L’agorà di Eraclea Lucana
p. 221-232
Texte intégral
1Mi sia consentito di dare inizio al mio intervento con alcuni ringraziamenti non solo doverosi ma che mi è particolarmente gradito fare: vorrei in particolare ringraziare la Soprintendenza Archeologica della Basilicata, e soprattutto il Soprintendente Angelo Bottini ed il dott. Salvatore Bianco, che hanno permesso, con la loro consueta liberalità e lungimiranza, l’effettuazione degli scavi che sto per presentare, scavi che hanno potuto svolgersi anche grazie all’aiuto dell’Amministrazione comunale di Policoro, che voglio qui ringraziare nella persona del sindaco, dott. Marsano, che ci ha permesso di contare, negli ultimi quattro anni, su un supporto logistico per noi assolutamente indispensabile. E, non ultimo, un ringraziamento va agli organizzatori dell’odierno incontro per avermi invitato a presentare in questa prestigiosa assise gli scavi che da sette anni conduco, per conto dell’Università di Perugia, ad Eraclea Lucana (Fig. 1).
2Cercherò di dare un riassunto globale su tutta l’area, non limitandomi a parlare solo della piazza superiore dell’agorà: ad esso aggiungerò alcune considerazioni finali che verranno presentate sotto forma di problema, onde cercare di stimolare la discussione più generale su questa importante, ma anche “singolare colonia”. Questa relazione è anche corredata da un brevissimo commento ed alcune importanti tabelle che sono state preparate dalla sig.na Leila Chiappavento, che ha studiato in maniera sistematica tutto il materiale dello scavo eseguito nel 1980 da Antonio De Siena e da lui gentilmente messo a nostra disposizione. I dati presentati dalla sig.na Chiappavento (cfr. infra) possono essere considerati una interessante e probante campionatura, in attesa dello studio definitivo e totale di tutti i materiali dello scavo.
3L’intera area (Fig. 2) si presenta come un grande spazio genericamente libero che occupa un dolce declivio da S a Ν, di fronte alla collina su cui è costruita la parte principale della città di Eraclea. Questo spazio è occupato da pochi edifici e diviso in due piazze da muri di temenos.
4La piazza superiore, è ben delimitata su tre lati, quello S, W e N, da muri di temenos. I muri W e Ν sembrano essere organizzati come delle stoai, con una probabile copertura appoggiata a pali lignei interni al temenos medesimo, stante il notevole quantitativo di tegole trovate a ridosso degli stessi. Il lato Ν presenta anche un edificio coperto, che era stato in un primo momento convenzionalmente definito stoà, ma la cui funzione si presenta assai ben più caratterizzata in base ai ritrovamenti. Si tratta di un edificio rettangolare, tramezzato e diviso in almeno due ambienti, che hanno restituito all’interno, ma soprattutto all’esterno, in enormi quantitativi di cenere ed ossa di animale, oltre a pentolame da fuoco e vasi “per mangiare” e “per bere”.
5La “specializzazione” dei pasti sembra un dato certo, visto che a Ν ed W dell’edificio sono abbondantemente attestate ossa di animali terrestri, mentre a S, cioè all’interno del temenos meridionale, abbiamo rinvenuto in maniera prevalente i resti di pasto di animali marini, soprattutto conchiglie. Tutto ciò non lascia adito a dubbio che questo edificio svolgesse la funzione di un hestiatorion se non si tratta addirittura del pritaneo della città. Ho già sottolineato infatti l’importanza di una placchetta fittile rettangolare, ascrivibile alla classe delle c.d. “matrici per focacce” rinvenuta fra le conchiglie nella zona S dello hestiatorion, che consente di considerare questi ritrovamenti non certo avanzi di pasti comuni bensì resti di pasti con valenza politico-religiosa, come pare dimostrabile dal ruolo “politico” che queste matrici per focacce assumono ad Eraclea1 e forse non solo ad Eraclea. È assai verosimile che questi avanzi di pasto siano da mettere in relazione con il culto di Afrodite, stante il suo rapporto con i pesci ed il mare2.
6La parte S della piazza superiore presenta invece una situazione archeologica assai differente. A parte una vasta zona centrale che appare virtualmente priva di materiali, nella zona alta, a ridosso del muro di temenos meridionale che presenta due gradini di accesso, destinati evidentemente a chi arrivava dalla città bassa, abbiamo invece due strutture sacrali, sicuramente di scarsa monumentalità, tuttavia di enorme rilevanza per quel che riguarda il culto: si tratta infatti di un piccolo altare3 e di un naiskos. Il piccolo altare (Fig. 3) è rettangolare, costruito con blocchi di pietra diversa, sormontati da un cuscino di prothysis ed aveva sulla sua facciata occidentale, quella immediatamente visibile dall’ingresso, un’iscrizione incisa. Nonostante il cattivo stato di conservazione, soprattutto nella parte mediana, non pare possano esistere dubbi sulla lettura ΔΙΟΝϒΣΟϒ. Questa lettura, come ho già detto, è avvalorata dal ritrovamento, all’interno dell’altare, dei resti del sacrificio di dedica che conteneva, a parte qualche frammento ceramico, resti ossei pertinenti ad un capriolo. Il rapporto di questo animale con Dioniso è d’altra parte ben noto4.
