La ceramica del tempio di Augusto a Pozzuoli
p. 201-222
Remerciements
Desidero esprimere la mia gratitudine per i preziosi consigli che il prof. Fausto Zevi, mantenendo fede alla sua missione di docente, mi ha elargito nel corso di questo lavoro, spronandomi sempre a maggiore impegno.
Ringrazio inoltre il prof. Jean-Paul Morel per aver generosamente messo a mia disposizione la sua vasta esperienza, che mi è stata di valido ed insostituibile aiuto nello studio dei frammenti a vernice nera.
Texte intégral
1Il materiale ceramico esaminato in questa sede proviene dal Rione Terra, la zona più antica di Pozzuoli, ed è venuto alla luce in occasione dei lavori di restauro della cattedrale, restauro resosi necessario, a seguito dell’incendio del 1964 che aveva distrutto gran parte della chiesa. Questi lavori hanno messo in luce una cospicua evidenza archeologica, tra cui una notevole quantità di frammenti ceramici, provenienti in massima parte dall’area del duomo e depositati dal 1968 presso il vescovado.
2Questi frammenti sono divisi in gruppi di provenienza, a secondo del punto di rinvenimento: tale provenienza non è sempre certa, essendo il recupero del materiale ed il trasporto nel deposito avvenuti in varie fasi, delle quali non sempre si è potuto ricostruire la storia. Malgrado ciò tale divisione è stata mantenuta. Uno dei gruppi più cospicui di materiale è quello indicato come proveniente dall’area dell’ipogeo dei vescovi e da questo materiale è cominciato lo studio.
3Si noti però che dal duomo proviene purtroppo solo materiale di riempimento che si trova difatti associato a frammenti ceramici medievali e moderni. Queste sue particolari condizioni di rinvenimento non consentono un’indagine che non sia strettamente tipologica; si è tuttavia creduto opportuno presentarne una prima sintesi. Con ciò si vuole evidenziare quali sono le classi ceramiche maggiormente rappresentate e la loro varietà di tipi. In base a quanto detto, le indicazioni che i frammenti ceramici possono dare sono minimizzate dalle particolari condizioni di rinvenimento; tuttavia si possono trarre delle indicazioni di massima, valide naturalmente solo per lo stato attuale della ricerca e non in assoluto.
4In base al materiale finora studiato si è notata l’assenza di documentazione più antica del II sec. a.C.: non più di tre frammenti potrebbero avere una data leggermente anteriore. Il materiale più antico insomma non sembra risalire oltre la fondazione della colonia romana del 194 a.C. ed è costituito dalla ceramica a vernice nera e da alcuni tipi di anfore.
5I tipi ceramici si addensano maggiormente intorno al periodo augusteo e tendono poi gradualmente a diminuire (sia in quantità che in varietà di tipi); vi è tuttavia una certa continuità fino al IV sec. d.C. Le classi presenti sono la vernice nera, le pareti sottili, la vernice rossa interna, la sigillata italica, la sigillata africana, l’africana di cucina, i balsamari, le anfore e naturalmente la ceramica comune.
6La classe maggiormente rappresentata è la vernice nera, notevole la presenza di sigillata italica, scarsa invece la presenza della sigillata africana ad eccezione di alcuni tipi.
7Il quadro della vernice nera è piuttosto semplice: si tratta per la quasi totalità dei frammenti di campana A antica e media, vale a dire del II sec. a.C., con tipi che cronologicamente s’inquadrano nella prima metà del II sec. Si tratta in maggioranza di fondi di piatti tipici della A, con piede ad anello a parete obliqua ο rettilinea1, con macchie di cottura intorno al piede il cui interno è generalmente brunito, il fondo per lo più decorato a palmette di vario tipo (da palmette grandi fino a due centimetri al tipo a piccole foglioline). Pure in questa varietà di tipi la disposizione delle palmette è sempre radiale, con un cerchio di incisioni intorno, tipico della campana A del II sec.2; l’argilla è naturalmente quella ischitana, la vernice è a riflessi metallici con striature (fig. 1).

Fig. 1. — Vernice nera: fondi con decorazione a palmette, rosette e cerchi sovradipinti.
8Si sono potute riconoscere le seguenti forme (Tav. I; fig. 2):

Fig. 2. — Vernice nera: fondi in campana A, tra cui, una Lamb. 36 (2) ed una Lamb. 5 (6).
9Una coppetta di forma Lamb. 36: a questa forma con molta probabilità sono da riferirsi molti dei fondi con decorazione a palmette3.
10Alcuni fr. di forma Lamb. 31, di cui due con fondo matto e cerchi bianchi sovradipinti, alcuni fondi con rosetta impressa4, tipo Morel 755. Sempre in campana A un calamaio la forma Lamb. 12, che Lamboglia non includeva tra le forme della A. Presenti anche alcuni frammenti di orlo del tipo, forma 27c, di Lamboglia6 e di patere di forma Lamb. 57. Il tipo più tardo della campana A è rappresentato da un frammento di piatto con decorazione a due solchi concentrici, tipici della B, databile a dopo il 146 a.C.
