Puteoli e il commercio del grano in epoca romana
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Texte intégral
11. Il risveglio, ο meglio la rinascita, di studi sull’antica Puteoli è un dato acquisito, troppo noto per essere ancora celebrato. Il 1977 ha visto da un lato il Convegno Internazionale dell’Accademia dei Lincei sui Campi Flegrei, dall’altro ha salutato la nascita della lodevole iniziativa rappresentata da questa nuova Rivista ‘Puteoli’. Assistiamo anche ad una ripresa di lavori e scavi nella città stessa grazie all’opera delle competenti autorità, statali e locali; e questo stesso Convegno, sotto l’amichevole stimolo del Centro Jean Bérard di Napoli, ne costituisce un’ulteriore evidente testimonianza. Chi segue questi progressi in partibus infidelium, come l’autore di questa relazione, non potrà offrire scoperte di prima mano ο grandi novità archeologiche; piuttosto, varrà la pena di presentare qualche considerazione, nuova ο meno nuova, sulla funzione economica di Pozzuoli nell’antichità, per suscitare la discussione e anche indirizzare altre, più meditate, indagini sulla primaria importanza del porto puteolano, in particolare per il commercio dei cereali nel mondo romano1.
2Cominciamo dunque con una testimonianza ben nota, e cioè il passo in cui Seneca (Ep. 77.1-2) descrive l’avvistamento delle prime navi celeri, le tabellariae, che annunciavano l’arrivo della flotta alessandrina, carica di grano; tutta la popolazione di Puteoli si radunò sul molo (omnis in pilis Puteolanis turba constitit) per sentire le notizie sul convoglio delle grandi navi granarie che dovevano arrivare in un secondo momento. Siamo nella prima metà del mese di giugno, probabilmente dell’anno 64 d.C.2. Si può affermare, senza esagerare, che questo passo famoso sta alla base delle nostre conoscenze sulla storia economica di Puteoli nell’antichità. È una conclusione accettata da quasi tutti gli storici moderni, che dall’epoca di Augusto in poi, immense quantità di grano giungevano ogni anno dall’Egitto a Puteoli, destinate a Roma, cui fornivano gran parte dell’approvvigionamento3. Ma, al di là di questa conclusione générale, esistono parecchi problemi che interessano l’organizzazione del commercio e la topografia della città. Vorrei tentare, qui, di delineare uno schizzo dello sviluppo di questo commercio granario fino alla prima epoca imperiale, e anche cercare di chiarire, se non altro a me stesso, quali sono i problemi che restano non risolti.
32. Se riandiamo ai primordi della storia di Roma, il primo problema si presenta con l’aspetto di un paradosso: la Campania del periodo preromano appare importante per l’esportazione e non per l’importazione del grano. Per molti secoli, e cioè dal periodo greco in poi, i cereali della Campania hanno goduto di una notevole fama4: il far, varietà indigena di grano vestito, più robusto delle altre specie e che meglio resisteva alle scosse della mietitura, e quindi molto apprezzato dagli antichi; il siligo, grano nudo tenero; il miglio, meno comune nelle regioni mediterranee che non in quelle galliche e germaniche, ma usato spesso per paste e farinate contadine e, a giudicare dal prezzo riportato nell’Editto di Diocleziano, molto apprezzato anche altrove nell’impero5. Il grano nudo più duro, il triticum, si doveva cercare in altre parti; questo tipo di grano era caratteristico dell’Africa e dell’Egitto e veniva considerato il migliore in assoluto. Ma è certo che la fama dei cereali campani, specialmente dei grani vestiti e nudi, del far indigeno e del grano tenero, risale ai primordi della colonizzazione greca, ed è antica quanto le prime notizie storiche della regione6.
4In quei tempi Roma doveva importare grano, e sin dai primi anni della Repubblica si hanno notizie sull’importazione di grano da varie zone ed anche dalla Campania. In ben cinque occasioni, tra il 508 a.C. e il 433 a.C., sotto la pressione di carestie, i Romani mandarono ambascerie alla ricerca di grano, che furono accolte benevolmente a Cuma7. Gli studiosi hanno spesso discusso su queste prime ambascerie romane nel mondo greco, e si tende oggi (e con ragione, a mio avviso) ad accettarne la sostanziale storicità. Livio, anzi, nota puntualmente che un’ulteriore ambasceria, inviata a Cuma nel 411 a.C., ricevette un netto rifiuto da parte dei Sanniti, di recente divenuti i nuovi padroni della città da loro occupata nel 4218.
5Sempre stando a Livio (VII 30-31), l’importanza del grano campano era ben presente ai Romani durante le trattative con i Campani, cominciate nel 343 a.C. e che portarono alla deditio di Capua, alla prima guerra sannitica e alla costituzione del municipio campano. Ampia è stata la discussione su questo racconto liviano, che la critica moderna ha quasi unanimemente rifiutato come fittizio9. Non è questa la sede per riaprire questo problema complesso e troppo spinoso; oso credere che Livio conservi le giuste linee degli avvenimenti, e vorrei affermare che non solo i riferimenti sui vantaggi di acquistare il grano della Campania (VII 30.6; 10; 19), ma anche il preciso ragionamento del senato romano sull’opportunità del trasporto marittimo (VII 31.1), sembrano elementi fededegni e realistici, e comunque inconcepibili come invenzioni annalistiche in senso patriottico.
6La storia del grano campano si può seguire ancora attraverso gli avvenimenti storici dei secoli successivi. Nel 338 a.C. l’agro Falerno fu occupato da coloni romani10; e sappiamo che durante le guerre sannitiche l’area campana e quella aurunca furono teatro di violenti scontri fra Sanniti invasori e Romani che difendevano le loro nuove terre11. E quando Annibale nel 217 a.C. decise di compiere incursioni nella stessa zona per distruggere le case e bruciare i raccolti, provocò una forte reazione da parte dei comandanti romani e anche dello stesso popolo romano12. Ed è ben chiaro, a chi studi la seconda guerra punica, che il controllo delle risorse campane, e specialmente di quelle granarie e «industriali», costituiva una delle principali mire nella lotta di quegli anni fra le due potenze. Quando Capua e le sue città si ribellarono e si unirono ai Cartaginesi, i Romani si trovarono immediatamente in grave disagio per la mancanza di grano: il frumentum tributum dalle province non bastava, e ci si dovette allora rivolgere ad altri mercati e ad altri paesi, compreso l’Egitto13. E quando nel 211 la ribelle Capua fu riconquistata dalle forze romane, il senato subito si affrettò ad incoraggiare la coltivazione di cereali nell’Agro Campano. Gli antichi abitanti, invece di essere trasferiti in altri luoghi, furono lasciati sul posto e costretti a coltivare le loro terre con l’imposizione di un vectigal annuale in natura costituito da un tributo di grano14. E, come nella Sicilia, così anche nella Campania, i Romani intrapresero una vera e propria «battaglia del grano» per rifornire la città di Roma e gli eserciti romani durante gli ultimi anni della guerra annibalica15. Su questa politica e sugli effetti economici che a lungo termine ne derivarono vi sarebbe da fare un discorso a parte; basta qui dire che, in questi anni, la Campania e la Sicilia furono trasformate nei subsidia populi Romani e perfugia annonae, e tali rimasero per oltre un secolo16.
7Comunque in questo contesto vorrei sottolineare almeno l’importanza del trasporto marittimo del grano. Per i Romani del tempo controllare la costa campana e gli sbocchi sul mare era una necessità assoluta. Di conseguenza, nel 215 a.C. i Romani decisero di fortificare e presidiare Puteoli perché in quel porto si era sviluppata un’attività commerciale connessa con le necessità della guerra: per bellum coeptum frequentari emporium (Liv. XXIV 7.19)17. Per la situazione nel periodo precedente all’occupazione romana purtroppo le fonti scarseggiano: l’antico porto di Dicearchia, una volta dipendenza di Cuma, si era forse gradualmente ridotto ο addirittura era scomparso, quando l’antica colonia greca era caduta in mano agli Oschi nel 421 a.C.; e se da un lato le testimonianze archeologiche lungo il percorso della via consularis Campana farebbero pensare ad un collegamento stradale fra Capua e Puteoli anche nel IV secolo18, dall’altra la violenta eruzione del Monte Epomeo, avvenuta verso il 350 a.C., causò molti danni agli insediamenti costieri, che furono per un certo periodo abbandonati dai loro abitanti (Timeo fr. 58 in Strab. V 4.9). Ma qualunque sia la data della scomparsa di Dicearchia, gli abitanti di Capua e del suo circondario possedevano sicuramente altri sbocchi al mare. L’antica Cuma, che aveva mantenuto il suo predominio regionale durante il V secolo a.C., seppe conservare anche nel periodo sannitico una certa importanza marittima, tanto che Annibale nel 214 a.C. meditò di impadronirsi del suo porto nel tentativo di aprire una rotta per Cartagine19. Si può anche pensare che Neapolis avesse sviluppato in questo periodo una certa funzione portuale per l’esportaizone delle merci, data la graduale decadenza dei porti vicini20. Ma Capua disponeva anche di una rotta fluviale lungo il Volturno, fra l’antica Casilinum e la foce del fiume. Come già aveva notato il Nissen, per l’età antica non mancano indizi di un sistema di trasporti fluviali a mezzo di zattere ο di chiatte sul Volturno, e le stesse tradizioni si possono ritrovare in documenti del periodo longobardo e medievale21. Analoghe preoccupazioni si deve desumere fossero alla base delle fondazioni di colonie romane lungo la costa campana nel 194 a.C.: non solo il porto della stessa Puteoli ma anche quello di Volturnum e l’insediamento di Liternum ricevettero stanziamenti di coloni romani22; si erano rivelati punti di valore strategico ed economico che valeva la pena rinforzare e controllare.