7A NW dell’altare abbiamo l’altra struttura anch’essa architettonicamente abbastanza povera, ma ugualmente significativa (Fig. 4). Si tratta di una piccola edicola o naiskos a forma di U, cosa abbastanza comune nei santuari della Lucania interna5. Essa è costruita con tre lastre di carparo, infisse di coltello nel terreno, è aperta verso S e si trova dirimpetto alla scala di accesso dal muro di temenos S, poco sulla sinistra per chi entra. All’angolo NW di questa edicola si è ritrovata una grande quantità di materiali archeologici e cenere, forse anche in questo caso un sacrificio di dedica (se non si tratta di una eschara casualmente addossata ad essa, mentre poco fuori dell’edificio, appena più a Ν, si è rinvenuto il piede di una statuetta in marmo, la cui altezza può essere ipotizzata attorno ai 50/60 cm. Stante il particolare materiale della statuetta, di certo non comune ad Eraclea, non credo possano esserci dubbi sul fatto che si tratti del residuo della statua di culto che doveva trovarsi all’interno dell’edicola.
8In questa zona debbo rettificare alcune cronologie, in particolare l’altare e l’edicola sembrano pertinenti alla stessa fase mentre il muro di temenos meridionale è da datare verosimilmente al II sec. a.C. e non ad età augustea come in un primo momento affermato6. I saggi stratigrafici effettuati negli anni scorsi hanno infatti permesso di accertare che mentre nella zona settentrionale della piazza, a ridosso dello hestiatorion, i livelli di vita di IV e II sec. sono nettamente separati fra loro, nella parte meridionale essi coincidono dal momento che l’intervento del II sec. ha essenzialmente badato a rendere più dolce il pendio, rialzando con uno strato di riempimento la parte bassa della piazza, fin oltre alla metà, ma non ritoccando la parte alta.
9Dalla zona dell’altare di Dioniso e del naiskos proviene, come già segnalato fin dal 1987 al Convegno di Taranto, un notevole quantitativo di statuette di terracotta, di una tipologia molto particolare, che trova riscontri solo a Taranto o comunque in area tarantina. Si tratta di statuette di giovinetti nudi, con mantello dietro le spalle, e di giovinette vestite di chitone (Fig. 5), che portano nella mano sinistra strumenti musicali (cetre, tamburelli o timpani), animali (cigno, lepre, pavone, pantera) e frutti, mentre nella mano destra recano talvolta (circa nel 30% dei casi) una palla. Questi tipi di statuette sono comunemente designate come pertinenti ad Apollo Hyakinthos e Polyboia e non sono mancati, anche in tempi recenti, i tentativi di inquadrarle nell’ambito del culto delle Hyakinthie. Tuttavia proprio la varietà degli oggetti che questi fanciulli e queste fanciulle portano in mano (ricordo che il collegamento di queste iconografie con Apollo Hyakinthos fu fatto nel 1964 da Attilio Stazio proprio grazie alle statuette con cetra) rende assai improbabile identificare queste immagini con la divinità (fanciullo con cetra = Apollo; fanciullo con pantera = Dioniso; fanciulla con pavone = Hera). Sembra invece assai più probabile pensare che si tratti di giovani offerenti e che i riti cui possiamo collegarli siano quelli conosciuti come “riti di passaggio”. In particolare gli strumenti a corda e percussione possono far pensare ad una paideia musicale, di grande importanza com’è noto nell’efebia greca, mentre la presenza della palla fa pensare alla dedica rituale dei giochi infantili effettuata dai giovinetti al momento di passare alla classe di età superiore, rito anche questo ben conosciuto7.
