Siris-Polieion. Il quadro archeologico
p. 95-103
Texte intégral
1Negli ultimi anni la ricerca archeologica su Siris non ha riservato particolari elementi di novità. Rispetto al quadro presentato nel 1984 risulta, dunque, possibile effettuare esclusivamente una messa a punto dei risultati raggiunti dalle esplorazioni della Missione Archeologica di Heidelberg e della Soprintendenza Archeologica della Basilicata tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni ottanta.
2In questa sede a venticinque anni dal lavoro di L. Quilici si cercherà di riflettere con maggiore attenzione sui problemi della Siritide e quindi sul rapporto città-territorio, se quanto rinvenuto nell’area circostante il Castello di Policoro può essere identificato con il nome di città. Data la relativa maggiore quantità di documentazione, verrà presa in considerazione innanzi tutto la situazione archeologica all’interno dell’area urbana dell’attuale centro di Policoro (pressoché coincidente con quella della colonia greca di Herakleia), mentre in un momento successivo verrà esaminata la documentazione riguardante la fascia costiera ionica ed i primi terrazzi collinari tra Sinni e Cavone (tavoletta 212 IGM-Montalbano Ionico).
3Per quanto riguarda le testimonianze arcaiche rinvenute negli strati sottostanti a quelli di Herakleia, gli elementi principali di discussione riguardano:
le forme d’insediamento e le sequenze cronologiche dell’abitato arcaico rinvenuto sulla collina di Policoro;
la strutturazione delle aree sacre rinvenute, a Sud, nella vallata sottostante;
i problemi topografici relativi alla presenza di strutture arcaiche nell’area della città bassa di Herakleia;
il rapporto abitato-necropoli (di cui parlerà I. Berlingò);
le attestazioni e lo spessore delle presenze indigene;
i fenomeni di continuità di vita nella fase successiva alla data della distruzione di Siris.
4Un primo aspetto del problema riguarda, dunque, la struttura dell’insediamento arcaico rinvenuto sulla collina “del Barone”. Gli scavi effettuati dalla Missione Archeologica di Heidelberg avevano identificato sulla punta orientale i resti di un abitato di circa 5,6 ettari (400 x 140 m.) difeso sul pendio meridionale da un muro di fortificazione in mattoni crudi e delimitato sul lato occidentale da due successivi fossati trasversali rispetto all’andamento della collina.
5Le testimonianze più antiche sembrano riferibili ad un abitato a capanne databile tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., caratterizzato da ceramica greca tardo-geometrica e protocorinzia in associazione con una percentuale minima di ceramica indigena.
6Ad un periodo antecedente la metà del VII secolo a.C. sembra databile la fortificazione del sito con il sistema muro in mattoni crudi-fossato, oltre che la fase di passaggio ad una tecnica edilizia più evoluta, con strutture dalle fondazioni in muratura a secco. A tale proposito non risulta possibile, data la frammentarietà della documentazione, definire tipologia e funzione degli edifici rinvenuti e, dunque, le forme di strutturazione di questo settore fortificato dell’abitato arcaico, che, in base agli scavi successivi della Soprintendenza, si estende a tutta la collina. L’ipotesi che si tratti di un’acropoli inserita in uno spazio urbano è confermata esclusivamente dal rinvenimento di due grandi basamenti in blocchi squadrati, per i quali D. Adamesteanu ha suggerito una funzione templare ed una datazione alla seconda metà del VII secolo a.C. Alla stessa conclusione potrebbe portare anche il rinvenimento di oggetti metallici estremamente diversi per funzione (armi e falcetti in ferro, pesi da reti in piombo, un amo in ferro ed una barra di bronzo massiccio) contenuti in un’anfora e, dunque, tesaurizzati agli inizi del VI secolo a.C. forse in un contesto votivo. Naturalmente per quanto riguarda il primo rinvenimento, date le limitate dimensioni del saggio ed in assenza di qualsiasi elemento di decorazione architettonica, sarebbe auspicabile una ripresa dell’indagine per precisare cronologia e funzione degli edifici rinvenuti: gli unici a carattere pubblico rinvenuti sulla collina.
7Sempre a proposito delle ricerche effettuate sulla punta orientale, sembra opportuno ricordare infine due elementi di discussione:
la testimonianza di un incendio verso la fine del VII secolo, sulla cui possibile interpretazione storica si è lungamente dibattuto;
la presenza di una documentazione archeologica, sia pur labile, degli inizi del V sec. a.C. e, dunque, riferibile ad un periodo successivo alla distruzione di Siris.