8Dobbiamo perciò ammettere che durante il secondo secolo il grano della Campania fosse spedito a Roma ogni anno in parte come vectigal annuale imposto sull’Ager Campanus, in parte però anche a mezzo del commercio libero. L’ultima traccia del grano campano la troviamo negli anni 90-89 a.C., durante la guerra sociale, quando, a dire di Cicerone, gli eserciti romani furono alimentati dalle risorse della Campania23. Ma è anche certo che nel periodo di Cicerone il vectigal in natura dell’Ager Campanus rappresentava ormai un relitto del passato, un ricordo dei maiores nostri; il vectigal si era trasformato in una imposta in moneta24. Le cause di questi cambiamenti si lasciano facilmente indovinare: non solo l’enorme espansione della città di Roma e l’aumento della sua popolazione avevano superato ogni possibilità di approvvigionamento con la sola produzione locale e italiana, ma nella stessa Campania assistiamo ad un grande sviluppo di prosperità, che si può cogliere attraverso l’attività edilizia nei centri campani, e ad una sua vera e propria trasformazione dovuta all’arrivo dell’alta società romana, intenta a costruirsi ville e dimore di lusso lungo la costa25. Ma è possibile che il commercio libero dei cereali non sia mai cessato completamente. Da una parte Peter Brunt ha fatto recentemente notare che la città di Roma non è mai dipesa esclusivamente dal grano d’oltremare, ma ha sempre potuto disporre di una certa quantità, anche se minore, di cereali inviati dalle varie regioni italiane26; dall’altra, sappiamo che i primi imperatori romani, Augusto, Tiberio e i loro successori non cessarono di lamentare la costante diminuzione delle colture agricole in Italia, come se ancora non fosse una causa del tutto persa27.
9Un chiaro esempio d’incoraggiamento imperiale si può ravvisare, a mio avviso, nei famosi versi del poeta Stazio, in cui si inneggia alla costruzione della via Domiziana nel 94 d.C. Dietro le sue colorite espressioni si nasconde una realtà che possiamo cogliere facilmente e ricostruire anche attraverso l’archeologia. Il poeta elogia l’imperatore
qui castae Cereri diu negata
reddit iugera sobriasque terras.
(Silv. IV 3.11-12)
10E poi fa parlare lo stesso fiume Volturno: appoggiando la testa sui potenti archi del ponte costruito da Domiziano, il dio fluviale confessa di pentirsi del suo rozzo comportamento e ringrazia l’imperatore per aver contenuto le sue acque entro nuovi argini; e con vergogna promette che mai più porterà rovina ai campi fertili distesi a destra e a sinistra (Silv. IV 3.76-87):
et nunc ille ego turbidus minaxque,
vix passus dubias prius carinas,
iam pontem fero perviusque calcor;
qui terras rapere et rotare silvas
adsueram (pudet!), amnis esse coepi;
sed grates ago servitusque tanti est,
quod sub te duce, te iubente cessi,
quod tu maximus arbiter meaeque
victor perpetuus legere ripae.
et nunc limite me colis beato
nec sordere sinis malumque late
deterges sterilis soli pudorem.
11Dalle parole dell’ingegnoso poeta s’intende chiaramente che la costruzione della strada attraverso le paludi del Volturno fu accompagnata da alcuni lavori di arginatura, di prosciugamento e di bonifica28; e Domiziano non fu l’unico imperatore a preoccuparsi della decadenza dell’agricoltura cerealicola italiana. Sarebbe interessante stabilire fino a che punto i suoi tentativi ebbero successo, ma finora, per quanto mi risulta, gli indizi archeologici non hanno portato alcuna luce sul problema.
123. Nella nascita di Puteoli romana, quindi, assistiamo ad un commercio a doppia faccia: una esportatrice, erede di un’antica tradizione campana dal periodo greco in poi, che si protrae ancora per un secolo e sembra poi spegnersi negli ultimi decenni della repubblica romana; l’altra importatrice, sempre più rilevante, per la quale Puteoli diventerà il più grande porto della costa tirrenica. Nelle tre fondazioni coloniarie del 193 a.C. vedrei volentieri il risultato delle esperienze dei Romani nella guerra annibalica, quando si era dimostrato il valore di questi luoghi come sbocchi al mare e punti di approdo. Ma specialmente a Puteoli, come tutti sanno, è toccato il grande destino di diventare il porto principale d’Italia, maggiore perfino di Roma stessa, ed il grande emporium per le merci orientali e provinciali29. Con un rapidissimo sviluppo, dal secondo secolo a.C. in poi, il traffico marittimo dalla Sicilia e dalle varie regioni dell’Oriente convergeva su Puteoli, per poi continuare verso Roma per via terrestre, o, nel caso di carichi pesanti, per aspettare altri mezzi di trasporto per la rotta costiera30. Nello stesso tempo Puteoli si è creata e svolge una funzione régionale: mantiene i suoi contatti con Capua, come sappiamo da un passo di Plauto31, e i legami con altri centri, per esempio Pompei, si stringono specialmente in quest’epoca. Cera quindi da aspettarsi che i nuovi coloni romani che si installarono a Puteoli, stabilendovisi accanto ai ceti dirigenti campani e greco-campani, stringessero legami con essi, e ne ereditassero, insieme con le maestranze, le tradizioni del commercio, compreso quello granario. L’oscurità che ancora circonda le città campane nel periodo sannitico non ci permette, è vero, di valutare l’entità di questo commercio per il periodo preromano; le fonti romane, che sono però assai limitate, farebbero intravedere un commercio granario improvvisato e saltuario, in relazione alle carestie ο ai buoni raccolti locali, secondo un sistema ben conosciuto nel mondo greco. Solo quando i Romani crearono le prime province tributarie — Sicilia, Sardegna, Africa sono per eccellenza i tria frumentaria subsidia reipublicae (Cic. pro leg. Manil. 34) — si può parlare con certezza di un commercio regolare e stabile; ed è quindi dal II secolo a.C. che una nuova prosperità comincia a svilupparsi attorno al porto di Puteoli.
13Nelle province romane il tributo che spettava allo stato era spesso riscosso sotto forma di reddito in natura, e cioè specialmente di grano. Per la Campania abbiamo già notato che il vectigal si pagava annualmente in grano32. In Sicilia la decima dei raccolti faceva parte del sistema ereditato dai Romani quando istituirono la provincia nel 227 a.C., e il tributo venne aumentato in misura notevole dopo la guerra annibalica33. Dai porti siciliani a Puteoli e a Roma, il trasporto del grano fu probabilmente oggetto di un appalto pubblico, la locatio dei censori, ο dei magistrati funzionanti in loro vece; sappiamo che, per le altre province, il sistema degli appalti era usuale — frumentum locamus qui nobis advehat ex Africa et Sardinia34. E questo aspetto del commercio provinciale, come era prevedibile, procurava grossi guadagni ai mercatores campani. Nelle Verrine di Cicerone si trovano molti indizi dei legami che univano la Sicilia con i commercianti di Puteoli, chiaramente uomini ricchi e facoltosi, in quel tempo anche organizzati in ordines, e, tra i numerosi italici stabilitisi in Sicilia, forse l’elemento più consistente35. Per l’Africa, dove almeno una gran parte del tributo della provincia era riscosso in natura, un’iscrizione latina del primo impero da Rusicade attesta i legami con Puteoli; ma, come si vedrà più avanti, anche da prima dobbiamo cercare nei molti negotiatores italici emigrati l’elemento campano36. Lo stesso vale per la Cirenaica, che cadde nelle mani di Roma negli anni dopo il 74 a.C., ed era anch’essa ricca di prodotti del suolo, il frumento, e il silphium, che, al dire di Plauto37, la Campania importava già da molto tempo dalla Cirenaica. Un esame più attento ci porterebbe alle stesse conclusioni anche per le altre province. Mancano, è vero, tracce di contatti fra Puteoli e la Sardegna, come peraltro era forse da aspettarsi: più facili erano i rapporti tra l’isola e Roma ο con i porti del Tirreno settentrionale, ad es.38.
