La ceramica attica di Tharros: le nuove stratigrafie dalla città fenicia del Sinis
p. 99-104
Texte intégral
1. Premessa
1La città punica di Tharros ha restituito, nel corso di almeno un secolo di ricerche, una significativa documentazione che riguarda il tema in questione nel presente convegno: all’interno di essa la ceramica attica di IV secolo a.C. svolge infatti un ruolo essenziale e contribuisce sicuramente a precisare meglio momenti importanti della storia della città; nello stesso tempo manifesta un suo ruolo all’interno della circolazione della ceramica attica nel mediterraneo occidentale, sia nelle concordanze con essa che nelle differenziazioni. Appare però opportuno fare un breve riepilogo dei dati e dei principali nuclei di rinvenimenti, sostanzialmente riferibili ai contesti tombali (Barnett/Mendleson 1987) e a quelli dell’area più intensamente scavata, il colle di Su Muru Mannu, dove sono ubicati tofet, fortificazioni meridionali della città e, presumibilmente, l’acropoli1. Altri dati, ancora inediti, provengono dagli scavi condotti a cavallo degli anni ‘60 da Gennaro Pesce nell’area urbana a mare (Pesce 1964).
2. I dati delle necropoli
2I dati delle necropoli, come si è avuto modo di sottolineare, vanno utilizzati con estrema cautela a causa della complessa storia di scavi leciti e illeciti del secolo scorso, dei trasferimenti dei materiali stessi e della presumibile spoliazione di numerosi pezzi significativi (Barnett/Mendleson 1987, 33-34); eppure l’analisi a suo tempo proposta sulle 33 tombe scavate dal Cara – che costituiscono comunque il nucleo più organicamente leggibile – e la combinazione delle ceramiche di contesto tombale con quelle provenienti dall’area di Su Muru Mannu (Madau 1989, 73-79) ha evidenziato aspetti interessanti quali la presenza relativamente scarsa della ceramica a figure rosse e una fortissima flessione delle lucerne di IV secolo a.C. rispetto a quelle del secolo precedente: dal 50% al 5% (Madau 1989, 85). La buona attestazione degli askoi combinata con il calo delle lucerne e la progressiva scomparsa di coppe e kylikes fanno avvertire nel passaggio fra il V ed il IV secolo a.C. un cambiamento culturale, avvertibile quanto meno a livello di rituale funerario. Gli inquadramenti proposti dagli editori collocano tra la fine del V e i primi decenni del secolo successivo askoi (ad astragalo, a figure rosse e “side-spouted”), “squat lekythoi”, un “small bowl” e una coppa “stemless”; a tutto il IV secolo sono attribuite lucerne (23, 25A e 25A Prime), piatti “rolled rim”, coppette, askoi (del tipo guttus, “lion” e “sidespouted”), “saltcellars”, “net-lekythoi”.
3. I dati di Su Muru Mannu
3.1. Premesse metodologiche
3Passiamo ora alle risultanze leggibili nell’area del tofet2 sulle quali ci si soffermerà più partitamente. Esse forniscono interessanti indicazioni cronologiche e di contesto, nonostante tutto delineabili: nel corso del pluridecennale intervento condotto a Su Muru Mannu dal CNR sotto la direzione di Enrico Acquaro, in missione congiunta con la Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano, la scelta organica d’impostare e condurre gli scavi a quadrati ha reso in qualche modo problematico il recupero di affidabili letture di contesto dei rinvenimenti, editi sostanzialmente e inevitabilmente per materiali selezionati, classi e tipologie con la semplice indicazione di quote ed eventualmente tagli. Una prima lettura dei tipi rinvenuti per la ceramica attica, e una più generale riflessione sul complesso dei materiali che in ogni caso provenivano dalla cosiddetta area tofet, portarono chi scrive a rilevare la netta predominanza delle forme di funzione conviviale e ad ipotizzare l’esistenza di nuclei urbani non esclusivamente omologabili alla dimensione santuariale tofet, posizionabili fra l’area dei rinvenimenti tofet e la linea delle fortificazioni (Madau 1989, 77). Le campagne di scavo successive mostrarono in effetti nuove importanti possibilità di lettura dell’area: a poche decine di metri dalla linea delle fortificazioni, e prima del tofet, iniziò a evidenziarsi attorno a un muro di notevoli dimensioni costituito da conci d’arenaria intonacati già individuato nel 1988-89 (Acquaro 1991, 160; Madau 1991, 165-167; per successive precisazioni stratigrafiche, Bernardini 1993, 173-175; Madau 1993a, 177-180) un settore con tracce consistenti di lavorazione del ferro (fig. 2). La lettura può essere così sintetizzata: un impianto metallurgico si sovrappone tra la metà e la fine del IV secolo a.C. ad un’area con strutture legate al sacro dalla quale vengono riusati elementi edilizi con iscrizioni votive presumibilmente pertinenti a sacelli (su tali elementi Bernardini 1994; Madau 1993, 75, nota 74; Francisi 1995); l’area sacra fu attiva prima della metà del IV secolo a.C. e almeno da età tardo-arcaica. La stratigrafia evidenziata nel 1990 (Madau 1991, 165-167, con sezione pubblicata in Bernardini 1993, tav. XV) e ampliata nel 1991-1992 (Bernardini 1993, 173, fig. 3) ha restituito una sequenza fortemente innovativa, compresa fra il VI secolo a.C. e l’età imperiale, con materiali sporadici risalenti alla fine dell’ottavo secolo a.C. (Bernardini 1991, 186-188, fig. 1, tav. XX, 2). Le fasi puniche sono ben scandite dalla ceramica attica, che appare con presenza costante dalla fine del VI a tutto il IV secolo a.C. Nella figura allegata si veda la lettura e rielaborazione stratigrafica da noi proposta: fig. 2, a-b.