Tav. I — Vernice nera, campana A

1 e 3: Lamb. 5; 2 e 4: Lamb. 31, con fondo sovradipinto; 5: Lamb. 36; 6: coppetta con rosetta impressa; 7: piatto a cerchi concentrici sul fondo; 8 e 9: fondi di piatti tipici della A; 10: Lamb. 27c; 11 e 12: fondi in campana B; 13 e 14: forme a pasta grigia.
11Al di fuori dei tipi di campana A si sono ritrovati due frammenti di campana B, di cui uno probabilmente pertinente ad una forma Lamb. 58, e due frammenti di fondo a vernice nera grigiastra, facilmente sfaldabile, con pasta giallastra, che ricalcano nella forma alcuni tipi della C.
12Solo tre dei frammenti a vernice nera potrebbero avere una datazione leggermente anteriore al II sec. a.C.; essi sono: un fondo di piatto con decorazione a palmette senza incisioni intorno, un frammento di coppetta forse riferibile alla forma Lamb. 24 ed un fondo di coppetta in ceramica calena con decorazione a rilievo.
13Il panorama della vernice nera di Pozzuoli si presenta molto omogeneo. Si tratta nella maggioranza, come si è visto, di campana A con tipi del II sec. a.C. Del resto questa netta predominanza di tipi in campana A era prevedibile a Pozzuoli, specialmente in questo periodo.
14Le pareti sottili sono purtroppo molto frammentate, per cui è difficile in molti casi risalire alla forma. I frammenti rinvenuti vanno da un tipo a parete molto sottile ad un tipo con parete a spessore medio (3 mm.). Per quel che riguarda la decorazione, il maggior numero di essi ha la parte superiore brunita e quella inferiore arancio; solo un frammento è decorato a scaglie, un altro a rotella ed uno a striature.
15I frammenti si addensano in età augustea.

Fig. 3. — Pareti sottili: le prime due file verticali: I: Marabini XXXV, XXV; II fila: Marabini V, XXV e XXXV. Sigillata italica: la terza e quarta fila verticale: III fila: Goudineau 13, 18, 22, e Ritterling 9; IV fila: Goudineau 13, 1 fr. non id. orlo, 1 fr. non id. orlo; Goudineau 19.
16Tra le forme presenti si hanno: un tipo di bicchiere di forma IV (tipologia della Marabini), databile al 150-75 a.C.9; un boccalino quasi integro e due frammenti pertinenti alla forma V della Marabini, datato al I sec. a.C., con parete arancione e nera10; alcuni frammenti della forma VII della Marabini del secondo-terzo quarto del I sec. a.C.11; un frammento di boccalino con decorazione a pettine molto diffuso nella prima età imperiale12; una coppa di forma XXV datata dalla Marabini al I sec. d.C.13. All’età augustea appartengono alcuni frammenti di forma XXXIII con decorazione a scaglie appena incise14 (Tav. II; fig. 3).
Tav. II — Pareti sottili

1: forma Marabini XXV; 2: Marabini XXXV; 3: Marabini V; 4: Marabini XXXV; 5: Marabini IV; 6 e 10: Marabini VII; 7: Marabini XXXVI; 8: Marabini XXXV; 9: Marabini XXXIII.
17Sono pertinenti alla forma XXXV, un bicchiere a parete arancione e nera, uno a decorazione a scaglie, databile al I sec. a.C.15, ed un terzo a decorazione incisa di età augustea16.
18Tra gli altri tipi, un vasetto di forma XXXVI, con decorazione a rotella, sempre di età augustea17. Numerosi anche i frammenti di fondi di coppe con parete arancione e nera, per i quali non è possibile risalire alla forma.
19I tipi presenti, tranne due più antichi, sono tutti riferibili all’età augustea ο poco più tardi. È da notare che mancano pareti sottili sabbiate, mentre frequente, come si è già accennato, è il tipo a parete arancione e nera. Una notevole quantità di frammenti con tale tipo di parete, pertinenti alla forma IV della Marabini, sono stati ritrovati nel carico della nave di Albenga, insieme ad anfore Dressel I e Lamboglia penso potesse trattarsi di un carico campano. Non è privo di suggestione, anche se prematura con i pochi dati al momento a disposizione, avanzare l’ipotesi, che questo tipo con parete arancione e nera possa essere stato di fabbrica puteolana.
20Al materiale già esaminato, vorrei aggiungere alcuni frammenti di balsamari, di cui alcuni quasi integri, riferibili alla forma Haltern 30 e 31, con collo verniciato18.
21La sigillata italica è presente con una discreta varietà di tipi, alcuni quasi integri, non tutti con bollo; i bolli presenti sono tutti a forma rettangolare.
22Abbiamo raggruppato i tipi a seconda dei gruppi fatti dal Goudineau19 (Tav. III). Forme precoci: Goud. 13, datata intorno al 20 a.C.20, Haltern, I servizio, con bollo rettangolare; Goud. 18, tre coppette, due con bollo rettangolare, datate intorno al 12 a.C.21, forma Haltern 7, I servizio; gli esemplari hanno la pasta color crema e la vernice rosso scura. Inoltre un piatto Goud. 19a, 30-12 a.C.22, III servizio di Haltern, a pasta crema e vernice rosso scuro; una Goud. 21 (Ritterling 8) pasta crema e vernice tendente al marrone, matta, datata tra il 30 ed il 20 a.C.23 e infine una Goud. 22 datata prima del 20 a.C.24, a vernice rosso vivo e parete piuttosto sottile, Haltern 16, IV servizio.
