trovata un’hydria a figure nere. I vasi usati come cinerario sono costituiti, oltre che da olle acrome, da anfore, cioè i vasi contenitori che avevamo incontrato in corredo nelle tombe monolite ad inumazione.
65Compare però per la prima volta il cratere, usato sempre come cinerario, ma in casi particolari, cioè solo in quelle tombe che, data la presenza di un ricettacolo, sono il proseguimento sicuro del vecchio rituale aristocratico. Si ritrova infatti nel tipico ricettacolo67, in tombe a schiena68, in cassa monolita69. La presenza di questa forma di vaso, espressione piena del convivio, non può essere casuale : essa conclude in un certo senso tutto il processo che attraverso le forme vascolari abbiamo visto svolgersi nella necropoli cumana di questo periodo. Dai soli vasi potori delle sepolture a tegole degli inumati, ai vasi contenitori nelle casse monolite contenenti ancora inumatie usati come cinerari in tombe prive di ricettacolo, si arriva infine al pieno « possesso » del convivio con la scelta del cratere quale contenitore di ceneri, deposto in una forma di ricettacolo. È evidente allora il significato simbolico che assume questo vasoe nello stesso tempo chiarisce il perché esso resti in possesso solo della classe che unica possiede l’etaireia.
66Al mondo conviviale del resto fa implicito riferimento la già citata iscrizione di fine VI proveniente da tomba a schiena del fondo Correale che attesta l’uso di kline, terminmine che proietta il morto quasi in un ideale banchetto ultraterreno, come osserva la Guarducci70. E la cosa è tanto più significativa in questo caso perché, mentre nella più tarda iscrizione di Neapolis purtroppo perduta71, la kline è il sarcofago entro cui si pongono (έν) i resti del defunto, nella iscrizione cumana l’identificazione non si verifica dal momento che si parla di un lenós che si trova al di sotto della kline. La kline cioè conserva un legame assai più stretto con il suo originario valore di letto conviviale.
67Abbiamo ricordato come nei due primi secoli della coloniae ancora in pieno VI (cfr. sopra p. 101) la classe aristocratica usi come cinerario il lebete bronzeo; sul finire del VI a Cuma si realizza l’innovazione dell’associazione del ricettacolo lapideo con il cratere come cinerario. Il processo che è a monte di questa innovazione è evidentemente più anticoe non trascurerei a questo proposito il fatto che, in un ambito prossima a quello cumano, l’associazione tra crateree ricettacolo lapideo si realizza nella tomba 1426 di Capua, già nella prima metà del VI secolo a. C.72: la presenza del ricettacolo ricollega questa tomba direttamente al mondo euboico-cumano; come cinerario compare però per la prima volta il cratere, sebbene nel materiale canonico per l’epoca, cioè il bronzo, mentre il lebete c’è, ma serve da coperchio.
68A Cuma, oltre i crateri citati trovati dallo Stevens, sono da annoverare alcuni presenti nella Coll. Cumana (RC 246; RC 129 = inv. n. 86303; inv 86060 = Heydeman 134 ecc.) ai quali è difficile non attribuire la stessa funzione. Che l’uso del cratere come cinerario sia sempre collegato in ambito euboico all’aristocrazia data l’associazione col ricettacolo, sembra del resto confermato, per la seconda metà del v, dalla sua presenza a Pithecusa nella T. 9473.
69Unico elemento di corredo metallico che compare nelle tombe ad incinerazione, è lo striglie dell’atleta. Anche la sua presenza è limitata, come il cratere, ad un ambito ben circoscritto: compare a Cuma solo in tombe di incinerati in cassa monolita, ora in associazione col cratere74, ora da solo75, e ancora nelle tombe a schiena76. Anche quando esso si trova in tombe ad. inumazione queste, come si vide, non. si fa difficoltà ad ascriverle a rappresentanti di famiglie aristocratiche. Un’ultima fortunata conferma viene da Pithecusa77 dove lo striglie compare nell’unica altra tomba a ricettacolo (T. 93) sempre della seconda metà del v, in associazione con un. aryballos in bronzoe cuoio. In altri termini, se lo striglie, caratterizzando in senso atletico-militare un individuo, ne sottolinea l’appartenenza alla classe dirigente, sono proprio le tombe che per altri versi riprendono l’antica tradizione aristocratica a conservarne la presenza.
70Con questa conclusione non è in contrasto la restante documentazione su sepolture di incinerati. Come si è visto, infatti, al di fuori delle tombe ora considerate, restano ο sepolture di incinerati in nuda terra ο sepolture in. cinerari fìttili, che non siano crateri, per i quali l’assenza delle caratteristiche ora identificate come proseguimento dell’antico rituale aristocratico si accompagna talora alla presenza di un corredo ceramico, rigorosamente escluso invece dalle sepolture dei guerrieri aristocratici. Sembra dunque logico vedere nelle sepolture in nuda terrae in quelle in cinerario privo di qualsivoglia ricettacolo, ma talora accompagnato da ceramica, il proseguimento in forme diverse del vecchio rituale non aristocratico.
6. LA TESTIMONIANZA ARCHEOLOGICA E LA SUA INTERPRETAZIONE
71Il persistere degli antichi riti funerari (cassa lignea per inumati, incinerazione in nuda terra per gli adulti) non pone alcun problema, essendo l’esemplificazione di una tradizione che non poteva evidentemente scomparire da un giorno all’altro. Sono invece il massiccio insorgere ed intersecarsi di nuovi modi di sepoltura che devono essere interpretati, la ragion d’essere di essi non potendoe non dovendo considerarsi casuale.
72Se è vero infatti che questi rituali si rapportavano alla loro origine ad un preciso assetto sociale, con una rigorosa distinzione per classi d’età da un lato, per classi politico-sociali dall’altro, è altrettanto vero che il modificarsie complicarsi di questi rituali altro non è che il rispecchiamento del modificarsie complicarsi appunto di quell’originale assetto sociale. In altri termini persistenzee modificazioni nell’ambito del rituale “borghese” da una parte, aristocratico dall’altra, sono niente altro che la storia successiva dei due contrapposti ceti socialie come tali vanno letti ed interpretati sia al livello degli adulti che a quello correlato dei giovani.
73Il complesso delle modificazioni finora evidenziate rivela, per cominciare, un ridimensionamento della pregnanza simbolica connessa alle sepolture della classe aristocratica, fermo però restando l’elemento caratterizzante del ricettacolo: cinerario non più bronzeo bensì ceramico, assenza delle armi, presenza del corredo bronzeo limitato al solo striglie, emblema di un ideale ginnico che si trova almeno in quattro casi anche in sepolture di inumati in casse monolite, cioè di giovani aristocratici.
