Ricerche sul più antico anfiteatro puteolano
p. 163-187
Note de l’auteur
Il presente articolo trae origine da un lavoro di ricerca sul territorio puteolano compiuto per conto della Soprintendenza Archeologica di Napoli sotto le direttive dell’allora Soprintendente Prof. F. Zevi, al quale va il nostro vivo ringraziamento.
Texte intégral
1La presenza a Pozzuoli di un secondo anfiteatro, oltre a quello flavio, ignorata nelle più antiche guide della città1, fu per la prima volta sostenuta dal Beloch2, che basò questa tesi oltre che su una considerazione d’ordine generale (cioè l’impossibilità che una città come Puteoli fosse così a lungo priva di un anfiteatro, laddove la più piccola Pompeii ne aveva uno sin dall’età sillana), anche su testimonianze letterarie attestanti lo svolgimento di ludi gladiatori nella città sotto Augusto e sotto Nerone3 e infine sulla veduta puteolana offerta dal vaso di Odemira4, contenente tra l’altro due edifici ellittici sovrapposti, nei quali lo studioso tedesco riconobbe due anfiteatri5.
2All’opinione del Beloch aderì poi il Dubois6, che con felice intuito individuò anche, sia pure dubitativamente, il sito reale del monumento7 la cui ubicazione era stata dal Beloch ipotizzata nella parte bassa della città8. L’edificio fu identificato con sicurezza solo nel 1915, in seguito ai lavori di sbancamento per la costruzione della linea ferroviaria «Direttissima Napoli-Roma»: fu lo Spinazzola a ricostruirne l’ellisse e a descriverlo9. Sebbene dopo lo Spinazzola diversi studiosi si siano interessati del monumento10, questo, ancora quasi del tutto interrato, non è stato oggetto di uno studio puntuale fino al recente contributo di P. Sommella11.
3Le rovine dell’edificio sono situate tra via Vigna e via Nuova della Solfatara e risultano attraversate in direzione est-ovest dalla linea ferroviaria. Rispetto all’impianto urbanistico antico era questa una zona esterna alla cinta muraria, se veramente poco più a sud correvano le mura della città12, e comunque, come dimostrano chiaramente le tombe che ancora fiancheggiano il monumento dalla parte di via Vigna13, senz’altro suburbana, secondo le linee di una tendenza spesso osservata nelle città antiche nella scelta del sito in cui collocare l’anfiteatro. L’area però, benché suburbana, si trovava ad una distanza in fondo piuttosto limitata dal foro14 ed era da questo facilmente raggiungibile grazie ad un asse stradale urbano15 che partiva appunto dal foro e procedeva verso nord-est per innestarsi sulla via Puteolis-Neapolim16 il cui tratto iniziale, corrispondente all’attuale via Vigna17, costeggiava il monumento, lambendone quasi l’ellisse. Il sito assicurava inoltre un più facile afflusso degli spettatori delle zone limitrofe, in quanto bene allacciato alla principale viabilità extraurbana: oltre, infatti, a trovarsi, come si è visto, proprio allo sbocco della più importante arteria proveniente da Napoli, era unito alla via Consularis Puteolis Capuam18, la fondamentale via di comunicazione con l’entroterra campano, per mezzo di un diverticolo esterno all’abitato che, partendo dalla sommità di via Vigna, arrivava al quadrivio di Santo Stefano19. A completare infine la serie dei vantaggi vi era il pendio naturale del terreno, che poteva essere sfruttato per appoggiarvi le gradinate, secondo un sistema molto usato nell’antichità che da un lato assicurava maggiore stabilità alla costruzione, dall’altro consentiva di limitare al massimo le strutture murarie20.