Tav. III — Sigillata italica

1: 2 Β di Oberaden; 2: Goudineau 18; 3: Goudineau 13; 4: Ritterling 9; 5: Goudineau 19 A; 6: Goudineau 38; 7: Goudineau 22; 8: Ritterling 8; 9: Kenyon 12 (sigillata non id.).
23Forme classiche: due frammenti di Goud. 32, uno ad orlo decorato e l’altro semplice, datati al 5-10 d.C.25, Haltern, III servizio (Dragendorf 27).
24Forme tardive: Goud. 37, tra il 12-16 d.C.26, Haltern, II servizio; una Goud. 38b, dopo il 20 d.C.27, Haltern, III servizio. Un piatto Dragendorf 17A, vicino come forma alla Goud. 39, datato dopo il 15 d.C.28, II servizio di Haltern29. A queste forme si devono aggiungere una coppetta di forma Ritt. 9, e due di forma Dragendorf 3130.
25Un piatto con bollo rettangolare, simile al tipo 2B di Oberaden, è molto simile alla forma Goud. 19b ma con parete fortemente obliqua.
26A questo gruppo di materiale più ο meno omogeneo si devono aggiungere alcuni frammenti che si ispirano alle forme della sigillata orientale A, una coppetta con decorazione a rotella di forma 1231, una coppetta di forma 16, con bollo rettangolare32 di difficile decifrazione, che G. Camodeca mi suggerisce di leggere PHI/LVM., Philumenus (v. fig. 4), ed una di forma 1733. Essi sono di incerta identificazione.

Fig. 4
27I bolli presenti sono tutti a pianta rettangolare, come si è detto, datati dal Goudineau dal 15-10 a.C.34.
28Come ceramisti puteolani abbiamo: RVFIO (CV Arr. 1597) su una coppetta Goud. 18e, PHIL., Philargyrus (CV Arr. 1310) su un piatto Dragendorf 17A; questo piatto, a vernice marrone lucida e pasta crema, differisce in qualità dall’altra coppetta con bollo puteolano.
29Di provenienza italiana non meglio accertata AVILL., Auillius (CV Arr. 226), presente anche a Pompei35, su una coppetta Goud. 18. Su una coppetta Goud. 13 il bollo L. GELLI/L. SEMP. (CV Arr. 746), inclusi dall’Oxé tra i ceramisti consociati in Gallia, attestato anche a Pompei e piuttosto raro in Italia36.
30Di FELI/XOVR, per quanto Felix sia attestato, non sono riuscita a trovare un bollo completamente simile.
31Vorrei aggiungere che i bolli Auillius e Rufio sono stati trovati sugli stessi tipi di coppetta di Pozzuoli, con la variante Ic dell’orlo del I servizio di Haltern, da Felmann e lo stesso può dirsi per il bollo L. GELLI/L. SEMP., su una coppetta simile con orlo Ib37.
32Su un fondo, di cui non ho potuto ricavare la forma, appare il bollo a due registri, HILA/ROI; un bollo simile è riportato in CV Arr., 385, ma non essendo integro viene letto da Oxé HILA/PROT, mentre Dressel lo leggeva HILAROI.
33Purtroppo, come si è già accennato, i frammenti con bollo sono in netta minoranza rispetto a quelli che ne sono privi. È da notare che i due frammenti con bolli di ceramisti ritenuti puteolani hanno però caratteristiche diverse; la coppetta con bollo Rufio è a vernice rossa matta ed argilla rosata, mentre il piatto con bollo Philargyrus ha vernice rosso arancio lucida e pasta crema; si deve però aggiungere che Goudineau non considera Rufio un ceramista puteolano38.
34Sono stati rinvenuti anche alcuni frammenti di tegami a vernice rossa interna, solo la variante ad orlo semplice, che troviamo poi riprodotto nella sigillata africana forma 9A di Lamboglia39.
35La sigillata africana è molto frammentata ed in molti casi è difficile risalire alla forma (Tav. IV; fig. 5). Meglio rappresentata è la africana A, mentre della C e della D abbiamo solo pochi frammenti; ampiamente rappresentata è invece la A2. In africana A è una coppetta Hayes 8 (Lamb. I) con decorazione a rotella sull’orlo e sulla spalla; c’è anche un tipo meno raffinato, corrispondente alla Hayes 8b (Lamb. Ic)40. Un frammento di coppetta Lamb. 2 (Hayes 9a) datata generalmente tra il 100-160 d.C.41.

Fig. 5. — Sigillata africana: I fila orizzontale: Hayes 33, 9A, 23 Β e 23 Β; II fila: Hayes 33, 8 A, 23 A, 181; III fila: Hayes 3 C; 2 fr. non id., Hayes 181.
36Vi sono poi alcuni frammenti della forma 4/36, con orlo non decorato, che secondo Lamboglia è la variante più tarda e corrisponde alla Hayes 3c42. Presenti anche un orlo di piatto in A/D, pertinente alla forma 33 di Hayes43, ed un frammento di forma Hayes 91 (Lamb. 24/25)44.
