Problemi e ipotesi sulle Tavole greche di Eraclea
p. 281-290
Texte intégral
1La frammentazione specialistica dei nostri studi può talvolta spingersi fino al grottesco: un caso esemplare, che illustra perfettamente questa affermazione, sono le Tavole di Eraclea1. Le iscrizioni, incise sulle facce opposte di due lastre di bronzo, fortunosamente scoperte in due riprese nel 1732, di lingua (greco e latino), epoca e natura diverse, hanno seguito itinerari opposti e divergenti: la pubblicazione in corpora diversi ne ha determinato definitivamente il destino, quello appunto di una totale separazione, come testi stampati, ai quali si accede in genere prescindendo da qualsiasi considerazione della natura originaria, materiale del documento, e della compresenza in esso di testi di natura diversa. È probabile anzi che i rappresentanti degli 'opposti specialismi' ignorino spesso che tavole greche e tavola latina costituiscono, sul piano materiale, un unico documento.
2Il danno che può derivare agli studi da una tale situazione di schizofrenia apparirà evidente da una semplice osservazione. Mentre i testi greci, saldamente legati al contesto territoriale di Eraclea dal loro stesso contenuto, hanno sofferto meno di questa separazione, la tavola latina, per il suo stesso carattere di lex publica romana, ha dovuto subire fino in fondo l’impatto del formalismo giuridico, con il risultato di separare totalmente il documento dal suo contesto originario: basterà qui ricordare in proposito che la teoria dominante per più di un secolo, e ancora sostenuta oggi da alcuni studiosi, riconosce nella tavola latina una lex Iulia municipalis dovuta a Cesare, che per taluni è addirittura quella promulgata per la concessione della cittadinanza alla Cisalpina: senza neppure porsi la domanda elementare sul motivo che avrebbe indotto a incidere una tale legge in una città della Magna Grecia, che per di più è già municipio prima del 62 a.C.2.
3Il mio proposito iniziale è dunque quello di ricostruire quest’unità spezzata, esaminando se, per avventura, la considerazione unitaria dei due testi - greco e latino - e dei relativi contesti - topografico e socio-politico - non possa fornire qualche informazione in più su documenti di tale importanza.
4In quest’ottica, vorrei riprendere in primo luogo in esame un dato che è stato sistematicamente trascurato, e cioè il luogo di rinvenimento delle tavole3, in connessione con elementi interni, deducibili dagli stessi documenti.
5La prima tavola, completamente conservata, contiene su una faccia l’iscrizione greca relativa alle terre di Dioniso, e sull’altra il testo latino, assai più recente, che presenta una serie apparentemente disparata di disposizioni di legge romane. La seconda tavola, conservata solo in parte, contiene le analoghe disposizioni relative alle terre di Athena, mentre l’altra faccia è anepigrafe.
6Da tali caratteristiche si può ricavare una serie di osservazioni.
7Come abbiamo visto, la tavola relativa alle terre di Dioniso presenta, sulla faccia opposta, un testo latino, che corrisponde alla parte finale di un’iscrizione in origine più estesa: ciò significa che esisteva almeno un’altra tavola, contenente la parte iniziale della legge (la cui lunghezza complessiva, proprio per le caratteristiche particolari del testo, un coacervo apparentemente disparato di norme, non è ricostruibile: non è da escludere che esso occupasse anche più di un’altra tavola). Da ciò si deduce l’esistenza probabile di almeno un altro testo greco analogo ai due conservati: infatti appare difficilmente sostenibile la possibilità che la parte iniziale della legge latina fosse incisa su una tavola apposita, e non di reimpiego, dal momento che esisteva almeno un altro testo greco, quello relativo ai terreni di Athena, il cui supporto non venne riutilizzato, nonostante che si trattasse certamente, come nel caso delle disposizioni sulle terre di Dioniso, di norme ormai in prescrizione (come dimostra la stessa riutilizzazione del supporto relativo a queste ultime). Doveva quindi esistere almeno un’altra tavola greca, che venne riutilizzata per la parte iniziale del testo latino.