74Inoltre l’insieme delle tombe riconducibili all’ideale aristocratico perde, come abbiamo visto, la sua unità di rituale e, se pur è ancora possibile notare dei segni di distinzione, mostra una certa disgregazione, non formando più un tutt’uno compatto come nei secoli precedenti.
75È inoltre da notare che negli incinerati con ricettacolo, nelle tombe cioè per le quali si può ancora parlare con sicurezza di aristocratici, il vaso cinerario è costituito pres-socché esclusivamente dal cratere, forma vascolare che non. ritroviamo in alcun altro tipo di tombe presenti a Cuma tra la fine del VIe il V a. C. Tale vaso, simbolo del simposio, della philotes e della etaireia, che al convivio si richiama, resta peculiare della classe aristocratica.
76L’avvento del simposio si data, come è noto, agli inizi del VI, nell’ambito della ultima grande corrente orientalizzante che si diffonde partendo dalla Ioniae passando dall’Atene di Pisistrato78. La sua diffusione in ambito calcidese è quindi perfettamente spiegabile, ma in particolare non si può non ripensare a questo proposito agli strettissimi legami che Calcide ed Eretria hanno mantenuto in questo periodo con Atene.
77Nell’assumere quindi il cratere come cinerario, così come anche nel far propria la pratica della kline in ambito sepolcrale, l’aristocrazia si allinea a questa innovazione. Innovazione che appare tanto più significativa in quanto si realizza attraverso la sostituzione del precedente cinerario costituito, in ambiente calcidesee nella stessa Cuma, dal calderone.
78È particolarmente significativo il fatto che come il cratere alludeva a questa nuova forma di istituzione sociale che è il simposio, così il calderone alludeva alla istituzione sociale che nelle abitudini dell’aristocrazia ne aveva tenuto il posto79 : il pranzo comune a base di carne, nel quale il calderone aveva avuto il ruolo di contenitore per eccellenza. La validità del riferimento è assicurato dal corredo della80 famosa tomba 104 del fondo Artiaco. L’incinerato sepolto in questa tomba si richiama, attraverso il ricorso al calderone bronzeo come cinerarioe alle armi, al modello di sepoltura aristocratica, ma lo arricchisce di simboli supplementari, come i morsi di cavallo, allusione alla condizione di hippeus, e gli spiedi, allusione questa, come ben ha sottolineato Bruno d’Agostino81, tanto ad una condizione dell’aristocratico padrone di più spiedi, quanto, ed è la cosa che più ci interessa in questa sede, alla possibilità di consumare in abbondanza carni arrostite. Col che è evidente che tutto l’insieme del rituale legato al banchetto eroico, bollitura ed arrosto delle carni, si trova ad essere totalmente presente nel corredo di questo « principe » né più né meno di come tutto il complesso della caratterizzazione militare dell’aristocratico cumano, armie cavallo.
79Il richiamo dell’aristocratico al mondo del banchetto carneoe delle sue pratiche è d’altra parte, come ben ha sottolineato Detienne (81), particolarmente significativo in una società arcaica, dal momento che a queste stesse pratichee forme di consumazione delle carni era legato strettamente il sacrificio, che rientrava egualmente nelle competenze dell’aristocrazia.
80La cosa meritava di essere segnalata da un aristocratico appartenente alla classe dirigente nella misura in cui i suoi privilegi politici non si distinguevano da quelli religiosi, avendo l’aristocratico, per sua natura, origini divinee eroiche, e detenendo appunto perciò funzioni sacerdotali82.
81A questo punto va inoltre sottolineato che l’immagine che l’aristocrazia d. à di sé stessa, con un rituale indifferenziato che allude ai privilegie militari (armi)e religiosi (calderoni) ed economici (corredo metallico), esprime anche un momento della storia dell’aristocrazia che prevede la perfetta eguaglianza ed intercambiabilità dei suoi membri in relazione appunto ai privilegi via via evocati dal corredo.
82Il passaggio al cratere si accompagna, come si vide, ad una maggior articolazione del rituale funebre: già questo è un primo indizio del fatto che l’originaria compattezza ed uniformità del ceto che immediatamente si qualifica come aristocratico si è andata incrinando. Se poi si riflette al fatto che il simposio è una forma privata di associazione di individui ; che esso rompe il rapporto banchetto = sacrifìcio ; che attenua il discrimine tra adultie giovani, il valore dell’innovazione appare ancora più manifesto. Essa simboleggia da un lato la crisi delle gerarchie tradizionali legate all’età, dall’altro evidenzia le divisioni interne all’aristocrazia: l’aristocratico si presenta non più immediatamente come il detentore del potere politico, militaree religioso, ma come appartenente ad una determinata cerchia ora unicamente definita dal simposioe dall’οἶϰος che li organizza, dal momento che viene meno, ora, il rapporto col pubblico, prima stabilito mediante il sacrifìcio.
83Non a caso, infatti, sono dei tiranni, i Pisistratidi, che vengono presentati come gli artefici dell’introduzione del simposio ed. i tiranni sono ad un tempo il prodotto della crisi dell’aristocraziae delle στάσεις interne ad essa.
84A Cuma, per limitarci per ora alla sola documentazione proveniente dalla necropoli, se ne trova indiretta conferma nella nota iscrizione funebre la quale attesta l’esistenza di uno spazio riservato ai seguaci dei riti di Bacco. Iscrizione assai significativa:e perché genericamente ricorda l’importanza del vinoe del simposio in questa società;e perché soprattutto attesta elitarie forme associative che si ricollegano a pratiche cultuali di carattere individualee quindi antitetiche rispetto a quelle aristocratiche fondate sulla discendenza, sulla famigliae sul γένος;e perché attesta che fatti del genere si volevano proiettati anche nell’ambito della necropoli83.
85Infine quell’attenuarsi delle tradizioni gerarchichee discriminazioni tra adultie giovani, già segnalato come conseguenza della diffusione del simposio, trova conferma ancora nel nuovo rituale di sepoltura utilizzato talora per gli incinerati. È l’uso della cassa monolita. Usata normalmentee in maniera perfettamente funzionale per giovani aristocratici inumati, ora essa si trova usata anche come ricettacolo per ceneri: la presenza del cratere cinerario e/o dello striglie indica queste come tombe di individui che si richiamano all’aristocrazia.
86Segni della crisi delle antiche discriminazioni, tra aristocraticie non, affiorano in maniera evidente ove si passi all’analisi delle novità intervenute, rispetto all’antico, nel rituale utilizzato per individui non appartenenti al ceto dirigente.