10Questo aspetto di feste di passaggio, di “capodanno agrario” erano certo presenti nelle Hyakinthie spartane, come ha ben dimostrato Brelich8. La presenza pero dell’iscrizione sull’altare non lascia spazio a dubbi per individuare nel nostro caso un culto dionisiaco, che si presta altrettanto bene, come noto, a soprintendere a questo particolare tipo di rituale, soprattutto in area attica e peloponnesiaca9. Un altro particolare rituale, che veniva svolto in questa piazza ma che è attestato anche nella piazza sottostante, è quello di piccoli pasti sacrificali, evidentemente legati al consumo di porzioni ridotte di cibo. Nella nostra area questo rituale è emerso grazie allo scavo di numerose “escharai” termine col quale abbiamo designato dei focolari accesi dentro buche poco profonde scavate nel terreno, contenenti cenere, ossa di animali, vasellame fine per bere e mangiare e ceramica da fuoco costituita da piccoli tegami di rozza terracotta. La dimensione dei tegami è ridotta, attorno ai 10/12 cm di diametro, e quindi le porzioni di cibo dovevano essere abbastanza piccole. In questo senso fanno fede, oltre le ridotte dimensioni delle pentoline, anche il piccolo numero di ossa animali ritrovate nelle varie escharai. Si tratta forse di piccoli banchetti sacrificali, verosimilmente eseguiti secondo un rigido rituale, che doveva in qualche modo essere connesso a questi “riti di passaggio”. Le fonti letterarie antiche sono prodighe di informazioni circa le restrizioni cui i giovani, durante le feste loro dedicate, venivano sottoposti. Sulla sacralità di questi “banchetti” credo non sia inutile ricordare che queste escharai presentavano in genere una copertura con pietre, sotto cui, al di sopra della cenere, vi era talvolta il fondo di una ciotola od uno skyphos, deposto capovolto, che nascondeva piccole ossa, diverse da quelle consumate durante il pasto, verosimilmente pertinenti ad un volatile. Sembra quindi che possa trattarsi di un ultimo sacrificio di dedica dei resti di un pasto sacro.
11Si tratta quindi di pasti particolari, tipo i phidithia o i kopides, pasti frugali gli uni, appena più abbondanti gli altri, che erano abbastanza usuali per i giovani destinati al passaggio a diversa classe d’età o di status, e sono ben noti in varie zone della Grecia comprese le stesse Sparta ed Atene10. Dunque sembra di essere di fronte ad una situazione che, almeno per il IV e III sec. a.C. prevede feste iniziatiche che si svolgevano sotto la protezione di Dioniso e che riguardano sia i fanciulli che le fanciulle.
12Rimane da segnalare, a questo punto, l’apparente sostanziale identità dei riti di passaggio relativi ai maschi ed alle femmine, almeno stando a quanto si può arguire dai dati di scavo. Questo fatto è ben attestato ancora nelle Hyakinthie spartane, almeno per epoche anteriori al nostra insediamento, assai meno in altre aree geografiche ed in particolare ad Atene, dove è ben attestata la diversità del rito iniziatico delle bambine rispetto ai bambini. In questa fase relativamente “tarda” della vita religiosa di Eraclea non credo dunque sia da scartare l’ipotesi di una sorta di “commistione”, di sincretismo religioso fra le varie componenti di questa colonia mista, in cui ai riti connessi con il culto di Dioniso, che in qualche modo possono ricordare il Dioniso “Melainigis” attico, si affiancano altri rituali con provenienze e pertinenze diverse.
13Bisogna ricordare anche un certo numero di statuette, provenienti dalla stessa zona, del tipo noto come Artemis Bendis. Non tutti gli studiosi, come noto sono d’accordo su questa identificazione, tuttavia anch’esse possono essere ben spiegate con i riti di passaggio d’età che ho appena descritto.
14Nell’area comunque non appare venerato solo Dioniso; a parte le statuette di Artemis, di cui ho già detto ma che non ci assicurano assolutamente sulla presenza di culto specifico legato a questa divinità, è citata, su una dedica graffita su un frammento di vaso a vernice nera, Afrodite, mentre un altro frammento di vaso, stavolta sovradipinto, reca la scritta ΑΣΚΛ che potrebbe ricordare appunto Asclepio. I luoghi di rinvenimento di queste iscrizioni non sono decisivi per indicare il luogo in cui avevano sede questi culti, non va però dimenticato che nella piazza meridionale vi sono due piccoli sacelli che potrebbero essere appunto i luoghi di culti differenti da quello di Dioniso. Ad Afrodite d’altra parte vanno, a mio avviso, riferite le abbastanza numerose statuette del tipo della divinità seduta, sia nuda che vestita.