Tav. IV — Sigillata africana

1: Lamb. 1 a; 2: Lamb. 2; 3: Lamb. 4/36; 4: Hayes 33; 5: Lamb. 9 A; 6: Lamb. 10 A; 7: Lamb. 10 B; 8: Lamb. 61.
37Per quanto riguarda la A2, molto numerosi i frammenti relativi alle forme 9A e 10A e Β di Lamboglia. Il tipo 9A è verniciato solo all’interno, con fascia annerita all’esterno, fondo piatto, apodo e parete a quarto di cerchio e corrisponde alla Hayes 18145.
38La 10A ha la fascia brunita all’esterno e corrisponde alla Hayes 23B46; presente anche la variante 10B (Hayes 23A) con orlo semplice47; infine, è stato trovato un frammento pertinente alla forma Lamb. 61 (Hayes 182)48.
39La maggior parte dei tipi presenti si addensa intorno al II-III sec. d.C. Molti i frammenti di africana da cucina. Per gli orli anneriti il tipo varia da quello ad orlo piano a quello ingrossato; a questo si aggiunge il tipo ad orlo estroflesso con spalla a cerchi concentrici incisi, riferibile alla forma Lamb. 61 in africana. Schematizzando, si ha quindi un tipo ad orlo indifferenziato, datato ad Ostia all’età flavia49 un tipo ad orlo ingrossato, datato all’età severiana, forma Hayes 19650; è presente poi, la forma Hayes 195, la versione in ceramica africana da cucina del tipo Hayes 182 (Lamb. 61)51 (Tav. V).
Tav. V — Africana da cucina

1: orlo annerito, ad orlo indistinto; 2: Hayes 195; 3: Hayes 196; 4 e 5: Hayes 197.
40Le patine cinerognole hanno solo la variante ad orlo a mandorla e parete diritta con interno scanalato, forma Hayes 19752.
41Come si è notato, la sigillata africana è abbastanza frequente, specialmente la produzione di uso più comune, come i tipi Lamb. 9A e 10A, presenti solo in A2 e non in A.
42Da notare che, malgrado dallo stesso luogo di rinvenimento provenga anche ceramica medievale e moderna, pochi sono i frammenti di africana D, per nessuno dei quali si è potuto risalire alla forma, eccetto per il tipo a listello (Lamb. 24/25), che si data al VI sec. ο meglio alla fine del V sec. d.C. ed è il tipo più tardo tra i frammenti di ceramica romana rinvenuti. Come si è già detto la maggioranza dei tipi di africana presenti è riferibile al II-III sec. d.C. e si può quindi legare alla presenza non indifferente di frammenti coevi di anfore africane (in questo caso, come per le altre classi di materiali, quando si parla di abbondanza di un tipo, questa va intesa in proporzione alla quantità del materiale esaminato e non in assoluto; le indicazioni che si possono pertanto ricavare hanno solo valore di ipotesi).
43Dei tipi ad orlo annerito e patina cinerognola esiste anche la versione in ceramica comune.
44Tra il materiale presente anche alcuni orli trilobati di brocchetta, in argilla rossa con patina bruna all’esterno; tipi simili sono stati ritrovati ad Ostia in un contesto di I sec. d.C.53.
45È stato infine rinvenuto parte di un braciere ad orlo apicato, con protomi di sileni all’interno; bracieri simili sono stati ritrovati tra l’altro a Delo54, e ad Ostia in strati di età repubblicana.
46Le anfore presentano una varietà di tipi che abbraccia un periodo compreso tra il II sec. a.C. ed il IV sec. d.C. (Tav. VI).
Tav. VI — Anfore

1: Rodia; 2: da identificare (v. testo); 3: punica; 4: Dr. 1 A; 5: Dr. 2-4; 6: Dr. 7-11; 7: Manà C I; 8: Africana grande (II A); 9: Africana piccola (I B); 10: della Mauretania; 11: Pelichet 47; 12: Beltran IIB; 13: Dr. 20.
47Come anfore sicuramente vinarie, abbiamo tre frammenti di ansa ed orlo pertinenti ad anfore rodie55; le anse hanno un bollo rettangolare sul dorso. Il primo bollo è ΦΙΛΑΝΥΟΥ, che la Grace include tra i fabbricanti rodi a Delo56 ed è riportato al n. 422 del catalogo di Nilsson e al n. 298 di Hiller, che lo elenca nella lista dei sacerdoti eponimi di Halios57. Il secondo bollo è ΑΜΥΝΤΑΣ, con una corona prima del nome, è riportato da Nilsson al n. 42,17, con la corona dopo del nome58. Il terzo bollo, ΕΠΙ ΑΡΙΣΤΕΙΔA, con Δ e A in basso al centro, è riportato da Nilsson al n. 82,3 e da Hiller al n. 59, che lo data al 220/180 a.C. e lo include tra i sacerdoti eponimi di Halios59.
48Come anfore vinarie sono più diffuse in questo arco cronologico i tipi campani Dressel IA, di gran lunga il tipo più attestato a Pozzuoli, con argilla tra il crema ed il rosato; questo tipo di anfora è generalmente attestato tra il II ed il I sec. a.C.60.
49Pochi sono i frammenti pertinenti ad anfore Dressel 2-4, di cui uno solo con argilla quasi sicuramente pompeiana; è abbastanza strana la scarsezza di questo tipo di anfora largamente attestata in Campania61.