87Gli adulti non appartenenti all’aristocrazia, le cui ceneri erano prima raggruppate nella nuda terra senza riparo, vengono ora seppelliti con l’uso pressocché generalizzato di una protezione, sia essa un’olla ο un’anfora. Ciò comincia già a rivelare che la distanza tra demos e aristocratici va diminuendo. È poi da notare la. comune presenza dei vasi contenitori, sia nelle tombe monolite con inumati, ossia dei giovani aristocratici, sia nelle incinerazioni di adulti non nobili. Si realizza così una fascia omogenea che comprende da un lato i giovani aristocratici, dall’altro gli elementi adulti ancora marginali, contrassegnati dalla comune presenza non del cratere, simbolo conviviale, ma del vaso contenitore, simbolo del possessoe dell’accumulo; presupposto materiale del simposio, ma non immediatamente connesso al simposio stessoe ai relativi valori ideologicie politici, come la presenza in questa fascia degli « aristocratici non adulti » manifestamente sottolinea.
88Il demos rivela dunque nei modi di sepoltura un processo di avvicinamento all’ideale aristocratico (protezione delle ceneri), ma l’avvicinamento stesso è particolarmente significativo nei riguardi del rituale di sepoltura dei giovani (vasi contenitori). Col ché si ha l’impressione che, fermi restando elementi di distinzione tra aristocraziae borghesia da un lato (striglie, cratere),e tra aristocratici adultie giovani (assenza del cratere, rito diverso) dall’altro, il processo di avvicinamento si rileva più nella sfera del socialee dell’economico che nella sfera del politico, espressa ora dai convivie dalla atletica. Abbiamo cioè da un lato la crescita economicae sociale della “borghesia”, dall’altro il depotenziamento dell’aristocrazia adulta, che si incontrano nell’accostarsi degli adulti, aristocraticie non, ai giovani aristocratici.
89Si intravede quindi al di là dei conflitti demos-aristocrazia, un ruolo nuovo assegnato ai giovani aristocratici come momento di mediazionee di incontro tra i due contrapposti processi di crescita "borghese"e declino aristocratico.
7. LA TESTIMONIANZA DELLE FONTI
90S. Humphreys osservava di recente, a proposito della interpretazione storica dei dati provenienti dagli scavi archeologici, come tali interpretazioni andassero eseguitee verificate in momentie luoghi per i quali si disponesse di una coeva testimonianza letteraria84.
91È il caso fortunato di Cuma per il periodo compreso tra la fine del VIe il V secolo. A prescindere dal conciso racconto di Plutarco85 e di Diodoro86, Dionigi di Alicarnasso87, in massima parte attingendo alla « cronaca cumana88 », si dilunga sulla figura di Aristodemo, le sue vittorie sui nemici, le lotte sostenute all’interno della città, l’avvento della tirannide. Rileggendo attentamente queste pagine si ottiene una conferma netta di quanto la lettura archeologica della necropoli aveva già fatto intravedere.
92La «carriera» di Aristodemo comincia infatti con la vittoria contro gli Etruschi nel 525 a. C. Il racconto d. ella battaglia è rivestito da un alone magico: gli dei stessi intervengono a favore di Aristodemo scatenando una furiosa tempesta che spaventa i nemici, ma il risultato della battaglia resta opera del valore del futuro tirannoe della cavalleria che lo accompagna89.
93Si intravede da questo racconto dunque il pieno potere militaree quindi politico dell’aristocrazia: aristocratico è Aristodemoe tali i cavalieri che gli si affiancano. Ma che qualche cosa di nuovo si sta muovendo nella società cumana è sintomo l’evento successivo alla battagliae al ritorno a Cuma del futuro tiranno. Aristodemo contende la corona della vittoria all’hipparchos: nell’assemblea avviene lo scontro tra fautori dell’unoe dell’altro. È qui che a favore di Aristodemo si schiera, oltre che i giudici, tutto il δήμος. È questa ultima la forza nuova che si oppone ai δυνατοίe al senato con tale forza cha la disputa non termina se non con l’intervento dei πρεσβύτεροι90.
94Già all’indomani quindi della battaglia di Cuma i sintomi della crisi che porterà alla tirannide si vedono. L’aristocrazia degli hippeis si divide nel contrasto tra l’hipparchos ed Aristodemo. L’intervento dei πρεσβύτεροι introduce nel conflitto l’elemento generazionale implicitamente contrapponendo la mediazione dei più anziani al conflitto tra i più giovani. Nel contrasto si inserisce il demos che si schiera con Aristodemoe lo qualifica già δήμου προστάτης91.
95Pochi anni dopo Aristodemo viene posto a capo di un’altra spedizione militare, quella di Aricia92. Anche questa volta è la vittoria, ma il cambiamento è notevole. Nel racconto fatto da Dionigi infatti i προεστηϰότες dell’aristocrazia avversi ad Aristodemo, lo mettono a capo di un gruppo di due mila uomini scelti non tra gli aristocratici, bensì tra gli elementi peggiori (ἀπορωτάτους ϰαί πονηροτάτους) del demos e gli assegnano dieci navi tra le più malridotte, quelle che hanno oἱ πενέστατοι come tetrarchi. Siamo in effetti di fronte ad un esercito « oplitico » : gli hippeis, anche se ve ne dovevano essere (Aristodemo stesso è hippeus) non sono, come nella battaglia di Cuma, gli autori della vittoria. Così la battaglia di Aricia segna il successo di un blocco di fantie trierarchi, accomunati dalla condizione di elementi sgraditi politicamente alla aristocrazia, contraddistinti rispetto ad essa da una condizione economico-sociale di inferiorità.
96Si mettono così le basi per la tirannide ed è la miopia del ceto dirigente a favorirne l’avvento, unificando queste forze nella comune esperienza della vittoria sotto la guida di Aristodemo. La tirannide, infatti, arriva subito dopo, quando Aristodemo ritorna inaspettato vincitore. È il consolidamento del ceto oplitico su cui Aristodemo fonderà il suo potere, ridistribuendo le terre ed abolendo i debiti. Il demos allora, ο almeno parte di esso, viene liberato in un certo senso dalla dipendenza verso l’aristocrazia assumendo sempre maggior autonomia economicae sociale93
97I lavori di bonifica della zona paludosa, voluti da Aristodemo, con l’attuazione della « fossa Graeca94 », creano maggior spazio all’agricoltura,e Cuma acquisisce nuovi terreni produttivi destinati chiaramente a famiglie non aristocratiche.