8Per quanto riguarda l’indagine archeologica nei restanti settori della collina, i risultati più significativi raggiunti dalle ricerche di D. Adamesteanu si possono riassumere nei seguenti punti:
presenza di un insediamento protostorico antecedente alle più antiche presenze coloniali;
tracce di un abitato a capanne con materiale greco nella prima metà del VII sec. a.C.;
presenza di un muro di fortificazione in mattoni crudi, databile verso la metà del VII sec. a.C., su tutto il margine meridionale della collina fino alla punta occidentale e verosimilmente anche lungo il margine settentrionale;
realizzazione di strutture in muratura, dalla planimetria non definibile, e di fornaci per vasi separate da ampi spazi vuoti, identificabili forse come lotti urbani, durante la seconda metà del VII e la prima metà del VI sec. a.C.; assenza di assi viarii e di una qualsiasi forma di impianto urbano;
possibile presenza di uno o più edifici monumentali della prima metà del VI sec. a.C., in considerazione del rinvenimento di elementi sporadici di decorazione architettonica fittile rinvenuti in più punti della collina;
rinvenimento di una sepoltura ad inumazione, databile intorno alla metà del VII sec. a.C., nella parte occidentale della collina, al di sotto di un ambiente del quartiere di età ellenistico-romana;
annullamento almeno di un tratto del muro di fortificazione nella seconda metà del VI sec.a.C. (fossa di scarico nel saggio in prossimità del IV stenopos)
testimonianze archeologiche, sia pur labili, di una continuità d’insediamento almeno fino agli inizi del V sec. a.C.
9In base a tali risultanze l’abitato arcaico delimitato dal muro di fortificazione sembra interessare tutta la collina per una superficie di circa 24 ettari. In attesa della pubblicazione definitiva di tutti i saggi di scavo, un’evidente anomalia rappresentata dal rinvenimento della tomba precedentemente citata (caratterizzata dal noto dinos con cavalli contrapposti) può essere risolta adottando la medesima sepoltura come terminus post quem per l’estensione dell’abitato fortificato al settore occidentale della collina. Ulteriori saggi di verifica, finalizzati alla precisazione della cronologia delle strutture difensive rinvenute sulla punta orientale, potrebbero precisare se l’impianto di fortificazione realizzato sulla collina sia riferibile ad una stessa fase costruttiva o se la difesa della punta orientale rappresenti un primo “episodio”, seguito dall’ampliamento della fortificazione e, dunque, dello “spazio urbano” a tutta la collina.
10Il problema topografico delle forme insediative arcaiche nell’area di Policoro si definisce mettendo in relazione quanto appena descritto con le aree sacre, le strutture abitative ed i nuclei di necropoli rinvenuti sul pianoro sottostante in un’area che coincide pressoché per estensione con quella della c.d. città bassa di Herakleia (circa 140 ettari). Si tratta di contesti che in apparenza sembrano troppo isolati tra loro per poter essere considerati parte integrante di un unico “spazio urbano”, ma che sembrano rispondere ad una logica precisa di occupazione dell’area: i nuclei di necropoli ad Ovest, le aree sacre al centro, le strutture abitative a Sud-Est. C’è da aggiungere che, se appare piuttosto impressionante la coincidenza tra l’area interessata da presenze arcaiche e quella occupata da Herakleia, la mancanza di testimonianze di VII-VI sec. a.C. in un’area intermedia tra le necropoli ed i nuclei di abitato può essere in gran parte spiegata con la sovrapposizione dell’attuale centro di Policoro.
11In effetti il sistema insediativo arcaico sembra incentrato intorno alle aree sacre (“luogo di riconoscimento collettivo”) collocate a Sud della collina, nella vallata sottostante e, come accade in genere nel mondo antico, in prossimità di tre sorgenti. La destinazione cultuale dell’area anche nella fase di Herakleia si rivela come l’elemento forse più significativo di continuità ideale (e forse anche reale; si pensi alle presenze, sia pure sporadiche, di materiali della prima metà del V sec. a.C.) con la realtà arcaica.
12In base ai rinvenimenti effettuati è difficile immaginare l’aspetto del santuario nella fase sirita ed altresì definire, nella sua completezza, la connotazione dei culti praticati.