3.2. Le forme
3.2.1. Il V secolo a.C.
4Dopo le attestazioni tardo-arcaiche (kylikes e skyphoi a figure nere (fig. 3, 1), lucerne del tipo Howland 19), la documentazione del V secolo si distingue per il numero elevato di tipologie e varianti (i dati riepilogativi in Madau 1989a, con bibliografia precedente; successive integrazioni in Madau 1989b e 1991): si vedano le diverse tipologie di coppe, fra le quali si segnalano, frequenti, le “stemless with inset lip”, gli skyphoi (a vernice nera, sovraddipinti, a tecnica “intentional red”), rare attestazioni di crateri, “cups-skyphos”, una sola lekythos e kylikes a figure rosse. Numerose le lucerne, con presenza dei tipi Howland 20, 21B e D, 22B e C, 23A Prime e 24 A-D (sulle lucerne greche, vedi Ugolini 1993). Dei frammenti significativi presi in esame sino al 1990 e riferibili a un’ottantina di vasi, le coppe (nelle loro diverse varianti) raggiungono circa il 44%, mentre le lucerne raggiungono circa il 30%. Tale interessante spettro tipologico va letto anche alla luce del più complessivo contesto delle importazioni greche indiziato dai ritrovamenti dell'area: la fase che precede la risistemazione di seconda metà IV mostra un’interessante presenza di anfore di tipo massaliota e da Samo, Chio, Mende, Corinto (Madau 1991, 169-170, fig. 2-3, n° 21-33) distribuite tra la fine del VI ed i primi decenni del IV secolo a.C. (per i rinvenimenti in strato sia delle anfore che dei pezzi attici vedi Madau 1991, 169-171, in particolare i pezzi rinvenuti fra gli strati 5b e 10). Certamente la presenza sul colle di un’area sacra articolata come sta emergendo dagli ultimi scavi3 oltre a rendere ancora più significativa la presenza di contenitori anforici a natura commerciale, può ora spiegare meglio alcuni fenomeni, legando coerentemente la notevole presenza di forme come kylikes e lucerne a funzionalità di offerte votive: ricordiamo l’eccezionale frammento di una kylix attica con iscrizione punica con dedica votiva ad Attis edito a suo tempo dal Garbini (Garbini 1985); la kylix, a giudicare dal profilo del piede, è databile fra il secondo ed il terzo venticinquennio del V secolo a.C. Il graffito riporta un vaso che sembrerebbe un cratere a volute, perfettamente pertinente al contesto ideologico della dedica. Chiudiamo queste note sulle fasi di V secolo a.C. indicando l’interessante fenomeno delle imitazioni, spia di un più vasto processo di ellenizzazione in atto: esso registra la forma del cratere (Molina Fajardo 1984, 81, fig. 6m; Acquaro 1985, 13, tav. V, 10), della coppa “stemless with inset lip” e della lucerna (scavi 1990-1991; per la lucerna vedi anche l’imitazione in ambito tardo-arcaico del tipo Howland 12w: Madau 1989b, 296, fig. 1, d). Emerge la presenza di un frammento in argilla nocciola che riproduce, in una sommaria versione punica a pittura rossa, il motivo della civetta (Acquaro 1991,162-163, tav. XX, 4). Gli skyphoi attici con civetta, peraltro conosciuti a Tharros (Molina Fajardo 1984, 86, fig. 14d) ne sono gli evidenti prototipi. L’ambientazione cronologica proposta (fine del IV secolo a.C.) potrebbe forse risalire ancora alla fine del V secolo a.C., laddove non si voglia postulare un attardamento forse eccessivo per tale imitazione (fig. 3, 3-5).