98Se dunque l’ascesa del demos rivelata dalle tombe di questo periodo è rispecchiata in. questa politica del tiranno, anche il ruolo nuovo assegnato ai giovani si intravede dal racconto di Dionigi. È chiaro che le disposizioni di Aristodemo tendono ad accostare i giovani di famiglia n obile al demos, nella sua nuova politica di potenziamento agrario, favorendo un livellame. Fin dall’indomani della battaglia di Cuma si evidenzia il ruolo nuovo dei νεώτεροι per la implicita contrapposizione ai πρεσβύτεροι di cui si è già detto. Ora, con l’avvento della tirannide, l’attenzione di Aristodemo si rivolge in particolare ai giovani. Al tiranno si attribuisce — sia pure con intenzioni malevole che la fonte di Dionigi, ora divenuta avversa, sottolinea — tutta una serie di misure tendenti alla « rieducazione » dei giovani95. Essenziale di questo programma è che i giovani aristocratici vengono inviati nei campi, allontanandoli dalle cure della polis nto tra le due classi sociali. Quanto ai cittadini, Aristodemo, sempre nella visione malevola che ora prevale in Dionigi, avrebbe impostato l’educazione giovanile nel distacco dai ginnasie dalle cure militarie nella imposizione di costumie pratiche tipicamente femminili, nell’acconciatura dei capelli, nelle vesti, nella cura del corpo, nel rapporto stretto con danzatori, flautistie cultori delle Muse in genere. Tutto ciò fino al ventesimo anno di età. Ma in realtà il discrimine rispetto all’età adulta era stato a questo livello già prima96. La pratica della pederastia è caratteristica del mondo calcidesee non andava affatto disgiunta da un’educazione di carattere militare97. Così sembrava normale a quelle fonti cumane, che Dionigi usa, ricordare il valore militare di Aristodemoe contemporaneamente tentare una interpretazione malevola dell’appellativo μαλακός in riferimento alla pratica giovanile dell’amore paidico98. Tutto ciò dimostra la tendenziosità del racconto di Dionigi ; ma. anche in questo contesto un elemento di raffronto tra queste notiziee quanto veniva fuori dalle testimonianze archeologiche di nuovo si impone. Amore paidico, eleganzae raffinatezza, danze, musica, canto sono il necessario supporto della pratica del simposio, cui proprio nell’età di Aristodemo si ricollega l’uso del cratere come cinerario.
99La fine di Aristodemoe il ritorno degli oligarchi esiliati confermano il ruolo nuovo dei giovani aristocratici con lo spicco dato ai παίδες di Hippomedonte per la riuscita del ritorno alla oligarchia.
100Se quindi i giovani aristocratici conservano ancora dopo la tirannide il ruolo nuovo ad essi assegnato, bisogna pensare che difficilmente lo stabilizzarsi economicoe sociale del demos, sancito dalla politica tirannica, potesse essere totalmente annullato dal ritorno all’oligarchia.
101Ci sono indizi precisi tesi a sottolineare certi elementi di continuità tra le forze che avevano appoggiato la tirannidee quelle che poi confluirono nell’appoggio al nuovo regime.
102Vi è in particolare tutta la storia di Xenocrite, amante di Aristodemo, che dà il suo contributo all’abbattimento della tirannide salvo poi a preoccuparsi di rendere gli onori funebri al defunto tiranno99. L’episodio testimonia una qualche forma di continuità tra il regime succeduto ad Aristodemoe certi ambienti che lo avevano a suo tempo appoggiato.
103Questa continuitàe persistenza si esprime nell’assunzione del sacerdozio di Demetra da parte di Xenocrite nello stesso momento in cui da chiari segni si evince una modificazione in crescendo della posizione di Demetra nel pantheon delle colonie calcidesi della Campania.
104In Eubea il culto di Demetra, per quel che si vede per es. ad Eretria, non era riuscito a diventare pienamente politico, essendo restato al di qua della distinzione fondamentale per la città tra άλοχοςe παλλακή100.
105E la cosa non meraviglia solo che si tenga conto della già ricordata natura « omerica » della aristocrazia euboicae della posizione marginale che rispetto all’Olimpo omerico detiene Demetra.
106Tutta una serie di testimonianze cumanee neapolitane contrastano questo punto di partenza. Secondo la «cronaca cumana» il nome della Sibilla non era stato Herophile ma Demô ο secondo altri Demophile101; Velleio Patercolo considera Demetra la divinità archegete di Cuma102 ; Eschilo103 e poi Licofrone104 identificano la divinità dell’Averno con Daeira, integrandola così nel culto di Demetra; a Neapolis il culto di Demetra viene considerato uno dei culti patrii euboici105 ; è da Napoli che Roma traeva le sacerdotesse per il culto di Demetra106 e quivi il sacerdozio era rivestito da donne di alto lignaggio come provano le iscrizioni relative107. I caratteri di questo culto emergono con chiarezza da queste serie di testimonianze: Thesmophorose latinamente legifera108, Demetra così appare collegata da un lato all’aristocraziae quindi alle tradizioni genetichee familiari; dall’altra alla chora cumana, dove, grazie alla connessione con la Sibilla, si presenta come erede delle più antichee radicate tradizioni religiose; e, in quanto archegete, si presenta come garante della sistemazione agricola realizzata all’atto dell’insediamento.
107Tutto ciò a partire da un’epoca che è quella della Cuma posteriore alla tirannide. Al conferimento del sacerdozio a Xenocrite, come ambita ricompensa per il ruolo svolto nell’abbattimento del tiranno, si accompagna, come si è detto, la notizia sulla Demetra archegete in Velleio Patercolo, il quale segue una tradizione che facendo di Calcidee Cuma fondazioni attiche, riflette l’intervento ateniese a Neapolise la visione in quel momento prevalente circa la fondazione delle colonie calcidesi in Campania: momento non di molto posteriore alla caduta della tirannidee al conferimento del sacerdozio a Xenocrite. Nello stesso ambito cronologico ci riporta l’identificazione come Daeira della divinità dell’Averno, dal momento che la prima menzione è nell’attico Eschilo.
108Nella Cuma post-tirannica, dunque, Demetra è assurta a simbolo di una volontà di restaurazione, di un programmatico ritorno alle origini che si attaglia perfettamente alla situazione che la caduta della tirannide aveva creato. La tirannide di Aristodemo infatti aveva avuto come sua conseguenza l’inquinamento degli οίϰοι aristocratici attraverso l’immissione di non liberi al posto dei padroni uccisi109 ; e aveva d’altra parte modificato la situazione della chora attraverso le bonifiche110, attraverso la ricostituzione dei ϰοινά111, attraverso confischee misure di redistribuzione della terra112. Una restaurazionee un ritorno alle origini si rendevano quindi necessari ma, in maniera contraddittoriae perciò assai significativa, ciò avveniva attraverso un’innovazione: la modificazione della posizione di Demetra nel pantheon tradizionale della polis.