4Del monumento attualmente, dalla parte di via Solfatara, a sud del ponte ferroviario, sono visibili, completamente riempite di terreno e di materiale di scarico oppure adibite ad usi domestici vari dopo essere state liberate e sbarrate ad una certa profondità con muri moderni, nove arcate in opera cementizia (Tav. I a, e fig. 1), coperte con volta a botte imbutiforme, che si spingono per un buon tratto verso l’arena, fungendo da sostegno alle gradinate della cavea. Le prime otto, di larghezza variabile da m. 4,50 a m. 3, risultano prive di paramento; la più settentrionale, della quale si scorgono le fondazioni, risulta chiusa con un muro in conglomerato. La nona arcata è più stretta (m. 2,30) e di poco più bassa delle altre e presenta sulle spalle un paramento in quasi-reticolato (fig. 2). Al di là di un ‘abitazione civile, addossata in questo tratto al rudere, compare più a sud, emergendo da un’ altra costruzione moderna, anch’essa appoggiata al monumento, la parte superiore di altre tre arcate, oltre al frammento di una quarta (Tav. I b). Queste arcate, che presentano una volta a botte disposta orizzontalmente, sono poco profonde e risultano chiuse nel fondo da un muro in conglomerato (fig. 3). Esse non sostenevano la cavea, che qui insisteva sul pendio naturale, ma si limitavano a fare da contenimento al terreno interno su cui le gradinate poggiavano e sorreggevano inoltre un ambulacro coperto che girava, come si vedrà, lungo tutto il perimetro dell’ellisse, costituendo il secondo ordine dell’elevato. Sulle ultime tre arcate è visibile un tratto della parete interna dell’ambulacro, con paramento in quasi-reticolato e tracce di ammorsatura in tufelli ad un’estremità; l’ammorsatura segna il punto in cui s’apriva uno dei vomitori che immettevano nella cavea. Dell’ambulacro si scorge anche, in questo punto, una Diccola parte del pavimento in battuto di calcestruzzo (fig. 4). La parete interna della cripta, dopo una breve interruzione, riappare più a sud per breve tratto (fig. 5). Più oltre (Tav. I c) si apre, in corrispondenza quasi dell’estremità sud dell’asse maggiore dell’ellisse, una nuova arcata, molto più ampia delle precedenti (largh. m. 6), con volta a botte imbutiforme (fig. 6). L’arcata doveva costituire, data la sua posizione e le sue dimensioni, l’ingresso di un corridoio che immetteva nell’arena. Le sue spalle, prive di paramento, presentano tratti rimaneggiati dove compaiono toppe di quasi-reticolato (fig. 7). Contiguo ad essa, procedendo verso sud-est, è un corridoio sempre in quasi-reticolato, largo m. 4,70, la cui volta a botte disposta orizzontalmente si trova ad una quota inferiore rispetto a quelle delle arcate precedenti (fig. 8). Il corridoio presenta una fodera, con cortina in buon reticolato, che ne restringe la luce; questa fodera ha inizio solo a 5 metri circa dal perimetro ricostruito dell’ellisse e poggia su un rialzo del primitivo piano di calpestio. II tratto foderato della galleria è orientato in modo diverso da quello iniziale21 e dopo pochi metri subisce ancora una leggera deviazione verso ovest. È impossibile conoscere quale fosse lo sbocco preciso del corridoio, dato che esso è attualmente quasi del tutto interrato, ma si può presumere che facesse parte del sistema d’accesso alla cavea. Sempre nello stesso settore sono visibili all’altezza della summa cavea, a circa m. 6 dalla linea perimetrale dell’ellisse, resti di imponenti strutture murarie (fig. 9), in qualche tratto con cortina in quasi-reticolato, che emergono parzialmente dal terreno, raggiungendo nel loro punto più alto attuale una quota superiore a quella del piano di calpestio dell’ambulacro. In questa zona della cavea quindi non dovevano esserci gradinate, ma si elevava una struttura di notevoli dimensioni, almeno a giudicare dagli avanzi di muri, di cui solo uno scavo potrebbe rivelare la natura.
5Volendo avanzare delle ipotesi, considerata la felice posizione della costruzione rispetto al sole, si potrebbe pensare ad un palco d’onore. Non è da escludere però nemmeno che le strutture murarie in questione corrispondessero ad un luogo di culto, dal momento che sono attestati esempi, sia pure rari, di edifici teatrali sulla cui summa cavea si elevava un tempio22 e che d’altronde la presenza di ambienti sacri è attestata anche negli anfiteatri23.
6Dalla parte di via Vigna, a sud del cavalcavia della ferrovia, il monumento risulta quasi totalmente distrutto in seguito ad uno sbancamento effettuato in tempi recenti che ha fortemente sconvolto l’assetto dell’area (fig. 10). Anche in questo settore, come segnalano lo Spinazzola24 e il Maiuri25, c’erano arcate in muratura, ma esse dovevano avere la stessa scarsa profondità e la stessa funzione di quelle del quadrante sud-occidentale. Ed è proprio perché si spingevano poco verso l’interno che le strutture murarie, che già Spinazzola e Maiuri scorgevano parzialmente dirute, sono scomparse quasi del tutto al momento dello sbancamento. Attualmente in questa zona si osservano, oltre a esigue tracce di strutture murarie in prossimità dell’asse minore, i resti di un ambiente a più piani (Tav. I d e fig. 11) ortogonale a via Vigna, che in parte era inglobato nell’ellisse dell’anfiteatro. La diversità della tecnica costruttiva permette di individuare nella struttura, che doveva far parte del complesso dei servizi dell’anfiteatro, due fasi successive. Ad una prima fase risale un muro perpendicolare alla via, con un attacco di volta a circa m. 3 dal piano di calpestio attuale, privo di paramento nella parte bassa, provvisto invece di cortina in opera incerta nella parte più alta, al di sopra della volta (fig. 12); alla seconda fase appartengono due muri trasversali con cortina in quasi reticolato, di cui quello più vicino a via Vigna conserva l’originaria lunghezza, perché presenta all’estremità un’ammorsatura in tufelli, l’altro è invece frammentato (fig. 13). Un condotto di terracotta (fig. 14) attraversa lo spessore del muro di prima fase nel vano inferiore, nel quale è da riconoscere una cisterna26. Immediatamente a nord del cavalcavia (Tav. I e) è stato riportato alla luce dallo Spinazzola un settore della cavea, attualmente sepolto sotto folta vegetazione, sormontato dal già menzionato ambulacro in quasi reticolato (fig. 15) che, coperto da una volta a botte, presenta nella parete interna degli stretti vomitori ad arco per l’accesso ai sottostanti cunei (fig. 16). L’estradosso della volta di copertura della cripta doveva sostenere, cost come si osserva in diversi edifici teatrali27, un altro ordine di gradinate, composto di poche file e corrispondente al meniano più alto, del quale però non restano attualmente tracce. È da segnalare che la parete esterna della cripta è addossata ad un muro provvisto di uguale paramento solo sulla faccia interna. I due muri risultano accostati per l’intero tratto dell’ambulacro attualmente dissotterrato (figg. 17 e 18), sicché è legittimo concludere che l’addossamento interessasse tutta l’ellisse. Certamente il muro esterno s’innalzava oltre le gradinate appoggiate sull’anello voltato, coronando così l’alzato dell’anfiteatro. Su questo stesso muro, nel punto in cui esso s’interra insieme a tutta la cripta, è visibile un’apertura, di cui si scorge solo la sommità e in corrispondenza della quale, all’interno, la parete della cripta presenta un’interruzione, segnata da un’ammorsatura in tufelli. Il muro esterno dunque era provvisto di aperture che erano rispettate da quello della cripta e che servivano a dare luce e a permettere l’ingresso nella galleria.