13Allo stato attuale è comunque possibile definire i seguenti punti:
L’area del santuario è frequentata a partire dagli inizi del VII sec. a.C.
Le attestazioni più antiche di culto si riferiscono all’ultimo quarto del VII sec.a.C. (statuette di stile dedalico).
Tra la fine del VII ed il primo quarto del VI sec. a.C. nell’area compresa tra il santuario di Demetra ed il tempio c.d. arcaico sono realizzati piccoli sacelli con colonne lignee e tetto decorato da terracotte architettoniche riferibili a tipologie diverse (fregio continuo con figure di cavalli a rilievo, simili ad esemplari metapontini; elementi di una trabeazione).
È attestata, in analogia con quanto documentato nel santuario di S. Biagio nella chora metapontina ed a conferma del ruolo svolto dai santuari come “luogo d’incontro”, una partecipazione indigena alla vita del santuario. A tale proposito i rinvenimenti più significativi si rivelano alcuni frammenti ceramici di VII secolo, un cavallino in bronzo (ex-voto che, secondo P. Orlandini, rispecchia una concezione non-greca) ed un’hydria miniaturistica con sfinge a figure nere e scena di caccia graffita che ripropone una disorganicità compositiva confrontabile con le raffigurazioni delle stele daunie più che con le ceramiche greche sia importate che di produzione coloniale.
La frequentazione del santuario sembra ancora relativamente cospicua nella seconda metà del VI sec. a.C. e riferibile non solo ad offerte votive (statuette tardo-arcaiche, applique bronzea raffigurante un cinghiale), ma anche a “luoghi” di culto stabili con tetto decorato da antefisse gorgoniche di tipo orrido; ancora nella prima metà del V sec. a.C. l’area continua ad essere frequentata, sia pure con minore evidenza archeologica, come dimostrano alcuni frammenti ceramici e sporadiche statuette votive.
Non è possibile precisare la connotazione del culto per la fase arcaica, a differenza di quanto accade per la fase eracliota. Divinità principale del culto è una dea con polos, non identificabile dunque chiaramente come Demetra. Un frammento vascolare a figure nere con Cerbero alle porte dell’Ade, insieme ad immagini di Sfingi e Sirene (animali dell’Oltretomba), sembrano comunque riferirsi alla celebrazioni di culti ctonii in armonia con il carattere delle divinità eleusine. Una statuetta raffigurante una divinità elmata identificata come Atena ed il deposito di oggetti in ferro (stipe votiva o ripostiglio di oggetti da fondere) rinvenuto nel 1985 dalla missione archeologica dell’Università di Perugia sembrerebbero confermare l’ipotesi, avanzata da G. Pianu, dell’esistenza di sacelli dedicati a divinità diverse.
14Se l’importante iscrizione arcaica con la citazione del tesoro “della dea sul Siris” (pubblicata da M. Guarducci), databile alla seconda metà del VI sec. a.C. e scritta in alfabeto acheo, si riferisce a questo santuario, è necessario ipotizzare, in un punto non precisabile della vallata, la presenza di un dromos (destinato a corse di cavalli, secondo la Guarducci, o a giochi funebri collegati con culti ctonii, secondo B. Neutsch): un’ulteriore conferma del “carattere urbano” assunto da questo insediamento arcaico. Da sottolineare, infine, sempre a proposito di questa tavola bronzea inscritta, la datazione successiva alla distruzione di Siris ed il “carattere” acheo che sembra costituire un preciso riferimento ad un controllo “politico” sibarita alle strutture del culto.
15In aree periferiche rispetto a quello che risulta essere l’asse centrale dell’insediamento sirita (abitato sulla collina - aeree sacre sottostanti) sono stati individuati due nuclei di abitato (entrambi ubicati a circa 600 metri dalla collina del Barone e distanti tra loro circa 400 metri) ed, a poca distanza dalla punta orientale della collina, un’area estremamente limitata frequentata nella seconda metà del VII sec. a.C. ed incentrata intorno ad un pozzo con ghiera di pietre all’imboccatura.