14Il quantitativo di grano riscosso come tributo, da valutare in parecchie diecine di migliaia di tonnellate all’anno39, era quindi affidato ai commercianti mediante il solito sistema romano dell’appalto pubblico, sia per quanto riguardava il trasporto materiale fino a Puteoli, che per la ulteriore spedizione e distribuzione a Roma. Ma è chiaro che la capitale doveva dipendere anche dal commercio libero, cioè da quei mercatores che, di propria iniziativa, s’impegnavano nella incetta di grano in vendita nelle province ο altrove, per poi spedirlo a Roma. Già solo considerando le distribuzioni gratuite di grano ai cittadini maschi di Roma, cioè le frumentationes vere e proprie effettuate a spese dello stato, le cifre appaiono impressionanti. Si puo calcolare che per la lex Terentia Cassia del 73 a.C. i beneficiari ammontavano a 100.000 persone; qualche anno dopo, sotto la dittatura di Cesare, raggiungevano i 320.000, ma il numero fu riportato a 200.000 da Augusto. Se prendiamo quest’ultimo dato come base di calcolo, la distribuzione a 200.000 persone dei 5 modii mensili stabiliti dalla legge, comporta un totale annuo di 40.000 tonnellate di grano; e di queste la metà circa poteva essere fornita dalla decima siciliana. Si può quindi stimare che, con l’aggiunta del grano tributario proveniente dalle altre province frumentarie, il frumentum vectigale era da solo sufficiente per consentire allo stato romano di effettuare le distribuzioni gratuite, e forse anche qualche cosa in più.
15Ma non si poteva pensare che le distribuzioni gratuite potessero minimamente soddisfare i bisogni alimentari della capitale, ormai gremita e sovrapopolata. Quelli autorizzati per legge a ricevere il grano gratuito erano solo i cittadini maschi; e anche ammettendo che, come sembra, il valore calorico fornito dai 5 modii fosse sufficiente a mantenere un uomo, le quantità cost erogate non coprivano il bisogno di una famiglia, e tanto meno quello della popolazione servile. Seguendo i calcoli del Beloch, ora ripresi con nuovi argomenti dal Rickman, il fabbisogno complessivo di grano per la popolazione di Roma doveva aggirarsi attorno alle 200.000/250.000 tonnellate annue, pari a circa 40.000.000 di modii40. Per la Roma dell’ultimo secolo della Repubblica, coinvolta nelle guerre mediterranee, preda delle scorrerie dei pirati, afflitta da lotte intestine, i problemi dell’approvvigionamento di grano crearono una serie di crisi gravissime, che per gli studiosi della storia politica costituiscono un elemento chiave nel noto panorama storico della repubblica agonizzante. Né la posizione geografica della capitale agevolava la situazione; scaricare una nave alla foce del Tevere — si trattava di gettare l’ancora in mare aperto e servirsi poi di chiatte e di bettoline per l’ultimo trasporto lungo il fiume fino a Roma — comportava un considerevole rischio. Secondo Strabone per la maggioranza dei commercianti privati i rischi erano troppi, anche se, con un po’di fortuna, si potevano realizzare grossi guadagni41. Ma il piccolo navicularius, il capitano che viaggiava a suo rischio, pensava al viaggio singolo e al guadagno sicuro; non era in grado d’impegnarsi a fornire trasporti per un lungo periodo di anni, nella buona e nella cattiva stagione.
16I problemi erano quindi reali e gravi, di organizzazione e di struttura. Se si volesse stabilire il momento in cui un nuovo sistema cominciò a delinearsi, lo individuerei nel 57 a.C., quando Pompeo Magno si assunse la cura annonae, la responsabilità cioè dei rifornimenti granari di Roma42. I poteri conferiti a Pompeo nella crisi del 57 erano assai estesi: imperium senza limiti, oltre al danaro e al diritto di trattare direttamente con i magistrati romani nelle province. Ma il problema che Pompeo dovette affrontare era appunto quello di indurre i trasportatori ad assumersi, per un periodo stabilito di anni, il compito di spedire il grano dalle province a Roma, sia il grano tributario che quello del mercato libero; e che questo fosse per lui la preoccupazione maggiore è dimostrato dai suoi ripetuti viaggi nelle province granarie durante l’inverno del 57-56 a.C. e nella primavera seguente43. Il suo famoso motto fu coniato appunto in questi mesi — navigare necesse est, vivere non necesse —, e la frase, come è noto, diventerà celebre nei secoli successivi come motto della Lega anseatica44. Certo è che gli sforzi di Pompeo in questi pochi mesi ebbero successo e la situazione di Roma migliorò sostanzialmente.
17I metodi di cui si servì Pompeo restano per la maggior parte misteriosi, ma due barlumi di luce ci vengono, credo, dagli scritti di Cicerone. Vorrei ricordare che, a livello del piccolo navicularius, del capitano di una nave equipaggiata a proprie spese, Pompeo aveva il potere di concedere la cittadinanza romana, come premio per chi si fosse impegnato nel trasporto del grano. Già da molto tempo i Romani usavano premiare i provinciali che fornivano vettovaglie agli eserciti romani in guerra45; qui troviamo per la prima volta applicata la stessa politica ai proprietari di navi di modesto rango. Un passo di Cicerone ci informa che Pompeo aveva conferito la cittadinanza romana ad alcune persone in Sardegna durante un suo viaggio nell’isola nel 56 a.C.46; ed è lecito supporre che questi premi, come più tardi quelli elargiti dagli imperatori romani, siano stati introdotti come incentivi per chi s’impegnava nel servizio di trasporto per un certo numéro d’anni. Ma a livello del mercator più ricco, cioè del commerciante che possedeva parecchie navi da lui stesso finanziate e comandate dai suoi liberti ο dipendenti, Pompeo ha agito in un’altra maniera. Per questi uomini di maggiore prestigio, si trattava piuttosto di mobilitare l’influenza politica47. Dei quindici legati dei quali Pompeo disponeva durante la sua carica, conosciamo i nomi di due soli, i fratelli Cicerones, uno dei quali era proprio l’oratore, uomo politico ben noto e braccio destro dello stesso Pompeo: ad omnia me alterum se fore dixit (Cic. Att. IV 1.6). Cicerone, che in questi mesi non si spostò mai da Roma, fu forse un aiuto più valido di quanto comunemente non si creda; fra gli uomini politici di Roma, chi meglio di lui conosceva i publicani e i ricchi commercianti di Roma e di Puteoli? Era appunto a costoro che Pompeo naturalmente doveva rivolgersi. Una lettera di qualche anno posteriore a queste vicende, ci rivela il ruolo importante di C. Avianius Flaccus, un puteolano ricco e facoltoso, amico di Cicerone; per lui Cicerone si rivolge al governatore di Sicilia affinché gli conceda per i suoi affari nel commercio del grano le stesse agevolazioni che già aveva ottenuto da Pompeo durante la cura annonae48. Sicuramente ci saranno stati altri, con i quali Pompeo si mise in contatto tramite Cicerone, grazie ai suoi legami di clientela ed amicizia con le ricche famiglie puteolane.
18L’importanza di questi uomini d’affari nella storia del commercio romano ci permette, forse, di avanzare qualche ulteriore considerazione. La concessione della cittadinanza romana che in quest’epoca comincia ad essere concepita come uno strumento economico, ci viene illustrata principalmente nella pro Balbo di Cicerone, orazione pronunciata verso la fine del 56 a.C.; ed è interessante notare che Cicerone insiste ripetutamente sui nuovi cittadini ex Africa, Sicilia, Sardinia — cioè originari dalle province frumentarie per eccellenza49. È lecito ipotizzare che i grandi negotiatores puteolani abbiano cercato, anch’essi, di stringere nelle province legami di clientela dello stesso tipo. Per le province d’Oriente, gli studiosi moderni hanno sviluppato una serie d’indagini che hanno chiarito il ruolo di questi uomini d’affari della Campania, ma si corre il rischio — e confesso di non essere del tutto privo di colpa — di considerare Puteoli esclusivamente come una specie di «camera di commercio» orientale sul suolo italiano. Abbiamo visto che stretti rapporti con la Sicilia erano già ben consolidati prima del processo di Verre nel 70 a.C.50. Gli interessi in Sicilia degli Avianii, ricca famiglia puteolana, sono documentati da Cicerone: a parte l’amico C. Avianius Flaccus, di cui già abbiamo parlato, anche il figlio di questi si era stabilito in Sicilia, e il suo cliente siciliano, C. Avianius Philoxenus, godeva anche lui di un’antica amicizia con l’oratore, antiquus est hospes meus. Ma il gentilizio della famiglia appare anche in Cirenaica, e nella ricca documentazione epigrafica dell’Africa romana gli Avianii sono attestati in modo quasi capillare51. La stessa storia si ripete per altri nomi di famiglie puteolane che ricorrono nelle iscrizioni africane, come i Cossinii, Cossutii, Granii, Hortensii; e fra i nomi più tipicamente puteolani, come per es. gli Hordeonii, l’incidenza africana è inferiore di numero ma non per questo meno significativa52. Le indagini su questo «strato italico» nella nomenclatura provinciale hanno aperto un campo di ricerca vastissimo che qui non è il caso di approfondire. Il Pflaum, per esempio, in alcuni suoi studi sulle zone occupate dall’avventuriero di Nocera, P. Sittius, negli anni 60 a.C., ha rilevato la presenza di alcuni nomi campani che a suo avviso rappresenterebbero i discendenti dei seguaci di Sittius; e per le altre regioni della provincia africana, specialmente quelle più fertili e più aperte al commercio, non devono essere dimenticati i grandi negotiatores puteolani del periodo repubblicano53.