15Vorrei brevemente accennare adesso alla cronologia del complesso. L’impianto e l’uso dell’area sacra, almeno con i rituali che ho cercato di descrivere finora, comincia ad essere attestato (stando almeno alle nostre attuali conoscenze) attorno al 370/60 e continua se non altro fino al II sec. a.C. (abbiamo ritrovato almeno un’eschara con vasellame a pasta grigia) anche se il grosso dei ritrovamenti si ferma attorno alla metà del III sec. Verosimilmente il rituale dei pasti sacrificali è maggiormente pregnante rispetto alla deposizione delle statuette. Esso appare prima e dura più a lungo, mentre le statuette, pur nella difficoltà di datare la durata di matrici che sono già stanche fin dalla prima generazione attestata, sembrano essere ristrette ad un arco cronologico che abbraccia la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Parte delle strutture presenti nell’area sono obliterate da un crollo, verosimilmente dovuto ad abbandono od incuria visto che non ci sono tracce di distruzione violenta, che presenta normalmente al suo interno la ceramica a pasta grigia. Alcune strutture vengono modificate, come sicuramente la stoà ed il muro di temenos W. L’abbandono definitivo della piazza superiore avviene probabilmente ancora entro il I sec. a.C. (ancora ceramica a pasta grigia nelle strato di abbandono; sarebbe utile riuscire a cogliere la differenza di datazione fra questi due momenti non molto lontani fra loro). Solo attorno all’altare di Dioniso (cosa non casuale credo) si ha una zona che presenta un battuto tardo databile ad età augustea, che copre e oblitera tutte le escharai presenti nella zona e non restituisce statuette. A quest’epoca sono invece probabilmente pertinenti le due basette trovate in situ nei pressi dell’altare, il cui ruolo cultuale è virtualmente certo mentre meno chiara appare la loro funzione pratica. Visto che non paiono basi di donario potrebbe trattarsi di piccole arule. Nell’ambito del clima creatosi in epoca augustea, della pietas che tende al recupero di antiche forme di devozione, sembra che sia l’altare di Dioniso dunque ad avere un ruolo di primaria importanza.
16Se la situazione della piazza superiore appare, in linea generale, abbastanza chiara, più enigmatica, soprattutto a causa del grado meno elevato di esplorazioni effettuate, ci pare al momento quella della piazza settentrionale, sicuramente più grande e verosimilmente più importante, almeno in origine, visto che essa è dominata dal grande tempio periptero. Abbiamo due soli limiti, per questa piazza, quello meridionale costituito dallo hestiatorion e dal muro di temenos che prosegue e che la separa dalla piazza più piccola e quello orientale, costituito da un lungo muro (attualmente supera gli 85 metri ma non è stato ancora completamente messo in luce). Sono invece sconosciuti i limiti Ν ed W di quest’area. Come ho detto l’edificio principale che si trova al suo interno è il tempio che Dinu Adamesteanu aveva a suo tempo ipotizzato come pertinente ad epoca arcaica11. L’equipe perugina non è intervenuta nell’area immediatamente a ridosso del tempio, ma informazioni amichevolmente fornitemi da Antonio De Siena, nonché l’analisi dei materiali della trincea del 1980 definita come X80 (presentata qui da Leila Chiappavento) portano a concludere che le fondazioni attualmente visibili siano pertinenti ad un edificio di IV sec. a.C., anche se rimane possibile, stante i ritrovamenti effettuati sia durante gli scavi Adamesteanu come durante i nostri, che nell’area fosse ubicato un edificio cultuale dell’epoca di Siris. In particolare fanno fede le terrecotte architettoniche (Fig. 6 e 7) e gli ex voto fittili rinvenuti. Non è possibile però fare l’ipotesi sulla divinità venerata nel tempio.
17Sul lato meridionale del tempio, assai vicino alla peristasi, esistono altri due muri paralleli, di cui quello orientale chiuso da due ante. Tali muri appaiono di dubbia interpretazione, tanto più che nulla è mai stato scritto su di essi. L’ipotesi che qui avanzo è quella che essi possano far parte di un altare monumentale, del tipo ad ante ben attestato in area greca. La sua vicinanza al tempio ed il fatto di essere decentrato nei riguardi dell’edificio potrebbe essere dovuto alla necessità di rispettare delle preesistenze, cosa anch’essa ben conosciuta nel mondo antico. Naturalmente tutto ciò avrebbe bisogno di una verifica.
18Alle spalle del tempio, ad W, vi sono tre diverse canalette, pertinenti a sistemi di drenaggio in uso verosimilmente in epoche differenti. L’unica da noi scavata, la più occidentale, è un canale di quasi due metri di larghezza, che è stato riempito, e quindi posto in disuso, in età augustea, con l’abbandono definitivo dell’area. Questa zona doveva essere, almeno in passato, abbastanza ricca d’acqua, se non proprio paludosa, e ciò spiegherebbe l’insediamento del medio bronzo, forse una serie di capanne, già segnalato da Rino Bianco e da noi verificato quest’anno a ridosso del muro di temenos Ε della piazza.
19Nella zona a S del tempio, fra l’edificio sacro e lo hestiatorion, abbiamo ancora due piccole costruzioni, due sacelli o thesauroi, che potrebbero essere pertinenti al culto di qualche altra divinità. Il secondo di questi, il più meridionale, presenta sicuramente due fasi edilizie; esso appare aperto verso S, dove esiste un ingresso ed una sorta di pronao.