50Presenti anche alcuni frammenti di anfore galliche del tipo Pelichet 47, che è identificato anch’esso come vinario62; cronologicamente è più tardo rispetto ai tipi precedentemente esaminati63 e rappresenta il tipo di anfora vinaria più tardo che è stato al momento identificato.
51Tra le anfore da garum abbiamo frammenti riferibili ad anfore puniche64. Di produzione spagnola sono presenti il tipo Dressel 7-11, generalmente datato da Augusto al I d.C., tipo che tende a scomparire nel II sec. d.C.65, e sempre di produzione spagnola il tipo Beltran IIB leggermente più tardo del precedente66.
52Sempre di produzione spagnola le anfore Dressel 20 olearie della Betica, di cui è presente un tipo attribuibile alla seconda metà del II d.C.67, confermato anche dal bollo presente su ambedue le anse: LFCCVCAT, riportato dal Callender al n. 851, con tutte le varianti, e datato alla fine del II sec. d.C.68.
53Tra le anfore di produzione africana abbiamo un tipo attribuibile alla forma Manà C I con argilla rosso-scura ed inclusi bianchi, ed ingubbiatura grigiastra, tipo generalmente datato tra il secondo quarto del II ed il I sec. a.C.69. Più diffusi i tipi di anfore africane databili tra il II ed il III sec. d.C.: tra questi alcuni frammenti pertinenti al tipo II A datato ad Ostia al secondo quarto del III sec. d.C.70; altri frammenti sono pertinenti al tipo I B, africana piccola71; un altro frammento potrebbe essere attribuito al tipo della Mauretania Caesariense ο comunque ad esso molto vicino, insieme ad alcuni frammenti di ansa72.
54Di dubbia identificazione è un frammento di anfora ad orlo leggermente ingrossato e collo scanalato all’interno, ansa a sezione ovoide argilla crema; potrebbe essere avvicinato al tipo Baldacci I A, anfora apula, oppure ad un tipo presente a Luni e non identificato73. Di incerta identificazione è anche un orlo di anfora con ansa a sezione a nastro ingrossato, sul cui dorso è un bollo rettangolare in cui si legge G. LUCI.

Fig. 6. — Anfore: I fila: anforetta di uso domestico, Beltran II B, anfora punica; Manà C I; le ultime due da identificare, potrebbero essere anfore apule.
55È certamente azzardato avanzare qualsiasi ipotesi dal quadro che si è venuto a formare. Tuttavia vorrei sottolineare alcune cose. La netta maggioranza di contenitori vinari campani del II-I sec. a.C. potrebbe portare a pensare ad una forte produzione locale, rispetto alla quale sarebbe minoritario il quantitativo di prodotti importati, come è dimostrato dalla minore quantità di anfore rodie rinvenute. Questa netta preponderanza di produzione locale non trova adeguata continuazione nel periodo successivo (fine I a.C.-I d.C.), in quanto le anfore vinarie campane Dressel 2-4, anche se largamente attestate in Campania, sono qui scarsamente rappresentate. Ben testimoniati sono invece i rapporti con l’Africa, specialmente per i tipi di II-III sec. d.C., la cui presenza è già stata messa in rapporto con i numerosi frammenti di sigillata africana, pertinenti allo stesso periodo. La presenza di anfore spagnole (dal I sec. a.C. al II sec. d.C.) e di anfore galliche sottolineano i rapporti avuti da Puteoli con il Mediterraneo occidentale, rapporti che appaiono meglio delineati di quelli con il Mediterraneo orientale.
56Per le anfore come per gli altri tipi ceramici in generale, si è riscontrata fino a questo momento una certa affinità con i tipi ritrovati ad Ostia ed a Luni e si potrebbe pensare, quindi, ad una omogeneità di linee di rifornimento.
57Nelle pagine precedenti si è voluto esporre sia pure sinteticamente, il tipo di materiale trovato, tentando, dove è stato possibile, di stabilire dei confronti precisi. Invece di fornire una scheda dettagliata per i singoli pezzi, si è preferito piuttosto riunirli tipologicamente, in quanto le condizioni di rinvenimento non consentivano uno studio sistematico dei singoli pezzi, essendo tutti i frammenti partecipi dello stesso destino, cioè, come si è già precedentemente chiarito, il materiale non proviene da scavo stratigrafico, ma si trova frammisto a materiale di varia età. Questi stessi fattori hanno scoraggiato un calcolo in percentuale dei tipi presenti, in considerazione anche del fatto, che il materiale pubblicato è solo una parte di quello rinvenuto nel Duomo. Quest’insieme di fattori rende impossibile qualsiasi concreta indicazione. Nondimeno, laddove le circostanze lo permettevano, si sono avanzate delle ipotesi, che sono più delle tracce da seguire nel prosieguo dello studio, che delle conclusioni.
58Dall’esame del materiale risulta una forte presenza di materiale del II sec. a.C., da collegare, probabilmente, allo stanziamento della colonia romana; ci riferiamo ai frammenti in vernice nera ed ad alcuni tipi di anfore e ciò potrebbe collegarsi alla costruzione del primo tempio, il Capitolium della colonia del 194 a.C.