8Sembra inoltre di poter affermare che la natura dei testi, ufficiale in ambedue i casi, deponga a favore di una conservazione - ed eventualmente di una esposizione al pubblico - tanto dei testi greci quanto del testo latino, nello stesso luogo, ovviamente da identificare con l’archivio pubblico della città. Si può aggiungere che, al momento della redazione della legge latina, le norme greche dovevano essere cadute da tempo in prescrizione: si trattava infatti di regolamenti relativi non solo a situazioni molto più antiche (certamente di più di due secoli rispetto al documento latino), ma soprattutto corrispondenti a situazioni sociali e politiche del tutto particolari e certamente contingenti (come vedremo più avanti). È anche possibile che la definitiva abrogazione dei regolamenti greci possa essere collegata agli avvenimenti della guerra sociale e all’introduzione della costituzione municipale, che furono particolarmente traumatici ad Eraclea (Cic., pro Balbo, 8, 21).
9La continuità di impiego in ambito pubblico che la riutilizzazione delle lastre di bronzo sembra attestare, confermata dal fatto che una di esse, per quanto non riutilizzata, venne conservata fino alla fine nello stesso luogo delle altre (come dimostra la provenienza comune) depone anche, a mio avviso, per una probabile permanenza in situ dei due documenti. Tuttavia, il luogo di ritrovamento, assai lontano dall’abitato di Eraclea, sembra inconciliabile con una simile ipotesi: e infatti, tutti gli studiosi (in verità pochissimi) che si sono posti il problema si sono concordemente pronunciati nel senso di una deposizione secondaria, probabile conseguenza di un tardo saccheggio del Tabularium di Eraclea. Solo Mommsen (in CIL, I, 119-125), in una breve nota, esprime un dubbio in proposito: è possibile che il grande studioso, che considerava certamente insieme ambedue i testi, si fosse posto il problema negli stessi termini che andiamo qui esponendo.
10L’argomento sembra importante, e merita un approfondimento.
11Il luogo di ritrovamento, alla confluenza della Salandrella e del Cavone, appare tutt’altro che insignificante: si tratta di un punto articolante del territorio della città, collocato com’è all’angolo nord-orientale di questo, al confine con Metaponto. Il Cavone è identificato con certezza, sulla base di un noto testo di Plinio (NH, III, 97), con il Calandrum, l’Acalandros di Strabone4. Plinio enumera tutte le città e tutti i fiumi a partire da Thuri fino a Metaponto in ordine geografico: quindi l’identificazione del Cavone è sicura. A noi qui interessa soprattutto il passo di Strabone, che nomina appunto l’Acalandros: testo cruciale, che va commentato con attenzione. Si tratta della storia di Eraclea all’epoca di Alessandro il Molosso (siamo dunque interno al 331 a.C.): «Alessandro tenta di spostare la koiné panegyris dei Greci - che era uso tenere in Eraclea, nel territorio di Taranto - a Thuri, per odio (verso Taranto), e di fortificare un luogo presso il fiume Acalandros dove erano soliti tenere le assemblee». II testo è di solito spiegato nel modo seguente: Alessandro avrebbe spostato la sede della lega italiota da Eraclea a Thuri per odio verso Taranto. Ma questa interpretazione determina una grave aporia, poiché Strabone si sarebbe sbagliato, collocando l’Acalandros a Thuri. Un errore di questa portata non sembra possibile e del resto Strabone sembra dire due cose diverse: il Molosso da un lato avrebbe spostato a Thuri la koiné panegyris, dall’altro avrebbe fortificato il luogo delle assemblee, che si tenevano presso l’Acalandros5. La panegyris, in altri termini, non si identifica con la synodos. Di conseguenza, si deve intendere che Alessandro tentò di spostare le celebrazioni festive, e contestualmente fortificò il luogo dove avvenivano le assemblee, che invece rimase nel sito originario, ad Eraclea, presso l’Acalandros. Perché questi due fatti vengono collegati? Il problema non è del tutto chiaro, ma io proporrei qualcosa del genere: Alessandro spostò le feste a Thuri per odio verso Taranto, ma anche perché voleva impadronirsi, fortificandolo, del luogo ove si teneva l’assemblea federale, chiaramente per trasformarlo in un punto di forza della sua politica. Lo fortificò dunque per impadronirsene militarmente, impedire o controllare le assemblee, e naturalmente questo controllo impediva che si tenesse lì, come d’abitudine, la panegyris, che provocava l’afflusso di una massa di persone che rischiava di mettere in crisi tutto il sistema. Strabone dunque non commette un errore geografico, ci dice semplicemente che l’assemblea restò dov’era, ad Eraclea, presso l’Acalandros, e quello che si tentò di spostare sono le panegyreis.