20In generale, guardando l’intero impianto dei monumenti dell’area, sembra di poter vedere due allineamenti importanti su cui essi si dispongono. Il primo è quello che corrisponde alla linea della fronte della celia del tempio e che vede allineati, proseguendo verso S, i due sacelli o thesauroi ed il muro di temenos W della piazza superiore. Il secondo è invece dato dalla fronte della peristasi del tempio a cui sono allineati, grosso modo, l’altare del tempio medesimo, l’ingresso principale dello hestiatorion e l’edicola-naiskos della piazza superiore. Dunque la costruzione di questi edifici non appare casuale ma dovuta ad un piano in qualche modo preordinato, che ricorda da lontano, senza voler trovare necessariamente confronti prestigiosi, lo schema di posizionamento degli edifici del lato occidentale dell’Agorà di Atene, ad esempio.
21Per quel che riguarda la cronologia dell’intera area, nei sei anni di scavo finora effettuati dall’equipe che dirigo, credo di aver raccolto sufficienti elementi per proporre la seguente seriazione che potrà essere meglio precisata da esplorazioni e studi futuri, ma che al momento appare abbastanza saldamente consolidata. Dopo l’occupazione della fase del medio bronzo, verosimilmente un abitato di capanne sparse in un’area che è ancora da accertare nella sua interezza, abbiamo una frequentazione di epoca arcaica abbastanza antica. Gli studi di Leila Chiappavento hanno confermato quanto già noto da dati precedenti, e cioè la presenza di materiale greco d’importazione già dagli inizi del VII sec., se non dalla fine dell’VIII a.C. Questa frequentazione, almeno per il settore da noi scavato, non è purtroppo supportata dal rinvenimento di strati non disturbati né tanto meno di strutture relative a questo periodo. Tuttavia la quantità e la qualità dei ritrovamenti non lascia adito a dubbi sulla frequentazione di quest’area fra il VII ed il VI sec., frequentazione legate a forme di culto. La mancanza di strati inviolati rende per noi impossibile pero, allo stato attuale della ricerca, individuare momenti particolari, identificare cesure, cambiamenti o, viceversa, verificare sostanziale continuità, nell’arco di questo lungo periodo. Ci dobbiamo appoggiare solo ai materiali e quel che possiamo dire è che la frequentazione arcaica termina di fatto alla fine del VI-inizi V sec. a.C. (il materiale più tardo è dato dalle coppe attiche di tipo Bloesch C, trovate peraltro in un numero ridottissimo di esemplari). È pero certo che questi materiali, pur diffusi su tutta l’area, si presentano in maggior concentrazione proprio attorno al tempio e comunque provengono dalla piazza settentrionale. La più piccola piazza meridionale, che noi abbiamo scavato a tappeto, non restituisce che sporadici cocci arcaici, eccezion fatta per una relativa concentrazione attorno all’altare di Dioniso.
22È invece abbastanza chiaro che il V sec. a.C. è un momento “vuoto” nella vita del santuario, anche oltre la data tradizionale della fondazione di Eraclea. Se escludiamo un unico frammento protolucano, ritrovato da De Siena negli scavi del 1980, dobbiamo attendere il secondo venticinquennio del IV sec. per avere nuovamente tracce cospicue di frequentazione dell’area. Attorno al 370/360 a.C. esistono infatti alcune escharai che presentano le stesse caratteristiche di quelle che si ritroveranno nei decenni successivi. In particolare una di esse si trova sotto il sacello più meridionale della piazza principale e l’altro sotto i livelli di vita del muro di temenos W della piazza più piccola. Sembra dunque che in questa fase l’area sia già frequentata con scopi cultuali, anche se non ancora “monumentalizzata”. La costruzione degli edifici avviene però subito dopo. Se il rapporto stratigrafico non lascia adito a dubbi sulla precedenza di queste due escharai, il materiale rinvenuto nel piano di vita di IV, ed in particolare i frammenti a figure rosse, è tale che non consente di verificare apprezzabili differenze cronologiche fra i due momenti. In realtà le due escharai più antiche potrebbero essere interpretate anche come la testimonianza archeologica dei rituali di dedica degli edifici e delle strutture, che sarebbero quindi successive solo sul piano stratigrafico. In ogni caso tutte o quasi le strutture menzionate sono sicuramente costruite almeno fra il 360/350 a.C. Certamente lo studio analitico di tutto il materiale rinvenuto potrà fornire qualche precisazione in merito, ma non credo che porterà a conclusioni completamente divergenti da quanto sto dicendo.