19Comunque sia, il sistema organizzativo di Pompeo sarà stato senz’altro conforme alle tradizioni dello stato romano, che abitualmente ricorreva agli appalti pubblici (locationes) e ai ricchi appaltatori (publicani) per i bisogni materiali della comunità54; ed era logico che anche Pompeo si basasse sulla formula classica dell’«economia mista», quella cioè dell’imprenditore privato che opera e dello Stato che premia. Durante la dittatura di Cesare e negli anni caotici del secondo triumvirato l’organizzazione frumentaria è ancora oscura, ma sotto il principato d’Augusto risulta évidente l’inizio di una nuova55. Se non sbaglio, la soluzione di Pompeo offre il retroscena essenziale per capire le misure adottate da Augusto e dai suoi successori.
204. I primi imperatori disponevano dell’antico porto fluviale di Ostia alla foce del Tevere, di cui gli scrittori dell’età augustea sottolineano i pericoli56; ma potevano anche servirsi di Puteoli, porto di antiche tradizioni e delle sue maestranze, quel porto che già godeva di un’ottima situazione naturale, era stato di recente migliorato con la costruzione del famoso molo (pilae) a protezione della zona destinata allo scarico delle navi. L’interesse di Augusto per Puteoli è altrimenti noto, non solo per il nuovo statuto di colonia Augusta (concessione di cui molti, me compreso, dubitavano, ma che è stata ora confermata dalle tavolette cerate scoperte a Pompei nell’agro Murecine), ma anche per l’abbellimento della città con nuovi edifici e per la sistemazione urbanistica ottenuta mediante uno zoning della città in varie regiones, sistemazione la cui origine augustea è ormai, credo, accettata da tutti57. Ma, per Puteoli, l’altro evento déterminante è l’annessione dell’Egitto e, con essa, la creazione di una nuova fonte di alimentazione per Roma, che d’ora in poi potrà disporre anche del famoso grano duro (triticum) egiziano. In questo momento, come è accettato da tutti gli studiosi recenti, dovremmo porre la nascita della classis Alexandrina, di cui parla Seneca. Secondo una fonte tarda, e non sicuramente attendibile, la quantità annuale importata dall’Egitto raggiunse subito la cifra enorme di 20.000.000 di modii, cioè circa 150.000 tonnellate58, cifra accolta nei manuali di storia come certa, ma di cui in realtà è difficile dire da dove sia scaturita. I raccolti egiziani dovevano senz’altro subire delle oscillazioni, forse anche fortissime, di anno in anno59. Più grave è il fatto che la cifra rappresenta il doppio delle entrate che conosciamo per l’Egitto sotto i Lagidi; e, siccome nel 70 d.C., il grano egiziano costituiva la terza parte delle importazioni a Roma, la cifra presupporrebbe un totale di grano importato pari a 60.000.000 di modii invece dei 40.000.000 che, seguendo sempre le stime del Beloch, sembrerebbero più attendibili.
21Sembra più logico credere che la flotta di Alessandria sia stata creata attraverso una serie di esperimenti, e che quindi il massimo delle importazioni sia stato raggiunto solo gradualmente. Non si può dubitare che Augusto, oltre a distribuire grano a sue spese alla plebe romana negli anni 28 e 23 a.C., fini nel 22 per assumersi in toto la responsabilità delle distribuzioni e più tardi anche di tutto l’approvvigionamento di Roma. Ma è altresi evidente che tutto ciò si effettuò attraverso un processo graduale; sappiamo dalle sue stesse parole che egli si assunse suo malgrado tali responsabilità, e sotto la pressione di insistenti richieste popolari60. Il primo passo fu l’istituzione, nel 22 a.C., dei praefecti jrumenti dandi, una commissione senatoria per l’amministrazione delle distribuzioni gratuite. Un’ulteriore crisi nel 6 d.C. e un’inchiesta condotta da una commissione di anziani senatori servirono solo a rivelare la precarietà della situazione. Il più importante organo esecutivo fu creato solo dopo l’8 d.C. con la nomina del praefectus annonae; l’importanza di questa carica, di rango equestre e quindi permanente, è stata bene illustrata e ribadita di recente da H. Pavis d’Escurac61. I compiti che spettavano al prefetto dell’annona comprendevano la stipula di contratti con navicularii e mercatores62, base essenziale per qualsiasi programmazione e controllo amministrativo delle centinaia di navi (si deve supporre una cifra attorno alle mille navi all’anno) necessarie per il rifornimento di grano a Roma. Il prefetto e i suoi aiutanti dovevano pagare la somma dovuta ai navicularii per il trasporto del grano tributario63. Spettava a lui anche il controllo della qualità e della quantità di grano in arrivo; infatti il grano di Roma, a quante pare, era sempre controllato durante il viaggio, non solo per verificarne la quantità, onde evitare eventuali frodi degli spedizionieri, ma anche la qualità, dato il costante rischio che andasse a male per muffa, umidità ο infestazione da insetti64. Infine il prefetto, probabilmente fin dai primi anni di istituzione della carica, doveva anche controllare l’andamento generale dei prezzi sul mercato di Roma, per quanto riguardava i cereali di tutti i tipi e verificare la qualità delle farine messe in vendita65.
22Ma, per quel che concerne l’organizzazione del trasporto, vorrei suggerire che Augusto, come prima di lui Pompeo, si sia rivolto all’iniziativa privata66. Chi indaga sul commercio del grano nei primi decenni dell’impero, ne riceve l’insistente impressione che lo stato romano poco si ingeriva e solo in momenti di crisi alimentari, in una rete commerciale basata essenzialmente sulla gestione privata. Si sa, per esempio, che ai tempi di Cicerone i grandi granai di Puteoli erano certamente in mani private, come risulta da un accenno fugace dell’oratore67; e per il regno di Caligola abbiamo ora nelle tavolette di Murecine la testimonianza degli horrea Bassiana publica: cioè di granai in origine privati che poi passarono alla colonia, e quindi municipali e non statali in senso stretto68. Da Roma e da altri siti si hanno nella stessa epoca numerose indicazioni di granai privati69. Sempre dalle tavolette di Murecine, sappiamo di un quantitativo di triticum che era sicuramente privato, perché oggetto di un pignus.
23Sarebbe interessante poter individuare meglio il Bassus, cui appartenne questo granaio: potrebbe pensarsi, ad es., ad un Bassius ο Bassaeus? Ma conosciamo altre due famiglie di Puteoli, che furono certamente coinvolte nel commercio in età protoimperiale. Gli Avianii Flacci, conosciuti attraverso Cicerone, noti per il traffico di oggetti d’arte, e forniti di clienti ed agenti in Sicilia, Africa e Cirenaica, conservavano il loro prestigio anche nella colonia augustea, come J. D’Arms ha recentemente mostrato70. Inoltre v’erano i Calpurnii, due fratelli o, meglio, cugini, che si assunsero in proprio l’onerosissima ricostruzione del Capitolium di Puteoli, i cui resti si stanno ora faticosamente riportando alla luce; essi ricevettero anche una dedica dai mercatores, che commerciavano in Alessandria, nell’Asia Minore e in Siria71. Altri discendenti di commercianti campani si possono individuare tra le famiglie diffuse nelle province, come già abbiamo accennato. Anche dall’aneddotica si ricava la conclusione che il controllo statale era ancora superficiale. Quando Augusto passò per Puteoli, negli ultimi giorni della sua vita, fu salutato come salvatore e benefattore dall’equipaggio di una nave alessandrina nel porto: ‘per lui vivevano, per lui godevano la libertà e le loro ricchezze’72. Il tono dell’aneddoto non si concilia bene con una presunta stretta sorveglianza statale. E quando il grano era finalmente giunto a Roma, pare chiaro che la sua vendita e distribuzione fosse nelle mani di negotiatores, di grandi commercianti. Le crisi periodiche, dovute a carestie, che richiedessero l’intervento dell’imperatore, venivano risolte tramite sovvenzioni ai negotiatores accompagnate da misure di calmiere73. Anche in questo caso predominava il commercio privato.