109Una tradizione sibillina indica in Hera la divinità più importante di Cuma all’atto del passaggio dei coloni nella terraferma113: archegete, dunque, secondo questa tradizione era stata Hera. D’altra parte il famoso disco iscritto, di VII sec. ο di VI a. C. attribuisce proprio ad. Hera funzioni oracolari114 : coerentemente Herophile viene indicato come nome della Sibilla Cumana115. Un nome assai significativo, per il legame che sottintende tra la Sibilla ed Hera da un lato, tra la Sibilla Cumanae i suoi immediati antecedenti anatolici dall’altro: Herophile era stato il nome della più famosa delle Sibille anatoliche116. Tutto ciò in coerenza con la posizione privilegiata di Hera in Eubea117.
110Il richiamo a Demetra archegete conteneva dunque una forte carica innovativa, il cui significato appare tanto più chiaro se si tiene conto, non solo dell’importanza di Hera nell’Eubea, ma anche dei caratteri con cui questo culto è passato dalla madrepatria alle colonie in età arcaica. Il mito della Gigantomachia, significativamente presente nelle colonie euboiche della Pallene da un lato, e della pianura flegrea dall’altro, veicolava un’immagine di Hera armata, protettricee non nemica di Herakles118, quale perfettamente si attagliava ad una aristocrazia guerriera. Se dunque l’importanza del culto di questa divinità ben si addiceva agli aristocratici hippeis cumani, il decadere di esso in favore di Demetra, protettrice degli οίϰοι e delle attività agricole è un altro sintomo non trascurabile del cambiamento politicoe sociale susseguitosi nella Cuma post-tirannica.
111Ma i segni di orientamento in questo senso si intravedevano già nell’opera del tiranno;e certe modifiche allora introdotte nella, organizzazionee utilizzazione del territorio erano irreversibili: si pensi ai valori di bonifica ο al recupero dei ϰοινά. Non è dunque casuale la concessione del sacerdozio di Demetra proprio a Xenocrite, già sostenitricee amante del tiranno: nel culto di Demetra archegetee nella sistemazione del territorio, che a lei si voleva far risalire, erano destinati ad incontrarsi i nemici di Aristodemoe certi ambienti che lo avevano dapprima appoggiato.
112D’altra parte l’atteggiamento della « cronaca cumana », favorevole ad Aristodemo fino alla battaglia di Aricia, ma sfavorevole poi alla tirannide, testimonia, anch’esso, con il richiamo alle giuste motivazioni dei primi atti di Aristodemo, la persistenza nella situazione successiva alla tirannide, di tradizionie quindi di forze che all’avvento della tirannide avevano dato il loro appoggio.
113Tutto ciò costituisce il presupposto necessario per la notata continuità tra la situazione evidenziata nelle tombe cumane di fine VI e quella che ancora si manifesta nelle sepolture di V a. C., mentre, d’altro lato, giustifica le forti innovazioni che si riscontrano nella necropoli proprio in concomitanza con l’apparire di Aristodemo sulla scena politica della città.
114Un’ultima coincidenza va a questo punto sottolineata per confermare la stretta correlazione tra testimonianza archeologicae letteraria. Se da un lato l’aristocrazia cumana attraversa nell’età di Aristodemo la sua crisi, dall’altro nella storia della necropoli è proprio questa l’epoca in cui viene meno il rispetto delle sepolture più antiche attraverso una massiccia occupazione della zona dove erano le tombe di VIII e VII a. C.119.
115In conclusione l’auspicata conferma del quadro politicoe sociale quale si può trarre attraverso l’analisi del materiale di una necropoli, ci pare compiutamente realizzata per la necropoli cumana.
Notes de bas de page
1 Gli scavi cominciarono nel 1852 e si protrassero fino al 1857; cfr. E. Gabrici, Cuma, MAL 22, 1913, col 42. Brevi note prive di qualsivoglia dato di scavo sono nel Bullettino Archeologico Napolitano dell’epoca.
2 Gli scavi di Emilio Stevens si svolsero dal 1878 al 1893 con una pausa tra il 1884 e il 1886. Per le vicende che portarono all’acquisto del materiale da parte del Ministero della Pubblica Istruzione cfr. G. Buchner, Cuma nell’VIII sec. a. C. osservata dalla prospettiva di Pithecusa, in I Campi Flegrei nell’Archeologia e nella Storia-Atti Convegno Lincei, Roma 1977, p. 131, n. 3.
3 Gabrici, Cuma, cit. Per un succinto ma documentato giudizio su questa opera, cfr. ora anche M. Frederiksen, in Italy Before the Romans, 1979, p. 279 s., cfr. p. 295 s.
4 Negli ultimi tempi, nell’ambito del generale riordino dei materiali conservati nel Museo Nazionale di Napoli, promosso dalla Soprintendenza, anche il materiale proveniente dagli scavi Stevens riunito in un unico deposito, è stato rintracciato, riordinato e catalogato, mentre si attende ad una ricostruzione dei corredi ricostruibili in vista di una riorganizzazione della esposizione. Nel medesimo deposito è raccolta anche parte della Coll. Cumana, ordinata su basi tipologiche, mancando per essa ogni dato di rinvenimento.
5 Soprintendenza alle Antichità di Napoli, Archivio Vecchio, cartella XX, scomparto a cartella n. 5.
6 G. Buchner, in Contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes, Cahiers du Centre J. Bérard 2, Naples, 1975, p. 59 ss.
7 Cl. Bérard, L’hérôon à la Porte de l’ouest-Eretria-Fouilles et Recherches III, 1970.
8 Cl. Albore-Livadie, in Contribution, cit. p. 53 ss. : Buchner, Cuma, cit.
9 Opinione già espressa dal Buchner, Cuma, cit., p. 137 s.
10 A. Andriomenou, in AAA 7, 1974, p. 229 ss. ; Id., in AAA 9, 1976 p. 197 ss.
11 M. Napoli, in PP, 1952, p. 269 ss. ; Id. in Storia di Napoli I, 1967, pp. 471 ss. ; St. De Caro, in Rend. Acc. Arch. Lett. B. A. di Napoli, NS 49, 1974, p. 37 ss. ; per le tombe di cui conosciamo il corredo cfr. W. Johannowsky, in Boll. Arte 45, 1960, p. 202 ss.