12Di conseguenza, la sede dell’assemblea della lega italiota va collocata in una zona del territorio di Eraclea, presso l’Acalandros. Ora, il luogo di ritrovamento delle tavole, come si è visto, corrisponde a una località ove confluiscono il Cavone (l’Acalandros) e un torrente, il Salandrella, nel cui nome si può riconoscere una trasformazione dello stesso Acalandros. Le ragioni per cui un affluente conservo il nome del corso d’acqua principale potrebbe costituire un interessante argomento di studio; qui interessa solo sottolineare il fatto che il luogo di scoperta delle tavole sembra collegabile con il sito dove si tenevano le assemblee della lega italiota: quest’ultimo sembra aver detenuto, di conseguenza, anche la funzione di archivio pubblico di Eraclea. Non deve stupire che quest’ultimo potesse essere collocato fuori della città: non mancano infatti casi analoghi, come ad esempio quello di Siracusa. Se tutto ciò è vero, troverebbe spiegazione anche la continuità della funzione, il fatto cioè che le tavole greche siano state riutilizzate per una legge latina, e fossero conservate nello stesso luogo, che mantenne quindi questa funzione di archivio per un notevole lasso di tempo. Può essere interessante ricordare a questo proposito che il Tabularium di Eraclea bruciò durante la guerra sociale, come ricorda Cicerone6.
13Il contenuto delle tavole greche è noto: si tratta della nuova divisione e della redistribuzione, da parte del governo di Eraclea, di due terreni sacri, quello di Athena, detto ‘in valle’, e quello di Dioniso. È in primo luogo importante datare questi testi, che sono variamente collocati alla fine del IV, all’inizio del III secolo a.C., o addirittura dopo Pirro. lo credo che una datazione tarda sia da escludere, e ne proporrei una intorno ai decenni centrali del IV secolo: ciò richiederebbe un riesame degli aspetti linguistici e paleografici, che qui non è praticabile; basterà sottolineare gli evidenti aspetti di arcaismo delle iscrizioni, già più volte notati (Uguzzoni/Ghinatti 1968, 75, 78). A questo proposito, si deve insistere sul particolare momento storico della città, che traspare con molta evidenza da questi documenti. Alcuni privati, chiaramente personaggi eminenti di Eraclea, si erano impadroniti di terre sacre della città, per un periodo che dovette essere abbastanza lungo, se il tempo aveva obliterato i cippi di confine, che al momento della redazione delle tavole erano ormai sepolti dalle alluvioni (Tav. I, 55). Naturalmente, un fatto del genere potrebbe anche accadere rapidamente, ma è anche evidente che un confine di proprietà sepolto da eventi naturali sarebbe stato, in condizioni normali, liberato e ripulito immediatamente. Il fatto che questo non sia avvenuto indica che da un lato esisteva un interesse privato contrario, dall’altro una debolezza delle istituzioni pubbliche, che non erano intervenute a ristabilire la situazione. I personaggi implicati nell’appropriazione di queste terre non dovevano essere gente qualsiasi, ma membri eminenti dell’aristocrazia locale, in grado di controllare almeno in parte lo stato (Uguzzoni/Ghinatti 1968, 104): era quindi difficile recuperare le terre occupate, del resto forse legalmente, almeno dal punto di vista formale. Sappiamo tra l’altro che c’era stato il tempo sufficiente a modificare notevolmente le colture: la tavola relativa ai terreni di Dioniso documenta anche che le terre più fertili erano in possesso di due personaggi, di cui conosciamo anche i nomi7. In questi terreni erano stati piantati ulivi, viti ed erano state apportate migliorie notevoli, ciò che deve aver richiesto un certo numero di anni. Intendo dire con questo che l’episodio dell’appropriazione non doveva essere recentissimo.