23Questa frequentazione dura fino ad un momento imprecisato del III sec. e, rispetto all’impianto iniziale, si hanno durante questi anni solo due aggiunte importanti: quella del muro di temenos Ε della piazza principale, databile fra la fine del IV e gli inizi del III, e quella del sacello meridionale della piazza principale, ben visibile sul piano stratigrafico ma non meglio precisabile su quello cronologico, stante la relativa omogeneità dei materiali. Si assiste poi ad una fase di abbandono o distruzione, non sappiamo se violenta o meno, ma sicuramente priva di tracce di incendio; esistono tuttavia tracce di crolli, la maggior parte dei quali viene risistemata, in un’epoca successiva, databile forse attorno al II sec. a.C. (materiale datante è la pasta grigia), a formare dei battuti irregolari e apparentemente casuali. Questi battuti costituiscono in parte il nuovo piano di calpestio rinvenuto sia nella piazza superiore che, in minor misura, in quella inferiore. È questo il momento, come detto, del livellamento della piazza superiore, il cui pendio viene reso un po’ più dolce. In questo livello si trova ancora qualche sporadica eschara, mentre nel riempimento a Ν dello hestiatorion viene riutilizzato qualche frustulo di statuetta fittile.
24L’abbandono definitivo dell’area, con i crolli finali e l’obliterazione delle strutture avviene in un’epoca non molto distante, sul piano cronologico, forse ancora nel I sec. a.C., visto che la ceramica datante continua ad essere la pasta grigia; è chiaro che la datazione di questa ripresa e del definitivo abbandono è strettamente legata ad una più sicura datazione di questa importante classe ceramica, che com’è noto rappresenta il corrispettivo della c.d. campana C in quest’area del golfo ionico. Spero di poter arrivare al più presto ad una migliore determinazione del problema. Soltanto attorno all’altare di Dioniso, come ho detto, viene costruito un consistente battuto di piccoli ciottoli, che si espande anche verso E, e che è datato da due cocci di ceramica sigillata italica uno dei quali con tracce di bollo “in planta pedis”. Anche il canale alle spalle del tempio è riempito ed abbandonato in quest’epoca. Non mi è possibile dare alcuna informazione sulle forme del culto per quest’epoca, di certo non credo che sia casuale la frequentazione esclusivamente attorno all’altare. Non esiste nell’area alcuna traccia di occupazione di età medievale e dopo l’epoca augustea solo gli aratri sembrano aver frequentato la zona.
25Tenterò adesso di proporre alcuni punti per la discussione, come sollecitato dagli organizzatori di questo incontro. Per quanto riguarda l’età arcaica appare fuori discussione la frequentazione di quest’area, con scopi religiosi fra il VII ed il VI sec. a.C. La cosa conferma quanto già noto e già dibattuto alcuni anni or sono proprio qui a Policoro. In particolare si pone il problema della c.d. frequentazione precoloniale del sito. Negli ultimi anni sono usciti due articoli ed un libro, che cercano di “contemperare” i dati archeologici con la tradizione letteraria, soprattutto quella straboniana. Questi tentativi, più o meno riusciti, si presentano peraltro a critiche di vario segno. La realtà è che la “coperta” fornita dal discorso straboniano, che è il testo più lungo e significativo in materia, da qualunque parte la si tiri, lascia sempre qualche lato scoperto. Forse, anziché cercare adesso soluzioni “definitive” potrebbe essere più utile prendere atto di una realtà al momento abbastanza fluida e, in attesa di dati, soprattutto archeologici, più probanti, accettare la tesi, che non mi sembra per niente assurda, di una effettiva frequentazione precoloniale, legata peraltro sempre ad elementi ionici.
26Ho invece già segnalato la difficoltà di leggere, attraverso i ritrovamenti archeologici di quest’area, la “storia” di questi due secoli. Di certo non posso portare elementi per chiarire la data della distruzione di Siris (se, come credo, Siris è da identificare con l’abitato sulla collina di Policoro). D’altra parte sembra certa l’ubicazione di quest’area di culto in una zona lontano, sia pur relativamente, dalle abitazioni, e quindi in area extraurbana. Ma conosciamo così poco di questo abitato arcaico per capire cosa questo significhi. Che valore ha la parola extraurbano per un abitato katà komas? D’altra parte la stessa situazione la ritroviamo poche centinaia si metri più ad Ε, nell’area del Santuario di Demetra. Già in età arcaica il pendio dirimpetto alla collina con le abitazioni e con le mura appare destinata, quasi programmaticamente, alla ubicazione di luoghi di culto. Per essi, però, non abbiamo ipotesi convincenti o comunque certe sulle divinità venerate. È presente sempre una divinità femminile, ma, soprattutto al Santuario di Demetra ci sono tracce di un culto maschile.
27Appare invece chiaro che la fase di abbandono del sito è da collegare con la sconfitta di Sibari, cosa che conferma a mio avviso l’ipotesi, già ben nota, che Siris, dopo la caduta, non fu del tutto abbandonata ma entro a far parte del vasto impero commerciale sibarita. Non so, né voglio entrare nell’argomento, se le note monete della serie Sirinos-Pixoes si riferiscano o meno a Siris, cosa ribadita anche in tempi recenti da Emanuele Greco12, è pero certo che archeologicamente non è la sconfitta di Siris ma la presa di Sibari ad essere documentata in materia assai vistosa.