12 Gabriel, Cuma, cit., col. 21 s.
13 Perplessità in questo senso era del resto già espressa in Not. Sc. 1883, p. 272.
14 Gabrici, Cuma, cit., col. 558 ss. e fig. 208; col. 568.
15 Ad es. inv. n. 85841 = Gabrici, Cuma, cit. tav. LVI, 1; inv. n. 85846 = Gabrici tav. LVI, 3; inv. n. 85844 = Gabrici tav. LVI, 4; inv. n. 86322 = Gabrici tav. LXIV, 3; inv. n. 83320 = Ga brici tav. LXIV, 1; inv. n. 86333 = Gabrici tav. LXIV, 2; inv. n. 86356 = Gabrici tav. LXII 3; inv. n. 86345 = Gabrici tav. LXII, 4: inv. n. 86344· = Gabrici tav. LXII, 6. Nella stessa zona fu anche rinvenuta la tomba a schiena con iscrizione di fine VI a. C. per cui v. oltre p. 109e n. 51.
16 Egualmente nessuna tomba greca è stata ritrovata nel Fondo Palumbo, cfr. Gabrici, Cuma cit., col. 31.
17 G. Pellegrini, in MAL 13, 1903, p. 209 ss.
18 Gabrici, Cuma, cit., col. 743 ss. ; cfr. anche col. 477, tav. LVII.
19 Cfr. per ultimo I. Kleeman, in Festschrift F. Matz., 1962, p. 44 ss.
20 Fondamentale per la comprensione del fenomeno del suo complesso resta S. Mazzarino, Fra Oriente ed Occidente, 1947, p. 191 ss.
21 Cfr. anche D. Van Berchem, in Mélanges A. Piganiol 2, 1966, p. 745 s.
22 U. Knigge, Der Südhügel-Kerameikos IX, 1976, p. 14.
23 Per Poseidonia, cfr. A. Greco Pontrandolfo, in Dial. Arch. Ν. S. 1979, I, 2, p. 32s. ; per Eretria cfr. sopra nota 10.
24 G. Colonna, in PP 174, 1977, p. 131 ss. Se l’oplitismo è da un lato il risultato della crescita economica di «classi medie» (crescita tale da premettere l’acquisto di un’armatura), dall’altro lato esso fornisce a queste stesse « classi » una « promozione politica ». Cfr. Aristotele, Pol. IV, 1297 b 15-28.
25 Kerameikos IX, cit. p. 15.
26 Kerameikos IX, cit. p. 14.
27 Buchner, in Contribution, cit. p. 71 s.
28 Per la concentrazione di δοῦλοι nelle attività pastorali ed agricole, con esclusione da ogni attività contadina, Dion. Hal. VII, 9, 2-3; per l’interpretazione cfr. E. Lepore, Classi sociali e ordini in Magna Grecia in Recherches sur les structures sociales dans l’antiquité classique -Caen 25-26, avril 1969, Paris, 1970, p. 58.
29 Buchner, in Contribution, cit., p. 69.
30 Dion. Hal. VII, 9, 5.
31 Fondo d’Isanto NW, 1 luglio 1889.
32 Fondo d’Isanto NW, 24 aprile 1889.
33 Fondo Majorano, 18 maggio 1886.
34 Fondo d’Isanto, 20 dicembre 1888 = Gabrici, tomba XCVI: kotyle inv. n. 128008; lekythos a fig. r. inv. n. 128086; Pheidias shape inv. n. 139694; guttus inv. n. 139767; coppetta a v. n. non rintracciata; coppetta monoansata non rintracciata.
35 Fondo d’Isanto, 7 marzo 1889, h. cm. 16; Fondo Majorano, 9 novembre 1886, h. cm. 11.
36 Due esemplari entrambi alti cm. 11,5 ritrovati a Fondo d’Isanto il 7 marzo 1889: si tratta della stessa tomba che aveva dato la pelike acroma già citata a nota 35. Il corredo è costituito da questo solo tipo vascolare, ripetuto tre Volte.
37 Kerameikos IX, cit., p. 43.
38 Fondo d’Isanto S., 14 ottobre 1889, insieme a due olpai; Fondo d’Isanto NW, 3 luglio 1888, come unico oggetto di corredo.
39 Più tarda, degli inizi del tv, la tomba scavata a Fondo d’Isanto il 4 luglio 1888 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXXV.
40 Fondo Majorano, 20 gennaio 1888 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXXI, inv. n. 140240.
41 Due grosse fibule ad arco in una tomba femminile (?), trovate il 22 giugno 1888 a Fondo d’Isanto; manca ogni altro oggetto di corredo.
42 Fondo Majorano, 3 marzo 1887 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXIV.
43 Fondo d’Isanto NW, 9 gennaio 1888 b: anellino d’oro a filo ritorto. Gli anelli sono sempre stati trovati nella mano sinistra.
44 Fondo Majorano, 19 dicembre 1887 b = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXVII: anellino d’argento a scudo trovato insieme ad una pelike attica a fig. r., inv. n. 127938, attribuita da J. D. Beazley, Attic red-figure Vase Painters, 1962, p. 1135, alla cerchia del Washing Painter.
45 Fondo Scala, 18 maggio 1886: due anelli di filo di bronzo, nessun altro oggetto di corredo. Fondo d’Isanto, 7 dicembre 1888, due anelli di bronzo non meglio specificati in una cassa monolita contenente i resti di due deposizioni con corredi relativamente ricchi databili tra la fine VI-inizi V (prima deposizione); seconda metà V (seconda deposizione). Probabilmente vi erano seppelliti un uomo (presenza di uno striglie), e una donna (globuli di pasta vitrea appartenenti a collana). Impossibile, dalla descrizione dello Stevens, ormai distribuire esattamente gli elementi costitutivi dei due contesti, maschile e femminile.
46 7 dicembre 1888, ciondolo in bronzo, cfr. sopra nota precedente.
47 Fondo d’Isanto NW, 2 ottobre 1888 = Gabrici, Cuma, cit. tomba LXXXIX, pendaglio in pasta vitrea a forma di Bes; unico oggetto di corredo.
48 Cfr. sopra nota 45.
49 Fondo Scala, 15 maggio 1886 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXI, cerchietto d’ambra ritrovato all’altezza del petto.
50 Fondo d’Isanto, 12 ottobre 1888, manico di striglie desinente a testa d’ariete; lekythos attica tipo Deianira; Fondo d’Isanto, 7 dicembre 1888, cfr. qui nota 45; Fondo d’Isanto 30 aprile 1889, oltre allo striglie il corredo comprendeva una kotile e una kylix attiche. Accanto alla prima di queste tombe lo Stevens scavò una tomba a cassa monolita = Gabrici, Cuma, cit., tomba XC, usata per contenere un incinerato. Il vaso cinerario era costituito da un cratere a colonnette attico attribuito dal Beazley, ARFV, cit., al Pittore di Pan.