14Le tavole documentano il rovesciamento del processo: lo stato interviene, fa rimisurare le terre, le toglie ai precedenti possessori e le distribuisce ad altre persone, affittandole ad un certo canone, previa la redazione di precisi regolamenti. Tutto ciò avviene per decisione dell’assemblea plenaria della città.
15Mi sembra evidente la conclusione che la fase più antica testimoni una situazione, diciamo oligarchica, caratterizzata dal dominio di alcune potenti famiglie, che coincide con l’occupazione delle terre sacre; e che questa sia seguita da una fase, diciamo democratica, in cui l’assemblea riprende in pieno i suoi diritti, recupera le terre e le redistribuisce in affitto (o meglio, in enfiteusi), dopo averle divise in lotti.
16La redistribuzione delle terre in Grecia è, come tutti sanno, parola d’ordine rivoluzionaria, come la cancellazione dei debiti. Il fenomeno che le tavole ci descrivono non può che corrispondere a una fase di trasformazioni politiche radicali, che dovrebbe tradursi nella presa di potere da parte del demos: è l’assemblea infatti che delibera rimisurazione e redistribuzione. Siamo in un periodo che potremmo definire di ‘rivoluzione democratica’.
17È interessante notare che nella divisione di queste terre, per esempio quelle di Dioniso, i lotti sono sei, e i nuovi affittuari sono obbligati a costruirvi delle case. Ciò significa che le abitazioni esistenti non bastavano, trattandosi di appezzamenti in precedenza unitari e dotati di una sola abitazione. Il fatto è ancora più evidente nel caso delle terre di Athena, di cui è opportuno leggere direttamente il testo, nella traduzione di Sartori:
«Attraversata la strada vicinale larga venti piedi, facemmo un primo lotto lungo la via larga cento piedi, nel quale è la terra adatta alla coltivazione delle viti, e tracciammo una strada pubblica d’accesso larga venti piedi, dalla strada vicinale larga venti piedi sino alla casa e una larga otto piedi, dalla casa sino al fiume, lungo i vigneti. Ε dalla strada vicinale larga venti piedi misurammo la zona verso l’Aciri sino alla fascia trasversale di terreno che si diparte dalla strada pubblica di accesso, conducente alla via larga cento piedi. Risultarono 59 scheni e mezzo, cioè: 51 (scheni) e 7 passi di terra nuda; 8 scheni e 8 passi di vigneto. Questo (lotto) fu affittato a 446 medimni e 4 caddici».
18Si tratta del primo lotto (A) con vigna adiacente, che venne diviso in quattro: ma all’interno di esso c’è una sola casa, realizzata da un unico possessore, insieme a un grande vigneto nel settore più settentrionale. Gli incaricati della nuova divisione si trovarono davanti a questo problema: il grosso della terra non era adatto alla coltivazione della vite, mentre un ampio settore era già piantato a vigna; essi non potevano naturalmente attribuire tutto il vigneto a un solo affittuario e il resto del suolo agli altri. Era necessario escogitare una divisione in cui ad ognuno toccasse una parte del vigneto: di qui la divisione in quattro lotti non solo del terreno principale, ma anche del vigneto. Da un unico lotto con un unico vigneto e un’unica casa vennero quindi ricavati quattro lotti, ognuno con il suo vigneto e forse anche con una casa. La stessa situazione si verifica nel settore B, dove troviamo di nuovo una sola casa: da questo verranno ricavati sei lotti, ognuno dei quali con un piccolo vigneto, risultante ancora una volta dalla divisione dell’unico vigneto originario.