59Un secondo momento ben evidenziato è quello augusteo, precedente e coevo probabilmente al tempio di Augusto; ci riferiamo in particolare ai frammenti in sigillata italica, pareti sottili e balsamari.
60Da questo momento in poi si nota una graduale diminuizione dei tipi attestati, ma nondimeno c’è fino al IV sec. d.C. una presenza continua; da non dimenticare che la zona circostante il tempio ha subito delle risistemazioni posteriori all’impianto del tempio augusteo. Questa continuità s’interrompe intorno al V sec. d.C.; infatti abbiamo qualche frammento di ceramica a bande rosse, altomedievale, due frammenti probabilmente di XII secolo ed, infine, una ricca documentazione di XV sec. ed oltre, che rappresenta la maggioranza dei tipi presenti. Manca pertanto una facies medievale.
61Il materiale esaminato, indicato come proveniente dall’ipogeo dei vescovi, viene dall’area immediatamente a ridosso del podio del primo tempio. Resta ora da esaminare il materiale proveniente dall’area di risistemazione della zona circostante il tempio di Augusto. Non si esclude quindi, che indicazioni contrastanti a quanto affermato possano venire dalla continuazione degli studi.
Notes de bas de page
1 J.-P. Morel, Céramique à vernis noir du Forum Romain et du Palatin, (MEFRA. Suppl. 3) (Paris 1965) 224: il piede obliquo viene considerato anteriore al 150 a.C., quello diritto della seconda metà del II sec. a.C.; v. ora J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes (Rome 1981) 47.
2 N. Lamboglia, Per una classificazione preliminare della ceramica campana, in Atti del I Congr. Intern, di Studi Liguri (Bordighera 1950) 201-3. Tipi di palmette simili a quelle ritrovate a Pozzuoli sono i tipi 2, 3, 5 e 11 di Pompei: J.-P. Morel, Céramique à vernis noir de Pompéi, in RCRFA. 7 (1965) 85, 89 fig. 4, 101; per la disposizione delle palmette, v. J.-P. Morel, Études de céramique campanienne I: L’atellier des petites estampilles, in MEFRA. 81 (1969) 70 e 68 fig. 3. Per un piatto con decorazione simile, v. J.-P. Morel, Céramique d’Hippone, in ΒAA. 1 (1962-5) 110, 111, 115 e fig. 9 datato alla seconda metà del II sec. a.C. Tra i piatti presenti a Pozzuoli è da notare un tipo con decorazione impressa a palmette radiali con rosetta centrale.
3 N. Lamboglia, op. cit. 183; Scavi di Luni I (1973) 255: questo tipo viene datato al III, II e I sec. a.C. A Cosa è attestato dalla seconda metà del II sec. a.C.: D. M. Taylor, Cosa: Black glaze pottery, in MAAR. 25 (1957) 146. J.-P. Morel, Campanienne cit. 103, specie 1310, tav. 11.
4 Ν. Lamboglia, Classificazione cit. 180-1, li data al III-I sec. a.C.; a Ventimiglia al I a.C., v. N. Lamboglia, Gli scavi di Albintimilium e la cronologia della ceramica romana (Bordighera 1940) 62. A Cosa alla prima metà del II sec. a.C., v. Taylor, op. cit. 183 s. Per il tipo con sovradipinture v. Taylor, op. cit. 151, tipo D 13a1 nei depositi Β, C, D ed Ε (tav. 15 e 36); Luni I 253, tav. 54,7.
5 Per le rosette tipiche del II sec. a.C.. v. J.-P. Morel, Petites estampilles 70, quelle di Pozzuoli sono a sei e ad otto petali.
6 Luni I 252, tav. 54,4; Morel, Petites estampilles 62; Morel, Campanienne cit. 229, tav. 76, specie 2825.
7 Luni I 251, datazione: II sec. a.C.; Lamboglia, Classificazione cit. 167-168; Taylor, op. cit. 145, a Cosa depositi B, D ed Ε dal 150 al I sec. a.C.; J.-P. Morel, Céramique à vernis noir du Maroc, in Ant. Afr. 2 (1968) 72 e 59, fig. 3 n. 15-16; ID., Campanienne cit. 154, tav. 40, specie 2255, cfr. tipo 2255 f. 1.
8 Morel, Maroc cit. 63 e 75. I frammenti di Pozzuoli hanno la decorazione a cerchi concentrici, tipo già noto dal II sec. a.C.
9 M. T. Marabini Moevs, The Roman thin walled pottery from Cosa, in MAAR. 32 (1973) 59; N. Lamboglia, Albintimilium cit. 70.
10 Marabini, op. cit. 63.
11 Marabini, op. cit. 66.
12 Marabini, op. cit. 157, attribuito alla forma XV.
13 Marabini, op. cit. 83; F. Mayet, Les céramiques à parois fines dans la péninsule Ibérique (Paris 1975) 45, forma X.
14 Marabini, op. cit. 102; Mayet, op. cit. 50, forma XII.
15 Marabini, op. cit. 104, il primo tipo; 54 s., il secondo.
16 Un tipo di decorazione molto simile si trova a Cosa su una forma XL, sempre di età augustea. Marabini, op. cit. 114 (gruppo C).