7All’estremità nord il monumento è interrato, ma una scarpata dall’andamento curvilineo ne disegna l’ellisse per un tratto. Solo in un punto (Tav. I f), ai piedi di un grosso muro moderno28 che funge da sostegno al terreno della scarpata, si scorgono, appena emergenti dal suolo, resti di opera muraria in quasi reticolato (fig. 19). Altri resti di strutture murarie (Tav. I g, fig. 20) si scorgono a nord della linea ferroviaria, in prossimità del casello. Si tratta della sommità di un’areata, fiancheggiata da frammenti di altre due, coperta da una volta a botte disposta orizzontalmente e chiusa nel fondo da un muro in conglomerato. Anche qui le arcate, come nei settori di sud-ovest e sudest, avevano funzione di contenimento del terreno e sorreggevano l’ambulacro, della cui parete interna è visibile ancora qualche traccia.
8Come si è visto, l’anfiteatro presenta strutture murarie lungo tutto il perimetro dell’ellisse, pero esso sfrutta anche, per quanto possibile, le condizioni naturali del suolo. In larghi tratti le murature appaiono ridotte al minimo, limitandosi a contenere il terreno e a sorreggere il solo ambulacro. Solo nel versante occidentale, dalla parte di via Solfatara, per quello che oggi è possibile constatare, la cavea poggia su fornici di sostruzione. Questo sistema di costruzione trova riscontro in misura larga fra gli anfiteatri a noi pervenuti: basti segnalare gli esemplari di Cassino, Ocriculum, Albano, Venosa, Siracusa, Pola29, nei quali il ricorso a strutture murarie risulta combinato con l’utilizzazione dei fianchi di un’altura. F. Castagnoli30, seguito poi dal Sommella31, richiama, ai fini di un confronto tipologico, l’espressione «teatrum terra exaggerandum» che appare in una epigrafe capuana edita da A. De Franciscis32. Ma se, come illustra il De Franciscis, «teatrum terra exaggerandum» sta ad indicare un edificio teatrale realizzato accumulando terra, cioè costruendo un terrapieno per adattarvi la cavea, la frase citata non risulta confacente alla realtà del nostra anfiteatro che, come si è esaminato, non fu appoggiato ad un terrapieno artificiale, ma adattato alla morfologia del sito in cui sorse.
9L’ellisse33 ha l’asse maggiore di mt. 139, quello minore di mt. 103,534. Queste misure consentono di annoverare il monumento fra gli anfiteatri di medie dimensioni, come quelli di Pompei (mt. 140 x 105), Arles (mt. 136 x 107), Nîmes (mt. 133 x 101), Pola (mt. 132 x 105)35. Per quanto riguarda l’orientamento dell’ellisse, esso fu determinato, come già illustrato dal Sommella36, dall’adeguamento dell’edificio alla pianificazione urbanistica della zona compresa tra il foro e l’anfiteatro stesso. Questo spiega da un lato il parallelismo dell’asse maggiore con le direttrici viarie dell’area suddetta, dall’altro la sua divergenza rispetto al tratto superiore di via Vigna, che risulta disposto lungo le linee di una precedente programmazione territoriale corrispondente alla centuriazione del 194 a.C.37
10Le strutture murarie sono realizzate, come si è visto, con tecniche diverse corrispondenti a due successive fasi costruttive e ad un ulteriore limitato intervento nel settore meridionale. La prima fase è caratterizzata dall’impiego di semplice opera cementizia, senza paramento, composta da grosse scaglie di tufo giallo locale legate da uno spesso strato di malta grigia molto compatta. Solo nelle strutture lungo via Vigna, identificabili come ambienti per servizi, si riscontra l’opera incerta; evidentemente 1’uso di cortina fu limitato a questi soli vani perché di minori dimensioni. Le volte sono costruite con spezzoni di tufo di forma oblunga, disposti radialmente in ordini sovrapposti. Alla seconda fase corrisponde l’opera quasi-reticolata, sempre di tufo giallo, formata da tessere le cui dimensioni variano tra 7 e 12 cm. In reticolato ormai regolare è il paramento della fodera del corridoio meridionale di ingresso alla cavea. Le ammorsature, in blocchetti di tufo, sono ad ali nelle pareti dell’ambulacro e a file di tre a chiave alternata nella fodera di rinforzo della galleria d’accesso del settore meridionale. Le pareti erano ricoperte di intonaco: se ne osservano resti negli ingressi meridionali e sui muri della cripta.