19Due ampi terreni, assorbiti nel possesso di un oligarca di Eraclea, vengono cosi suddivisi l’uno in quattro, l’altro in sei lotti: le iscrizioni ci permettono di ricostruire la situazione precedente, in cui ognuno di questi terreni era dotato di una sola vigna e di una sola casa. Ora, se dovessimo collocare tutto ciò sul terreno, e questo terreno fosse esaminato da un archeologo moderno, cosa se ne ricaverebbe? Si dovrebbe constatare che in un periodo coincidente con la data delle Tavole di Eraclea si era passati sulla stessa area da due a dieci fattorie. Naturalmente, nessun archeologo potrebbe essere in grado di riconoscere se si tratta di suolo privato o pubblico o sacro diviso e affittato: egli identificherà solo delle fattorie ed eventualmente i limiti di queste. In ogni modo, ne dedurrà che in un’epoca coincidente grosso modo con i decenni centrali del IV secolo a.C. (data che mi sembra quella più probabile per le tavole) si era verificato un fenomeno di moltiplicazione delle fattorie per lo meno per cinque, corrispondente a un’analoga suddivisione in lotti del terreno. Dobbiamo ricordare, tra l’altro, che quasi certamente esisteva un’altra tavola almeno, e quindi che l’operazione aveva coinvolto un’area di notevole ampiezza all’interno del territorio di Eraclea. Sembra probabile, inoltre, che il fenomeno non abbia riguardato solo la terra sacra, e forse neanche la sola terra pubblica. Una rivoluzione non si fa per recuperare pochi lotti di terra sacra: in realtà, dobbiamo pensare ad una amplissima redistribuzione delle terre della città in un periodo che coincide con la redazione delle tavole.
20Intorno alla metà del IV secolo Eraclea sembra dunque investita da fenomeni sociali e politici di grande rilevanza. Un altro documento epigrafico, scoperto a Delfi (BCH, 27, 1903, 31-32), ricorda degli ‘Eracleoti d’Italia’, certamente attribuibili ad Eraclea di Lucania, compresi in un elenco di sottoscrittori per la ricostruzione del tempio di Apollo a Delfi tra il 346 e il 337: una data che, secondo me, coincide abbastanza esattamente con quella delle tavole. Constatiamo cioè la presenza di una delegazione di Eraclea a Delfi in un contesto che presenta evidenti risvolti economici, e che attesta una certa disponibilità di risorse da parte della città. La situazione è certamente meno brillante intorno al 280, quando la guerra tra i Romani e Pirro sta devastando la regione8. II documento forse più impressionante sulla situazione posteriore alla conquista romana è un testo di Varrone9, che descrive una situazione databile subito prima del 60 circa a.C.: un cittadino di Amiternum, P. Aufidius Pontianus acquista un grande gregge di pecore in Umbria ultima (cioè nell’alta valle del Tevere) e, con pastori e cani, lo trasferisce in Metapontinos saltus et Heracleae emporium. Questo emporio di Eraclea mi sembra da identificare con l’epineion ricordato da Strabone10. In ogni caso, si trattava di un mercato in cui si compravano e vendevano pecore in quantità notevole, facendole venire fin dall’Umbria settentrionale. Ε questi saltus Metapontini non sono altro che le terre, in altri tempi feraci di grano, della città, le cui fattorie, come sappiamo, scompaiono in gran parte all’inizio del III secolo a.C., sostituite da pascoli, funzionalmente collegati a fora pecuaria11. Naturalmente, ciò non significa affatto decadenza economica: forse siamo in presenza di un complessivo arricchimento, e certamente di una grande trasformazione sociale. La grande pastorizia è segno di ricchezza: ma bisognerà comunque esaminare chi si arricchisce e chi no. Si sarà comunque trattato di un numero di persone nettamente più ridotto di quelle che possedevano, a qualunque titolo, le singole fattorie di Metaponto e di Eraclea.