51 M. Guarducci, Epigrafia Greca 3, 1975, p. 144. La tomba a schiena con questa epigrafe fu ritrovata nel Fondo Correale alla fine del secolo scorso, cfr. Not. Sc. 1884, p. 348 ss.
52 Ad es. Fondo Majorano, 2 febbraio 1887, in una zona dove le tombe più antiche sono ad un livello di molto inferiore; e Fondo d’Isanto NW, 2 ottobre 1888, in una zona dove mancano comunque tombe più antiche. Sulla questione del tumulo di pietre a protezione di queste tombe a cremazione a Cuma, cfr. Buchner, Cuma, cit., p. 137s. Per Ischia cfr. Buchner, in Contribution, cit, p. 59 ss.
53 Fondo Majorano, 6 maggio 1886: in corredo due Pheidias Shape; Fondo Majorano, 20 aprile 1886 b; Fondo Majorano, 5 dicembre 1887 = Gabrici, Cuma, cit. tomba LXXVI. Il Gabrici considera come appartenente al corredo del cremato nell’olla anche un’hydria di tipo arcaico a corpo conico inv. n. 127873. In realtà lo Stevens in questo caso non fu particolarmente accurato: infatti annota accanto all’olla, insieme all’hydria, anche due aryballoi globulari a decorazione geometrica; se è evidente che questi due ultimi pezzi non possono appartenere alla sepoltura in questione ma ad un’altra più antica sconvolta, resta dubbia anche la relazione tra l’olla e l’hydria, potendo quest’ultima essere un cinerario essa stessa (h. cm. 48,5). Fondo Majorano, 14 dicembre 1887; Fondo Scala, 22 settembre 1890.
54 Fondo d’Isanto, 22 dicembre 1888; Fondo d’Isanto, 24 aprile 1889.
55 Fondo Majorano, 20 aprile 1886 a; Fondo d’Isanto NW, 28 giugno 1888.
56 Kerameikos IX, cit., p. 13.
57 Cfr. sopra nota 10; v. anche A Δ 28, 1969, p. 231, fig. 4.
58 Fondo d’Isanto NW 9 gennaio 1888 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXVIII: come cinerario un cratere attico a campana, inv. n. 127931. Fondo d’Isanto NW, 25 aprile 1889 = Gabrici, Cuma, cit., tomba CI: come cinerario una pelike. Fondo Scala, 26 marzo 1890 = Gabrici, Cuma, cit., tomba CV: come cinerario un’olla.
59 Fondo d’Isanto NW, 19 gennaio 1888; Fondo Majorano, 7 giugno 1887.
60 Fondo d’Isanto, 22 ottobre 1888 c = Gabrici, Cuma, cit., tomba XCI, inv. manca, cratere attribuito dal Beazley, ARFV, cit., p. 532, al Pittore di Alkimachos.
61 Fondo Scala, 10 maggio 1890 = Gabrici, Cuma, cit., tomba CVI: kelebe inv. n. 127370. Cfr. anche la tomba trovata nel Fondo Majorano il 9 aprile 1887 : il ricettacolo di tegole conservava dei vasi usati come cinerari; non sappiamo quali forme vascolari fossero presenti in questo caso, poiché lo Stevens si limita a parlare semplicemente di «Vasi figurati»: per analogia propenderei però anche in questo caso per il cratere.
62 Cfr. infra nota 80 e p. 116.
63 Fondo d’Isanto,13 ottobre 1888 = Gabrici, Cuma, cit., tomba XC, cratere attico a colonnette, inv. manca, cfr. Beazley, ARFV, cit., p. 551, attribuito al Pittore di Pan; Fondo Majorano, aprile 1886, con più deposizioni: anche in questo caso mancano nello Stevens le descrizioni dei vasi usati come cinerari: lo scavatore si limita ad annotare che si tratta di vasi figurati (crateri?).
64 Fondo Majorano, 20 gennaio 1888; in questo caso, oltre le ceneri raccolte in un angolo, fu trovato anche uno scheletro in posizione. Fondo d’Isanto NW, 23 ottobre 1888, il corredo è costituito unicamente da uno striglie.
65 Fondo Majorano, aprile 1886: i sarcofaghi laterali contenevano inumati; vasi cinerari non meglio specificati erano invece sul sarcofago centrale. Fondo Majorano, 18 maggio 1886 = Gabrici, Cu- mama, cit., tomba LXXII, in questo caso i due sarcofaghi laterali contenevano ossa combuste; all’interno di questa tomba fu rinvenuto dallo Stevens anche il cratere attico inv. n. 127929 attribuito dal Beazley, ARFV, cit., al Pittore di Boreas, che molto probabilmente doveva essere stato usato come cinerario. Fondo Majorano, 5 gennaio 1888; 20 dicembre 1887; in quest’ultimo caso, oltre a resti di ossa inumate, fu trovata anche un’olla della stessa forma di altre usate come cinerario, chiusa da una scodella: è molto probabile che anche in questo caso si debba parlare di coesistenza di entrambi i riti (inumazione ed incinerazione) all’interno della stessa tomba.
Che le tombe a schiena contenessero anche incinerati appare evidente da questi esempi. Si deve però tener presente che la percentuale doveva essere di molto maggiore : i clandestini avevano già all’epoca dello Stevens depredate e distrutte gran parte di esse; d’altra parte i cinerari, per lo più costituiti come abbiamo visto da vasi figurati, devono essere stati i primi ad essere trasfugati dai clandestini. Ne fa fede il gran numero di vasi cumani presenti in vari Musei; ad es. i crateri di Boston 10, 185; di New York 41. 162. 73; la pelike di Oxford 1927. 3 e ecc.
66 Su questa discussa epigrafe, cfr. infra la nota 83.
67 Fondo d’Isanto, 9 gennaio 1888 e 22 ottobre 1888 c.
68 Fondo Majorano, 18 maggio 1886 = Gabrici, Cuma, cit., tomba LXXII.
69 Fondo d’Isanto, 13 ottobre 1888.
70 M. Guarducci, Epigrafia Greca 3, 1975, p. 144.
71 Not. Sc., 1884, p. 356s: l’iscrizione è purtroppo perduta, ma per la presenza del fenomeno della ε = η, ει sembra possibile datarla tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a. C.