24Ma la preoccupazione degli imperatori per il rifornimento di grano a Roma diventa sempre più insistente e più grave; e nelle pagine degli scrittori antichi si riaffaccia quasi come un ritornello. Nel 22 d.C. Tiberio nel suo modo duro e schietto rivela la verità al Senato: senza la continua attenzione del princeps, lo stato andrebbe completamente in rovina74. Come prima, il problema consisteva nell’incoraggiare non solo il grande commerciante, ma anche il piccolo navicularius. E infatti, con Claudio, diventa regola che lo stato garantisca un’indennità ai padroni di navi che avessero subito perdite per maltempo ο altre cause75. Per il proprietario, che costruisce una nave e s’impegna al servizio di trasporto per sei anni, si creano una serie di privilegi: per i cittadini romani, compensi e facilitazioni testamentarie; per quelli di minore diritto, la piena cittadinanza76. Claudio qui riprende e rinforza l’antica formula di Pompeo, di cui s’è già parlato. Ma in questi benefici di Claudio possiamo anche intravedere il primo passo verso una più pesante statalizzazione: d’ora in poi, bisognerà tenere un elenco dei navicularii che si sono impegnati per il servizio di trasporto, onde poterli debitamente premiare una volta trascorsi i sei anni previsti. Così coll’andar del tempo, si nota sempre più la tendenza da parte dei navicularii ad associarsi in gruppi e collegia, a mantenere i loro privilegi e a cercare la protezione di un patronus di prestigio.
25Alla stessa stregua, da Tiberio in poi si osserva una nuova serie di misure organizzative atte a facilitare sempre più la spedizione del grano. Malgrado le crisi che Tiberio dovette affrontare durante il suo regno, nel 32 d.C., cioè verso la fine della sua vita, affermò in Senato, con tono quasi di sfida, che egli aveva provveduto a far arrivare grano da molte province, e in quantità maggiori di quanto mai fosse avvenuto negli anni di Augusto; come tutte le parole di Tiberio, sono da prendere sul serio77. E dopo la sua morte, Caligola dette avvio ad un vasto progetto rimasto poi incompiuto, la costruzione, cioè, di’grandi porti vicini a Reggio e alla Sicilia’per la protezione delle navi granarie provenienti dall’Egitto78. L’imperatore Claudio superò le imprese di tutti i suoi predecessori con la costruzione del nuovo porto artificiale di Ostia, frutto di lunghe discussioni con gli architetti79; queste sue misure crearono, naturalmente, nuove e considerevoli responsabilità per il praefectus annonae. Il Portus Ostiensis fu portato a termine solo sotto Nerone, che ne celebrò il completamento con una famosa emissione monetaria nel 64 d.C. Nello stesso anno, l’imperatore concept l’ancor più ardito progetto di collegare il lago d’Averno con la regione di Roma a mezzo di un canale: un’impresa colossale e mai compiuta, ma non così insensata come taluni vogliono far credere80. Non a caso, ancora in quello stesso anno 64, Seneca descrive l’arrivo della flotta alessandrina a Puteoli nel mese di giugno e la folla cittadina che si accalca sul molo per salutare le prime navi in arrivo.
26L’organizzazione di una flotta, classis, per le navi provenienti da Alessandria è chiaramente una tappa importante nello sviluppo che qui ci interessa, ma non è facile indovinare che cosa si debba intendere con la parola classis. Che non si tratti semplicemente di una ricercata espressione di Seneca è dimostrato dall’espressione equivalente in greco, στόλος, attestata nelle iscrizioni di Ostia81. Personalmente sono tentato di pensare che la formazione di una classis, cioè di un unico convoglio comprendente tutte ο quasi le navi egiziane in arrivo a Puteoli, fosse una creazione abbastanza recente al momento in cui Seneca scrisse la sua lettera. L’equipaggio che aveva salutato Augusto cinquant’anni prima era apparentemente quello di una singola nave. La nave che trasportava l’apostolo Paolo verso Roma e che naufragò all’isola di Malta, era anch’essa una nave granaria che viaggiava isolata82. Se consideriamo che in Egitto il raccolto si faceva nei mesi di aprile e maggio, sarebbe stato logico concentrare la partenza delle navi da Alessandria per la lunga e difficile traversata fino a Puteoli, in modo da poter raggiungere l’Italia, scaricare e tornare in Egitto prima che verso ottobre si chiudesse la stagione propizia per una navigazione sicura. Per di più, l’organizzazione portuale ed i problemi attinenti alla fornitura di mano d’opera per scaricare, conservare e rispedire le enormi quantità di cereali per Roma, per non parlare dei continui interventi di controllo e pesatura, dovevano tendere anch’essi ad imporre un ritmo regolare di lavoro per evitare al massimo il pericolo di confusione. Se stimiamo, come pare ragionevole, che il grano egiziano in arrivo a Puteoli ammontasse a dieci/quindici milioni di modii all’anno, diciamo a 100.000 tonnellate, si può calcolare che per il trasporto fossero necessarie, seguendo le ipotesi più attendibili 300/400 navi da carico normale83. Un punto fondamentale degli interventi dei primi imperatori dovette essere appunto la costruzione di granai per il deposito del frumento, in attesa che potesse poi essere rispedito a Roma; quest’ultimo trasporto era probabilmente effettuato ancora con navi, ma di tipo adatto ad un percorso costiero ο fluviale. Data l’entità dei problemi organizzativi e considerando pure l’arrivo di grano dalle altre province, una certa programmazione delle attività portuali sarebbe stata oltremodo auspicabile, se non addirittura inevitabile. Il costituirsi di una flotta, che comprendesse tutte, ο comunque la maggior parte, delle navi granarie, sembrerebbe in questa ipotesi un atto si necessario, ma realizzato in un secondo momento; ed è di questo momento, se non sbaglio, che Seneca ci conserva, per così dire, il ricordo ufficiale. Abbiamo rilevato che Puteoli aveva già i suoi granai, privati e municipali, come ai tempi di Cicerone; ma se ho compreso bene lo sviluppo della politica granaria imperiale, l’enorme espansione di opere portuali verso il lago Lucrino e la costruzione del Portas Iulius, sembrano, in questo contesto, trovare una logica giustificazione84.
27Non si sa con precisione quanto grano arrivava ogni anno dalle altre province orientali. Alcune tracce ci sono85; ma dei numerosi gruppi di mercanti orientali presenti a Puteoli nessuno si definisce come un mercator frumentarius e, d’altra parte, le merci orientali erano propriamente di altro tipo e di altra qualità. Ma la flotta alessandrina continuò ad approdare a Puteoli per oltre un secolo dopo la sua creazione. Nel 93 d.C. Maecius Celer parte da Puteoli con una nave granaria diretta in Egitto, e riceve dall’amico Stazio un doveroso propempticon86. In un momento non bene definibile la flotta viene dirottata a Portus87, dove la troviamo definitivamente dal regno di Commodo in poi, e per questa nuova iniziativa si deve forse pensare al periodo degli Antonini88. Quale ruolo sia rimasto al porto di Puteoli nella nuova situazione è un problema ancora da risolvere; come ha ribadito di recente il D’Arms, la città continua a manifestare segni di prosperità fino all’età severiana, se non anche oltre. Più importanti però, e più rilevanti per il nostro tema, furono i cambiamenti di struttura. Siamo ormai in un’altra epoca, di un sempre più rigido controllo burocratico, di un apparato statale che incombe sempre più. Dopo il II secolo d.C., un imperatore romano non aveva più bisogno dei negotiatores puteolani e delle loro tradizionali maestranze per assicurarsi l’approvvigionamento di Roma; e nel porto campano l’attività commerciale e il carattere della sua società sembrano in via di trasformazione89.