21La fondazione di Eraclea è del 433-432 a.C.12: i kleroi, originariamente distribuiti ai coloni, nel corso di un paio di generazioni sembrano aver subito il contraccolpo di una vicenda economico-sociale e politica, che ne concentrò il possesso in poche mani: è almeno quello che riusciamo a intuire per gran parte delle terre sacre in un periodo che possiamo fissare tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. Verso la metà del IV secolo, se le Tavole di Eraclea appartengono a questo periodo, il processo si capovolge, le terre sono recuperate, divise in lotti e redistribuite. In questi stessi anni notiamo tracce di una certa attività ‘internazionale’, con l’invio di fondi per la ricostruzione del tempio di Delfi. Sappiamo che Alessandro il Molosso libero la città dai Lucani, certamente prima del 331 a.C., probabilmente tra il 336 e il 33113 . Che questa redistribuzione di terre sia avvenuta dopo Pirro è impossibile, per la situazione economica e politica della città, che tra l’altro in quegli anni è certamente in mano a un partito oligarchico, quello stesso che stipulerà il foedus aequum con Roma14. La rapida scomparsa di gran parte delle fattorie sul territorio nel corso dei primi decenni del III secolo costituisce l’evidente risvolto di questa situazione politica ed economica.
22Il quadro d’insieme che abbiamo in tal modo costruito sembra trovare conferma in due gruppi di documenti, uno di carattere archeologico, l’altro letterario. Il primo di questi, cui abbiamo già più volte accennato, è costituito dalla situazione del territorio di Metaponto tra il VI e il III secolo a.C.: un territorio non solo confinante, ma del tutto affine per struttura e storia a quello di Eraclea. Le numerose fattorie qui sorte nel corso del VI secolo diminuiscono radicalmente nel corso del V e nella prima metà del IV secolo. Subito dopo questa data si verifica improvvisamente un enorme incremento degli insediamenti rurali, seguito da un’altrettanto subitanea e netta diminuzione nel corso del secondo quarto del III secolo. Non è mia intenzione discutere in questa sede le precise dimensioni del fenomeno, sul quale i lavori in corso e le discussioni sono tutt’altro che esauriti: mi sembra tuttavia che nelle linee generali esso corrisponda senza possibilità di dubbio allo schema che ne abbiamo proposto.
23Se ora passiamo a confrontare i dati archeologici del territorio di Metaponto con quelli che sono emersi dall’esame delle Tavole di Eraclea, siamo in grado di riscontrare un’impressionante coincidenza: la diminuzione delle fattorie documentabile nel primo caso durante il V secolo e la prima metà del IV coincide cronologicamente con l’appropriazione delle terre sacre (ma probabilmente non solo di queste) da parte di pochi possessori nel secondo; del tutto analoghe le considerazioni che si possono fare a proposito della diffusione delle fattorie metapontine a partire dalla metà del IV secolo, confrontata con la redistribuzione contemporanea delle terre sacre ad Eraclea. In conclusione, il dato archeologico di Metaponto si sovrappone perfettamente al frammento di storia economico-sociale e politica che emerge dalle tavole, e ci documenta con tutta evidenza, una realtà analoga.