11Nel suo primo assetto 1’elevato dell’anfiteatro constava di un solo ordine di fornici, ai quali erano raccordati, dalla parte di via Vigna, ambienti per servizi. Il numero degli ingressi doveva essere limitato: un grande corridoio si apriva a sud in prossimità dell’asse maggiore, che immetteva nell’arena e doveva anche consentire l’accesso alla cavea, probabilmente mediante scale che si aprivano nelle pareti laterali presso lo sbocco interno, secondo un sistema riscontrabile altrove38; un altro ingresso si può ipotizzare che si aprisse sull’altra estremità dell’asse maggiore, in simmetria col precedente. Delia cavea non è possibile ricostruire l’organizzazione d’insieme: restano solo gli scarsi dati illustrati dallo Spinazzola relativamente al settore da lui scavato, ora coperto da vegetazione, che ci rivelano l’esistenza di scalette che servivano i cunei39. La forma e le caratteristiche dell’arena ci sono ignote; certamente però essa doveva essere priva di sotterranei, secondo il modello pompeiano40. In questa fase l’anfiteatro terminava in alto con un muro di coronamento, che delimitava un ambulacro scoperto.
12Gli interventi di seconda fase non si limitarono solo a opere di restaura, come i rattoppi della grande porta a sud, ma furono anche volti ad accrescere la capienza dell’anfiteatro e ad assicurare una maggiore razionalità e funzionalità degli impianti, in modo da adeguare l’edificio all’aumento del pubblico41 conseguente all’incremento demografico della città42 . La cavea fu ampliata mediante l’innesto della cripta, su cui fu sistemato il «maenianum summum»43 La galleria, che serviva anche ad offrire agli spettatori riparo in caso di pioggia, fu addossata al primitivo balteo, il quale in questa stessa circostanza fu ristrutturato, come appare dall’impiego della cortina in quasi-reticolato, e certamente portato ad un’altezza superiore per cingere all’esterno le nuove gradinate (Tav. II a-b). Furono anche aperti nuovi ingressi nei vari settori. Una di tali porte è da identificarsi con l’unica arcata del versante occidentale che presenta il quasiquasireticolato; la sua ubicazione in prossimità dell’asse minore induce a pensare potesse trattarsi dell’ingresso al podio. Un altro degli ingressi aperti in questa seconda fase è il corridoio che fiancheggia nel settore meridionale la grande porta che conduce all’arena (Tav. III). Ad esso doveva far riscontro simmetricamente, sul fianco opposto della porta stessa, un’altra galleria ed entrambe ebbero la funzione di servire la cavea disimpegnando così il vomitorio centrale44.
13A questa stessa fase appartengono anche le imponenti strutture murarie sulla sommità della cavea, nel settore meridionale, e una risistemazione dei servizi lungo via Vigna, testimoniata dai muri in quasi-reticolato. Dopo gli ampi interventi di seconda fase l’anfiteatro non sembra aver subito altre sostanziali modifiche. Dovuta non solo a ragioni di ordine statico, ma anche alla necessità di raggiungere un nuovo sbocco45 è la costruzione della fodera del corridoio del settore meridionale (Tav. III); il rialzo del primitivo piano di calpestio, su cui la fodera poggia, indica una modifica del livello esterno46. Lavori di abbellimento, infine, risalenti alla seconda metà del II sec. d.C. se non oltre, sono testimoniati da un blocco di cornice di marmo lunense (fig. 21)47 che giace seminterrato sulla summa cavea, nel settore degli ingressi meridionali. Per l’eclettico accostamento di ornati ispirati alla tradizione decorativa augustea con altri che risalgono a quella flavia, la cornice è databile in età antoniniana se non forse in quella severiana48. Questo intervento rientra evidentemente nel quadro dell’intensa attività costruttiva testimoniata per la città sotto gli Antonini e i Severi49.
14Datare il monumento non è problema di agevole e sicura soluzione, perché in mancanza di testimonianze di carattere letterario ed epigrafico utili a tal fine50, occorre basarsi sulle sole indicazioni cronologiche ricavabili dall’esame dei sistemi costruttivi e queste, per la diversità di evoluzione della tecnica edilizia nelle particolari situazioni locali, non presentano un sufficiente grado di affidamento né comunque consentono di avanzare proposte di datazione circoscrivibili entro limiti cronologici ristretti. È per questa ragione evidentemente che le opinioni degli studiosi risultano in merito discordi. La datazione più alta è proposta dallo Johannowsky che, distinguendo due fasi, fa risalire il nucleo della costruzione agli ultimi decenni del II sec. a.C., mentre attribuisce la cripta della summa cavea all’età sillana51. Il Maiuri52 e il Lugli53 datano unitariamente il monumento in età augustea, seguiti dal Frederiksen54 e da M. E. Blake55. Fra le due posizioni citate si colloca quella, recente, del Sommella56 che pone la costruzione dell’intero edificio verso la metà del I sec. a.C., individuando nell’ingresso meridionale un intervento di consolidamento risalente all’età augustea.