17 Marabini, op. cit. 107.
18 Per il tipo Haltern 30, v. Lamboglia, Albintimilium cit. 94, datazione: dal I sec. a.C. alla prima metà del I d.C.; per il tipo Haltern 31, v. F. Zevi-I. Pohl, Ostia saggi di scavo, in NSc. 1970, Suppl. 1, 82.
19 Ch. Goudineau, La céramique arétine lisse (Fouilles de Bolsena 4, MEFRA. suppl. 6) (Paris 1968) 277 e 99.
20 Goudineau, op. cit. 289.
21 Goudineau, op. cit. 292.
22 Goudineau, op. cit. 293.
23 Goudineau, op. cit. 294.
24 Goudineau, op. cit. 295.
25 Goudineau, op. cit. 302.
26 Goudineau, op. cit. 305.
27 Goudineau, op. cit. 306.
28 Goudineau, op. cit. 306.
29 Ν. Lamboglia, Albintimilium, cit. 58.
30 Ν. Lamboglia, Recensione a Ch. Simonett, Tessiner Gräberfelder, in RSL. 9 (1943) 178.
31 Κ. M. Kenyon, Roman and later wares, terra sigillata, in G. M. Crowfoot, Κ. Μ. Kenyon, Samaria Sebaste, report on the work of the joint expedition in 1931-1933 and of the British expedition 1935, 3 (1957) 310.
32 Kenyon, op. cit. 311.
33 Kenyon, l.c.
34 Goudineau, op. cit. 353; v. anche, G. Pucci, Le sigillate italiche ed orientali, in Instrumentum domesticum di Ercolano e Pompei nella prima età imperiale, Quaderni di cultura materiale 1 (Roma 1977) 12.
35 Pucci, op. cit. 10.
36 Pucci, op. cit. 11, CV Arr. n. 746 su tipi di età tiberiana-claudia.
37 Goudineau, op. cit. 48 s.
38 Goudineau, op. cit. 43.
39 Ostia III, Studi Miscellanei 21 (Roma 1973) 407; C. Goudineau, Note sur la céramique à engobe interne rouge-pompéien, in MEFRA. 82 (1970) 185.
40 N. Lamboglia, Nuove osservazioni sulla terra sigillata chiara (tipi A e B), in RSL. 24 (1958) 263, data il tipo 1a alla fine del I sec. d.C./prima metà II sec. e all’inizio del III, il tipo 1c; J. W. Hayes, Late Roman pottery (London 1972) 35, data la 8a tra 80-90 e il 160 d.C., la 8b invece alla seconda metà del II sec. d.C. In Ostia III 329, la Lamb. 1a è presente negli strati della prima metà del II sec. d.C.; Ostia IV, Le terme del nuotatore. Scavo dell’ambiente XVI e dell’area XXV (Studi Miscellanei 23) 70, la forma Lamb. 1a è datata dall’età flavia al 160 d.C., la Lamb. 1c, al II-III sec. d.C.
41 N. Lamboglia, Nuove osservazioni cit. 263, la data alla prima metà del II sec. d.C.; Hayes, op. cit. 37, tra il 100 ed il 160 d.C.
42 Lamboglia, Nuove osservazioni cit. 267, data il tipo non decorato alla metà del II sec. d.C.; Hayes, op. cit. 25, data il tipo 3c alla metà del II sec. d.C.; Ostia IV 70, fine II-inizi III sec. d.C.; Ostia III 332, III sec. d.C.; Luni I 367, tav. 67, al II-III sec. d.C.
43 Hayes, op. cit. 56, la data al 200-250 d.C.
44 Hayes, op. cit. 144, inizi VI sec. d.C.; in Ostia III, 333, è datato alla metà del V sec. d.C.
45 Lamboglia, Nuove osservazioni cit. 275, metà II sec.-III sec. d.C.; Luni I 369, II-III sec. d.C.; Οstia IV 72, dalla seconda metà del II sec. d.C.; Ostia III 331, fine II-inizi III sec. d.C.; Hayes, op. cit. 201, seconda metà II sec.-prima metà III sec. d.C.
46 Hayes, op. cit. 48, forma 23 B, metà II-III sec. d.C.; Ostia IV 72, presente negli strati adrianei; Ostia III 331-333, dalla seconda metà del II al IV sec. d.C.; Lamboglia, Nuove osservazioni cit. 277, II sec.-prima metà III sec. d.C.
47 Forma Lamb. 10 Β Ostia IV, strati flavi; Hayes, op. cit. 48, metà II sec. d.C.; Lamboglia, Nuove osservazioni cit. 277, la considera più tarda del tipo 10 A.
48 Ostia III 328, inizi II-età severiana; Hayes, op. cit. 203, metà II-inizi III sec. d.C.
49 Ostia IV 103; Ostia I, Studi Miscellanei 13 (Roma 1968) 86.
50 Ostia IV 33; Ostia I 86, figg. 260-61, tav. 12, datato al II-III sec. d.C.; Hayes, op. cit. 209, metà ΙΙ-metà III sec. d.C.; Luni I 406, tav. 72, II-III sec. d.C.; per il tipo ad orlo leggermente più ingrossato, v. Ostia I 86-87, tav. 12, fig. 263, II-III sec. d.C.; Luni I 407, tav. 72, III sec. d.C.