72 W. Johannowsky, in Rend. Acc. Arch. Lett. Β. A. di Napoli, NS 49, 1974 p. 3 ss.
73 Buchner, Cuma, cit., p. 141, nota 23. L’assenza a tutt’oggi di tombe « aristocratiche » con ricettacolo nei secoli precedenti a Pithecusa, non sembra una ragione valida per attribuire questa, come l’altra tomba sempre a ricettacolo dell’isola (cfr. infra nota 77) a « borghesi », data la persistenza del rituale di sepoltura.
74 Fondo d’Isanto, 13 ottobre 1888.
75 Fondo d’Isanto, 23 ottobre 1888.
76 Fondo Majorano, 13 ottobre 1888. La lamina in bronzo, non meglio specificata dallo Stevens, trovata il 24 maggio 1888 nel Fondo Majorano, poteva in realtà riferirsi al bordo di un aryballos in cuoio.
77 Buchner, Cuma, cit., p. 141, nota 23.
78 Idomeneo in Athen. XII, 532 f = FGr Η 338, fr. 3.
79 Si pensi agli eroi omerici, modello, come è noto, dell’aristocrazia euboica, cfr. Cl. Bérard, Hérôon, cit., p. 28 ss.
80 Β. d’Agostino, Tombe «principesche» dell’orientalizzante antico da Pontecagnano, MAL, Serie miscellanea III-1, 1977, p. 18 ss., 55 ss.
81 M. Detienne, in Dial. Arch. Ν. S. I, 1, 1979, p. 6 ss. ; Id. in M. Detienne-J. -P. Vernant, La cuisine du sacrifice, 1979, p. 10, 23 ss. Per la persistenza del calderone ancora in età moderna nelle funzioni religiose greche, cfr. S. Georgoudi, in La Cuisine du sacrifice, cit., p. 285, 301.
82 L. Gernet, Anthropologie de la Grèce antique, 1968, p. 335 s.
83 Il carattere dionisiaco dell’iscrizione è accertato dal termine βεβαϰχευμένοι (cfr. da ultimo W. Burkert, in Atti Convegno Magna Grecia 14, 1974, p. 90, nota 17), ma attenuato dal fatto che l’iscrizione sembra piuttosto da collegarsi a una riforma degli stessi riti orientata in senso orfico (cfr. Burket, cit., p. 86 e soprattutto G. Pugliese Carratelli in PP 154-155, 1974, p. 122 e dello stesso, Problemi iella storia di Cuma arcaica, in Atti Conv. Lincei, I Campi Flegrei, cit., p. 178), che comportava un’attenuazione di quegli aspetti estatici, tesi all’annullamento della personalità individuale nell’ubriachezza, e si legava piuttosto alle pratiche pitagoriche ed orfiche incentrate sulla memoria, e sulla garanzia attraverso di essa di un accesso alla vita dei beati.
84 S. C. Humphreys, Saggi antropologici sulla Grecia antica, 1979, p. 220.
85 Mul. Virt. 26, p. 261 e.
86 VIII, 10.
87 VII, 2-11. Per l’insieme delle notizie su Aristodemo, V. V. Cozzoli, in Miscellanea Greca e Romana, 1965, p. 5 ss.
88 A. Alföldi, Early Romans and the Latins, 1965, p. 62ss: E. Gabba, Considerazioni sulla tradizione lettararia sulle origini di Roma, in Les Origines de la République Romaine, Entretiens Hardt XIII 1967, p. 145 s.
89 VII, 3, 4.
90 VII, 4, 3 -4.
91 VII, 4, 5.
92 VII, 5, 2-3.
93 VII, 7, 1 -2.
94 Plut. Mul. Virt. 26, 262 b; cfr., anche Livio XXVIII, 46, 4. L’atteggiamento negativo della fonte filo-aristocratica seguita da Plutarco conferma il carattere democratico di questa opera di bonifica.
95 VII, 9, 2-3.
96 Cfr. sopra p. 105.
97 Per la diffusione della pederastia in ambito calcidese, cfr. G. Vallet, Rhégion et Zancle, 1958, p. 290, 293 ss. ; sul carattere militare ad essa legata cfr. A. Mele, I caratteri della società eretriese arcaica, in Contribution, cit., p. 24.
98 VII, 4, 3.
99 Plut. Mul. Virt. 26, p. 261 e.
100 L. Breglia Pulci Doria, in Recherches sur les Cultes grecs et l’Occident, 1, Cahiers du Centre J. Bérard 5, 1979, p. 61 ss. Per la distinzione tra άλοχος e παλλακή, cfr. J. -P. Vernant, Le mariage, in PP 1973, p. 51 ss. = Mythe et société en Grèce ancienne, 1974, p. 57 ss.
101 Paus. X, 12, 8 = FGrH. III, Β 576, F 2.
102 I, 4, 1.
103 Aesch. F. 277, Nauck.
104 Lycoph. Al. v. 710 s. Per il ruolo di Daeira, cfr. recentemente S. Mazzarino, in Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae 25, 1977, 1 -4 p. 453 ss.
105 Stat. Silv. IV, 8, 45-54.
106 Cic. Pro Balbo 24, 55.
107 Cfr. M. Napoli, Napoli Greco-Romana, 1959, p. 140.
108 IG XIV, 756 a; 702. Cfr. Farnell The Cults of the Greek States III, p. 75 ss., 105.
109 VII, 8, 3 -4.
110 Cfr. sopra nota 94.
111 VII, 4, 5.
112 VII, 8, 1-2.
113 Phleg. Tralles, de Mir. 10 ss (= Paradoxographorum Graecorum Reliquiae, ed. A. Giannini, 1965, p. 201 ss.).
114 M. Guarducci, Epigrafia Greca, 1, 1967, p. 229 ss.
115 Sittig, in PW s. v. Herophile, col. 1103-4.
116 Cfr. sopra nota 115 e ancora Rzach, in P. IV. s. v. Sibyllen col. 2077 ss.
117 N. Valenza Mele, in MEFRA 89, 1977, p. 493 ss.
118 N. Valenza Mele, in Recherches sur les cultes grecs, cit., p. 29 ss.
119 Devo l'osservazione a Bruno d'Agostino che ha sottolineato durante la discussione, l'importanza di questo dato topografico nell'espansione della necropoli.
Un particolare ringraziamento devo inoltre al prof. Fausto Zevi, Soprintendente alle Antichità di Napoli, e alla prof. Enrica Pozzi Paolini, direttrice del Museo di Napoli, che mi hanno concesso di procedere al riordino del materiale proveniente dagli scavi cumani e di accedere alla consultazione dei taccuini Stevens.
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
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Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
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La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
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