15L’esame del monumento fa escludere qualsiasi ipotesi di datazione unitaria, perché rivela l’esistenza di due successive fasi costruttive, con qualche posteriore intervento di minore entità. Per l’essenzialità dell’impianto, riscontrabile nel non ben congegnato sistema di accesso e di distribuzione e nella mancanza di sotterranei nell’arena, che saranno invece presenti negli anfiteatri imperiali, il nucleo primitivo dell’edificio risulta in linea con le caratteristiche che contraddistinguono gli anfiteatri più antichi, come quelli ad esempio di Pompei, Cuma, Cales, Teano, Sutri57. A questi elementi di arcaicità fa riscontro la presenza di opera incerta in quelle strutture dell’anfiteatro che sono state identificate come servizi. Tenendo conto di cio, il termine di riferimento più immediato per la datazione di questa prima fase è costituito dall’anfiteatro di Pompei, che è databile, come è noto intorno al 75 a.C. e che al nostro si avvicina, oltre che per la semplicità dello schema, per l’impiego dell’opera incerta. Riteniamo dunque che la costruzione del primo anfiteatro puteolano risalga all’incirca allo stesso periodo, anzi non è improbabile che essa sia anteriore a quella dell’anfiteatro pompeiano, considérata la maggiore importanza e floridezza di Puteoli. La caratteristica struttiva della summa cavea su cripta, testimoniata in edifici teatrali a partire dall’età di Augusto58 indurrebbe, se considerata isolatamente, a collocare in questa epoca gli interventi di seconda fase; l’impiego del quasi-reticolato, però, consiglia di alzarne la datazione agli ultimi decenni dell’età repubblicana, tenuto anche conto del fatto che il reticolato in età augustea a Pozzuoli risulta largamente usato.
16Non oltre i limiti cronologici del regno di Augusto si colloca l’ulteriore intervento nel settore meridionale.
17L’edificio funzionò intensamente sotto Augusto e i suoi sucsuccessori, come è attestato dalle fonti59 e non fu abbandonato nemmeno quando fu costruito il secondo e più funzionale anfiteatro, evidentemente perché fra i due edifici vi era una diversità di destinazione60 L’edificio infatti era ancora in uso tra la fine del II e l’inizio del III sec. d.C., se in questo periodo si ritenne necessario, come si è visto, adornarlo.
Notes de bas de page
1 Per il catalogo delle più antiche guide di Pozzuoli cfr. il repertorio bibliografico di R. Artigliere, Contributo alla bibliografia e iconografia di Pozzuoli e dei Campi Flegrei dal 1500 al 1963 (Pozzuoli 1964). Una rassegna critica di quelle più importanti è in Dubois, Pouzzoles antique (Paris 1907) 187-189.
2 Cfr. K. J. Beloch, Campanien2 (Breslau 1890) (rist. anast. Roma 1964) 125, 137-138.
3 Suet. Aug. 44.1; Cass. Dio LXIII 3.
4 Su questo e sugli altri vasi vitrei con raffigurazione di Pozzuoli, un’ampia letteratura è fornita da S. E. Ostrow, in Puteoli 3 (1979) 77 ss.; cfr. anche in Puteoli 1 (1977) gli articoli di J. Kolendo (108 ss.) e G. Camodeca (66-67).
5 Questa identificazione, accettata da tutti gli studiosi, è stata recentemente respinta da P. Sommella, Forma e urbanistica di Pozzuoli romana, in Puteoli 2 (1978) 91, che riconosce con convincente argomentazione nell’edificio superiore lo stadio, riprendendo un’ipotesi avanzata già da F. Castagnoli, Topografia dei Campi Flegrei, in Atti Lincei 33 (Roma 1977) 59 nt. 69.
6 Dubois, 190 ss.
7 Il Dubois sembra propenso a riconoscere nelle arcate lungo Via Nuova Solfatara i resti di un anfiteatro; la preoccupazione però che l’edificio potesse invadere Via Vigna, induce l’autore ad avanzare l’ipotesi alternativa di un teatro.