51 Hayes, op. cit. 208, metà II-III sec. d.C.; Ostia I 87, tav. 12, fig. 262; Ostia IV 103, della prima età severiana.
52 Hayes, op. cit. 209, fine II-inizi III sec. d.C.; Luni I 409, tav. 72, II-III sec. d.C.; Ostia III 412, della prima metà del II sec. d.C.; Ostia I 87, tav. 12, figg. 265-266.
53 Zevi-Pohl, op. cit. 193.
54 G. Siebert, Les Réchauds, in Explor. archéol. de Délos: L’îlot de la maison des Comédiens 27 (1970) 272, tav. 52.
55 A. Tchernia, Quelques remarques sur les commerce du vin et les amphores, in MAAR. 36 (1980) 305.
56 V. Grace, Timbres amphoriques trouvés a Délos, in BCH. 76 (1952) 528.
57 M. P. Nilsson, Timbres amphoriques de Lindos, in Exploration archéologique de Rhodos 5 (Copenhagen 1909) 494; Hiller von Gaertringen, Rhodos, in PW. Suppl. V (1931) 840; Z. Sztetyllo, Les timbres céramiques (1965-1973), in Nea Paphos 1 (1976) 53 n. 136, dove è associato al mese Sminthion e datato tra il 220 e il 180. Per la cronologia delle anfore con bolli rodi, v. V. Grace, The Antikythera shipwreck reconsidered, in TAPhS. 55 (1965) 5,11; V. Grace - M. Savvatianou Pétropoulakou, Les timbres amphoriques grecs, in Explor. archéol. de Délos 27 (1970) 290-300; V. Grace, Revision in early ellenistic chronology, in AthMitt. 89 (1974) 194; A. Hesnard, Un dépôt augustéen d’amphores à la Longarina, Ostie, in MAAR. 36 (1980) 145.
58 V. Grace - Savvatianou, op. cit. 326, n. E 61, assegnato al IV periodo (180-146 a.C.) e considerato un fabbricante; si ritrova come eponimo su un’anfora di Cnido, periodo IV Β (166-146 a.C.), ibid. 325; capita che vi siano bolli di fabbricanti rodi su anfore cnidie, ibid. 291; V. Grace, in BCH. 76 (1952) 526; Sztetyllo, art. cit. 34 n. 38, che lo assegna al III periodo (220-180 a.C.); cfr. 33 n. 33; per i simboli, v. Nilsson, op. cit. 161-166.
59 Nilsson, op. cit. 378; Hiller, art. cit. 836; Grace-Savvatianou, art. cit. 304 n. E 11; è datato al periodo IIIc (agli inizi del II sec. a.C.), ibid. 291.
60 Luni I 434; N. Lamboglia, Sulla cronologia delle anfore romane di età repubblicana, in RSL. 21 (1955) 248; F. Zevi, Appunti sulle anfore romane, in ArchClass. 18 (1966) 213. Mancano nel deposito di anfore della Longarina ad Ostia di età augustea: A. Hesnard, in MAAR. 36 (1980) 143.
61 F. Zevi-A. Tchernia, Amphores vinaires de Campanie et de Tarraconaise à Ostie, in Recherches sur les amphores romaines, MEFRA. Suppl. 10 (1972) 53-55.
62 A. Tchernia, in MAAR. (1980) 306.
63 Datate tra il I ed il III sec. d.C., v. Ostia IV 146: dal I sec. d.C., diffusa molto nel II cala nel III sec. d.C.; C. Panella, Annotazioni in margine alle stratigrafie delle terme ostiensi del nuotatore, in Recherches cit. 75, 78, 82, 93, 96 per la cronologia dai flavi alla metà del III sec. d.C.
64 Luni I 441: datazione II-I sec. a.C.; V. Grace, Antikythera cit. 11: I sec. a.C.
65 Ostia III 508; F. Zevi, Appunti cit. 229; D. Manacorda, Anfore spagnole a Pompei, in Instrumentum domesticum di Ercolano e Pompei cit. 123.
66 Ostia III 510; Manacorda, op. cit. 125; Panella, Annotazioni cit. 82.
67 Ostia III, 526; Luni I 441; A. Tchernia, Les amphores romaines et l’histoire économique, in JS. (1967); E. Rodriguez Almeida, Bolli anforari di monte Testaccio, in Bull. Comm. Arch. 84 (1974-75) 231 ss.
68 M. H. Callender, Roman Amphorae with index of stamps (London 1965) 153 ss. n. 851; Ostia IV 121 e fig. 250, con bollo simile.
69 Luni II (Roma 1977) 228.
70 C. Panella, Annotazioni cit. 97; Ostia IV, 161: viene datata agli inizi del III sec. d.C.
71 Per la cronologia, C. Panella, Annotazioni 88, 93, 97 e 103: dalla fine del II al IV sec. d.C.; Ostia IV 158.
72 Questo tipo generalmente si data tra il II ed il III sec. d.C.; Ostia IV 150: fine II-III sec. d.C.; Panella, op. cit. 100, secondo quarto del III sec. d.C.; Ostia III 600.
73 P. Baldacci, Importazioni cisalpine e produzione apula, in Recherches cit. 26, datata al 180 a.C.; Luni II 259.
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