3.2.2. Il IV secolo a.C.
5La fase di risistemazione “industriale” palesa una vera e propria accelerazione produttiva tale da ridimensionare – anche con brutalità – le precedenti tradizioni culturali; ad essa si collega gran parte della ceramica attica di IV secolo, come inizia a mostrarsi in stratigrafia (Madau 1993, 177-180, con attribuzione dei materiali di IV secolo a.C. agli strati 2b e 3 dei quadrati G-H 17); precedenti a questo mutamento urbano dovrebbero essere frammenti di fine V-primi decenni del IV secolo a.C., come ad esempio gli skyphoi (Madau 1991, 171, n. 46-47 provenienti dallo strato 5b di F-G 17a, immediatamente sottostante alla risistemazione del muro e databile tra la fine del V e i primi decenni del IV sec. a.C.; analoga documentazione dallo scavo del 1992: Madau 1993, 179, strato 4, fig. 3). Si cita per questa fase una coppetta del tipo “later and light” (Acquaro 1982, 50) di forma Agora 875, oltre alle Boisai di tipo antico. Delle forme principali documentate nell’area di Su Muru Mannu e riferibili al secondo-terzo venticinquennio del IV secolo a.C. (“Bolsal”, coppe L. 22 e L. 21/25, coppette, “cup-kantharos”, piatti ombelicati e piattelli “rolled-rim”, skyphoi, “one-handler”, lucerne e “saltcellars”) si evidenziano i seguenti fenomeni: prevalenza nettissima della ceramica a vernice nera e delle forme conviviali, con notevole incidenza delle Bolsal, buona presenza di skyphoi, e discreta ma non eccessiva attestazione di piatti, coppe e coppette (in gran parte il tipo “broad-base”). Per i piatti, ma anche per le coppe, si dovrà probabilmente tener conto dell’uso di produzioni puniche di analoga forma e funzionalità (una simile notazione per i contesti di Cagliari in Tronchetti 1992, 95). Le forme chiuse sono quasi completamente assenti (si segnala un frammento di squat-lekythos), mentre le lucerne (è presente sicuramente il tipo Howland 23 C) indicano un decrementa assai significativo rispetto al secolo precedente (dal 31 al 9%), concordemente a quanta indicate dai contesti tombali, ma non escluderei che ciò sia anche legato alla perdita della valenza sacrale dell’area. Per quanto concerne infine il patrimonio decorativo si registra la notevole, usuale diffusione della ceramica incisa e soprattutto a decorazione impressa, col classico repertorio, in varie combinazioni, di palmette, ovoli, rotellature, etc. Tale decorazione appare ben più documentata delle figure rosse, decisamente poco attestate. Non numerosi, ma presenti, gli skyphoi sovraddipinti con motivi floreali a vernice bianca diluita (fig. 3, 2). Un altro dato che sinteticamente si propone è quello della presenza della tecnica “intentional red”, già documentata nel V sec. a.C., e attestata, come peraltro già sottolineato nella prima sintesi sulla ceramica a vernice nera proveniente dall’area del tofet in diversi esemplari di IV sec. a.C. (Righini Cantelli 1983, 79; Madau 1987, 86; Madau 1989b, 297). Di particolare interesse un frammento di skyphos sovradipinto con vasca di vernice “intentional red” (Madau 1989b, 297, fig. 3b, tav. XXVIII, 3).
4. Conclusioni
6La ceramica attica di Tharros mostra, nel passaggio dal V al IV secolo a.C., per quanto concerne le produzioni, dinamiche significative, sinteticamente indicabili in un mutamento del patrimonio tipologico e in una flessione qualitativa: per quanto riguarda l’area di Su Muru Mannu, questo fatto va correlate alla fine dell’area sacra, risistemata in senso produttivo nel IV secolo a.C. Da notare il sensibile calo delle lucerne, manufatto caratteristico dei contesti fenicio-punici di Sardegna. Il cambiamento in questione si concretizza pienamente tra il secondo ed il terzo venticinquennio del IV secolo a.C., successivamente alla caduta della dinastia magonide e alla rivolta dei libi-fenici. Il modello di sviluppo cartaginese organico ai nuovi ceti dirigenti spinge alla massimizzazione della rendita terriera e al controllo imperialistico nel territorio metropolitano, proponendo anche una cultura più compiutamente “occidentale”. Non è perciò senza significato che i ritrovamenti ceramici di metà IV secolo a.C. in Sardegna manifestino una forte omogeneità, riflettendo nel contempo l’attenuarsi dei quadri culturali fenici, se a ciò possiamo attribuire la rarefazione delle lucerne. Nonostante i limiti delle documentazioni di abitato dei centri punici, l’aspetto tharrense si confronta da vicino con quello di Cagliari (Tronchetti 1992, 83-86) e Olbia (Madau 1996). Appare evidente come tale omologazione tipologica possa rispecchiare la particolare monoliticità della politica cartaginese dalla seconda metà del IV secolo a.C., imposta a vecchi e nuovi centri. Tale uniformità si ripete anche nei decenni che separano lo spegnersi delle documentazioni attiche dalla prima guerra punica, come mostrano le concordanze fra le stesse Tharros, Olbia e Cagliari nella presenza di anfore greco-italiche antiche e di ceramiche a vernice nera di area catalana ed etrusco-laziale (Madau 1989b, 297, fig. 3, i; Tronchetti 1992, 86-93; D’Oriano 1991, 14-15; Madau 1996).
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Abbreviazioni utilizzate:
QSACO: Quaderni Soprintendenza Archeologica Cagliari e Oristano.
QSASN: Quaderni Soprintendenza Archeologica Sassari e Nuoro.
SEAP: Studi di Egittologia e Antichità Puniche.
Notes de bas de page
Auteur
Professore di Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico all’Università di Sassari.
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