28Ε veniamo all’epoca di Eraclea, che presenta argomenti di discussione altrettanto problematici, ma finora sicuramente meno noti al mondo scientifico. Stando alle fonti letterarie fra la caduta di Sibari (data tradizionale 510 a.C.) e la fondazione di Eraclea (data tradizionale 433/32 a.C.) trascorrono circa ottant’anni. In questo periodo pero il ricordo di Siris è ben noto alle genti greche ed in particolare agli ateniesi. Ciò nonostante i dati archeologici confermano non solo questo lungo periodo di vuoto, che può far pensare ad uno spopolamento di grossissime proporzioni, ma addirittura allungano questo periodo di altri 50/60 anni circa. Cosa significa tutto ciò? Certo che tracce, e direi piuttosto “consistenti”, di una presenza di abitato già nell’ultimo quarto del V sec. a.C. sono presenti a Policoro, sia con alcuni frammenti di ceramica ma soprattutto, direi, con la straordinaria tomba del pittore di Policoro, che risulta unica, per la ricchezza e per la straordinarietà del messaggio ideologico, in tutta la Magna Grecia. Però ci sono una serie di dati, che messi insieme non possono porre problemi. La frequentazione dell’agorà, la ripresa del culto al Santuario di Demetra, la frequentazione della necropoli meridionale, la stessa costruzione delle mura della città, stando alla data tradizionale fornita da B. Neutsch riportano alla prima metà del IV sec.
29Cos’è Eraclea nel primo cinquantennio della sua vita? È forse una città più piccola di quella di IV sec., che noi non conosciamo per difetto d’indagine archeologica? È una città “di facciata”, voluta per motivazioni politiche che vengono meno pochissimi anni dopo la sua fondazione (guerra del Peloponneso e scontro fra Sparta ed Atene) e che dunque, subito dopo essere stata fondata, subisce una profonda crisi da cui si riprenderà solo alcuni decenni più tardi? Cosa significa quella enigmatica frase straboniana secondo cui “in seguito la città cambiò nome e sito e fu chiamata Eraclea” (Strab. 6, 1, 14)”? Questi sono, per me, tutti problemi aperti, alla cui soluzione occorre lavorare.
30È chiaro invece che il rifiorire della città coincide con gli anni di grande splendore di Taranto e con il periodo in cui Eraclea, sotto l’egida tarantina, diviene capitale della lega italiota. Le date che ho ricordato prima (ripresa del culto nell’agora, al santuario di Demetra, inizio dell’utilizzazione della necropoli meridionale, la costruzione delle mura, la stessa riorganizzazione del territorio, come sentiremo fra breve a proposito delle tavole di Eraclea, il fiorire dei centri lucani dell’interno) non lasciano spazio a dubbi in merito. Ε tuttavia un altro problema è d’obbligo porre: se è vero che per più di un secolo le due aree sacre che abbiamo scavato non mostrano tracce apparenti di ripresa del culto, come mai proprio su di esse si sovrappongono alcuni dei culti più importanti della città? Un secolo di distanza, la distruzione di una città, la fondazione di una nuova, in un sito che secondo la tradizione è diversa da quella precedente, tutto ciò sarebbero elementi sufficienti per giustificare 1’oblio delle reliquie antiche. Invece no! Credo che sia dunque il caso di vagliare la possibilità di ipotizzare una continuazione di una frequentazione, sicuramente ridotta, per tutti questi decenni, molto probabilmente espressa in forme di devozione diverse da quelle successive, ed estremamente povere al punto da non lasciare traccia. Non può essere un caso che la zona di un altare, tra l’altro monumentalmente così povero come quello di Dioniso, sia l’unica che abbia una continuità di vita, pur con i “salti” segnalati, dal VII sec. ad età augustea!
31La città, nella seconda metà del IV sec. a.C., pur essendo un centro importante, soprattutto politicamente, come dicono le fonti, ci appare una città abbastanza povera stando almeno alle strutture rinvenute, in confronto alle vicine colonie greche della costa ionica. Tuttavia la sua identità culturale sembra ribadita in più modi. La società appare strutturata in forme democratiche, senza particolari elementi di sperequazione economica, fra i cittadini, come si è avuto modo di notare con l’analisi dei corredi della necropoli13 e come si può evincere analizzando gli ex voto dei santuari, ancora inediti purtroppo. Nonostante la seconda metà del secolo veda avvenimenti abbastanza traumatici per l’intera area (problemi con le popolazioni indigene, le spedizioni del Molosso prima, di Pirro poi, lo scontro-incontro con i romani) l’ideologia della città appare orientata tutta verso gli ideali della grecità classica, la paideia atletica e musicale, il ruolo domestico per la donna, ideologia che appare chiara dall’analisi delle tombe della necropoli meridionale, ma che viene confermata anche dagli ex voto provenienti dall’agorà e dal Santuario di Demetra. Non esiste, in questi luoghi di culto, alcun riferimento alla guerra, nessun ex voto che ricordi un’arma, o qualche donario relativo a vittorie belliche. Solo in epoca tarda, se cosi può essere datato il ripostiglio di ferri trovato al di fuori dal santuario di Demetra14, si ha l’accenno alla schiavitù ed alla liberazione di schiavi (forse relativa all’epoca di Spartaco). Ma per il resto tutti questi avvenimenti bellici non sarebbero nemmeno immaginabili in base ai reperti materiali rinvenuti, se non fossimo in possesso della documentazione letteraria.