28L’impulso dato da Augusto alla prosperità di Puteoli e del suo ceto commerciale è innegabile; ma tale impulso, a mio avviso, dev’essere visto nel quadro di una politica frumentaria più flessibile e meno impegnativa per lo Stato di quanto comunemente si creda; e nei decenni successivi assistiamo ad un enorme incremento delle importazioni di grano a Roma e ad un parallelo accrescersi del controllo da parte dei funzionari imperiali. In questo sviluppo Tiberio, questo strano miscuglio di parole brusche e di insigni capacità amministrative, ebbe forse un ruolo determinante90. Ma non dimentichiamo, però, il personaggio che fu forse la chiave della vicenda, cioè C. Turranius, il primo praefectus annonae. Di quest’uomo si sa che era stato per un certo periodo prefetto d’Egitto e che assunse l’incarico dell’annona verso il 9 d.C.; se ne parla come di una figura potente nei momenti di tensione all’epoca della successione di Tiberio; ed era ancora in carica nei 48 d.C. in età assai avanzata, e tuttora fra i più potenti amici di Claudio91. L’uomo che seppe guadagnarsi la fiducia di quattro imperatori, estremamente diversi per carattere, deve essere stato di un’abilità eccezionale; i suoi consigli avranno avuto un autorevole peso nello sviluppo della storia dell’annona, che abbiamo cercato di tracciare, in materia di opere portuali e di programmazione. Augusto seppe scegliere bene. Il nostro personaggio si deve certamente identificare con il C. Turranius Gracilis, citato da Plinio il Vecchio come fonte della sua Naturalis Historia92. Oriundo della Baetica, questi era un esperto di cereali e aveva scritto un libro cui Plinio attinse per i particolari sui raccolti in Baetica e in Africa (Plin., N.H., XVIII 7(15).75). Ma il Münzer ha acutamente scoperto le sue tracce in altri passi dello stesso Plinio che hanno il sapore di dati tratti dall’ufficio del praefectus annonae: per esempio, i dati precisi sui vari tipi di cereali importati a Roma, e il loro esatto peso per modius (N.H., XVIII 7(12).66-70); sulle varietà di farina e i loro rispettivi prezzi sul mercato romano (N.H., XVIII 8-10(20).85-90); inoltre una lettera scritta ad Augusto da un procurator d’Africa sullo stesso argomento (N.H., XVIII 10(21).94) e un decreto di questo imperatore sul problema dell’orzo (N.H., XVIII 11 (29). 114). Che fosse C. Turranius, il praefectus annonae che ha tramandato questi dati nel suo scritto, è una conclusione quasi perentoria93. Personaggio di riguardo quindi, e di non poco interesse per gli studi puteolani, egli avrà senz’altro visitato la città in veste ufficiale, e molto probabilmente sarà stato l’ideatore e il realizzatore di molte delle iniziative d’età giulio-claudia. Il gentilizio Turranius ricorre su alcune iscrizioni puteolane, ma trattandosi di semplicissime epigrafi sepolcrali non portano nessuna luce sulla natura dei suoi contatti94. Anche se questo preciso legame non si può dimostrare, vorrei tuttavia sottolineare, in conclusione, che la storia di Puteoli repubblicana ed imperiale deve essere considerata come una parte integrante della storia della politica annonaria di Roma stessa, e spero in queste pagine di averne offerto qualche prova. Il mio sogno è che un giorno si possa scoprire fra i ruderi delle opere portuali e commerciali che giacciono tuttora sommersi sotto le acque del golfo puteolano un’iscrizione che porti il nome di C. Turranius, praefectus annonae.
Notes de bas de page
1 Fondamentale l’articolo di M. Rostovzev, sv. Frumentum, in PW. 7.1 (1910) 139 ss.; e per l’organizzazione del commercio del grano, G. E. Rickman, Roman Granaries and Store Buildings (Cambridge 1971). Per il ruolo di Puteoli, v. Ch. Dubois, Pouzzoles antique (Paris 1907) 111 ss.; cfr. anche R. Annecchino, Storia di Pozzuoli (Pozzuoli 1960) cap. XII. Mi sia consentito di fare riferimento al mio articolo su Puteoli, in PW. 23.2 (1959) 2036 ss.; e alle osservazioni in JRS. 64 (1974) 241 s. Rilevanti i vari studi in I Campi Flegrei nell’archeologia e nella storia (Atti Convegni Accad. Lincei 33) (Roma 1977) e in Puteoli 1 (1977). Per i rapporti fra Puteoli e Ostia, v. specialmente, R. Meiggs, Roman Ostia2 (Oxford 1973) cap. IV; J. H. D’arms, CIL X 1792: a municipal notable of the Augustan Age, in HSCP. 76 (1972) 207 ss.; ID., A new inscribed base from 4th century Puteoli, in PP. 27 (1972) 255 ss.; ID., Puteoli in the Second Century of the Roman Empire: a social and economic study, in JRS. 64 (1974) 104 ss. Per il praefectus annonae e il suo personale, v. R. Meiggs, op. cit. 298 ss.; G. Boulvert, Esclaves et affranchis impériaux sous le Haut Empire romain (Napoli 1970) 267 ss.; e ora H. Pavis D’escurac, La préfecture de l’annone: service administratif impérial d’Auguste à Constantin (Paris 1976).
2 Per la data, v. ora K. Abel. Bauformen in Senecas Dialogen (Heidelberg 1967); da ultima, M. Griffin, Seneca. A philosopher in politics (Oxford 1976) 400 s.
3 N. Hohlwein, in Études de papyrologie 4 (1938) 90 ss.; E. Bomer, Der staatliche Korntransport im griechisch-romischen Aegypten (Hamburg 1939); R. Meiggs, op. cit. 51 ss.; Rickman, op. cit., appendix 2.
4 Le fonti relative sono state raccolte da vari autori moderni; v., ad es. J. Heurgon, Recherches sur l’histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine (Paris 1940, 2a ed. 1970) 14 ss.
5 Per il far campano, Varr. r. rust. I 2.6; Plin. N.H. III 5(9).60; XVIII 11 (29).109 e 111; Strab. V 4.3. Per il siligo, Plin. N.H. XVIII 9(20).86. Per il miglio, Plin. N.H. XVIII 10(24).100; e Edict. Diocl. (ed. M. Giacchero, 1974) I 4-5. Cfr. in generale il bel libro di J. André, L’alimentation et la cuisine à Rome (Paris 1961) 52 ss. Tralascio qui i relativi problemi botanici, sui quali recentemente si è discusso non poco.
6 Così già nel poeta Sofocle (fr. 543 Nauck = Plin. N.H. XVIII 7(12).65). Per l’importanza dell’agricoltura nelle prime colonie greche, v. le mie osservazioni in Campanian Cavalry: a Question of Origins, in DArch. 2 (1968) 23 s.; e per i chicchi di grano sulle monete di Cuma e Fistelia, v. da ultimo Ν. Κ. Rutter, Campanian Coinage (Edinburgh 1979) 13 s.
7 I passi relativi sono stati discussi da A. Momigliano, Due punti di storia romana arcaica, in SDHI. 2 (1936) 373 ss. = Quarto contributo (Roma 1969) 329 ss.; H. Le Bonniec, Le Culte de Cérès à Rome (Paris 1958) 244 ss.; R. M. Ogilvie, Commentary on Livy (Oxford 1965) 256 s.
8 Liv. IV 52.5-6: Dimissis circa omnes populos legatis qui Etruscum mare quique Tiberim accolunt ad frumentum mercandum... Superbe ab Samnitibus qui Capuam habebant Cumasque legati prohibiti commercio sunt.
9 Poche le voci favorevoli, v., ad es., A. Piganiol, Venire in fidem, in Mél. F. De Visscher 4 (1950) 344 ss.; e da ultimo, W. Dahlheim, Struktur und Entwicklung des romischen Volkerrechts (München 1968) 59 ss., con i quali concordo.
10 Liv. VIII 11.13. Per la relativa centuriazione e insediamenti, cfr. W. Johannowsky, Problemi di archeologia campana, in RAAN. 50 (1975) 3 ss.
11 Così durante gli anni 297-295 a.C., Liv. X 14.5; 20.1; 31.2.
12 Polyb. III 92: Liv. XXIII 14; 25.7. Cfr. G. De Sanctis, Storia dei Romani 3.2 (Torino 1916) 121 = (2a ed.. Firenze 1968) 116.
13 Liv. XXIII 48.7: Siciliam ac Sardiniam quae ante bellum vectigales fuissent vis praesides provinciarum exercitus alere: tributo sumptus suppeditari: ipsum tributum conferentium numerum tantis stragibus imminutum. Per l’importanza del grano campano, v. Liv. XXIII 19.7-8; 46.9; 48.1: XXV 22.8, ecc. Per il frumento egiziano, Polyb. IX 11.1-2.
14 Il vectigal in natura risulta da Liv. XXVII 3.1: Capuae interim Flaccus dum bonis principum vendendis, agro qui publicatus erat locando — locavit autem frumento — tempus erit,..., come già visto da Th. Mommsen, Rom. Staatsrecht 2 (1888) 439 nt. 1. Per il senatus consultum e il successivo ripensamento del senato, v. in primis, G. De Sanctis, op. cit. 342 ss. = 330 ss.; e da ultimo. J. v. Ungern-Sternberg, Capua im zweiten punischen Krieg (München 1975) 77 ss.