16I dati più rilevanti a proposito di tali rinvenimenti (da mettere in relazione alla presenza di sorgenti), possono essere così sintetizzati:
La fossa scavata al di sotto di un tratto della fortificazione meridionale di Herakleia (area dell’Ufficio Postale) ed almeno una di quelle individuate nell’area della necropoli orientale di età ellenistica, per le cospicue dimensioni (rispettivamente 6,6 m. e 5 m. di diametro) ed anche alla luce dei recenti scavi effettuati a Metaponto in prop. Andrisani sembrano presupporre l’esistenza di un abitato a capanne, come già ipotizzato per l’insediamento della collina, nel corso della prima metà del VII sec. a.C. Anche in questo caso il materiale ceramico rinvenuto è, pressoché nella sua totalità, di produzione greca (sia protocorinzio, sia di fabbrica locale con un’evidente influenza culturale greco-orientale - dinoi con pantere e cavalli alati affrontati); sporadica è la presenza di ceramica indigena.
Alla seconda metà del VII sec. a.C. si possono datare le strutture abitative con fondazioni in muratura a secco e tetto “pesante” ricoperto da tegole, rinvenute nell’area della necropoli orientale di Herakleia. Di queste, la più significativa si definisce come una casa di circa 115 mq. caratterizzata da tre ambienti aperti su un cortile, che rientra, dunque, nel tipo di edifici c.d. a pastas diffusi in età arcaica sia in Grecia che in ambito coloniale.
Impianti produttivi (fornace con scarti di coppe ioniche B2 e hydriai a fasce) sono documentati anche al di fuori della collina.
In entrambi i nuclei di abitato non sono presenti testimonianze archeologiche della fine del VI o degli inizi del V sec. a.C.
17Per quanto riguarda la fase della prima metà del VII sec.a.C., l’ipotesi di un abitato a capanne andrà verificata con l’estendersi della ricerca. Sia la presenza assolutamente sporadica di ceramica indigena sia soprattutto l’analisi delle coeve necropoli definiscono una “realtà” greca assolutamente prevalente all’interno di questa comunità; fenomeni di coesistenza solamente intuibili non possono essere precisati nel loro reale spessore. D’Altra parte mancano sufficienti informazioni per poter escludere in maniera assoluta l’adozione di capanne nelle fasi più antiche degli insediamenti coloniali in Magna Grecia, così come invece risulta evidente nella fase di seconda metà VI-inizi V secolo a.C. della colonia ionica di Olbia.
18Ε necessario aggiungere che la costruzione di case conferma l’esistenza di una cesura dopo la metà del VII sec. a.C., così come appare possibile un collegamento tra l’assoluta mancanza, in questi contesti, di ceramica della fine del VI sec. a.C. ed una contrazione dell’insediamento arcaico verso il suo nucleo centrale nella fase successiva alla distruzione di Siris.
19Nell’ambito di un dibattito ancora aperto sull’ubicazione di Siris ed in particolare del santuario di Atena Iliàs, elemento centrale nelle tradizioni letterarie su questa città, a questo punto sembra opportuno sintetizzare i risultati delle prospezioni e delle campagne di scavo effettuati sulla fascia costiera ionica tra Sinni e Cavone a partire dalle indagini di Quilici e della Fondazione Lerici.
20Queste ultime non forniscono elementi tangibili relativi ad insediamenti greci di età arcaica, tranne il rinvenimento sporadico di ceramica in prossimità dell’antico alveo del fiume Sinni in un’area compresa tra il terrazzo su cui sorge Masseria del Concio ed il corso del torrente Vena della Serpe.
21Maggiormente significativi per il problema dell’organizzazione territoriale sirita, ma non per l’ubicazione di Siris in un’area diversa da quella coincidente con Herakleia, appaiono i rinvenimenti effettuati durante gli scavi della Soprintendenza in loc. Cugno dei Vagni di Nova Siri (terrazzo sulla riva destra del Sinni), in loc. Termitito di Scanzano Ionico (terrazzo sulla riva destra del Cavone), nell’area di S. Maria d’Anglona (in posizione dominante uno spartiacque tra l’Agri ed il Sinni) e sulla prospiciente altura di Piano Sollazzo di Rotondella (in posizione dominante la riva destra del Cavone).
22I dati più significativi possono essere così sintetizzati:
L’insediamento di S. Maria d’Anglona, con le imponenti necropoli ubicate nella vallata sottostante, particolarmente fiorente fino alla fine dell’VIII sec. a.C. sembra perdere progressivamente importanza a partire dagli inizi del secolo successivo. Un nucleo di sepolture attesta una ridotta presenza umana fino alla metà del VII sec. a.C. prima del definitivo abbandono. Si tratta di tombe identificabili come indigene sia per il rituale adottato (inumazione con scheletro in posizione rannicchiata) che per la composizione dei corredi (presenza di armi oltre che di ceramica di produzione locale). Non mancano in queste sepolture ceramiche d’importazione greca, in un caso oggetti esclusivi di corredo in una sepoltura infantile.