32Ε tuttavia proprio questi avvenimenti sono in fondo leggibili in altro senso. L’abbandono della necropoli meridionale è da mettere in relazione, credo, proprio con la spedizione di Pirro ed il passaggio di Taranto (e verosimilmente della sua colonia Eraclea) nell’orbita romana. Ed anche una certa decadenza dell’area dell’agorà mostra che questo avvenimento fu piuttosto traumatico. Pensiamo d’altra parte alla contemporanea fondazione di Grumentum nell’entroterra della val d’Agri. Nell’agorà le attestazioni comunque non si fermano al primo venticinquennio del III sec. ma continuano oltre, per subire poi un arresto più consistente un po’ più tardi. Verosimilmente la guerra annibalica deve aver assestato un colpo tremendo all’economia ed alla popolazione di Eraclea. Da questo avvenimento la città riesce in un primo momento a risollevarsi, lentamente ed a fatica, ma già in età augustea essa pare ridotta al ruolo di un piccolo centro senza alcuna effettiva importanza.
Bibliographie
Adamesteanu/Dilthey 1978: ADAMESTEANU (D.), DILTHEY (H.), Siris. Nuovi contributi archeologici. MEFRA, 90, 1978, 515-565.
Bini/Loprete 1989: BINI (M.P.), LOPRETE (T.), I dischi fittili di Eraclea. In: Studi su Siris-Eraclea. Roma, 1989 (Coll. Archaeologia Perusina 8, Archaeologica 91), 49-74.
Bodson 1980: BODSON (L.), Contribution à l’étude de la place de l’animal dans la religion grecque ancienne. Bruxelles, 1980 (Acad. de Belgique Mém. Cl. des Lett. 2e Sér. 63).
Bottini 1988: L’attività archeologica in Basilicata. In: Atti del 28° Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1988). Taranto, 1989, 523-541.
Brelich 1969: BRELICH (Α.), Paides e parthenoi. Roma, 1969 (Coll. Incunabula Graeca, 36).
Greco 1991: GRECO (E.). In: II Convegno Italo-Ispanico. S. Giustino, 1991, c.s.d.
Pianu 1989: PIANU (G.), Scavi al santuario di Demetra a Policoro. In: Studi su Siris-Eraclea. Roma, 1989 (Coll. Archaeologia Perusina 8; Archaeologica 91), 95-112.
Pianu 1990: PIANU (G.), La necropoli meridionale di Eraclea Lucana 1. Le tombe di secolo IV e III a.C. Roma, 1990.
Pianu 1991: PIANU (G.), Spazi e riti nell’agorà di Eraclea Lucana. In: L’espace sacrificiel dans les civilisations méditerranéennes de l’antiquité. Actes du colloque de Lyon (1988). Paris, 1991, 201-204.
Ruit 1990: RUIT (L.), The Meal at the Hyakinthia: Ritual Consumption and Offering. In: SYMPOTIKÀ. A Symposium on the Symposion (O. Murray ed). Oxford, 1990, 162-174.
Torelli 1976: TORELLI (M.), I culti di Locri. In: Locri Epizefiri. Atti del 16° Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto, 1976). Napoli, 1977, 147-184.
Notes de bas de page
1 Bini/Loprete 1989.
2 Bodson 1980, 49.
3 Pianu 1991, Tav. LVII, a (la foto è rovesciata!).
4 LIMC III, l, p. 464, n° 472.
5 Vedi ad esempio il caso di Armento, soprattutto nella nuova interpretazione presentata da Angelo Bottini al Convegno di Taranto 1990.
6 Bottini 1988, 533.
7 Torelli 1976.
8 Brelich 1969, 141 ss.
9 Si pensi a Dionisos Melainigis, che presiedeva ad Atene a questi culti.
10 Ruit 1990.
11 Adamesteanu/Dilthey 1978.
12 Greco 1991, c.d.s.
13 Pianu 1990, 239 ss.
14 Pianu 1989, 98.
Auteur
Le texte seul est utilisable sous licence Licence OpenEdition Books. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986