15 Per la Campania, cfr. Liv. XXVII 3.1 (v. nt. prec.) e XXVI 16.7; 29.11; Cic. de leg. agr. II 31.84. Per le misure in Sicilia, Liv. XXVI 20.15 e spesso altrove. Buona discussione in A. J. Toynbee, Hannibal’s Legacy 2 (Oxford 1965) 210 ss.
16 Così Cic. Phil. VIII 26: hic et Campanus ager et Leontinus, quae duo maiores nostri annonae perfugia dicebant. Cfr. anche Cic. Phil. II 101.
17 Cfr. Liv. XXIV 13.4-7 (presidio); XXV 22 (grano importato attraverso Puteoli); XXVI 17 (grano esportato da Puteoli in Spagna nel 211 a.C.). Per la prima storia di Puteoli, cfr. M. W. Frederiksen, art. cit. (supra, nt. 1) 2036 ss.
18 Ad es., le tombe preromane scoperte ad Aversa (G. Chianese, in Campania Romana 1 (1938) 58 nt. 1), Qualiano (NSc. 1954 38), Giugliano (NSc. 1949 96).
19 Liv. XXIII 35-37 (215 a.C.). Per il porto di Cumae, cfr. i passi citati da R. F. Paget, The ancient ports of Cumae, in JRS. 58 (1968) 158.
20 Per Neapolis in quest’epoca, v. E. Lepore, in Storia di Napoli 1 (Napoli 1967) 245 ss.
21 Indicazioni sicure in Liv. XXIII 19.7-8; XXV 22.8. Ma si deve presupporre anche in base a Liv. XXIII 35.5 (Sempronio con l’esercito marcia da Sinuessa a Liternum) e a Liv. XXV 22.8 (nel 212 a.C. due comandanti romani furono preposti a Puteoli e ad ostium Volturni per spedire il grano giunto d’oltremare all’esercito romano accampato a Casilinum). Cfr. le parole di Stazio citato più avanti (carinas: Silv. IV 3.77). Per fenomeni simili dall’epoca longobarda in poi, v. per es. N. Cilento, Italia meridionale longobarda (Napoli 1971) 265 s.; 272-4.
22 Per Liternum, nessuna fonte antica parla di un porto; ma la situazione postantica è chiara, v. A. Gallo, Aversa Normanna (Napoli 1938) 108.
23 Cic. de leg. agr. II 29.80: An obliti estis, Italico bello amissis ceteris vectigalibus quantos agri Campani fructibus exercitus alueritis?·, cfr. Cic. Phil. VIII 26 (supra, nt. 16): maiores nostri.
24 Così chiaramente in Cic. de leg. agr. II 29.80; Att. II 16.1; e gli altri passi relativi al problema politico dell’ager Campanus.
25 Per i radicali cambiamenti nella Campania di quest’epoca, cfr. E. Lepore, in Storia di Napoli 1.286 ss.; W. Johannowsky, in DArch. 4-5 (1970-71) 460 ss.; ID., in Hellenismus in Mittelitalien (Abh. Akad. Wissensch. Gottingen 97) (Gottingen 1976) 277 ss.; J. H. D’arms, Romans on the Bay of Naples (Cambridge, Mass. 1970) 48 ss.
26 P. A. Brunt, Italian Manpower 225 B.C.-A.D. 14 (Oxford 1971) 702; e per il periodo imperiale, si consulteranno le fonti raccolte da H. G. Pflaum, in Libyca 3 (1965) 142 s. (= Afrique romaine: Scripta varia 1 (Paris 1978) 72 ss.).
27 Suet. Aug. 42.5; Tac. Ann. II 87.1; III 54.6 s.; IV 6.4; VI 13.1; ecc.
28 Un accenno fugace in A. Maiuri, Passeggiate Campane3 (Firenze 1957) 118 s.; come suggerisce il Maiuri, probabilmente una statua ο una testa del fiume era collocata sul ponte stesso.
29 La funzione economica di Puteoli antica è stata ripresa ultimamente da vari lavori sotto diversi aspetti; cfr. supra, nt. 1, e gli studi apparsi di recente sulla rivista Puteoli.
30 Testi raccolti in Frederiksen, art. cit., in PW. (supra, nt. 1) 2046. Per il periodo repubblicano, se le idee espresse in queste pagine colgono nel vero, anche il commercio africano era concentrato verso Puteoli; cfr. passi citati in Frederiksen, art. cit. 2049 s. Il traffico dall’Occidente tende sempre più a servirsi di Ostia. I legami fra i porti campani e le province orientali sono stati abbondantemente studiati: cfr. spec. J. Hatzfeld, Les Italiens résidant à Délos, in BCH. 36 (1912) 5 ss.; ID., Les Trafiquants italiens dans l’Orient hellénique (Paris 1919) 107 ss.; M. W. Frederiksen, Republican Capua: a Social and Economic Study, in PBSR. 27 (1959) 126 ss.; ID., art. cit. (supra, nt. 1) 2046 ss.; F. Cassola, Romani ed Italici in Oriente, in DArch. 4-5 (1970-1) 305 ss.; J. H. D’arms, A Municipal Notable cit. (supra, nt. 1) 207 ss. (sugli Avianii); E. Rawson, Architecture and sculpture: the activities of the Cossutii, in PBSR. 43 (1975) 36 ss.
31 Plaut. Rud. 631, e per la via terrestre v. supra, nt. 18.
32 Liv. XXVII 3.1 (v. nt. 14). Fondamentale per i vectigalia, Rostovzev, art. cit. (supra, nt. 1) 150 s.
33 Cito fra i molti studi quelli di V. M. Scramuzza, Roman Sicily, in Economic Survey of Ancient Rome 3 (1937) 225 ss., e di A. J. Toynbee, Hannibal’s Legacy 2 (1965) 210 ss.
34 Varr. r. rust. II praef. 3; cfr. Colum. R.r. I praef. 20.
35 Famoso il passo di Cic. Verr. II 5.59.154. Per gli elementi romani e italici in Sicilia, cfr. Scramuzza, op. cit. 334 ss.; C. Nicolet, L’ordre équestre a l’époque républicaine 1 (Paris 1966) 294 ss.
36 Per i negotiatores italici ivi stabilitisi anche prima della distruzione di Cartagine e ancora presenti sotto Giugurta, Sall. Bell. Iug. 21.2; 26.1; 47.1; cfr. T. Frank, On Suetonius’ life of Terence, in AJPh. 54 (1933) 269 ss.; R. M. Haywood, Roman Africa, in Econ. Survey of Ancient Rome 4 (1938) 15-29.
37 Plaut. Rud. 630 s.; cfr. Plin. N.H. XIX 3(15).40 (importazione nel 93 a.C.): non è chiaro se tributo ο oggetto di commercio. La creazione amministrativa della provincia di Cirenaica cade probabilmente negli anni 60, v. S. I. Oost, Cyrene 96-74 B.C., in CPh. 58 (1963) 11 ss.; E. Badian, M. Porcius Cato and the annexation and early administration of Cyprus, in JRS. 55 (1965) 110 ss.
38 V. ad es. Cic. Fam. I 9.9; Q. fr. II 6.3.
39 Cic. Att. IX 9.4: de re frumentaria recte intellegis quae nullo modo administrari sine vectigalibus potest. Seguo il più recente, e credo il migliore, argomento svolto da C. Nicolet, Le métier de citoyen dans la Rome républicaine (Paris 1976) 250 ss.
40 K. Beloch, Die Bevölkerung der griechisch-römischen Welt (Leipzig 1886) 393 ss.; G. E. Rickman, op. cit. (supra, nt. 1) 307 ss.
41 Meiggs, op. cit. (supra, nt. 1) 51 ss., che discute Strab. V 3.5.
42 Sulla cura annonae di Pompeo, v. F. Miltner, sv. Pompeius, in PW. 21.2 (1952) 2136 ss.; R. J. Rowland, The number of grain recipients in the late republic, in Acta Ant. Acad. Hung. 13 (1965) 81 ss.; J. P. V. D. Balsdon, Three Ciceronian problems, in JRS. 47 (1957) 16 s.; C. Nicolet, op. cit. (supra, nt. 39) 262 ss.
43 Plut. Pomp. 50.1 (Sardegna, Sicilia, Africa); Cic. Fam. I 9.8-9 (ancora Africa e Sardegna).
44 Plut. Pomp. 50.2: Πλεῖν ἀνάγκη, ζῆν οὐκ ἀνάγκη.
45 Cfr. Cic. Balb. 9.23 (commeatus).
46 Cic. pro Scaurο 19.43: alcuni personaggi della Sardegna ab eodem Cn. Pompeio civitate donati, quorum tamen omnium laudationis utimur. Pompeo non era stato in Sardegna prima del 56 a.C.