Per quanto riguarda l’insediamento indigeno di Termitito, nella prima metà del VII sec. a.C. viene annullato un fossato difensivo, mentre sono attestate le prime presenze greco-coloniali nell’ambito di un abitato a capanne. Nel corso della seconda metà del secolo sono attestati i primi edifici a pianta quadrangolare con fondazioni in muratura a secco ed alzato in mattoni crudi; in questo periodo la ceramica greca, sostituitasi a quella indigena, viene anche prodotta sul posto (fornace con scarti di “coppe a filetti” e di oinochoai e di hydriai d’ispirazione microasiatica ed insulare). L’insediamento viene abbandonato nel corso della seconda metà del VI sec. a.C.
Nella vallata sottostante S. Maria d’Anglona, in prossimità di una sorgente, è stata messa in luce una fattoria arcaica, della seconda metà del VI sec. a.C., di circa 100 mq. caratterizzata da un ambiente principale di forma rettangolare estremamente allungata (20 m. x 5 m.), all’interno del quale sono state identificate tutte le principali funzioni abitative. L’insediamento produttivo ha una breve durata e viene abbandonato verso la fine dello stesso secolo.
Materiali arcaici privi di contesto permettono di ipotizzare la presenza di un piccolo luogo di culto (statuette di divinità femminile) a Cugno dei Vagni, in prossimità di una sorgente, durante la seconda metà del VI sec. a.C. e di un nucleo greco di ridotte dimensioni (insediamento produttivo, luogo di culto o punto di controllo?) sull’altura di Piano Sollazzo tra la seconda metà del VII e la prima metà del secolo successivo (anforoni di produzione corinzia, coppe ioniche, coppe monoansate con decorazione a fasce).
23Alla fine di questa presentazione sulle forme d’insediamento in età arcaica sulla fascia costiera tra Sinni e Cavone, ci si trova certamente di fronte ad una documentazione archeologica estremamente frammentaria per riuscire a definire un modello di popolamento. Resta certamente irrisolto il problema della possibile presenza di un insediamento arcaico alla foce del Sinni, così come non esistono elementi probanti per l’ubicazione del santuario di Atena Iliàs. Il centro del sistema insediativo greco arcaico in quest’area, allo stato attuale della ricerca, risulta essere in maniera incontrovertibile l’insediamento identificato nell’area di Policoro, dal quale provengono, tra l’altro, le testimonianze più antiche (fine dell’VIII secolo a.C.) di una presenza ellenica sulla costa ionica. Fenomeni di discontinuità nei centri indigeni più prossimi a quest’area d’insediamento greca testimoniano un processo di trasformazione dell’organizzazione territoriale preesistente. Il dato più macroscopico è documentato dalla progressiva, ma alquanto rapida scomparsa delle comunità insediate, in un sistema articolato, nell’area di S. Maria d’Anglona. Le ultime presenze umane in questo sito sembrano arrestarsi alla metà del VII secolo a.C., forse in rapporto ad un processo di strutturazione dell’insediamento greco di Policoro (diventato centro di un nuovo sistema territoriale), al quale partecipano, certamente in posizione subordinata, gruppi di indigeni. Nella prima metà del VII sec. a.C. anche l’annullamento, a Termitito, di un impianto difensivo, sulla cui funzione si pongono interrogativi al momento irrisolvibili, testimonia certamente un elemento di trasformazione di questo insediamento, ubicato lungo l’itinerario verso il Metapontino ed inserito con il centro dell’Incoronata di Pisticci, più a Nord, in un sistema di occupazione greca del territorio che si può definire come Siritide. In questa sede non verranno esaminate le presenze che testimoniano l’apertura di un altro itinerario, questa volta interno, rivolto ad instaurare rapporti di scambio con le genti enotrie delle valli dell’Agri e del Sinni; basterà ricordare due dati: 1) le ceramiche greche più antiche rinvenute ad esempio nelle necropoli di Alianello si possono datare alla prima metà del VII sec. a.C.; 2) almeno a partire dalla fine del secolo, all’interno di queste comunità sempre più fiorenti, i beni di prestigio rinvenuti nelle sepolture si compongono in sistemi che testimoniano mutamenti culturali (del costume funerario, del sistema di armamento) derivati dall’intensificarsi dei rapporti con il mondo greco.