8 Beloch, op. cit. 138.
9 V. Spinazzola, in NSc. 1915 409-415.
10 G. T. Rivoira, Roman Architecture (New York rist. 1972) 91; A. Maiuri, Campi Flegrei (Roma 1963) 36 ss.; M. E. Blake, Ancient Roman Construction in Italy from the prehistoric period to Augustus, 1947, 239; W. Johannowsky, Contributi alla topografia della Campania antica, I. La via Puteolis-Neapolim, in RAAN. 27 (1952) 91; ID., in DArch. 4-5 (1971) 469; ID., La situazione in Campania, in Hellenismus in Mittelitalien (Abhandl. Akad. Wissensch. Göttingen, Phil.-Hist. Kl. 97) (1976) 272; G. Lugli, La tecnica edilizia romana (Roma 1957) 513; M. W. Frederiksen, s.v. Puteoli, in PW. 23.2 (1959) 2058; E. Kirsten, Süditalienkunde. Ein Führer zu klassischen Stdtten (Heidelberg 1975) 223; F. Castagnoli, art. cit. (a nt. 5) 60; P. Gros, Architecture et Société à Rome et en Italie centro-méridionale (coll. Latomus 156) (Bruxelles 1978) 43.
11 Sommella, 54-57 e passim.
12 Cfr. Johannowsky, Contributi cit. 88 ss.; contro Beloch, op. cit. 127-128 e Dubois, op. cit. 233, lo studioso, come già A. Maiuri, op. cit. 49 e in Boll. d’Arte (1932) 237, è del parere che Pozzuoli ebbe (a parte naturalmente quella dell’acropoli) una cinta muraria ed avanza l’ipotesi che a questa appartenessero resti di muri in opera incerta, ora scomparsi, rinvenuti a sud-ovest dell’anfiteatro tra Via Solfatara e via Vigna. In merito è impossibile pronunciarsi con certezza per la mancanza di concrete evidenze.
13 Due sepolcri sorgono immediatamente al di sopra del ponte ferroviario. Più numerose le segnalazioni dello Johannowsky, Contributi cit. 91 rispetto a quanto permane attualmente.
14 Il foro puteolano era ubicato nella zona dove ora sorge il complesso dell’Immacolata: cfr. G. Camodeca, in AAN. 82 (1971) 27, 47 e nt. 41; ID., in AAN. 87 (1976) 42; ID., in Puteoli 1 (1977) 68 s.
15 Cfr. Sommella, 85.
16 Su questa via è fondamentale W. Johannowsky, Contributi, l.c.
17 Johannowsky, art. cit. 88. Per una diversa identificazione del tratto iniziale della via per Napoli, v. Beloch, op. cit. 126; Dubois, op. cit. 345-346; Maiuri, in EAA. 6 (1965) 415.
18 Su questa via v. Dubois, op. cit. 242 ss.; Chianese, in Campania romana 1 (1938) 47 ss.; Frederiksen, art. cit. 2054; Maiuri, Campi Flegrei cit. 53 ss.; ID., Passeggiate campane (Firenze 1957) 42 ss.; Johannowsky, La situazione in Campania cit. 269.
19 Cfr. Dubois, op. cit. 245 e Johannowsky, Contributi, cit. 87 s. e 92.
20 Cfr. H. Kähler, in EAA. 1, 374 ss. V. anche G. LUGLI, in Ausonia 10 (1921) 226 nt. 1, il quale, in base alle diverse condizioni del luogo, distingue cinque tipi di anfiteatri.
21 Il differente orientamento è reso evidente: 1) dalla non corrispondenza delle chiavi della volta; 2) dal diverso spessore dei piedritti della fodera; 3) dal diverso andamento del tratto visibile delle spalle del corridoio rispetto alla fodera.
22 Tale è il caso del teatro di Pompeo a Roma, costruito nel 55 a.C., sulla cui cavea, alla sommità, fu edificato nel punto centrale il tempio di Venere Vincitrice (cfr. E. R. Fiechter, Die baugeschichtliche Entwicklung des antiken Theaters (München 1914) 79 ss. fig. 70; M. Bieber, Die Denkmäler zum theaterwesen im Altertum (Berlin 1920) 56 ss.; ID., The history of the Greek and Roman theater (Princeton 1939) 181 s.; H. Bulle, Untersuchun gen am griechischen Theatern (Abhandlungen Bayer. Akad. Wissenschaften, phil. hist. Klasse 33) München 1928; Platner-Ashby, s.v. Theatrum Pompei, in Topographical Dictionary of Ancient Rome 515 ss., Londra 1929; A. Rumpf, in MDAI(R) 3 (1950) 40-50; G. Caputo, in Dioniso XVII (1954) 11-17; J. A. Hanson, Roman theater-temples, Princeton 1959, 43 ss.). La stessa soluzione architettonica ritorna nel teatro di Leptis Magna, di età augustea, che accoglie in alto, sulle sue gradinate, un tempio sacro a Cerere (cfr. G. Caputo, in Dioniso 10 (1947) 5-23 e 13 (1950) 164-178; ID., Il teatro di Leptis Magna (Monografie di Archeologia libica, IV) (Roma 1962); J. A. Hanson, op. cit. 59 s., 90, 95, figg. 21-22.
23 Si pensi ad es. ai sacelli individuati nel secondo anfiteatro puteolano: cfr. Scherillo, in RAAN. 2 (1866) 1 ss.; Dubois, op. cit. 330 ss.; A. Maiuri, L’anfiteatro flavio puteolano (Napoli 1955) 42 ss.