24Il dato letterario corrisponde al celebre passo della Politica di Aristotele15 relativo alla storia di Thuri, databile certamente dopo il 339, perché nel V libro si ricorda l’assassinio di Filippo II. Il testo è il seguente:
«Il cambiamento di cui abbiamo parlato avvenne a Thuri: poiché l’accesso alle magistrature dipendeva da un censo troppo elevato lo sviluppo si concluse con una riduzione (del censo) e una moltiplicazione delle cariche; perché (?) i notabili, contrariamente alla legge, avevano accaparrato tutta la terra (il carattere della costituzione era piuttosto organico per cui potevano arricchirsi): ma il demos, esercitatosi nella guerra, riusci a prevalere sulla guarnigione e ottenne alla fine l’abbandono da parte degli accaparratori del sovrappiù di terre».
25A Thuri dobbiamo dunque riscontrare un fenomeno analogo a quelli esaminati in precedenza, di cui, per la particolare natura della fonte che ce ne dà notizia, ci è nota anche la genesi politica: c’è uno stato oligarchico, gli oligarchi si impadroniscono delle terre, poi il demos riesce a prendere il potere e redistribuisce le terre. È interessante anche la ragione del cambiamento addotta da Aristotele: il demos «si era esercitato nella guerra». L’ampliamento verso il basso del corpo sociale deriva in sostanza dalla necessità di ampliare l’esercito.
26La fondazione di Thuri è quasi coeva a quella della confinante Eraclea, intorno al 444 a.C. Il fenomeno di acquisizione delle terre da parte degli oligarchi dovrebbe verificarsi pochi decenni dopo, parallelamente a quanto era avvenuto ad Eraclea e a Metaponto. La reazione che capovolse questa situazione è una conseguenza delle guerre: quali guerre? Evidentemente quelle contro i Lucani, iniziate nel 389, o quelle contro i Bruzi, dal 34416. Siamo cioè in un periodo compreso tra il 390 e il 340, comunque nei decenni centrali del IV secolo e prima del 330, dal momento che la fonte è Aristotele, che in questo caso sembra riferirsi ad avvenimenti di poco anteriori a lui.
27La conclusione di tutto questo discorso può essere sintetizzata nei termini seguenti: se noi inquadriamo il frammento di microstoria (di carattere quasi archeologico) che emerge dall’esame delle Tavole di Eraclea entro il quadro archeologico complessivo che si ricava dall’analisi del territorio di Metaponto, e ancora entro il quadro politico di Thuri, che ci è tramandato da Aristotele, ci veniamo a trovare in presenza di un panorama omogeneo, i cui aspetti economici, sociali e politici, ricostruibili in base a documenti di carattere diverso - ma relativi a tre poleis confinanti, e la cui vicenda storica appare sostanzialmente analoga - si possono considerare in definitiva come risvolti di una realtà sostanzialmente coerente.
Bibliographie
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Notes de bas de page
1 Sulle tavole greche (IG, XIV, 645) cfr. da ultimo Sartori 1967, 41-57. Uguzzoni/Ghinatti 1968. La tavola latina è in CIL, I2, 593 = ILS, 6085.
2 Sulla tavola latina, cfr. ora Coarelli 1994; Crawford 1996, 355-391.
3 Cfr. Quilici 1967.
4 Strabo, VI, 3, 4. Cfr. la discussione in Sartori 1967, 33-37.
5 Questa soluzione mi è stata suggerita da G. Maddoli, che ringrazio.
6 Cic., pro Archia, 4, 8: «Hic tu tabulas desideras Heracliensium publicas, quas Italico bello incenso tabulario interisse scimus omnes». L’ipotesi è già in Rondinelli 1913.
7 Eroda e Phintia: tav. I, 40-50.
8 Sartori 1967, 82-83.
9 Varro, r.r. II, 9, 6. Sartori 1967, 93.
10 Strabo VI 1, 14. Cfr. Greco 1986, 132-133.
11 Sulle fattorie di Metaponto, cfr. da ultimo Greco 1992.
12 Sartori 1967, 25-30.
13 Ibid., 35.
14 Ibid., 81-83.
15 Arist., Pol. V, 1307 a9.
16 Su Thuri, cfr. De Sensi Sestito 1987, 270, 279, 299, 300.
Auteur
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Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
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Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
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Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
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