47 Cfr. Plut. Pomp. 50.1: πρεσβευτάς καὶ φίλους. Sappiamo che Cornelio Balbo dalla Spagna aveva rifornito di frumento il popolo romano hoc tempore... in caritate annonae (Cic. Balb. 17.40).
48 Cic. Fam. XIII 75. Per il figlio v. Cic. Fam. XIII 79; 35.
49 Cic. Balb. 9.24; 18.41.
50 Cic. Verr. II 5.59.154. Per il P. Granius, qui menzionato, cfr. Caes. B.C. III 71.1.
51 Cirenaica: G. Oliverio, Documenti antichi dell’Africa Italiana 2 (1936) 233 nr. 449 (del 25 a.C.) e nr. 451; gli indici del CIL VIII danno 35 esempi di questo gentilizio.
52 Per esempio, gli indici del CIL VIII danno 7 esempi del gentilizio Cossutius (per la gens puteolana, v. J. H. D’arms, art. cit. (supra, nt. 1), in JRS. 64 (1974) 109; E. Rawson, art. cit. (supra, nt. 30) 63 ss.) e 11 di Hordeonius, cfr. J. H. D’Arms, l.u.c.; ID., Tacitus, Histories 4.13 and the municipal origins of Hordeonius Flaccus, in Historia 23 (1974) 497 ss.
53 H. G. Pflaum, Castellum Celtianum, in Carnuntina 3 (1956) 126 ss. = Afrique Romaine: Scripta Varia 1 (Paris 1978) 87 ss.; ID., in Africa Romana 1.161 ss. (su Cirta). Sui negotiatores africani, v. L. Teutsch, Das romische Städtewesen in Nordafrikas in der Zeit von C. Gracchus bis zum Tode des Kaisers Augustus (Berlin 1962) 65 ss.; cfr. pure R. Syme, Roman Papers (Oxford 1979) 227 ss.; 275.
54 E. Badian, Publicans and Sinners (Oxford 1972) e C. Nicolet, op. cit. (supra, nt. 35), hanno di recente ribadito l’importanza di queste societates per l’economia dello Stato romano.
55 V. ora H. Pavis D’escurac, op. cit. (supra, nt. 1).
56 Strab. V 3.5; Dion. Hal. III 44.
57 Sul punto v. ora G. Camodeca, L’ordinamento in regiones e i vici di Puteoli, in Puteoli 1 (1977) 62 ss., spec. 84.
58 Epit. de Caes. I 6: Huius tempore ex Aegypto urbi annua ducenties centena milia frumenti inferebantur. Cfr. O. Hirschfeld, Die kaiserlichen Verwaltungsbeamten bis auf Diokletian2 (Berlin 1905) 234; da ultima, Pavis D’escurac, op. cit. (supra, nt. 1) 170.
59 I dubbi espressi in questo caso da G. Cardinali, sv. Frumentatio, in DE. 3 (1906) 305, mi sembrano validi.
60 Res Gestae 5: Non sum deprecatus in summa frumenti penuria curationem annonae, quam ita administravi, ut intra dies paucos metu et periclo praesenti civitatem universam liberarem impensa et cura mea.
61 Op. cit. (supra, nt. 1).
62 D. 14.1.1.18 (Ulp. 28 ad ed.).
63 Per es. ILS 1409.
64 Sen. de brev. vitae 19:... cures, ut incorruptum et a fraude advehentium et a neglegentia frumentum transfundatur in horrea, ne concepto humore vitietur et concalescat, ut ad mensuram pondusque respondeat.
65 Pavis D’Escurac, op. cit. (supra, nt. 1) 264 ss., per i rapporti con i pistores romani; per la farina, v. infra.
66 Cass. Dio LIV 1.3.
67 Cic. de finib. II 26.84: ... nunc utiliorem tibi (sc. Torquato) hunc Triarium putas esse auam si tua sint Puteolis granaria?
68 Tab. Pomp. 7: ... horreum XII in horreis Bassianis publicis Puteolanorum medis, in quo repositum est triticum Alexandrinum quod pignori accepit hodie ab C. Novio Euno...
69 Fondamentale su questo punto lo studio di Rickman, op. cit. (supra, nt. 1) cap. V.
70 D’Arms, A municipal notable cit. (supra, nt. 1) 207 ss.
71 CIL X 1797; sulla dedica del tempio (CIL X 1613), v. ora F. Castagnoli, Topografia dei Campi Flegrei, in I Campi Flegrei cit. (supra, nt. 1) 53 ss.; sull’importanza dei Calpurnii, cfr. Camodeca, art. cit. (supra, nt. 57) 74.
72 Suet Aug. 98.2: ... per illum se vivere, per illum navigare, libertate atque fortunis per illum frui; sentimenti simili in Phil. Leg. ad Gaium 143-150.
73 Suet. Aug. 42.5 (per aratores e negotiatores); Tac. Ann. II 87 (calmiere più compensi ai negotiatores); XV 18 (calmiere); cfr. XV 39; Hist. IV 38.2.
74 Tac. Ann. III 54.5: hanc, patres conscripti, curam sustinet princeps, haec omissa funditus rem publicam trahet.
75 Suet. Claud. 18.4; cfr. Tac. Ann. XIII 51.2 (esenzione dalle tasse per le navi dei negotiatores).
76 Suet. Claud. 19 (per i costruttori di navi da carico); Gai. Inst. I 32 c (costruzione di una nave di portata non inferiore a 10.000 modii e trasporto del frumento a Roma per sei anni).
77 Tac. Ann. VI 13.1: Quis commotus incusavit magistratus patresque, quod non publica auctoritate populum coercuissent, addiditque quibus e provinciis et quanto maiorem quam Augustus rei frumentariae copiam advectaret.
78 Ioseph. Ant. Iud. XIX 205 ss.; cfr. J. P. V. D. Balsdon, The Emperor Gaius (Oxford 1932) 189 ss.
79 V. Cass. Dio LIX 11.3; Quint. II 21.17; cfr. Meiggs, op. cit. (supra, nt. 1) 54 ss.
80 Tac. Ann. XV 46.3; cfr. Meiggs, op. cit. 57 s., per un giudizio più positivo.
81 IG. XIV 917-8.
82 Acta apostol. 27.8.
83 Così, da ultimo, A. Tchernia, P. Pomey, A. Hesnard, L’épave romaine de la Madrague de Giens (Paris 1978).
84 Sul portus Iulius, da ultimo, Castagnoli, art. cit. (supra, nt. 71) 65 ss.; M. W. Frederiksen, Una fonte trascurata sul bradisismo puteolano, in I Campi Flegrei cit. (supra, nt. 1) 120 s.
85 Per es. la spedizione straordinaria dalla Mesia ricordata in ILS 986.
86 Stat. Silv. III 2.21 ss., che va datata al 93.
87 Da ultimo, v. D’Arms, Puteoli cit. (supra, nt. 1) 104 ss.
88 IG. XIV 917-8; a Puteoli l’ultima presenza è attestata sotto Antonino Pio (CIL X 1562 = ILS 344).
89 Su ciò v. in generale, con commenti pertinenti, D’Arms, Puteoli cit. (supra, nt. 1) 120 ss.
90 Tac. Ann. VI 13.1.
91 Tac. Ann. XI 31.1: tum potissimum quemque amicorum vocat, primumque rei frumentariae praefectum Turranium...; da ultimo, P. A. Brunt, The administrators of Roman Egypt, in JRS. 65 (1975) 142; G. Bastianini, Lista dei prefetti d’Egitto dal 30a al 299p, in ZPE. 17 (1975) 263 ss.
92 Plin. N.H. XVIII 7(15).75 cfr. anche III 1.3, da cui risulta che Turranius era della Baetica.
93 F. Münzer, Beiträge zur Quellenkritik der Naturgeschichte des Plinius (Berlin 1897) 387 ss.; seguito anche da W. Kroll, sv. Turranius nr. 7, in PW. 7 A 2 (1943) 1442; H. G. Pflaum, in Les Empereurs d’Espagne (Paris 1965) 88 s.; R. Syme, Roman Papers 2 (Oxford 1979) 759. È invece scettico A. Stein, sv. Turranius nr. 5, in PW. 7 A 2 (1943) 1442, sulla considerazione della mancanza del cognomen in Tacito e nei documenti ufficiali. Ma per Tacito è quasi abituale omettere i cognomina (e difatti scrive ad es. C. Plinius). E ci sono parecchi casi nei quali il cognomen viene a Roma soppresso perché poteva indicare un’origine provinciale ο umile. Su questo fenomeno, v. W. Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen2 (Berlin 1933) 496-499; cfr. H. Dessau, Der Name des Apostel Paulus, in Hermes 45 (1910) 347 ss., spec. 358 s.
94 CIL X 2519; 3030; 3451; 8201; 2534; forse pertinenti anche 3699, 2073 (di provenienza incerta) e 6798 (Aenaria).
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