24 Spinazzola, art. cit. 411.
25 Maiuri, Campi Flegrei cit. 37.
26 In Sommella, op. cit. 54, la struttura, indicata nella scheda 34 col nr. 5, è rappresentata in maniera incompleta e dubitativamente identificata con una scalinata esterna.
27 Teatri con summa cavea sistemata su cripta sono ad es. il teatro grande di Pompei (Cfr. soprattutto: A. W. Bywanck, Das grosse Theater in P., in MDAI(R) 40 (1925) 107 ss.; M. Bieber, The history of the Greek and Roman theater, Princeton 1961, 170 ss.; A. Sogliano, Pompei preromana (Roma 1937) 196 ss.; A. Maiuri, Introduzione allo studio di Pompei, Napoli 1943, 34 ss.; ID., Not. Sc. 1951, 126-134; ID., Pompei, Novara 1951, 26 ss.), quello di Cassino (Cfr. G. F. Carettoni, Casinum (Ist. Studi Rom. 1940) 83 ss.) e quello di Fiesole (Cfr. soprattutto J. A. Hanson, op. cit. 76, 99, figg. 43, 53; M. Bieber, op. cit. 193 s., figg. 655-657).
28 Il muro, costruito con materiale di recupero vario e inglobante tra l’altro anche il frammento di una struttura voltata, ripercorre l’esatto andamento delle strutture murarie antiche.
29 Per Cassino v. G. Carettoni, Casinum (Roma 1940) 78 ss. Per Ocriculum v. C. Pietrangeli, Ocriculum (Roma 1943) 64 ss. Per Albano v. G. Mancini. Scavi nell’anfiteatro di Albano, in Studi rom. 2 (1914) 231 ss.; G. Lugli, in Ausonia 10 (1921) 210 ss. Per Venosa v. G. Pesce, in NSc. 1936 450 ss. Per Siracusa v. D. Serradifalco. Antichità della Sicilia 4 (Palermo 1834) 108 ss., 128 ss.; Mauceri. Guida di Siracusa 2 (1908) 88 ss.; B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica 2 (1938) 335 ss.; Fasti Arch. 3 (1948) nr. 3388. Per Pola v. P. Stancovich. Dell’anfiteatro di Pola dei gradi marmorei del medesimo... etc. (Venezia 1822) con 8 tavv.; A. Gnira, Führer durch Pola (Wien 1915) 33 ss.; G. Calza, Pola (Roma 1920); M. Mirabella-Roberti, L’arena di Pola (Pola 1939).
30 Castagnoli, art. cit. 72 nt. 68.
31 Sommella. op. cit. 54.
32 A. De Franciscis, in Epigraphica 12 (1950) 126 ss. = ILLRP. 708.
33 Per la costruzione dell’ellisse ci si è avvalsi della cortese collaborazione del Prof. Ing. Vincenzo Tufano. della facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli. che ba provveduto a mezzo di calcolatore Hewlett Packard alla determinazione delle coordinate del centro dell’ellisse, dei fuochi e quindi alla materiale costruzione dell’ellisse stessa.
34 II rapporto tra gli assi, di 1,34, rientra nella media di valori, accertata per le costruzioni anfiteatrali, oscillante all’incirca tra 1,20 e 1,30 (cfr. G. Cozzo, Ingegneria romana Roma 1928, 200). L’ellisse invade l’attuale via Vigna, che evidentemente in questo tratto non ripercorre l’esatto tracciato della strada antica. È indicativo in merito il fatto che un po’ più a nord un monumento sepolcrale sul lato sinistra della via ne oltrepassi il margine.
35 Per Pompei v. A. Mau, Pompeji in Leben und Kunst (Leipzig 1900) 196-209; M. Della Corte, Pompei. I nuovi scavi e l’anfiteatro, Pompei 1930; M. Girosi. L’anfiteatro di Pompei. Napoli 1933; A. Maiuri, L’ultima fase edilizia di Pompei (Roma 1942) 83 ss.; Id., Pompei (Roma-Novara 1928) 40 ss. Per Arles, v. R. Jacquemin. Monographie de l’amphithéâtre (Aries 1845): G. Lugli, La tec. ed. rom. cit. 1 648. Per Nîmes, v. A. Pelet, Description de l’amphithéâtre de Nîmes (Nîmes 1853); F. Durand, Les arènes de Nîmes (Nîmes 1912); E. Espérandieu, L’amphithéâtre de Nîmes (Paris 1933); G. Lugli, op. cit. 1 648 s. Per Pola, v. nt. 29. Per le dimensioni di altri anfiteatri v. L. Friedländer, Sittenseschichte Roms 8 (1910) 630 ss.
36 Sommella, op. cit. 78 s. e fig. 168.
37 Cfr. Dubois, 232; Johannowsky, Contributi cit. 126; Castagnoli, art. cit. 72.
38 Nell’anfiteatro di Ordona, ad esempio, i corridoi d’ingresso all’arena sono fiancheggiati da scale, che costituiscono, per la prima fase di costruzione, i soli accessi alla cavea; cfr. in Ordona 2 (Bruxelles-Roma 1967) 92 s., 96 s., 120 s., e figg. 36-37. Anche ad Albano, nel quadro però di un sistema di accesso più complesso, i due grandi ingressi all’arena presentano nelle pareti laterali scale che conducono al podio e al primo meniano (Cfr. Lugli, art. cit. (a nt. 20) 219 ss., fig. 7, tavv. V-VI).