24Per quanto riguarda l’insediamento arcaico identificato nell’area di Policoro, un momento di cesura si può identificare interno alla metà del VII secolo a.C. A partire da questo periodo si può parlare dell’esistenza di un centro strutturato con un sito fortificate sulla collina di circa 24 ettari, con aree sacre dotate di una qualche monumentalità nella vallata sottostante e, sempre sullo stesso pianoro, con nuclei di necropoli a Sud ed abitazioni isolate, dotate di fondazioni in muratura e “tetto pesante” a Sud-Est; di rilievo, infine, la presenza, in più punti, di fornaci per la produzione di ceramiche.
25L’insieme di tali rinvenimenti copre una superficie di circa 140 ettari, pressoché coincidente con quella occupata dalla città di Herakleia, le cui aree sacre, tra l’altro, si sovrappongono a quelle di età arcaica.
26Un dato, infine, ancora non sufficientemente indagato riguarda le presenze archeologiche della seconda metà del VI sec. a.C., periodo successivo alla data indicata dalla tradizione antica a proposito della distruzione di Siris da parte della coalizione achea composta da Crotone, Sibari e Metaponto. In effetti se sembra di assistere ad una contrazione dell'abitato, non si può certamente parlare di un abbandono completo dell’area. In particolare la frequentazione delle aree sacre, verosimilmente connotate da edifici stabili per il culto (rinvenimento di antefisse gorgoniche tardo-arcaiche), rappresenta il fenomeno forse più evidente di una continuità di vita ed un rispetto dell’organizzazione dello “spazio urbano” preesistente. A tale proposito l’iscrizione in alfabeto acheo relativa al tesoro della “dea sul Siri” lascerebbe pensare più che altro ad un “controllo politico” sibarita sulle strutture del culto. Alcune delle isolate testimonianze arcaiche rinvenute nel territorio di Siris si riferiscono proprio a questo periodo e sembrano documentare la presenza di piccoli luoghi di culto e di fattorie greche, secondo un modello attestato con un’evidenza molto più pregnante nel Metapontino, nell’ambito di una chora che si estende fino alla riva destra del Sinni ed all’area di S. Maria d’Anglona. L’ipotesi non di una distruzione di Siris, ma della fine della sua autonomia politica, forse all’origine dello scontro con il mondo acheo, potrebbe trovare un’ulteriore conferma, se si considera la monetazione di tipo sibarita con leggenda SIRINOSPYXOES riferita a Siris (in ultimo Greco 1990). Secondo tale prospettiva assolutamente verosimile, l’“impero” sibarita si sarebbe esteso al territorio della fondazione colofonia ed anche alle comunità enotrie delle valli dell’Agri e del Sinni, il cui processo di ellenizzazione sembra registrare nel corso della seconda metà del VI sec. a.C. un’accelerazione evidente in particolare nell’assunzione di culti ctonii di matrice greca praticati per individui di giovane età. La scomparsa di questi gruppi indigeni alla fine del primo quarto del V sec. a.C. costituisce la prova più tangibile dei contraccolpi provocati dalla distruzione di Sibari in un territorio molto esteso caratterizzato da strutture economiche e forse anche “politiche” evidentemente correlate.
Addendum
27Scavi recenti a cura dell’Università di Perugia confermano l’esistenza di edifici monumentali, a carattere sacrale, di età arcaica sulla punta orientale della Collina del Barone di Policoro.
28Sulla Siritide e sulle comunità enotrie delle vallate dell’Agri e del Sinni, in ultimo: Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale. Napoli, 1996 (Coll. I Greci in Occidente).
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Recherches sur les cultes grecs et l’Occident, 2
Ettore Lepore, Jean-Pierre Vernant, Françoise Frontisi-Ducroux et al.
1984
Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation eubéennes
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
La céramique grecque ou de tradition grecque au VIIIe siècle en Italie centrale et méridionale
Centre Jean Bérard (dir.)
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 1
Pier Giovanni Guzzo, Renato Peroni, Giovanna Bergonzi et al.
1982
Ricerche sulla protostoria della Sibaritide, 2
Giovanna Bergonzi, Vittoria Buffa, Andrea Cardarelli et al.
1982
Il tempio di Afrodite di Akrai
Recherches sur les cultes grecs et l'Occident, 3
Luigi Bernabò Brea
1986