39 Spinazzola, art. cit. 413, fig. 3.
40 A. Maiuri, Campi Flegrei cit. 417; ID., in EAA. 6 37 s.
41 Una testimonianza — anche se di poco posteriore alla presumibile data (v. infra) di esecuzione di questi interventi di seconda fase — sul folto pubblico che assisteva ai ludi puteolani è offerta dal già citato brano di Suet., Aug. 44.1, nel quale si narra che un senatore romano non trovô posto nell’anfiteatro a causa della grande folla di spettatori.
42 Sull’incremento demografico della città nel corso del I sec. a.C., connesso allo sviluppo delle attività economiche, cfr. Dubois, op. cit. 235-236 e D. Pulice, Sviluppo costituzionale della colonia Puteoli in età repubblicana, in Puteoli 1 (1977) 37.
43 Un caso analogo di ampliamento della cavea mediante l’aggiunta di un ulteriore meniano su cripta si riscontra nel teatro grande di Pompei (per la bibl. cfr. nt. 27).
44 Una situazione analoga presenta l’anfiteatro di Ordona, v. op. cit. (a nt. 38) 121 ss., figg. 38-39.
45 Solo così è spiegabile la deviazione della fodera rispetto al primitivo corridoio. Quali fossero le ragioni che indussero ad effettuare questa modifica non è dato allo stato attuale conoscere.
46 Circa 60 metri più a sud Johannowsky (Contributi cit. 90) riconosce vari innalzamenti del suolo in età imperiale.
47 h. cm 29; lungh. cm 120; prof, piano superiore cm 55. II blocco è intero, ma presenta una grossa scheggiatura ad una estremità ed è molto eroso; altre scheggiature più ο meno leggere interessano tutte le modanature. Si succedono dall’alto i seguenti ornati: baccellature; ovoli entro largo guscio con elemento di separazione a punta di freccia; dentelli di forma rettangolare privi di elemento di separazione; kyma tipo Β (D. E. Strong, Late Hadrianic Architectural ornament in Rome, in PBSR. (1953) 121, fig. 1; per un quadro comparativo delle diverse nomenclature adottate dagli autori per indicare questo tipo di kyma v. M. P. Rossignani. La decorazione architettonica romana in Parma, Roma 1975, 28) con fiori a forma di tulipano e pendenti a foglietta; astragalo, asimmetricamente disposto rispetto al sovrastante kyma, a perline irregolari non molto allungate, in qualche caso rotondeggianti, e fusarole a calotta sferica. Accanto alla cornice giacciono, anch’essi seminterrati, due blocchi di calcare sarnese ed uno di marmo italico, tutti di uguali dimensioni (lungh. cm 95; largh. cm 65; h. cm 25), la cui forma caratteristica fa pensare che si tratti di sedili della cavea (fig. 22).
48 Per l’eclettismo della decorazione architettonica antoniniana e severiana cfr. in particolare: P. H. Von Blanchenhagen, Flavische Architektur und ihre Dekoration untersucht am Νervaforum (Berlin 1940) 90-99; D. E. Strong, op. cit. 140-141 e 147-151; F. Zevi - P. Pensabene, Un arco in onore di Caracalla ad Ostia, in RAL. 26 (1971) 496 ss.; M. P. R. Rossignani, op. cit. 54-55.
49 Cfr. J. H. D’arms, Puteoli in the second century of the Roman Empire: A Social and Economic Study, in JRS. 64 (1974) 104-124; Sommella, op. cit. 84.
50 Le sole fonti contenenti riferimenti al nostro anfiteatro sono quelle già citate nella nt. 3, oltre ad un’epigrafe AE. 1974.266, in cui si parla di ludi organizzati sotto Nerone.
51 Johannowsky, in DArch. 1971 469 e Campania cit. 272. Precedentemente lo studioso aveva collocato la prima fase «al più tardi in età sullana» e la seconda in età cesariana (Contributi cit. 91).
52 Campi Flegrei cit. 39; in E.A.A. VI 417 lo studioso assegna la costruzione all’ultima età repubblicana ο alla prima età imperiale.
53 La tecn. ed. rom. cit. 513.
54 Frederiksen, op. cit. 2058.
55 op. cit. 239.
56 op. cit. 54.
57 Per Pompei v. nt. 35; per Sutri v. C. Morselli, Sutrium (Forma Italiae, VII, 7) (Firenze 1980) 45 ss. Gli anfiteatri di Cuma, Teano, e Cales sono praticamente inediti; un cenno su di essi è in Johannowsky, DArch. cit. 469.
58 v. nt. 27 e nt. 43.
59 v. nt. 3 e nt. 50.
60 Spinazzola, op. cit. 415, seguito da Maiuri, Campi Flegrei cit. 37, pensa che il più antico fosse destinato ai giochi dei gladiatori, mentre quello più recente alle «venationes».
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